IL GIORNALE DELL'ISOLA FELICE ... ANNO 5° ... SETTIMANA 043 ...

LUNEDI' 20 OTTOBRE - DOMENICA 26 OTTOBRE 2014

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    BUONGIORNO GIORNO ... BUONA SETTIMANA ISOLA FELICE …


    Edizione Giornale Anno 5° SETTIMANA 43 (20 Ottobre – 26 Ottobre 2014)






    BUONGIORNO GIORNO … BUON LUNEDI’ ISOLA FELICE …


    Lunedì, 20 Ottobre 2014
    S. IRENE

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    Settimana n. 43
    Giorni dall'inizio dell'anno: 293/72
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    A Roma il sole sorge alle 06:29 e tramonta alle 17:21 (ora solare)
    A Milano il sole sorge alle 06:47 e tramonta alle 17:28 (ora solare)
    Luna: 2.57 (lev.) 15.38 (tram.)
    --------------------------------------------------
    Proverbio del giorno:
    Ottobre, il vino è nelle doghe.
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    Aforisma del giorno:
    Chi accoglie un beneficio con animo grato paga la prima rata del suo debito.
    (Seneca)






    -Che il sogno cominci-
    (Ulderico Gasparini)





    RIFLESSIONI


    ...KAMIKAZE DELL’IDEA…
    .... Oggi una notizia mi ha colpito e fatto riflettere. Premetto, e ci tengo a specificarlo e dirlo a chiare note che ciò a cui mi riferisco è la simbologia e non la materiale azione e gesto. Sono un convinto pacifista, uno che non concepisce l’uso della forza mai proprio mai; una persona che antepone sempre il dialogo e l’uso della ragione e della parola a quello dei gesti e delle azioni forti. Quindi ciò che esporrò in questo mio pensiero è una provocazione dialettica che spero concorderete. Ho trovato la notizia che oggi ricorre il settantenario del primo kamikaze della storia. E’ una figura drammatica e legendaria assolutamente negativa e da considerare come una delle tante follie dell’uomo, che è entrato come terminologia nel nostro lessico alcune volte, indicando una persona che disposta al gesto estremo sicuro di perdere ma certo allo stesso tempo di dare segnali positivi al mondo. In un’epoca di confusione di ideologie, di moda, di comportamenti e di grande crisi, servirebbero dei “kamikaze dell’idea”. Si, kamikaze dell’idea che riescano a portare avanti idee nuove, che sappiano ribaltare modi di fare e di pensare dalle piccole alle grandi cose. Persone capaci di gettarsi, appunto come kamikaze, su questo piattume che oramai ci circonda e sappiano rompere con PAROLE e PENSIERI nuovi questa melassa di nulla che ci circonda. Speriamo di poter essere presto svegliati dal boato di UNA IDEA nuova, di UN PENSIERO nuovo e dirompente che regali a tutti noi una luce che ci faccia vedere la fine di questo tunnel nel quale ci troviamo da troppo troppo tempo.…Buongiorno amici miei, Buon risveglio; Buon Ottobre a tutti …
    (Claudio)






    Settanta anni fa il primo kamikaze della storia.
    Il 'vento divino' degli aviatori giapponesi colpì le Filippine. Il 21 ottobre del 1944, nel pieno della battaglia di Leyte, nelle Filippine, comparve il primo attacco "kamikaze" degli aviatori giapponesi che sacrificarono la loro vita per "l'Imperatore e l'Impero". Era, nel significato letterale, il "vento divino" che avrebbe dovuto annientare i nemici come accadde con il tifone che nel 1281 spazzò via la flotta d'invasione mongola pronta a colpire da ovest il Giappone, dando il via al mito della inviolabilità del "sacro suolo" nipponico. Appena quattro giorni dopo, il 25 ottobre, nel golfo di Leyte ci fu la prima missione senza ritorno della 'Kamikaze special attack force', l'unità specializzata che fu emulata numerose volte nell'ultimo anno della Seconda guerra mondiale. E che colpì l'immaginario collettivo globale, tanto da fare della parola kamikaze, con un significato ampliato, il sinonimo dell'uomo che sceglie la morte per odio o per guerra come continua ad accadere, ad esempio, nello scacchiere mediorientale.
    I raid contro le navi americane e alleate furono una mossa disperata con le sorti della battaglia del controllo del Pacifico indirizzate in modo inesorabile a favore degli Usa. Il fallimento degli scontri navali e aerei convenzionali per fermare l'offensiva e l'avanzata statunitense non lasciavano spazio che al sacrificio estremo. Il capitano Motoharu Okamura, un asso dei cieli e pilota di aerei sperimentali fin dagli anni '30, ne era convinto. "Credo fermamente che l'unico modo per portare la guerra a nostro favore sia ricorrere ad attacchi suicidi con i nostri aerei. Ci saranno più che sufficienti volontari per sfruttare l'occasione di salvare il nostro Paese".
    La prima forza kamikaze era composta da 24 piloti volontari della 201/mo gruppo aereo della Marina imperiale. Gli obiettivi erano le portaerei di scorta statunitensi: una, la San Lo, fu colpita da un caccia A6M Zero e affondata in meno di un'ora, uccidendo 100 americani. Più di 5.000 piloti suicidi morirono nel golfo distruggendo 34 navi. Un trend destinato a ripetersi e a coinvolgere i piloti-ragazzini, appena diciottenni. Un sacrificio estremo che non impedì la conquista alleata delle Filippine, di Iwo Jima e Okinawa, fino alla capitale Tokyo.
    Per le loro incursioni, i kamikaze impiegarono velivoli convenzionali e aerei imbottiti di esplosivo o benzina o appositamente progettati e chiamati Ohka ("fiori di ciliegio") dai giapponesi e Baka ("inganno") dagli americani, visto che erano dei velivoli-razzo sganciati dal bombardiere. La tradizione della morte invece della sconfitta, della cattura e della vergogna era profondamente percepita e radicata nella cultura militare giapponese. Fu alla base dei principi cardine della vita del samurai e del suo codice, il Bushido: lealtà e onore fino alla morte.

    (Ansa)




    CAREZZE AL RISVEGLIO


    ... POESIE E FIABE AL RISVEGLIO…
    ... L’esperimento fatto da più di un anno mi è piaciuto e credo sia piaciuto a molti. Per cui continuerò ad alleggerire questo mio spazio di riflessione utilizzando il metodo più antico del mondo, le fiabe e le poesia. Credo sia giusto provare a tornare alle vecchie care abitudini di questa mia “rubrica” cercando di regalare un sorriso ed una carezza a chi avrà la pazienza di leggere ciò che scrivo e propongo. Così da oggi inizieremo un viaggio nella poesia; da quelle dell’antichità a quelle più recenti. La poesia è sempre stato il modo con cui il cuore e l’anima hanno cercato di comunicare; la veste visibile delle emozioni. Credo quindi che ogni mattina leggere una poesia ed una favola, soprattutto in questo periodo estivo, sia una bella spinta per tutti ad iniziare con una carezza la giornata … Buon risveglio e buona giornata a tutti … .
    (Claudio)





    Le Poesie più belle di tutti I tempi

    Poesie e racconti …

    Segni d’Autunno

    Il colore caldo delle frasi mormorate
    nelle sere d’autunno.
    Profumi che sempre l’anima vive
    nel vento freddo d’autunno
    che vuol sembrare inverno.
    Consapevole del suo sembrare,
    malinconico s’inchina
    al generale inverno
    che possa regnare sovrano.
    Un pensiero lo sfiora
    nell’orgoglio ferito.
    Nel prossimo anno sarà lui
    coi suoi colori ancor più forti,
    con le sfuriate di neve e freddo
    a sembrare inverno quello vero.
    Sarà sempre e solo un sembrare,
    sarà un apparire come non è,
    mio povero autunno
    che tutto trasforma in malinconia
    del suo perenne sembrare.(Folletto)




    Favole Dal Web … Carezze per l’Autunno …

    I carretti a mano

    Nelle regioni bagnate dallo Huang Ho
    in tanti letti secchi di fiumi
    i carretti a mano
    con una sola ruota
    mandano un suono acuto che fa spasimare il cielo
    attraverso il gelo e il silenzio
    dai piedi di quel monte
    ai piedi di questo monte
    risuona
    il lamento delle genti del nord.
    Nei giorni di neve e di gelo
    nei poveri villaggi e tra un villaggio e l'altro
    i carretti a mano
    con un Unica ruota
    incidono solchi profondi sulla distesa di polvere
    attraverso la vastità e la desolazione
    da quella strada
    a questa strada
    si intesse
    il lamento delle genti del nord.

    (AI CH'ING)



    ATTUALITA’


    Ebola, l'infermiera spagnola non ha più il virus. L'Oms ammette errori.

    Intanto l'Oms ammette errori in Africa. Obama: 'No a isteria'. In Italia gli infermieri lanciano l'allarme: impreparati a far fronte all'emergenza. ROMA - L'infermiera spagnola Teresa Romero, colpita dall'Ebola, non mostra più presenza del virus nel sangue. Una buona notizia sul fronte della lotta alla malattia, che giunge nel giorno in cui l'Organizzazione mondiale della Sanità ha ammesso errori e miopia nell'affrontare l'emergenza. Secondo fonti dell'ospedale Carlos III di Madrid, un test volto a individuare il virus praticato oggi sulla donna, 44 anni, ricoverata dal 6 ottobre, è risultato negativo. "I tre esami fatti oggi, compreso quello di Teresa, sono negativi", ha affermato la fonte citata dalla France Presse. Tuttavia la cautela è d'obbligo. Se anche un secondo test darà risultato negativo, il caso potrà dichiararsi praticamente chiuso, ma non per questo la paziente potrà essere dichiarata guarita e dimessa. Romero ha infatti una grave infezione ai polmoni e solo tre giorni fa ha ricominciato a mangiare. La donna, dicono i sanitari citati da El Pais, dovrà restare in osservazione per altre tre settimane per esser certi che non si riprenda l'Ebola (il virus ha un'incubazione che dura 21 giorni) e solo se l'infezione non si riprodurrà potrà esser dichiarata guarita. Intanto, l'Oms si fa un duro esame di coscienza. Staff incompetente, nomine politiche in Africa e burocrazia.

    Un mix 'fatale' che ha impedito all'Organizzazione di cogliere la ''tempesta perfetta che stava arrivando''. E' un documento interno all'Oms trapelato alla stampa a gettare ombre e alimentare dubbi sulla risposta a livello internazionale al virus dell'Ebola, che - denuncia la ong Oxfam - puo' diventare ''disastro umanitario della nostra generazione''. Una risposta non adeguata anche negli Stati Uniti, dove l'ospedale di Dallas del 'paziente zero' fa anch'esso mea culpa: in una lettera aperta chiede scusa, ammette carenze e si impegna a standard piu' rigidi. ''Nonostante le migliori intenzioni non siamo riusciti a rispettare gli elevati standard che sono il fulcro della storia dell'ospedale e della sua missione'' scrive Barclays Berdan, l'amministratore delegato di Texas Health Resources, la societa' no profit alla quale fa capo il Texas Health Presbyterian Hospital. E mentre il presidente americano Barack Obama si appresta a chiedere nuovi fondi al Congresso per combattere l'Ebola in Africa e i ministri degli esteri europei si apprestano a riunirsi lunedi', la nave da crociera 'Carnival Magic' rientra in Texas dopo essere stata rifiutata da Messico e Belize per avere a bordo un tecnico dell'ospedale di Dallas venuto a contatto con i test del 'paziente zero'.

    I controlli effettuati sulla nave sono risultati negativi. E' pero' è la bozza del documento interno dell'Oms quella destinata a creare le maggiori polemiche. L'organizzazione cerca di smorzare i toni del documento invitando ad attendere la versione definitiva. Ma quanto trapelato non lascia adito a dubbi: ''quasi tutti quelli coinvolti non hanno visto che una tempesta perfetta si stava preparando, pronta a esplodere in tutta la sua forza''. E questo e' in parte colpa della burocrazia interna all'Oms: gli uffici in prima linea dell'organizzazione, quelli nell'Africa Occidentale, sono guidati da persone ''nominate per motivi politici'' dal direttore dell'Oms in Africa, Louis Sambo. D'accordo sugli errori commessi dall'Oms e' Peter Piot, uno dei virologi che ha scoperto il virus. ''L'ufficio dell'Oms in Africa era in prima linea. Non hanno fatto nulla. L'ufficio e' incompetente'' afferma Piot, ammettendo di non aver mai pensato che l'Ebola potesse divenire un'epidemia. La crisi era ''evitabile''. (Ansa)





    Francesco proclama beato Paolo VI e chiude Sinodo: 'Non avere paura delle novità'.

    Il Papa emerito Benedetto XVI concelebra con Francesco la messa di beatificazione di Paolo VI, che lo creò cardinale nel 1977. Migliaia i fedeli in piazza. Circa 70 mila le persone che hanno assistito alla messa celebrata in Piazza San Pietro da papa Francesco per la chiusura del Sinodo straordinario sulla famiglia e per la beatificazione di Paolo VI. La festa del nuovo beato sarà il 26 settembre di ogni anno, data di nascita di Giovanni Battista Montini. Dopo la rituale "domanda" di beatificazione formulata dal vescovo di Brescia mons. Luciano Monari, e dopo la biografia di Paolo VI letta dal postulatore della causa, padre Antonio Marrazzo, papa Francesco ha pronunciato la formula ufficiale, in latino: "Noi, accogliendo il desiderio del Nostro Fratello Luciano Monari, Vescovo di Brescia, di molti altri Fratelli nell'Episcopato e di molti fedeli, dopo aver avuto il parere della Congregazione delle Cause dei Santi, con la Nostra Autorità Apostolica concediamo che il Venerabile Servo di Dio Paolo VI, papa, d'ora in poi sia chiamato Beato e che si possa celebrare la sua festa, nei luoghi e secondo le regole stabilite dal diritto, ogni anno il 26 settembre. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo".
    "Non bisogna avere paura e delle novità, delle sorprese di Dio" ha affermato papa Francesco nell'omelia della messa con cui chiude il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia e celebra la beatificazione di Paolo VI. E bisogna riconoscere, "di fronte a qualunque tipo di potere", che "Dio solo è il signore dell'uomo, e non c'è alcun altro". Commentando "una delle frasi più celebri di tutto il Vangelo" - "Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio" - papa Francesco la definisce una "frase ironica e geniale" detta da Gesù ai farisei, "una risposta ad effetto che il Signore consegna a tutti coloro che si pongono problemi di coscienza, soprattutto quando entrano in gioco le loro convenienze, le loro ricchezze, il loro prestigio, il loro potere e la loro fama. E questo succede in ogni tempo, da sempre". Secondo Bergoglio, "l'accento di Gesù ricade certamente sulla seconda parte della frase: 'E (rendete) a Dio quello che è di Dio'. Questo significa riconoscere e professare - di fronte a qualunque tipo di potere - che Dio solo è il Signore dell'uomo, e non c'è alcun altro. Questa è la novità perenne da riscoprire ogni giorno, vincendo il timore che spesso proviamo di fronte alle sorprese di Dio". "Lui non ha paura delle novità! - ha proseguito - Per questo, continuamente ci sorprende, aprendoci e conducendoci a vie impensate. Lui ci rinnova, cioè ci fa 'nuovi' continuamente. Un cristiano che vive il Vangelo è 'la novità di Dio' nella Chiesa e nel Mondo. E Dio ama tanto questa 'novità'! 'Dare a Dio quello che è di Dio', significa aprirsi alla Sua volontà e dedicare a Lui la nostra vita e cooperare al suo Regno di misericordia, di amore e di pace". Per il Pontefice, "è per questo che il cristiano guarda alla realtà futura, quella di Dio, per vivere pienamente la vita - con i piedi ben piantati sulla terra - e rispondere, con coraggio, alle innumerevoli sfide nuove".
    Alla liturgia, nella prima fila a fianco dei cardinali, presente il Papa emerito Benedetto XVI, che Bergoglio è andato subito a salutare con una calorosa stretta di entrambe le mani. Fu proprio Paolo VI, nel 1977, a nominare Joseph Ratzinger arcivescovo di Monaco e Frisinga e a crearlo cardinale. Presenti in Piazza San Pietro anche gli altri due cardinali ancora viventi nominati da Paolo VI: il brasiliano Paulo Evaristo Arns e l'americano William Wakefield Baum. Concelebrano inoltre la liturgia con papa Francesco il card. Peter Erdo, relatore generale del Sinodo, mons. Luciano Monari, vescovo di Brescia, i cardinali Giovanni Battista Re, prefetto emerito della Congregazione per i Vescovi, Angelo Scola, arcivescovo di Milano, Agostino Vallini, vicario del Papa per la diocesi di Roma, André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi e presidente delegato al Sinodo, Raymundo Damasceno Assis, arcivescovo di Aparecida e presidente delegato al Sinodo, Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila e anch'egli presidente delegato al Sinodo, Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo, e mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e segretario speciale del Sinodo. Insieme a loro concelebrano i cardinali, i vescovi e i sacerdoti presenti. La messa, presieduta dal Pontefice sul sagrato di San Pietro dinanzi a decine di migliaia di fedeli, è trasmessa in diretta a Milano, l'ex arcidiocesi di Montini, su un megaschermo nella Galleria. (Ansa)





    Ad Alicudi la scuola più piccola, solo due alunni.

    Frequentano la prima e la terza elementare con la maestra Zullo. Alicudi, isoletta delle Eolie con un centinaio di abitanti, ha la scuola più piccola d'Italia. Due soli alunni che frequentano la prima e la terza elementare. Con una maestra, Beatrice Zullo di Patti (Me). La scuola è stata "salvata" grazie alla caparbietà di Mirella Fanti, dirigente scolastico dell'Istituto "Lipari 1" da cui dipende il plesso di Alicudi, una tipica casa eoliana di propietà del Comune di Lipari.

    Un terzo alunno ha preferito trasferirsi con la sua famiglia a Milazzo. Anche lo scorso anno vi erano pochi scolari, solo tre di cui uno frequentava il Cpe (Centro preparazioni esami della media). Commenta la professoressa Fanti: "Ce l'abbiamo fatta anche quest'anno a salvare la piccola scuola di Alicudi grazie alla buona volontà delle istituzioni e delle famiglie che hanno accolto le nostre sollecitazioni a non abbandonare il proprio territorio. In effetti Alicudi senza la scuola è ancora più isolata, perché tra un insegnamento e l'altro nelle ore pomeridiane si praticano anche tante attività rivolte a tutte la comunità''.

    Una realtà, quella della scuola di Alicudi, tanto particolare e suggestiva da aver ispirato "L'ultimo giorno", un documentario prodotto da ZaLab e dal Museo del Cinema di Stromboli. L'autore e regista, Alberto Bougleux, ha dedicato il film alla scuola di Alicudi ma parla a tutte le realtà scolastiche italiane: "Un film documentario dedicato a tutti i maestri e le maestre che si battono quotidianamente per difendere il diritto dei bambini a una scuola moderna, creativa e democratica, reso possibile da un rapporto unico di collaborazione e fiducia con l'istituto Scolastico Lipari 1". (Ansa)




    ANDIAMO AL CINEMA




    Il giovane favoloso




    locandina


    Un film di Mario Martone. Con Elio Germano, Michele Riondino, Massimo Popolizio, Anna Mouglalis, Valerio Binasco.


    Un film erudito sulla sensibilità postmoderna che ha collocato Leopardi fuori del suo tempo.
    Paola Casella


    Il giovane favoloso inizia con la visione di tre bambini che giocano dietro una siepe, nel giardino di una casa austera. Sono i fratelli Leopardi, e la siepe è una di quelle oltre le quali Giacomo cercherà di gettare lo sguardo, trattenuto nel suo anelito di vita e di poesia da un padre severo e convinto che il destino dei figli fosse quello di dedicarsi allo "studio matto e disperatissimo" nella biblioteca di famiglia, senza mai confrontarsi con il mondo esterno.
    Mario Martone comincia a raccontare il "suo" Leopardi proprio dalla giovinezza a Recanati, seguendo Giacomo nella ricerca costantemente osteggiata da Monaldo e da una madre bigotta e anaffettiva delineata in poche pennellate, lasciandoci intuire che sia stata altrettanto, e forse più, castrante del padre: sarà lei, più avanti, a prestare il volto a quella Natura ostile cui il poeta si rivolgerà per tutta la vita con profondo rancore e con la disperazione del figlio eternamente abbandonato.
    La prima ora de Il giovane favoloso, dedicata interamente a Recanati, è chiaramente reminescente dell'Amadeus di Milos Forman, così come il rapporto fra Giacomo e Monaldo rimanda a quello fra Mozart e suo padre. Ma non c'è margine per lo sberleffo nell'adolescenza di Leopardi, incastonato nei corridoi della casa paterna e in quella libreria contemporaneamente accessibile e proibita. In queste prime scene prende il via il contrappunto musicale che è uno degli elementi più interessanti della narrazione filmica de Il giovane favoloso, e che accosta Rossini alla musica elettronica del tedesco Sasha Ring (alias Apparat)e al brano Outer del canadese Doug Van Nort.
    Attraverso un salto temporale, ritroviamo Leopardi a Firenze, dove avvengono gli incontri con l'amata Fanny e con l'amico Antonio Ranieri, entrambi fondamentali nel costruire la geografia emotiva del poeta. È del periodo fiorentino anche il confronto con la società intellettuale dell'epoca, che invece di cogliere la capacità visionaria di Leopardi in termini di grandezza artistica ne intuiscono la pericolosità in termini "politici", in quanto potenziale sabotatrice di quelle "magnifiche sorti e progressive" che il secolo cominciava a decantare.
    L'atto conclusivo, dopo una breve sosta a Roma, si svolge a Napoli, città per cui Martone prova un trasporto emotivo evidente nel rinnovato vigore delle immagini (ma il segmento potrebbe estendersi meno a lungo, nell'economia della narrazione). Alle pendici del Vesuvio si concluderà la parentesi di vita di Leopardi, strappandogli l'ultimo grido di disperazione con la poesia La ginestra, summa del suo pensiero esistenziale.
    Martone racconta un Leopardi vulnerabile e struggente, dalla salute cagionevole e l'animo fragile, ma dalla grande lucidità intellettuale e l'infinita ironia. Elio Germano "triangola" brillantemente con le sensibilità di Leopardi e di Martone, prestando voce e corpo, sul quale si calcifica l'avventura umana e intellettuale del poeta, alla creazione di un personaggio che abbandona la dimensione letteraria, e la valenza di icona della cultura nazionale, per abbracciare a tutto tondo quella umana. La riscoperta dell'ironia leopardiana, intuibile nei suoi poemi, ben visibile nei suoi carteggi, è una potente chiave di rilettura moderna del poeta. "La mia patria è l'Italia, la sua lingua e letteratura", dice il giovane Giacomo. E Martone ci ricorda che nella lingua e letteratura di Leopardi si ritrovano le radici dell'Italia di oggi.
    In questo modo Leopardi esce dai sussidiari ed entra nella contemporaneità, continuando quella missione divulgativa che il regista napoletano ha cominciato ad intraprendere con Noi credevamo. Martone fa parlare i suoi protagonisti in un italiano oggi obsoleto ma filologicamente rigoroso, e fa recitare in toto a Leopardi le sue poesie più memorabili, strappandole alle pareti scolastiche e ai polverosi programmi liceali. Germano interpreta quei versi senza declamarli, reintegrandoli nel contesto umano e storico in cui stati concepiti, e restituendo loro l'emozione della scoperta, per il poeta nel momento in cui le ha scritte, e per noi nel momento in cui le (ri)ascoltiamo. Nelle sue parole torna, straziante, la malinconia "che ci lima e ci divora", nei suoi dilemmi esistenziali ritroviamo i nostri.
    Martone recupera anche la dimensione affettiva di Leopardi, raccontandolo con immensa tenerezza, e senza mai indulgere nella pietà per i tormenti fisici del poeta, che orgogliosamente rivendica la propria autonomia di pensiero intimando: "Non attribuite al mio stato quello che si deve al mio intelletto". E ne sottolinea la valenza politica, facendo dire al poeta: "Il mio cervello non concepisce masse felici fatte di individui infelici". Infine identifica nel poeta un precursore del Novecento nel collocare il dubbio al centro della conoscenza: "Chi dubita sa, e sa più che si possa". Quel che emerge sopra a tutto è una profonda affinità elettiva fra Martone e Leopardi, un allineamento di anime e di sensibilità artistiche: attraverso il poeta, il regista racconta quella condizione umana "non migliorabile", a lui ben nota e non "sempre cara", di sentirsi straniero ovunque e in ogni tempo. Il Leopardi di Martone si ricollega idealmente al Renato Caccioppoli di Morte di un matematico napoletano in quell'impossibilità per alcuni di essere nel mondo, oltre che del mondo.
    Il giovane favoloso è un film erudito sulla sensibilità postmoderna che ha collocato Leopardi fuori del suo tempo, origine della sua immortalità e causa della sua umana dannazione. Martone costruisce una grammatica filmica fatta di scansioni teatrali, citazioni letterarie e immagini evocative ai limiti del delirio, come sanno esserlo le parole della poesia leopardiana. All'interno di una costruzione classica si permette intuizioni d'autore, come l'urlo silenzioso di Giacomo davanti alle intimidazioni del padre e dello zio, o le visioni del poeta nella parte finale della vita. Il giovane favoloso "centra" in pieno la parabola di un artista che sapeva guardare oltre il confine "che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude". E ci invita a riconoscerci nel suo desiderio di infinito.


    Video


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    (Lussy)





    ... CURIOSANDO E RACCONTANDO …


    Ti stagliavi in mille cupole azzurre
    in un cielo di antico splendore in qull'Islam in esilio
    in quella valle dei tartari nascosta alle ombre.
    Ti offrivi allo sguardo
    nelle mura di argilla e di paglia
    in un deserto di sabbia spazzata dal vento feroce
    dipinta nel sole.
    Ti oscuravi al crepuscolo
    al rumore di un destriero al galoppo
    un cavaliere col mantello di stelle
    che sfuggiva alla morte per cercare la vita.
    Tu regina di ocra e di terra aspettavi il destino
    nascondendo quella nera signora
    che sorrideva in silenzio sotto un gelso di spine
    alla sua preda e al suo sogno.
    Qui a Samarcanda.
    (Tiziana Monari)

    SAMARCANDA


    La città di Samarcanda è situata in Uzbekistan ed è precisamente la terza città di questo Stato per dimensioni. La si può definire “leggendaria” in quanto risulta citata in numerosi romanzi o raccolte di racconti tra cui “Le mille e una notte” ed anche “Il Milione” di Marco Polo. Nel 2001 l'UNESCO ha inserito la città nella lista dei patrimoni dell'umanità sotto il titolo di “Samarcanda - Crocevia di culture”. Situata in un territorio completamente circondato da altre terre, fu la sede di un impero così lontano fra steppe e deserti che sfiorò appena l’Europa, pur terrorizzandola. Sprofondata in un oscuro sonno, brillò per secoli nell’immaginario collettivo. Ispirò la fantasia di Goethe e di Hàndel, di Marlowe e di Keats, tuttavia nella realtà rimase sempre irrangiugibile. Nessun nome richiama alla mente la Via della Seta più di quello di Samarcanda. Ciò che è rimasto dell'antica Samarcanda sotto i Timuridi, i successori di Tamerlano, rimanda ad un periodo storico unico ed irripetibile, un equilibrio perfetto che raggiunse la perfezione classica della forma nell'architettura occidentale, come il Partenone o il Tempietto di Bramante. Sotto i Timuridi la tecnica del mattone cotto rivestito di ceramica fu portata alla perfezione stilistica. I principali luoghi d'interesse della città sono in gran parte opera di Tamerlano, di suo nipote Ulughbek e degli Shaybanidi uzbeki, che insieme fecero di questa città l'epicentro economico e culturale dell'Asia centrale nei secoli XIV e XV.

    La Piazza Registan - L'edificio di maggiore interesse di Samarcanda, considerato uno dei monumenti più straordinari dell'Asia centrale, è il Registan, un complesso di maestose e imponenti madrase (scuole coraniche), costruite in epoche successive con minareti posti agli angoli di ogni edificio, una profusione di maioliche, mosaici azzurri e ampi spazi perfettamente proporzionati. Registan significa “luogo di sabbia” e sembra che in tempi remoti qui scorresse un fiume che poi improvvisamente si prosciugò. Una curiosità, “Registan” è nome comune a molte piazze dell'Asia Centrale ma, quella di Samarcanda è la più grande e forse la più bella. E' limitata su tre lati da imponenti madrase. Nel XV secolo sorse la Madrassa Ulugh Bek, la più antica (1417-1420), chiamata così in onore del governatore di Samarcanda, Ulugbek, insigne cultore di matematica ed astronomia. Di fronte ad essa sorge la Madrassa Sher-Dhor (1619-1636 – la “Madrasa dei Leoni” o “Madrasa delle Tigri”), la più grande tra le tre madrase, interamente ricoperta da maioliche poste a mosaico in cui predomina l'azzurro. E' curioso osservare come sulla facciata sono riprodotte figure di animali, nonostante sia noto come la religione islamica proibisse la rappresentazione di esseri viventi. Tuttavia la vicinanza della Cina e l'influenza dell'arte orientale introdussero nell'iconografia islamica figure di animali favolosi, che per i musulmani non avevano significati simbolici, ma puramente decorativi. Di qualche anno successiva è la terza madrasa, quella di Tilla - Kori (1647-1660), costruita tra le due precedenti, ed è ricoperta d'oro.
    Mausoleo di Gur Emir - Fatto costruire da Tamerlano nel 1404, quale luogo di sepoltura, conserva le spoglie dello stesso Tamerlano, due suoi figli, un nipote, un suo maestro spirituale, uno sceicco e il famoso astronomo Ulugh Beg. L'edificio si compone di un cortile interno attorno al quale ci sono sulla sinistra una madrasa e sulla destra un edificio con funzioni simili a quelle di un monastero. Il mausoleo al centro è a forma di torre conuna cupola ricoperta di ceramiche azzurre. L'interno, riccamente decorato con rilievi in oro, è a forma quadrata, con nicchie laterali: sul pavimento sono collocati i sarcofagi di Tamerlano in nefrite verde scura e quelli della famiglia reale. Le vere tombe che custodiscono le salme si trovano tuttavia nel sottosuolo del complesso.
    La moschea di Bibi Khanym - Si tratta di un imponente complesso che compren-
    deva una grande madrasa, otto minareti, due moschee tra cui un' imponente Moschea del Venerdì (1399-1404) costruita intorno a una corte centrale e riccamente decorata con marmi intarsiati e maioliche, eretta in onore della figlia dell'imperatore cinese e moglie preferita di Tamerlano (Bibi – Hanum). La sua edificazione è il frutto delle più avanzate tecniche costruttive del tempo; tuttavia nel corso dei secoli si sgretolò progressivamente per crollare, infine, del tutto durante il terremoto del 1897.
    L'osservatorio di Ulugh Beg - Il grande sovrano della dinastia dei timuridi, Ulugh Beg (1393-1449), amico di poeti e artisti, scienziato e protettore delle scienze, fece costruire il più importante osservatorio astronomico del Medioevo (1428-1429) che si ergeva per 30 metri sopra una base di 46 metri di diametro, intagliata nella roccia.
    Ulugbek, al cui governo è legata la grande fioritura culturale di Samarcanda, era un valente astronomo e i suoi lavori ci sono stati tramandati nelle cosiddette “tavole delle stelle di Ulugbek”, documenti di incredibile precisione ed importanza se consideriamo che tali “tavole” sono state scritte senza alcun uso di strumenti ottici. Ad esempio Ulugbek ha scritto che l'anno solare dura 365 giorni, 6 ore, 10 minuti ed 8 secondi. Ebbene con tutti gli strumenti moderni ed i supporti informatici è stato stabilito che l'anno solare dura 365 giorni, 6 ore, 9 minuti e 9,6 secondi e quindi un errore di meno di un minuto. Purtroppo alla morte di Ulugbek l'osservatorio fu saccheggiato e distrutto. All'inizio del 1900 alcuni archeologi scoprirono quanto rimaneva di questo osservatorio, la base circolare ed una parte del sestante che stava sottoterra, e si procedette ad una parziale ristrutturazione. Gli interessi religiosi islamici prevalsero tuttavia sugli interessi scientifici e la collina, chiamata “delle 40 vergini”, fu dichiarata dagli “sceicchi” locali luogo sacro e vi fu costruito un mausoleo.
    Il Bazar - Il frenetico mercato è uno spaccato genuino della vita della popolazione, soprattutto nella parte che riguarda i commerci e le contrattazioni. Vi si può trovare ogni genere di prodotti: dai vestiti, scialli, cappelli e turbanti di ogni gruppo etnico esistente nella regione alla frutta secca di incredibile varietà, tra gli odori pungenti delle spezie, tra il delicato e dolce sapore delle tipiche mele uzbeche e quello più forte dei melograni.
    Sahai-Zinda - Nelle immediate vicinanze di Samarcanda si trova un notevole insieme di strutture architettoniche di impareggiabile bellezza. E' la necropoli conosciuta come Shakhi-Zinda che consiste in 11 mausolei eretti fra il XIV ed il XV secolo. Si entra da un portale dove campeggia una scritta che ricorda che l'edificio è stato costruito nell'anno dell'Egira 883 (corrisponde al nostro 1434) per ricordare i figli del grande Tamerlano. La necropoli Sah-Zinde, che significa del “re vivente” è probabilmente il complesso più importante del medioevo islamico a noi pervenuto.(tratto da www.sanpietroburgo.it/)

    "Samarcanda è una città nobile, dove bellissimi giardini, e una piena di tutti i frutti, che l'uomo può desiderare.
    Gli abitanti, parte son Cristian, e parte Saraceni, e sono sottoposti al dominio d'un nepote del Gran Can."
    (Marco Polo)

    ...storia...


    Samarcanda può essere parago-
    nata a Roma o Babilonia ed è una delle più antiche città del mondo, situata lungo la Via della seta, la maggiore via commerciale di terra tra Cina ed Europa. Fondata circa nel 700 a.C., col nome di Marakanda era già capitale della Satrapia della Sogdiana sotto gli Achemenidi di Persia quando Alessandro Magno, conosciuto come Iskander Khan,la conquistò nel 329 a.c.. Sotto i Sasanidi, Samarcanda rifiorì e diventò una delle città maggiori dell'Impero. Tra il VII e XIII secolo la città conobbe l'invasione araba, che portò il suo alfabeto e convertì all'Islam la sua popolazione, quella dei Persiani e di diverse successive dinastie turche, che ne fecero una delle città più ricche di tutto il mondo islamico. Fu saccheggiata nell'anno 1220 dai Mongoli e sopravvisse solo una minima parte della popolazione, che dovette affrontare anche un sacco successivo, condotto da un altro condottiero mongolo: Barak Khan. La città impiegò decenni per ristabilirsi da quei disastri.
    Nel 1370, Tamerlano -Timur lo zoppo - decise di rendere Samarcanda una città stupenda e usarla come capitale dell'impero che avrebbe costruito e che si sarebbe esteso dall'India alla Turchia. Per 35 anni la città fu ricostruita e fu piena di cantieri con artigiani e architetti provenienti dalle parti più disparate dell'Impero timuride. Tamerlano fece così sviluppare la città, che divenne il centro della regione chiamata in Occidente Transoxiana e, similmente, dagli Arabi, per i quali era Mā warāʾ al-Nahr, «Ciò che è al di là del fiume Oxus». Suo nipote Ulugh Beg governò il paese e la sua capitale per 40 anni. Creò varie scuole attente allo studio delle scienze e quello studio della matematica e dell'astronomia. Ordinò anche la costruzione di un grande osservatorio, di cui restano imponenti tracce.Samarcanda divenne il polo di attrazione di arti, usanze, poeti, scrittori, architetti, artisti che contribuirono a farla divenire praticamente la più bella città del mondo di quei tempi, ricca come era di tesori, mausolei, moschee e madrase.
    Nel XVI secolo gli Uzbeki spostarono la capitale a Bukhara e Samarcanda iniziò un lento declino, accelerato dal ridimensionamento della Via della Seta come rotta commerciale delle spezie, dai frequenti terremoti e dallo spopolamento. Dopo l'assalto dei Persiani guidati da Nadir Shah, la città fu abbandonata nel XVIII secolo. L'emiro di Bukhara tentò di ripopolare la città alla fine di quel secolo. Nel 1868, la città entrò a far parte dell'Impero russo, essendo stata conquistata dal colonnello A.K. Abramov, divenendo successivamente capitale del Turkestan russo. Fu raggiunta dalla ferrovia trans-caspica nel 1888, che non poco contribuì al suo sviluppo economico. Divenne capitale dell'Uzbekistan sovietico dal 1925 fino al 1930.


    "Samarcanda è un luogo della mente e dell´anima più che un posto reale con le sue moschee, le selve dei minareti, le scuole coraniche, i mausolei, l´azzurro scintillante delle sue maioliche e delle sue cupole, il blu cobalto degli archi, il turchese delle madrasse. Ma Samarcanda è anche traffico, confusione, rumore, clacson, torme di turisti organizzati, souvenir dozzinali.A Samarcanda bisogna andarci in macchina, sono quasi cinque ore da Tashkent, un viaggio nel medioevo più arcaico; carretti trainati da somari e carichi fino all´inverosimile vi corrono incontro contromano. Capre, pecore, qualche mucca, cavalli macilenti, biciclette arrugginite, sidecar. Sul ciglio della strada, spesso dissestata, i venditori ambulanti stanno sdraiati su letti di legno in attesa di chi gli compri i pomodori, il miele, le patate, i cachi, le uova. Ai bordi, lungo la piana immensa della steppa, frutteti ma soprattutto campi coltivati a cotone, con centinaia di ragazzi e bambini chini a raccogliere i batuffoli bianchi. E almeno cinque posti di blocco per lo straniero: in media uno ogni ora.
    Samarcanda si annuncia come una visione, evocativa e onirica, punto di snodo della Via della Seta (oggi dell´energia), crocevia delle strade che portavano all´Oriente profondo, capitale di imperi, i turchi, gli arabi, i persiani, i mongoli, la furia di Gengis Khan e i fasti del feroce Tamerlano, che la elesse capitale del suo regno sterminato. Alessandro Magno e Marco Polo, il mito e la leggenda. Entriamo in città. La strada all´improvviso si fa larga e moderna e passa troppo vicino ai ventidue mausolei di Shah-I-Zinda, o "tomba del re vivente», li deturpa, li offende.
    Si salgono gli erti gradini che portano alla sommità, su alla collina sacra, dove riposa un cugino di Maometto. I turisti scattano foto, senza interrogarsi su un restauro fin troppo fiammante, senza riuscire a distinguere ciò che è originale e ciò che è ricostruito con fin troppa disinvoltura, a trasformare questi ex ruderi una volta pieni di fascino in un set stile Disneyland dell´Islam. «Salvami, salvami, grande sovrano, fammi fuggire, fuggire di qua». C´è chi arriva a Samarcanda con le note e le parole di Vecchioni nel cuore. Le carovane, i mercanti, i viaggiatori della steppa, i cammelli.
    Con un'idea, un sogno, un miraggio luccicante e ondulato che non potrà corrispondere a nessuna realtà. È l´italiano la lingua più parlata sotto questi minareti alti cinquanta metri. Le venditrici di scialli etnici (tutti made in India) e di amuleti locali circondano petulanti i nostri connazionali sul sagrato dell´imponente moschea intitolata a Bibi Khanym, una delle diciotto mogli di Tamerlano. Offrono le loro merci contrattando in italiano, incassando e dando il resto in euro, scoprendo denti di ferro o anche d´oro quando sorridono. A un passo c´è il celebre bazar Siob, sfondo di safari fotografici in technicolor, piramidi di spezie esotiche, frutti enormi e sconosciuti, cataste di torroni.
    Si arriva a piedi nel sancta sanctorum cantato da James Elroy Flecker: «Per la bramosia di conoscere ciò che non dovrebbe essere conosciuto/ percorriamo la Strada Dorata che va a Samarcanda». Il Registan è un colpo al cuore di bellezza, geometria celeste, maestà imponente. È il motivo per cui si arriva fino a qui. È un'overdose di mosaici, smalti, arabeschi, il centro sociale e religioso della città medievale, con le sue tre scuole coraniche che nelle ex celle degli studenti oggi ospitano una schiera di botteghe di souvenir. È il monumento più importante di tutta l'Asia centrale, il più visitato, il più citato, il più rappresentato, il più spettacolare. Nella chaikhana di fronte, il padiglione per il tè "Lyabi Gor", i visitatori si ristorano avvicendandosi per assaporare il pesantissimo plov cotto nel grasso di montone e bere tè verde. Si fuma ovunque. A est il groviglio millenario di stradine e le vestigia archeologiche pluri-strato della città vecchia, Afrosiab, a ovest gli ampi e geometrici viali tracciati dai russi nel Diciannovesimo secolo, orlati di gelsi e di platani, due mondi che non sembrano comunicare. Una città-calamita sconosciuta ai più, proiezione di fiabe e leggende. Non soltanto una città d'arte dunque, ma anche una città universitaria, la prima, fra l´altro, in cui è stato aperto un dipartimento di italianistica, già capitale, anche se solo per sei anni a partire dal 1924, della Repubblica Socialista Sovietica dell'Uzbekistan. Stagione ormai remota, consegnata alla storia.
    All´imbrunire, la visita al Mausoleo di Guri Amir, dove è sepolto Tamerlano sotto un unico blocco di giada, è d´obbligo. «La tigre zoppa» lo chiamava il suo popolo, una tigre morta non in battaglia ma per una banale polmonite. Le guide snocciolano i loro aneddoti accanto alle rovine dell´antico ostello dei dervisci, che ripetevano il nome di Allah mille e una volta, fino a cadere in trance, fino a farsi uscire il sangue dal naso" (Laura Laurenzi, repubblica.it)
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    LA MUSICA NEL CUORE




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