STRANI MUSEI

I musei italiani e del mondo più particolari

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  1. gheagabry
     
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    IL MUSEO DEL PARACARRO


    I paracarri possono raccontare la storia? Pare proprio di sì stando a quanto succede nel parco giochi ai Marenghi di Canezza. Con Dario Pegoretti come ideatore. Dipendente provinciale in pensione, è un campione di ciclismo con 39 anni di impegno, oltre 2000 gare e 459 vittorie: dilettante, amatore, ciclocross. Di strada ne ha fatta ed è passato davanti a migliaia di paracarri. E si è chiesto: perché non farne un museo (all'aperto visto che non si deteriorano?) abbinandoli ai nomi dei campioni di ciclismo? Chiedendo permessi a destra e manca (Comuni e Provincia) ha prelevato paracarri un po' da tutte le strade. Si tratta naturalmente di manufatti smessi, abbandonati, non più utilizzati. Il 19 di luglio 2008 si è iaugurato il museo, in continua evoluzione. Il lato originale della faccenda è che ad ogni paracarro corrisponde il nome di un campione del ciclismo. Da una lato tutti i miti scomparsi: Coppi, Bartali, Girardengo, Guerra, Ganna, Ermanno Moser. Lungo un altro vialetto ci sono Gimondi con un paracarro della ss 47 Valsugana, Motta con un esemplare della sp 12 di Vignola (dove vinse la tappa), Mario Nicoletti (strada comunale di Levico), Merckx (altro paracarro della ss 47), Saronni (paracarro della Ss del Caffaro), Renato marchetti (Ss della Mendola), Francesco Moser (ss 612 di Cembra). Per Simoni c'è quello del Pordoi, per Paolo Voltolini il cippo «90» della Valsugana a Castelnuovo. Spesso è lo stesso corridore ha volere il paracarro di questa o quella strada.
    «Per Pantani - annuncia Dario Pegoretti - ci sarà un esemplare della strada della Fedaia, per Marcello Osler (di Canezza) quello della Potenza-Sorrento (percorso che lo vide vincitore di tappa). C'è anche un extra: un cippo antico della passeggiata che Sigmund Freud compiva quando era a Caldonazzo e saliva ai Virti di Lavarone. Ma c'è da aggiungere che Dario Pegoretti (vive a Canezza dal 1971) ha fatto le cose sul serio: ha fondato l'associazione "Museo del Paracarro" con regolare direttivo e commissione scientifica (presieduta dl geologo Giulio Antonio Vanzo) che descrive il materiale del paracarro.


    "C’è tutta una fila di paracarri che si snoda ai lati: lo sguardo non lo coglie subito, ma tutti quanti sono diversi, e a osservar meglio, hanno anche una targhetta. E’ qualcosa di familiare, insolito in questo bagno di sole, tra la giostra e lo scivolo: è un museo. Il museo del paracarro, per esattezza, fondato negli anni ’90 da Dario Pegoretti. Decine e decine di cubi, piloni, colonne, parallelepipedi, cilindri, trapezi scanalati, in granito di Cima d’Asta, calcare ammonitico rosso o travertino, ignimbrite e porfido quarzifero, calcestruzzo, dolomia, gneiss, legno, acciaio, plastica. Vengono dalle statali della Valsugana e della val di Cembra, dalla Cassia e dalla Gardesana, da Catania, da Herrsching in Germania, alcune copie persino dalla Cambogia, dal Vietnam e dal Perù. Si va dal 1500 (un monolite da Radicofani, Siena, in calcare travertino) fino al 2011 (un guard-rail in acciaio e legno), passando per il 1905, il 1935, e i segnalimiti in ferro del 1965. Ce ne sono due voluti da Luigi Negrelli, l’ingegnere primierotto che firmò il progetto del Canale di Suez. Ci sono i cippi di pietra oramai fuorilegge, accanto ai regali di sindaci e assessori. Ognuno di essi ha una sua storia, di eventi, di arte, di industria. E ognuno di essi ha un nome. Non un nome proprio: ciascuno è dedicato a un campione del ciclismo internazionale, ciascuno è una porta per una seconda storia. A Louison Bobet, a Gino Bartali, a Gianni Bugno, Gilberto Simoni, Marco Pantani, Lance Armstrong, Maria Canins, Paola Pezzo, Mario Cipollini, Rudi Altig, Daniele Oss, Stefan Schumacher; a Jacques Anquetil, a Ercole Baldini e Felice Gimondi, al lussemburghese Charly Gaul, a Eddy “Cannibal” Merckx, a “Monsieur Paris-Roubaix” Roger De Vlaeminck, al record dell’ora di Città del Messico nel 1984 Francesco Moser (51.151), al “Cantore del ciclismo” Ottone “Bill” Cestari, e a Wouter Weylandt morto il 9 maggio 2011 a Mezzanego. E’ questo un museo, periferia del parco-giochi del paese più freddo della val dei Mocheni. Un museo d’aria fresca, ancora nell’infanzia più innocente, ma in costante crescita pur tuttavia. Un museo forse ben più vivo di tanti, tantissimi altri" (cobalto, scuola.repubblica.it)
     
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34 replies since 19/9/2012, 16:26   3168 views
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