STRANI MUSEI

I musei italiani e del mondo più particolari

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. arca1959
     
    .

    User deleted


    I musei italiani piu particolari
    Alzi la mano chi non ha mai rischiato di cadere addormentato in un museo. A scapito di contenuti interessantissimi, l'organizzazione del materiale è talvolta farraginosa e antiquata e finisce per coprire di pregiudizio luoghi che sarebbero invece miniere di spunti, dalla preistoria in su. Fortunatamente, oltre agli ottimi esempi all'estero, la teoria museale evolve anche in Italia. Non resta che trovare la meta giusta e un week end libero. Testo di Daniela Faggion


    Museo-calzatura-3-jpg_094536
    Museo della Calzatura, Vigevano (PV)
    Molto prima di indossare Manolo Blanhik, Jimmy Choo e Louboutin le donne (e gli uomini) impazzivano per le scarpe e l'Italia ha in materia una tradizione lunga chilometri. Così a Vigevano, fino agli anni ‘60 capitale indiscussa del settore, è sorto un museo che raccoglie 200 paia di scarpe e un percorso storico internazionale, dalle babbucce mediorientali ai sandali africani, dai mocassini frangiati degli indiani d'America agli stivali delle popolazioni polari, che dovevano contrastare il freddo molto prima dei materiali tecnici. Non mancano comunque alcuni pezzi forti contemporanei, griffati Pfister, Gucci, Marc Jacobs, Manolo Blahnik, René Caovilla ed Elsa Schiaparelli, con la sua scarpa cappello realizzata su disegno di Salvador Dalì.
    Museo-Etnomedicina-jpg_093257
    Museo di Etnomedicina, Genova

    Perché e come l'agopuntura si è sviluppata in Cina e non in Occidente? Perché i principi dell'ayurveda sono considerati una scienza in India? Di medicina non ce n'è una sola e in diverse parti del mondo sono stati sviluppati rimedi ai problemi universali del mal di stomaco, mal di testa e via dicendo che il museo “A. Scarpa” dell’Università di Genova esplora con grande curiosità. Più di millecinquecento oggetti medicali di diverse culture e diverse epoche sono esposti secondo un criterio geografico (medicine tradizionali dei cinque Continenti) e tematico (“etnomedicina e bambini”, “etnomedicina e abbigliamento”, “etnomedicina e abitazioni”), per abbandonare i pregiudizi occidentali e scoprire come quelle che pensavamo come superstizioni hanno trovato in realtà una conferma scientifica.
    interno-museo-2-jpg_150034
    Museo della Civiltà del Vino Primitivo, Manduria (TA)

    Divenuto celebre negli ultimi anni insieme al cugino Negramaro e all'Aglianico del Vulture, questo vino parla della sua terra con una beva inebriante che il museo ricostruisce dal vigneto al bicchiere, senza tralasciare il contesto sociale. A guidare i visitatori ci sono i rappresentanti del consorzio vinicolo locale, pronti a distillare perle di saggezza oltre che buon vino. Non abbiate fretta, alla fine arriva anche la degustazione ma ve la godrete di più sapendo ogni cosa del prezioso nettare di Bacco di Manduria.
    Museo-della-bora-jpg_094535
    Magazzino dei Venti

    TriestePoche cose come la Bora caratterizzano Trieste e il vento è uno degli elementi attorno al quale si è costruita l'identità del capoluogo giuliano. Dopo aver commercializzato la “Bora in scatola”, Rino Lombardi ha deciso di creare uno spazio “attorno al vento”. Libri, riviste, materiali audiovisivi e multimediali, tutti a tema eolico chiaramente, sono al centro della prima sezione. La seconda è l’archivio personale del Professore Silvio Polli: cartoline, giornali d’epoca, fotografia, appunti scientifici. Nella terza ecco tutti gli oggetti che interagiscono con il vento, dalle girandole agli spaventapasseri e per chiudere una sezione con i Venti del Mondo, “imbottigliati” in diverse aree geografiche.
    figurine-jpg_094535
    Museo della Figurina, Modena

    Gioca in casa il museo dedicata a una passione solo erroneamente ritenuta infantile. Passano gli anni e le tecnologie ma ancora nulla ha scalfito il fascino segreto di aprire la bustina, magari in compagnia, e fare la spunta: “Celo-celo-manca!”. L'esposizione è nata dall'opera collezionistica – poi ceduta al Comune di Modena – di Giuseppe Panini, che nel 1961 fondò l’omonima azienda assieme ai fratelli Benito, Franco Cosimo e Umberto. La raccolta riunisce le figurine propriamente dette ma anche materiali affini: piccole stampe antiche, scatole di fiammiferi, bolli chiudilettera, carta moneta, menu, piccoli calendari e tanto altro ancora. Al suo interno, il 14 settembre, inaugura la mostra “Cose da niente - 
Il fascino discreto degli oggetti”, dedicata alle figurine rappresentanti oggetti divenuti obsoleti e per questo mitici: dal cono dello zucchero alla cuccumella, dal vaso da notte al tabacco da fiuto.


    da.....http://it.lifestyle.yahoo.com


     
    Top
    .
  2. gheagabry
     
    .

    User deleted



    STRANI MUSEI


    "..quei piccoli cartoncini raffiguranti i nostri personaggi del cuore
    di quando eravamo giovani,
    chiusi e raccolti nell'album delle meraviglie,
    alla ricerca del numero mancante, barattato tra amici.
    Che si trattasse di figurine di cartoni animati, calciatori, film e personaggi televisivi,
    non ha importanza.
    Era qualcosa di magico che è rimasto nella memoria di ognuno di noi."
    (dal web)


    IL MUSEO DELLA FIGURINA


    Il Museo della Figurina è nato dalla appassionata opera collezionistica di Giuseppe Panini, fondatore, nel 1961, dell’omonima azienda assieme ai fratelli Benito, Franco Cosimo e Umberto. Nel corso degli anni egli ha raccolto centinaia di migliaia di piccole stampe a colori che nel tempo sono andate a costituire questa straordinaria collezione diventata museo all’interno dell’azienda nel 1986. Nel 1992 Giuseppe Panini e l’azienda stessa decidono di donare il Museo al Comune di Modena, città ritenuta sua sede naturale in quanto capitale mondiale della figurina moderna.
    La raccolta riunisce accanto alle figurine propriamente dette, materiali affini per tecnica e funzione: piccole stampe antiche, scatole di fiammiferi, bolli chiudilettera, carta moneta, menu, calendarietti, album pubblicati dalle ditte per raccogliere le serie o creati per passatempo dai collezionisti seguendo solamente il proprio gusto estetico e la propria fantasia e molti altri materiali ancora. Il Museo è stato aperto al pubblico il 15 dicembre 2006, nella prestigiosa sede di Palazzo Santa Margherita.
    Accoglie i visitatori il «tunnel delle meraviglie» decorato alle pareti, nel soffitto e perfino nel pavimento tramite un gioco di specchi da coloratissime gigantografie delle profondità marine, le meraviglie per l’appunto di un mondo misterioso proposte all’immaginario collettivo tramite una serie di figurine, quando ancora non esistevano i documentari filmati o le sofisticate fotografie subacquee. Dopo aver attraversato un suggestivo 'tunnel delle meraviglie', si accede alla sala espositiva, allestita con sei 'armadi' espositori, concepiti come grandi album da sfogliare, grazie agli otto sportelli laterali estraibili.


    Gli antecedenti
    La sezione presenta incisioni d’epoca, matrici originali e riproduzioni di una serie di immagini a stampa che hanno influenzato l’iconografia delle figurine. Apparse in Europa a partire dal XV secolo e impresse con le tecniche della xilografia e della calcografia, queste incisioni, riprodotte e selezionate fra le più antiche e significative, sono state suddivise secondo i criteri di classificazione delle stampe popolari teorizzati da Achille Bertarelli. Nel corso dei secoli le stampe andranno progressivamente laicizzandosi e affrancandosi dalla funzione di precetto e di culto che le aveva generate, per evidenziare quell’aspetto satirico, cronachistico, ma soprattutto di divulgazione delle conoscenze, destinato a favorire la volontà squisitamente enciclopedica che caratterizzerà l’universo delle figurine.
    La cromolitografia
    La nascita della figurina e la grande diffusione di immagini nella seconda metà dell’Ottocento furono dovute ad un metodo di stampa destinato a rivoluzionare il mondo delle arti grafiche: la cromolitografia, il cui brevetto ufficiale fu depositato a Parigi nel 1837 da Godefroy Engelmann (1778–1839). Benché già con l’incisione si ottenessero stampe policrome utilizzando matrici di colori diversi oppure acquerellando le stampe a mano, la cromolitografia rese possibile la produzione di una grande quantità di immagini a basso costo. Inoltre, rispetto alle tecniche precedenti, ampliò la gamma cromatica e consentì una precisione di dettagli fino ad allora impensabile. Alla base delle tecnica cromolitografica si trova l’invenzione della litografia, nata a Monaco nel 1798 dalle sperimentazioni di Aloys Senefelder (1771-1834) ed inizialmente impiegata per la riproduzione di spartiti musicali.
    La nascita e la diffusione
    Le prime figurine, con tutta probabilità, nacquero in Francia nella seconda metà dell’Ottocento, ma si diffusero rapidamente nel resto dell’Europa e negli Stati Uniti, grazie al fertile incontro tra la stampa cromolitografica e le esigenze pubblicitarie create dalla rivoluzione industriale. Per molti aspetti diverse da quelle attuali, le figurine ottocentesche consistevano in piccole stampe a colori recanti un messaggio pubblicitario. Generalmente prodotte in serie di sei o di dodici, accomunate da uno stesso soggetto, venivano date in omaggio da negozi e grandi magazzini, per invogliare i loro clienti a tornare. Questa formula si rivelò un incentivo all’acquisto talmente azzeccato che ben presto le varie litografie iniziarono a stampare immagini apposite, lasciando in alcuni casi degli spazi bianchi costituiti da cartigli, cartelloni, vele ed altro, che permettevano di inserire in maniera più artistica il messaggio. In altri, su richiesta del negoziante, venivano inseriti oggetti che alludevano alla sua attività, come ad esempio un orologio per un orologiaio. Alcune ditte, come i grandi magazzini Bon Marché, iniziarono a commissionare immagini originali ed esclusive.
    La Liebig
    Senza dubbio la storia delle figurine non sarebbe stata la stessa senza l’apporto essenziale dell’azienda che più di ogni altra ha legato il proprio nome ai cartoncini stampati: la Liebig, produttrice del famoso estratto di carne, la cui formula fu pubblicata nel 1847 dopo diversi anni di studi, ma che leggenda vuole essere stata scoperta da Justus von Liebig, dopo aver passato una notte intera nel suo laboratorio alla ricerca di una cura per un’amica della figlia malata di tifo.
    La ditta non produsse solo figurine, ma un’enorme quantità di gadget e di oggetti stampati, quali menù, segnaposti, sottobicchieri, calendari e molto altro.Per capire quanto fossero noti i prodotti Liebig basti sapere che quando Stanley intraprese il viaggio in Africa alla ricerca di Livingstone, si dotò del vasetto Liebig; stessa cosa fecero gli scalatori del K2 nel 1954; persino Jules Verne fece gustare ai protagonisti del suo Intorno alla Luna delle saporitissime tazze di brodo Liebig.
    Non solo figurine
    Allo stesso modo in cui l’invenzione dei caratteri mobili da parte di Gutenberg nel XV secolo causò il passaggio dalla cultura orale a quella scritta, l’invenzione della litografia prima e della cromolitografia in seguito, provocarono una vera e propria trasformazione nel panorama culturale e antropologico. Difficile per noi, abituati ad essere circondati da una grande quantità di immagini di tutti i tipi, riuscire a comprendere che cosa potesse significare in termini emotivi per l’uomo dell’Ottocento la possibilità di tenere tra le mani e conservare un gran numero di immagini a colori. Si aprivano nuove possibilità di conoscenza e di creazione di mondi fantastici. Le piccole immagini a colori consentivano di visitare paesi lontani, conoscere animali e piante mai visti, riflettere sugli avvenimenti del tempo o semplicemente divertirsi. In poche parole aprivano la strada alla meraviglia. Al contempo esse andavano incontro alle nuove esigenze di comunicazione prodotte dai processi di trasformazione della società europea e nordamericana: industrializzazione, grande distribuzione, urbanesimo. Molti produttori e venditori si resero ben presto conto del grande fascino esercitato dalle immagini a colori ed iniziarono ad utilizzarle per impacchettare le loro merci, comunicarne le virtù o semplicemente darle in omaggio ai clienti per favorirne la fedeltà. Nascono etichette di ogni genere, fascette di sigari, chiudilettera, scatole di fiammiferi, biglietti da visita: tutto si adorna di cromolitografie dai colori brillanti e vivaci ed ogni cosa diventa oggetto di raccolta, indifferentemente...
    (comune.modena.it)



    ..........

    Orari e informazioni

    da mercoledì a venerdì 10.30-13; 15-18
    sabato, domenica e festivi 10.30-19
    lunedì e martedì chiuso
    Ingresso gratuito
     
    Top
    .
  3. gheagabry
     
    .

    User deleted




    STRANI MUSEI

    IL MUSEO DELLA CANZONE ITALIANA


    Erio Tripodi è un personaggio unico, probabilmente il più grande appassionato di canzoni italiane della penisola. Grazie alla sua instancabile opera di collezionista ha raccolto qualsiasi oggetto relativo alla musica nostrana: incisioni, spartiti, immagini, scatole musicali, carillon, fonografi, dischi quadrati e rotondi, microfoni, juke-box e strumenti musicali di ogni tipo e periodo (il tutto perfettamente funzionante). Per immergervi in questo melodioso mondo dovrai salire sul treno. Il materiale è infatti esposto su un autentico treno dei primi 900 con tanto di suggestiva locomotiva a vapore. E’ necessaria la prenotazione.
    (insolitimusei)


    Il Museo della Canzone Italiana, ideato e fondato da Erio Tripodi, trova collocazione in un pittoresco angolo del Ponente Ligure, a Vallecrosia, tra Sanremo e Montecarlo, nel suggestivo Parco delle Sette Note all’ombra di una piccola cappella consacrata a Santa Cecilia.
    Nel parco staziona un autentico treno del primo novecento con una locomotiva “Cirilla” e carrozze “centoporte” strutturate a saloni dove e’ custodita la completa testimonianza della ricerca dell’uomo nel tempo per “catturare” e riprodurre il suono e la voce umana. Scatole musicali, diverse varieta’ di organetti di Barberia e pianini meccanici che hanno contribuito a diffondere il grande repertorio della canzone napoletana, carillons, carta perforata, dischi quadrati e rotondi, microfoni, juke- box, radio, strumenti musicali di ogni tipo ed epoca. Tutto perfettamente funzionante!
    Si possono ammirare, fra tutti, il violino e la bacchetta di direttore d’orchestra di Cinico Angelini e Pippo Barzizza, la fisarmonica di Gorni Kramer, il sax di Fausto Papetti, il passaporto di Giacomo Puccini, la chitarra di Adriano Celentano, le lettere di Lina Cavalieri e una romanza inedita di Ruggero Leoncavallo. Per gli amanti delle cifre, bastera’ ricordare che nel museo sono conservati settantamila dischi catalogati (su duecentomila), diecimila spartiti musicali catalogati (su trecentomila), milleduecento spartiti musicali del Festival di Sanremo catalogati, su cinquemila, a partire dal 1951. E proprio il Festival della Canzone Italiana e’ ampiamente documentato da fotografie, autografi, dischi, locandine, bozzetti di scenografie e microfoni utilizzati durante la kermesse canora. Una banca dati a cui si rivolgono studiosi ed appassionati.

    «Per me che avevo la canzone nel cuore, gli idoli che popolavano i miei sogni artisti e interpreti venivano immaginati come personaggi di uno straordinario pianeta chiamato "Galleria del Corso".
    Quando, alcuni anni fa, andai a Milano per scoprire quel mondo magico, conobbi quei personaggi e fui felice di trovare la sensibilità e la cordialità che mi ero aspettato, ma fui grato, soprattutto, dell'amicizia che mi donarono e mi dimostrarono rendendomi la visita. Poi, lentamente ma inesorabilmente, una pianificazione emarginante sgretolava quel mondo di artisti che aveva scritto la storia della canzone italiana. Un'amara realtà troppo difficile da accettare! E' nata così l'idea di creare un Museo che tenesse vita nel tempo la testimonianza di una storia d'arte popolare da custodire, da far ritrovare e da far conoscere, soprattutto ai giovani, nella sua grande tradizione. Il Museo della canzone italiana è la nostra realtà! Questo lo dovevo ai personaggi dei miei sogni giovanili, ora miei fraterni amici».
    (Erio Tripodi - museodellacanzone.it)
     
    Top
    .
  4. gheagabry
     
    .

    User deleted



    STRANI MUSEI

    MUSEO DEGLI STUDENTI



    Sono oramai passati anni da quando un gruppo di studiosi e di sostenitori entusiasti cominciò a progettare un "Museo degli Studenti e della goliardia", progetto via via allargatosi fino a includere le varie espressioni del mondo studentesco europeo dalle prime forme ad oggi.
    Il progetto ha quindi acquisito una successiva denominazione che ne riflette l’evoluzione: “Museo Europeo degli Studenti” - MEUS.
    Nessuna città meglio di Bologna può vantare titoli maggiori per ospitare un tale museo. La città che si fregia degli attributi di dotta, di Alma Mater Studiorum, può considerarsi a buon diritto come "città degli studenti": non solo perché da dieci secoli qui si raccolgono, anno dopo anno, migliaia di giovani, ma anche perché molti secoli fa proprio a Bologna gli studenti si diedero comuni regole di convivenza, fissarono nei propri statuti una precisa disciplina interna, idearono rituali e cerimoniali che divennero altrettanti elementi fondanti la propria identità di gruppo.
    Grazie a quei giovani, prendeva corpo quell'Europa degli intellettuali il cui patrimonio di pensiero e di ideali costituisce ancor oggi la base più solida nella costruzione dell'Europa dei popoli.


    "I languori del giovane Gunther. Potrebbe intitolarsi così la lettera che uno studente teutonico ha inviato ai genitori a fine ‘800: il giovane, trasferitosi a Bologna e forse incline ai piaceri della gola, chiede ai parenti di fornirgli pecunia sonante per proseguire il suo corso di studi emiliano. Nel Museo degli studenti di Bologna è presente tale missiva e si ripercorrono le origini della prima università del mondo occidentale. Durante il XV secolo molti giovani europei di nobile estrazione scesero nel Belpaese per seguire i loro intellettuali di riferimento, fenomeno che si formalizzò sotto il nome di Università. Questi giovani erano brillanti, inclini ai piaceri della mente così come a quelli del corpo. Tra loro si poteva annoverare un certo Nicolao Kopperlingk, astronomo polacco noto agli italofoni come Niccolò Copernico. Un soggetto capace di rompere le regole dell’universo e avere ragione.
    I reperti esposti nel museo sono circa trecento e si articolano in diverse categorie: oggettistica, abbigliamento, stampe, carteggi, codici, diplomi di laurea, regolamenti amministrativi, libretti universitari, programmi di feste studentesche e quaderni. Viene esplorato con dovizia di particolari pure il versante goliardico, con la rievocazione di scherzi famosi e la ricostruzione delle vecchie confraternite."
    (Marco Sors,insoliti musei)



    ..........


    Indirizzo: Via Zamboni, 33
    CAP: 40126
    Città: Bologna
    Telefono: 051 2088545
    Email: [email protected]
    Sito: www.archiviostorico.unibo.it/museostud
    Orari: Mar. – Ven. 10:00 – 13:30 / 14:00 – 16:00 ; Sab. – Dom. – Festivi 10.30 – 13:30 / 14:30 – 17:30 (Orari Estivi: Mar. – Dom. 10:00 – 13:00) Giorno di chiusura: Lunedì Periodo di chiusura: 24, 25, 26, 31 Dicembre, 1 Gennaio
    Mezzi di collegamento: Autobus 20, 28, 36, 37 (fermata a 150 m.) e Navetta B e C (fermata a circa 100 m.)
    Lingua: Inglese, Spagnolo, Francese
     
    Top
    .
  5.  
    .
    Avatar


    Group
    moderatori
    Posts
    19,944
    Location
    Zagreb(Cro) Altamura(It)

    Status
    Offline
    grazie gabry
     
    Top
    .
  6. gheagabry
     
    .

    User deleted



    STRANI MUSEI

    IL MUSEO DEGLI SCACCHI



    Nino Profera è l’appassionato scacchista che ha fondato a Mazara del Vallo l’unico museo mondiale dedicato al gioco degli scacchi. Ne esistono altri due, però sono visitabili solo virtualmente via web.Grazie alla sua opera instancabile Nino ha raccolto una quantità immensa di materiale correlato al gioco che ora condivide con i visitatori (apertura gratuita su prenotazione):

    150 scacchiere da viaggio, 5 scacchiere giganti (la più grande di 25 metri quadri) e 6 scacchiere elettroniche;
    250 libri e 1350 riviste dalle origini ai oggi;
    archivio con 2500 partite ufficiali e classifiche dei tornei a partire dal 1984;
    rassegna stampa con più di 2000 articoli nazionali ed esteri;
    1100 video tra film e servizi televisivi;
    100 cartoline e 300 fra francobolli e annulli postali;
    22 brani musicali;
    30 orologi scacchistici, meccanici e digitali;
    150 medaglie e 106 spille commemorative;
    60 pubblicità;
    60 oggetti comuni a soggetto scacchistico (dolci, cravatte, penne, orologi da polso, sciarpe, tazzine, bicchieri, ombrelli, scatole…);
    200 fogli e ritagli sull’utilizzo del gergo scacchistico nella vita di ogni giorno;
    un’aula computer con programmi originali risalenti agli anni ‘80 e circa 30 programmi scacchistici con motori di ricerca (per un database che contiene circa tre milioni di partite giocate);
    10mila foto scattate durante manifestazioni
    (insolitimusei.it)
     
    Top
    .
  7. gheagabry
     
    .

    User deleted



    IL MUSEO DEL PARACARRO


    I paracarri possono raccontare la storia? Pare proprio di sì stando a quanto succede nel parco giochi ai Marenghi di Canezza. Con Dario Pegoretti come ideatore. Dipendente provinciale in pensione, è un campione di ciclismo con 39 anni di impegno, oltre 2000 gare e 459 vittorie: dilettante, amatore, ciclocross. Di strada ne ha fatta ed è passato davanti a migliaia di paracarri. E si è chiesto: perché non farne un museo (all'aperto visto che non si deteriorano?) abbinandoli ai nomi dei campioni di ciclismo? Chiedendo permessi a destra e manca (Comuni e Provincia) ha prelevato paracarri un po' da tutte le strade. Si tratta naturalmente di manufatti smessi, abbandonati, non più utilizzati. Il 19 di luglio 2008 si è iaugurato il museo, in continua evoluzione. Il lato originale della faccenda è che ad ogni paracarro corrisponde il nome di un campione del ciclismo. Da una lato tutti i miti scomparsi: Coppi, Bartali, Girardengo, Guerra, Ganna, Ermanno Moser. Lungo un altro vialetto ci sono Gimondi con un paracarro della ss 47 Valsugana, Motta con un esemplare della sp 12 di Vignola (dove vinse la tappa), Mario Nicoletti (strada comunale di Levico), Merckx (altro paracarro della ss 47), Saronni (paracarro della Ss del Caffaro), Renato marchetti (Ss della Mendola), Francesco Moser (ss 612 di Cembra). Per Simoni c'è quello del Pordoi, per Paolo Voltolini il cippo «90» della Valsugana a Castelnuovo. Spesso è lo stesso corridore ha volere il paracarro di questa o quella strada.
    «Per Pantani - annuncia Dario Pegoretti - ci sarà un esemplare della strada della Fedaia, per Marcello Osler (di Canezza) quello della Potenza-Sorrento (percorso che lo vide vincitore di tappa). C'è anche un extra: un cippo antico della passeggiata che Sigmund Freud compiva quando era a Caldonazzo e saliva ai Virti di Lavarone. Ma c'è da aggiungere che Dario Pegoretti (vive a Canezza dal 1971) ha fatto le cose sul serio: ha fondato l'associazione "Museo del Paracarro" con regolare direttivo e commissione scientifica (presieduta dl geologo Giulio Antonio Vanzo) che descrive il materiale del paracarro.


    "C’è tutta una fila di paracarri che si snoda ai lati: lo sguardo non lo coglie subito, ma tutti quanti sono diversi, e a osservar meglio, hanno anche una targhetta. E’ qualcosa di familiare, insolito in questo bagno di sole, tra la giostra e lo scivolo: è un museo. Il museo del paracarro, per esattezza, fondato negli anni ’90 da Dario Pegoretti. Decine e decine di cubi, piloni, colonne, parallelepipedi, cilindri, trapezi scanalati, in granito di Cima d’Asta, calcare ammonitico rosso o travertino, ignimbrite e porfido quarzifero, calcestruzzo, dolomia, gneiss, legno, acciaio, plastica. Vengono dalle statali della Valsugana e della val di Cembra, dalla Cassia e dalla Gardesana, da Catania, da Herrsching in Germania, alcune copie persino dalla Cambogia, dal Vietnam e dal Perù. Si va dal 1500 (un monolite da Radicofani, Siena, in calcare travertino) fino al 2011 (un guard-rail in acciaio e legno), passando per il 1905, il 1935, e i segnalimiti in ferro del 1965. Ce ne sono due voluti da Luigi Negrelli, l’ingegnere primierotto che firmò il progetto del Canale di Suez. Ci sono i cippi di pietra oramai fuorilegge, accanto ai regali di sindaci e assessori. Ognuno di essi ha una sua storia, di eventi, di arte, di industria. E ognuno di essi ha un nome. Non un nome proprio: ciascuno è dedicato a un campione del ciclismo internazionale, ciascuno è una porta per una seconda storia. A Louison Bobet, a Gino Bartali, a Gianni Bugno, Gilberto Simoni, Marco Pantani, Lance Armstrong, Maria Canins, Paola Pezzo, Mario Cipollini, Rudi Altig, Daniele Oss, Stefan Schumacher; a Jacques Anquetil, a Ercole Baldini e Felice Gimondi, al lussemburghese Charly Gaul, a Eddy “Cannibal” Merckx, a “Monsieur Paris-Roubaix” Roger De Vlaeminck, al record dell’ora di Città del Messico nel 1984 Francesco Moser (51.151), al “Cantore del ciclismo” Ottone “Bill” Cestari, e a Wouter Weylandt morto il 9 maggio 2011 a Mezzanego. E’ questo un museo, periferia del parco-giochi del paese più freddo della val dei Mocheni. Un museo d’aria fresca, ancora nell’infanzia più innocente, ma in costante crescita pur tuttavia. Un museo forse ben più vivo di tanti, tantissimi altri" (cobalto, scuola.repubblica.it)
     
    Top
    .
  8. gheagabry
     
    .

    User deleted



    STRANI MUSEI

    TAZIO NUVOLARI


    A onore e memoria del “mantovano volante”, Mantova spegne 120 candeline per ricordarne la nascita il 16 novembre del 1892, e lo festeggia inaugurando il museo dedicato a lui e alle sue imprese. E' così che Tazio Nuvolari torna protagonista a pochi chilometri da Castel d'Ario, suo paese natale. Dopo quattro anni dalla chiusura della sede originaria nel Palazzo del Podestà, in piazza Broletto, e dopo quasi un anno dalla fine dell’esposizione temporanea nelle Sale del Capitano, in Piazza Sordello, il museo rinasce all’interno dell’ex chiesa del Carmelino, in via Giulio Romano, a Mantova, sede appositamente concessa dal Comune di Mantova, che in questo modo torna accessibile al pubblico. Un unico grande ambiente, che mantiene la struttura architettonica della chiesa, ma che è stato organizzato con pannelli divisori per raccontare la storia di Nivola, che nel suo testamento espresse la volontà di lasciare l'intero patrimonio sportivo in custodia all'Automobile Club Italiano – sede di Mantova, di cui fu presidente dal 1946 al 1953. Dalle prime motociclette ai guanti in pelle, dai caschetti ai trofei, le targhe florio, le tante medaglie d'oro vinte negli anni. Tutto esposto e conservato con cura. Dal 1921 al 1946 fu un susseguirsi di trionfi, il cui sapore resta indelebile osservando gli oggetti che compaiono nelle foto storiche dell'epoca.
    Gentilmente concessa dal museo Alfa Romeo, in esposizione per qualche mese anche l'Alfa P3, che debuttò nel giugno del 1932 e vinse la prima gara proprio con Tazio Nuvolari al volante.
    In mostra, si possono ammirare anche numerosi modellini delle vetture con cui corse, tutti gli equipaggiamenti sportivi, da abbigliamento a occhiali e visiere, ma non mancano oggetti più personali come la macchina da scrivere, diverse lettere e naturalmente anche il telegramma di Gabriele d'Annunzio, sul quale lo scrittore - per accompagnare in dono al pilota un oggetto a forma di tartaruga - scrisse "l'animale più lento all'uomo più veloce”. Episodio che entrò nella leggenda e da quel momento legò quel simbolo al campione. I lavori del nuovo museo, condotti su progetto dell’architetto Franco Mondadori, sono stati interamente finanziati dall’associazione “Amici del Museo Tazio Nuvolari Onlus” a cui hanno aderito molti privati e aziende mantovane.
    (Valeria Dalcore, corriere)


    "Nuvolari è l’inventore della tecnica di guida chiamata “sbandata controllata”, che consiste nell’affrontare le curve con un secco colpo di sterzo facendo slittare le ruote posteriori verso l’esterno, e quindi controsterzare schiacciando l’acceleratore a tavoletta: in questo modo l’auto esce dalla curva rivolta verso il rettilineo e in piena accelerazione. Nuvolari è il pilota che durante la 1000 miglia del 1930 ha spento i fari per non farsi notare mentre superava Varzi e andare in testa alla gara, poi vinta. In questo museo cimeli, aneddoti e fotografie ripercorrono la vita del “mantovano volante”, fatta di velocità, duelli, incidenti e tante vittorie." (museiinsoliti)

    Nuvolari è basso di statura, Nuvolari è al di sotto del normale
    Nuvolari ha cinquanta chili d'ossa Nuvolari ha un corpo eccezionale
    Nuvolari ha le mani come artigli,
    Nuvolari ha un talismano contro i mali
    Il suo sguardo è di un falco per i figli,
    i suoi muscoli sono muscoli eccezionali!
    Gli uccelli nell'aria perdono l'ali quando passa Nuvolari!
    Quando corre Nuvolari mette paura…
    perché il motore è feroce mentre taglia ruggendo la pianura
    Gli alberi della strada strisciano sulla piana,
    sui muri cocci di bottiglia si sciolgono come poltiglia,
    tutta la polvere è spazzata via!
    Quando corre Nuvolari, quando passa Nuvolari,
    la gente arriva in mucchio e si stende sui prati,
    quando corre Nuvolari, quando passa Nuvolari,
    la gente aspetta il suo arrivo per ore e ore
    e finalmente quando sente il rumore .. salta in piedi
    e lo saluta con la mano, gli grida parole d'amore,
    e lo guarda scomparire come guarda un soldato a cavallo,
    a cavallo nel cielo di Aprile!
    Nuvolari è bruno di colore, Nuvolari ha la maschera tagliente
    Nuvolari ha la bocca sempre chiusa, di morire non gli importa niente…
    Corre se piove, corre dentro al sole
    Tre più tre per lui fa sempre sette
    Con l' "alfa" rossa fa quello che vuole ..dentro al fuoco di cento saette!
    C'è sempre un numero in più nel destino quando corre Nuvolari…
    Quando passa Nuvolari ognuno sente il suo cuore è vicino
    In gara Verona è davanti a Corvino
    con un tempo d'inferno, acqua, grandine e vento
    pericolo di uscire di strada, ad ogni giro un inferno
    ma sbanda striscia è schiacciato lo raccolgono quasi spacciato!
    Ma Nuvolari rinasce come rinasce il ramarro
    batte Varzi, Campari, Borzacchini e Fagioli, Brilliperi e Ascari..
    (Lucio Dalla)




    ......................................

    Chi volesse contattare i referenti del Museo puo` utilizzare l`indirizzo e-mail: [email protected], oppure contattare il numero 3664218816, e Automobile Club Mantova, piazza 80 Fanteria, 13- 46100 Mantova (tel 0376 325691, [email protected], www.mantova.aci.it).
    Indirizzo: : via Giulio Romano (angolo via Nazario Sauro) - Ex chiesa del Carmelino - MANTOVA - Mantova
    Telefono: 0376 325691 - 3664218816 - Fax: 0376 327929
    E-mail: [email protected]
    Sito: www.tazionuvolari.it/
    Orario: Sabato e domenica dalle 10.00 alle 18.00

    Listino prezzi: Biglietto intero: 3,00 euro Biglietto ridotto: 2,00 euro
     
    Top
    .
  9. gheagabry
     
    .

    User deleted


    MUSEI


    MUSEO DELLO SPORT



    Memorabilia e autentiche reliquie provenienti da tutto il mondo: dal casco di Ayrton Senna ai guantoni di Muhammad Alì, passando per la celeberrima maglia biancoceleste della Bianchi indossata da Fausto Coppi e decantata dal radiocronista Mario Ferretti con le indimenticate parole “un uomo solo è al comando, la sua maglia è biancoceleste, il suo nome è Fausto Coppi”.
    L’idea è del milanese Onorato Arisi, già creatore del museo di Inter e Milan allo stadio San Siro. Collocato nel cuore della Curva Maratona, sede del tifo granata, questo percorso d’arte sportiva annovera ovviamente anche la sezione «Football», in cui si celebrano i successi della nazionale azzurra, i miti del calcio ed il Toro, con una gigantografia che celebra gli eroi dell’ultimo scudetto nel 1976, e gli immancabili riferimenti agli «Invicibili» di Superga. Particolare curioso è l’assenza di cimeli legati alla Juventus -fatto che certo non dispiacerà ai supporter di casa – presenti invece in gran numero nell’allestimento museale del nuovo stadio bianconero, inaugurato lo scorso maggio. Nell’area dedicata alle altre discipline, spiccano le armi dei trionfi di Edoardo Mangiarotti nella scherma, il body con cui Federica Pellegrini è diventata la regina del nuoto e i trofei dello sciatore Piero Gros.
    Riguardo a quest’ultimo, Arisi rivela un curioso aneddoto: «Ho dovuto pregarlo in ginocchio per poter esporre la sua Coppa del Mondo di cristallo e creare dei sostegni appositi per non rovinarla. Lui era ben più disposto a donarmi l’oro olimpico del 1976».
    Questo progetto, rappresentato dal motto fortemente evocativo “vietato calpestare i sogni”, è stato fortemente sostenuto dalla Città di Torino: «È un privilegio ospitare l’unico museo dedicato allo sport in Italia ed avere uno spazio per promuovere l’attività di base delle nostre società proprio ora che siamo diventatati la Capitale Europea dello Sport per il 2015», ha sottolineato l’assessore Stefano Gallo.
    Il museo è aperto sette giorni su sette, dalle 10 alle 18, eccetto quando il Toro gioca in casa. Inoltre, è possibile acquistare il biglietto per il tour dello stadio e la visita al nuovo museo, seguendo l’esempio degli altri impianti europei. In programma, eventi per le scuole e incontri coi campioni.(Matteo Trucco, daringtodo.com)




    Informazioni: www.olympicstadiumturin.com
     
    Top
    .
  10. gheagabry
     
    .

    User deleted


    Il Museo degli Arazzi di Saragozza



    Il loro tessuto veste le pareti del Museo di Saragozza, trama preziosa di una delle più ricche collezioni di arazzi al mondo. In tutto sono 63 quelli custoditi nell’edificio vicino a La Seo, l’antica cattedrale della città. I drappi abbelliscono le tre sale espositive e raccontano attraverso i disegni ricamati la storia della Spagna e dell’Europa.
    Li osservo rapito dalla bellezza intensa che regalano i colori tenui, resi vivi dai particolari raffinati. Passo dopo passo, sguardo dopo sguardo vengo riportato indietro nel tempo, quando mani esperte lavoravano intense per creare arte. E lasciare ai posteri enormi quadri in tessuto.Della totalità delle opere, solo una parte è stata esposta nel Museo seguendo temi precisi: religioso-biblico, morale-filosofico, storico, mitologico e astrologico. Molti sono “edizione principe”: ovvero, il primo arazzo di ogni cartone. E per questo hanno maggior valore.
    La collezione vanta le arazzerie europee dell’epoca più importante, quella a cavallo del XV e XVI secolo, ed è disposta in modo da osservare uno a uno i manufatti dei principali centri dell’arte del liccio provenienti da Arras, Tournai e Bruxelles. Mentre continuo nel mio giro di Storia ricamata, approfitto delle informazioni raccolte all’entrata per sapere di più sul Museo degli Arazzi. Il primo riferimento documentato della raccolta risale al 1499 ed è dei 14 “panyos de Raz”, panni di Aras – la città francese da cui l’arazzo prende nome, e dove nel Medioevo venivano prodotti i lavori migliori.
    Negli anni a venire la collezione ereditò i lasciti dei prelati di Saragozza, come quelli regalati dal vescovo Alonso di Aragona. Alcuni erano prima appartenuti a suo padre: re Ferdinando il Cattolico. Un altro modo per accrescere il numero dell’attuale esposizione fu l’acquisto delle opere da parte del Capitolo Metropolitano della città aragonese.
    La forma più comune era la compravendita diretta ma c’era anche quella attraverso aste pubbliche per avere il denaro e soddisfare le ultime volontà dei prelati. Come nel caso degli otto arazzi della “Storia di Mosè” di proprietà dell’arcivescovo Andrés Santos. Il terzo modo, forse il meno nobile, era la permuta. Successe tra il 1695 e il 1703 fra il Capitolo e il Reale Monastero di Santa Engracia: in questo modo alcuni arazzi donati al monastero da Ferdinando il cattolico vennero annessi alla collezione. Lo stesso successe con il drappo della spedizione di Bruto in Aquitania, conosciuto come Le navi. Oggi il Museo degli Arazzi, aperto nel 1932, è conosciuto in tutto il mondo grazie alle continue esposizioni iniziate nei primi anni del XX secolo e alle numerose pubblicazioni. Con il denaro ricavato e al lascito di privati, continua il mantenimento e il restauro delle opere: immagini ricamate che raccontano Storia.
    (Andrea Lessona, reporter.com)
     
    Top
    .
  11. gheagabry
     
    .

    User deleted


    IL MUSEO di "Sua altezza la poltrona"


    Piccoli riquadri di pelle colorata creano un caleidoscopio sulla parete, schermi in movimento fanno scorrere parole chiave che definiscono gesti e strumenti di lavoro in grado di dare vita a poltrone e divani. Più in là, una grande scatola di vetro, dal soffitto e pavimento di ghiaia candidi, racchiude come in un chiostro una Vanity Fair bianchissima. Simboli, diversi ma ugualmente evocativi, di Poltrona Frau, messi a introdurre l'esposizione permanente - appena inaugurata - che racconta i cento anni di storia del marchio.

    Oltre 1.400 metri quadrati totali di superficie per celebrare i 100 anni di storia dell'azienda. Poltrona Frau, controllata dalla famiglia Montezemolo e fondata a Torino da Renzo Frau nel 1912, ha aperto infatti i battenti del suo museo.Lo spazio fa parte dello storico edificio industriale dell’azienda a Tolentino (Macerata) ed è stato progettato dall’architetto Michele De Lucchi. Il museo custodisce una collezione di materiali, prodotti e documenti originali, mai esposti al pubblico prima d’ora, a testimonianza della storia e dell’evoluzione dell’azienda che quest’anno celebra il suo centenario di attività. La scelta del luogo è un omaggio al territorio marchigiano nel quale l’azienda si è trasferita all’inizio degli anni ’60. Il design austero dell'edificio che ospita il museo lunga parete arancio che abbraccia l’angolo e che nasconde al suo interno un piccolo cortile sul quale si affacciano una caffetteria e un bookshop. Sono esposte anche gli allestimenti di interni nel settore dei trasporti automobili, treni, aerei e yacht. Alcuni nomi d'eccellenza: Ferrari, Maserati, Lancia, Pershing, Italo e Etihad Airways.


    Il destino delle dive adagiato sul sofà
    Dai cocktail di Bette Davis ai languori di Marilyn. Fino allo scandalo Stone


    Beato chi se lo fa il sofà, diceva con cinemascopico sorriso Sabrina Ferilli in uno spot, ma ogni riferimento al libro Il sofà del produttore di Selwyn Ford (pseudonimo di due giornalisti inglesi), dove si parla dei sofà privati degli studios di Hollywood, era davvero casuale. Perché la poltrona va scissa sullo schermo, come se fosse quella di Freud e quanti divani abbiamo visto negli studi degli psicanalisti da Woody in poi: da una parte la presenza del mobile poltrona in centinaia di film di ambiente borghese in quelle grandi sale upper class dove si sono sedute Bette Davis e Katharine Hepburn sorseggiando cocktail versati dal cameriere di colore; dall'altra il vecchio mai tramontato rito del «pedaggio» sessuale nella storia del cinema, con i privè dei grandi producers Usa come Louis B. Mayer o Carl Laemmle, del mitico miliardario aviatore nevrotico Howard Hughes o Harry Cohn, tutti con i loro harem privati a portata di mano, a fianco dell'ufficio col dittafono per la segretaria. Sembra che non dovessero neanche insistere molto per usare il sofà con quelle ragazze trovate ai grandi magazzini: Joan Crawford aveva avuto una carriera di porno star, Lana Turner scoperta in gelateria fu portata subito negli studi, Marlene Dietrich amava dar scandalo, Lupe Velez era la più richiesta ai parties , Gene Tierney era rivale di Rita Hayworth nel cuore traboccante di dollari di Alì Khan, fino alla più nota, Marilyn Monroe il cui destino è stato segnato anche dal sofà. Certo che di poltrone al cinema ne abbiamo viste tante ma la più buffa è quella ad effetto speciale alla fine della seconda puntata del nuovo Sherlock Holmes quando Robert Downey jr si mimetizza in una poltrona, confondendosi con la stessa stoffa e rendendosi invisibile. E che dire di quella poltrona di vimini diventata il simbolo di un'icona del sesso «demi hard» di Emmanuelle, che vi stava perennemente seduta nei poster del famoso film? E nell'horror nessuno può dimenticare quella vecchia poltrona a dondolo e girevole che sta nella cantina hitchcockiana di Psycho e alla fine, rotando, mostra lo scheletro edipico della mammina cara di Anthony Perkins. Ogni genere di film ha i suoi mobili e i suoi architetti e così le poltrone eleganti sono quelle delle case delle commedie sofisticate e dei melò, sui cui braccioli si appoggiano whisky e si piange spesso e volentieri: gli interni di «Come le foglie al vento» con Rock Hudson, la Bacall, Dorothy Malone o quelli di Lana Turner nello «Specchio della vita». I nostri cari film neorealisti al massimo ci mostrano invece sedie e spesso di cucina, dove bambini magri post bellici fanno i capricci ed esibiscono moccoli al naso e ginocchia sbucciate. Poltrone dei commissariati, spartane, di plastica e omologate? Sono ormai uno stereotipo reso immortale dall'accavallamento di gambe di Sharon Stone che in quella famosa scena di «Basic instinct» dimostra che si può fare a meno di mutandine, guepière e pannolini.
    Le poltrone sono state frequentate in tutto il periodo anni 30-50 quando Hollywood proibiva il bacio in bocca e la visione del letto matrimoniale, quindi si faceva tutto in poltrona letto: quanti ospiti inattesi hanno dormito sul divano, quanti amici improvvisati si sono adattati per una notte, quanti dopo sbronze sono stati consumati sui cuscini. A parte i titoli che le chiamano in causa in prima persona («Una poltrona per due», «Tre sul divano», «Il mistero delle 13 sedie»), ci sono poi le ciniche tavolate ovali dei consigli di amministrazione circondate da poltrone eleganti e omologate all'industria senza cuore, dove anni fa si era seduta nella «Sete del potere» Barbara Stanwyck e che oggi è diventato un luogo comune dove sono esplose crisi finanziarie. E poi c'è un medio-corto di Pippo Delbono, «Blue sofa» che narra la strana storia di tre fratelli che ogni giorno, dalle 17 alle 20 si siedono sul divano di velluto blu ad aspettare la morte, certi che nel resto della giornata non potrà accadere loro nulla di male. Ma il sofà, cinematograficamente parlando, è proprio quello dell'attricetta presa al lazo dal produttore potente che ha il suo separé o anche dal dilettante allo sbaraglio morale che irretisce l'ingenua ragazza che tutti noi conoscevamo bene. Tra i più testardi i comici dell'era paleolitica del cinema, come Mack Sennett, che non se ne faceva scappare una, o Fatty Arbucke, condannato per aver violentato una fanciulla in un'orgia della Hollywood Babilonia . Da qui la rivincita della maggioranza silenziosa che impose il severo codice Hays per un buon comportamento ipocrita, durato fino agli anni 50, quelli del matriarcato gentile casalingo di Doris Day che le poltrone invece le spazzolava con l'aspirapolvere segnando il cambio d'epoca.
    (Maurizio Porro, corriere-lettura)
     
    Top
    .
  12. gheagabry
     
    .

    User deleted


    MUSEI


    IL MO.BA



    La nostra sete di conoscenza ci ha sempre imposto di visitare i musei per studiare le opere d’arte più gloriose e belle che il genio umano abbia mai creato. A Boston, però, la pensano diversamente, dato che hanno dedicato un museo all’arte più brutta di sempre. Nome in codice MOBA, Museum of Bad Art.

    Il museo delle brutte arti, di tutte quelle opere giudicate troppo brutte per non essere esposte e… ammirate! MoBa, seguendo la falsariga del più celebre MoMa di NYC, è l’acronimo di “The Museum of Bad Art (Art Too Bad To Be Ignored)”, qui è possibile presentare un’opera e richiederne la sua esposizione, ma solo dopo che la tela in questione abbia superato un attento esame da parte delle maestranze del museo.
    Il MoBa è di certo un museo unico nel suo genere, quasi geniale sotto molti aspetti: non bisogna dimenticare che, nel corso della storia dell’arte, tantissimi sono stati i pittori denigrati e giudicati pessimi nell’esecuzione delle loro opere, mentre invece oggi sono fra gli dei dell’Olimpo artistico.
    Chissà, magari fra uno o più di queste oltre 500 opere si nasconde l’anima di un Van Gogh o di un Picasso incompresa, oppure è solo l’ennesimo quadro troppo brutto del vostro amico, ma che, grazie alla filosofia del MoBa, diventa “un’opera troppo brutta per essere ignorata”.

    Il MOBA si autodefinisce con una punta di orgoglio l’unico museo al mondo dedicato alla raccolta, la conservazione, l’esibizione e la celebrazione dell’arte brutta in tutte le sue forme. Nato nel 1994 in un seminterrato, è diventato sempre più ricco grazie all’aiuto di benefattori di tutto il mondo, che hanno inviato a titolo gratuito le opere più orripilanti il loro possesso, in modo che potessero ricevere i riconoscimenti meritati. Ad oggi conta ben tre sedi nel quartiere di Dedham.
    Ad oggi la collezione è composta da ben 5000 pezzi, ed è in continuo aumento. Tutti noi possiamo infatti contribuire a rendere ancora più interessante questo museo davvero unico, dove il brutto e l’incapacità non solo vengono giustificati ma addirittura glorificati. La missione è chiara: portare il peggio della produzione artistica al più alto numero di persone.




    Per maggiori informazioni e per ammirare alcune opere on line, consultate il sito ufficiale del museo all’indirizzo www.museumofbadart.org
     
    Top
    .
  13. gheagabry
     
    .

    User deleted


    MUSEI


    “Si beve per dimenticare il rumore del mondo”,
    scriveva il poeta cinese T´ien Yi-Heng più di duemila anni fa.


    MUSEO DEL THE


    Al centro della Sicilia, al confine tra le province di Catania ed Enna, vive un maestro del tè che attorno alla sua passione ha realizzato il primo e unico Museo nazionale del tè, entrato due volte nel Guinnes dei primati, perché custodisce oltre 600 varietà, provenienti da tutto il mondo.
    Salvo Pellegrino, il maestro del tè padrone della Casa, racconta che la Siciliaè il luogo con la più antica tradizione di questa bevanda dopo la Cina, perché sembra che qui nel 950 un emiro ne abbia introdotto la coltivazione. Interessante anche approfondire la storia dell'uso del tè in Sicilia, dove le famiglie nobili tra '500 e '900 facevano grande uso di infusi aromatizzati (elicrisio dell'Etna, rosa selvatica degli erei, zafferano ennese). Attorno al tè, ecco la cultura dei cerimonialie le diverse tradizioni di stili che saranno mostrati ai visitatori. Nella "stanza delle cerimonie", infatti, dove si accede senza scarpe, si possono ammirare rituali e attrezzi delle cerimonie orientali Yam-cha, Wu- wo, tè pressati provenienti dello Yunnan , Birmania e Cambogia, o i pennelli per scrivere poesie durante le cerimonie.

    Un’esposizione di prim’ordine: più di 600 tipi di the provenienti da tutto il mondo; oltre 500 teiere in terra zisha dalla collezione della città cinese di Yixing; la teiera e la tazza da the più grandi del mondo (record certificati dal guinness dei primati); bollitori, tazze, accessori, samovar e quadri raccolti tra i popoli più vari (giapponesi, russi, cinesi, berberi, beduini, etiopi, centroafricani, iraniani, inglesi, francesi, cingalesi, birmani…).
    Poco più di cinquecento teiere in terra zisha, diverse tra loro sia nel modello che nella dimensione, provenienti dalla lontanissima Cina, sono esposte in mostra presso il terzo piano del Museo. La mostra, che riveste carattere internazionale, è stata aperta e inaugurata l'anno scorso e potrà essere visitata tutti i giorni, sia nelle ore mattutine che in quelle pomeridiane, sotto la guida dei Maestri dell'Associazione che di ogni teiera conoscono l’origine ed il periodo storico di riferimento. Le teiere sono di proprietà del Maestro-collezionista cinese Xu Zongmin che le ha donate in prestito al Museo appunto perché li mettessero in mostra. L’esposizione è sezionata in 25 gruppi di 20 teiere per gruppo, ognuno dei quali rappresenta un periodo storico ben determinato della Cina e della sua dinastia imperiale. Tutte copie fedeli dalle originali, alcune di esse recano il sigillo dell’Imperatore del tempo e del ceramista che l’aveva realizzata.
    Ogni teiera è esposta su un drappo di seta di colore diverso ed è accompagnata da una numerazione a cui corrisponde, in un apposito manuale, la descrizione della singola storia. Un particolare curioso ed interessante è costituito dal fatto che tutte le teiere, essendo realizzate in terra porpora zisha, non sono smaltate poiché, dicono gli esperti, l’uso del piombo, presente negli smalti, modificherebbe notevolmente il sapore dei tè pregiati. Nonostante non siano smaltate però, le teiere in questione conservano un colore speciale a seconda della zona di provenienza, rigidamente cinese, della terra con cui sono state realizzate. Così alcune teiere sembrano di ghisa, altre di ferro, altre ancora di legno.(dalweb)

    Quando i giapponesi vogliono descrivere
    un uomo come rozzo e superficiale,
    dicono che “non ha il the”.



    .................

    La Casa del tè
    Via Garibaldi n° 45 - 95040 Raddusa (CT)
    Tel. + 39 095 662193
     
    Top
    .
  14. gheagabry
     
    .

    User deleted


    MUSEO DEL CAVATAPPI


    Il Museo dei Cavatappi nasce nel 2006 nei locali di un'antica cantina accanto al Castello Comunale di Barolo.
    Il percorso di visita presenta 500 esemplari di cavatappi antichi provenienti da tutto il mondo e realizzati a partire dalla seconda metà del 1600. Le 19 sezioni del museo raccontano nascita ed evoluzione di questo utensile semplice, ma ricco di storia e di curiosità. Partendo dai "cavatappi sospesi" e dalla nomenclatura, il percorso ci porta ad ammirare esemplari semplici a "T" in legno, ferro, alluminio, ottone, osso, corno, ebano, madreperla, bronzo, avorio, argento, tartaruga... Ma conosceremo anche l'era delle invenzioni con leve, viti e meccanismi complessi come quello delle due viti, una destrogira ed una levogira, inserite una nell'altra.
    Nelle 19 sezioni abbiamo la possibilità di vedere cavatappi decorativi e figurativi, ma anche tascabili, pubblicitari, sistemi multiuso, a tema animale ed erotico, non mancano quelli in miniatura per profumi e medicinali. Una sezione è dedicata ai cavatappi preziosi, realizzati dai migliori artigiani ed orafi con materiali pregiati, ai quali aristocratici e religiosi facevano apporre lo stemma del casato o le iniziali del loro nome. L'intento didattico e la divulgazione colta che si coglie nei pannelli trilingue (italiano, inglese e tedesco), sono abbinati alla spettacolarità dell'allestimento che evidenzia la bellezza dei cavatappi esposti, alternando immagini d'epoca, pannelli "leonardiani", colpi di luce e curiosità. Una sezione a parte è dedicata alle cartoline d'epoca con il cavatappi come soggetto.


    Stappare una bottiglia di vino è un rituale che ha sempre qualcosa di magico: gli occhi dei presenti sono concentrati su chi svolge l'operazione. Viene rimosso il sigillo di stagnola e posizionata la punta del cavatappi al centro del turacciolo.
    La vite affonda nel sughero fino a perforarlo ed infine con lo sforzo di trazione necessario il tappo fuoriesce dal collo della bottiglia con un leggero schiocco. Il turacciolo viene estratto e annusato per verificare se presenta odore. Il nettare degli Dei ora è pronto da servire e degustare. Noi tutti siamo abituati ad utilizzare questo oggetto per stappare una bottiglia, è un gesto consueto ed automatico che ci permette di accedere ad uno dei piaceri della vita.
    Ma quando inizia quest'affascinante storia? Non è facile rispondere a questa domanda, ma possiamo fare delle ipotesi attendibili. Partiamo da due certezze: il cavatappi nasce per estrarre un tappo di sughero da un recipiente di vetro anche se non necessariamente da una bottiglia contenente vino; il primo brevetto di un cavatappi risale al 1795, ed è dell’inglese Samuel Henshall. All’inizio del XVIII secolo il contenitore di vetro a bottiglia era un oggetto raro, costoso, fragile e dalla capacità non sempre uguale.
    (museodeicavatappi.it)


    .......

    [email protected]

    Piazza Castello 4
    12060 BAROLO (CN)
    ITALIA
     
    Top
    .
  15. gheagabry
     
    .

    User deleted


    MUSEI

    IL MUSEO SWAROVSKI


    Una collina dal volto umano, anzi di gigante, con due cristalli al posto degli occhi e una fragorosa cascata che fuoriesce dalla bocca. No, non è un sogno, ma i Mondi di Cristallo, ed esistono per davvero. Per vederli non c’è bisogno di nessun “Abracadabra” ma solo andare nella valle di Hall Wattens, nel cuore del Tirolo austriaco e a pochi chilometri da Innsbruck, dove, tra rilassanti prati verdi e cime di montagna, un giorno si trasferì una famiglia il cui nome è ancora oggi sinonimo di arte preziosa.
    Quando nel 1895 Daniel Swarovski I inventò la macchina per tagliare e lucidare il cristallo forse non era del tutto consapevole dell’effetto che ciò avrebbe avuto sul mondo della gioielleria e su come questo sarebbe stato l’inizio di una lunghissima favola. Una favola che nel 1995 - in occasione del centenario della nascita dei cristalli Swarovski, è diventata ancora più realtà con il museo, uno dei più visitati di tutta Austria, Kristallwelten, meglio conosciuto come il Gigante Swarovski.

    Una volta entrati dentro la bocca della “montagna umana” ci si ritrova infatti all’interno di un universo di cristallo da scoprire attraverso le 14 Camere delle Meraviglie, che tra i loro tesori custodiscono anche le opere di celebri artisti come Salvador Dalì, Pablo Picasso, Brian Eno, Keith Haring e Federico Fellini, e il negozio con gli esclusivi prodotti Swarovski. Il “prezioso” Gigante è anche un’opportunità per conoscere la storia del cristallo grazie all’esperienza di laboratori per adulti e bambini, cacce al tesoro ed eventi culturali.


    "Forse ogni visitatore ha l’impressione di comprare un pezzo di luce. Ha l’impressione, attraverso l’oggetto, di portare via con sé tutte le emozioni provate durante il percorso museale. Alcune opere più di altre, rimangono profondamente impresse. Una via che cambia colore quando il visitatore, camminando, imprime una pressione con il piede. O la cupola di cristalli riflettenti. Ed è riduttivo definirla solo così perché è molto di più, è una scoperta continua, dai riflessi delle persone al suo interno, ai riflessi piccoli, parziali, grandi, multipli, singoli. Tutto con colori sempre diversi. E poi, archi che rifrangono un’immagine, teatrini di luce, dovunque immagini affascinanti in un percorso sempre nuovo."(amnesiavivace.it)

    ...................

    Dove: a Wattens, ad est di Innsbruck
    Particolarità: il gigante alpino all’entrate visibile già da lontano
    Orari d’apertura: ogni giorno dalle ore 09.00 - 18.30, il 24/12 fino alle 14.00 - il 31/12 fino alle 16.00
    Biglietto adulti: da Euro 11,00

    Ulteriori informazioni: tel. +43 5224 51080, [email protected]
     
    Top
    .
34 replies since 19/9/2012, 16:26   3165 views
  Share  
.