I MESTIERI PERDUTI NEL TEMPO

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  1. gheagabry
     
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    I MESTIERI PERDUTI NEL TEMPO

    Molti, moltissimi mestieri comuni ancora nella metà del secolo scorso, sono scomparsi o stanno scomparendo. La "globalizzazione" li ha fagocitati rendendo improbo e non remunarante un lavoro specializzato che in precedenza consentiva un guadagno dignitoso.
    Prendiamo ad esempio il mestiere del calzolaio; fino a non molti anni or sono le scarpe si portavano a riparare, oggi si buttano e se ne compra un paio nuovo. Lo stesso destino, nel corso del secolo passato, hanno subito molti altri mestieri e alcuni sono scomparsi insieme all'arrivo della modernizzazione, delle infrastrutture e del commercio dopo gli inizi del '900.
    I mestieri erano tanti e tutti molto "specializzati"; vale a dire che un mestiere non ne poteva invadere un altro, anche perché spesso il venditore era anche il produttore della merce che vendeva. I mestieri potevano essere "a bottega" oppure ambulanti; questi ultimi molto più numerosi dei primi, vendevano "a domicilio" con un carretto trainato a mano o da un animale o con due bigoncini appesi ad un bilanciere a spalla, girando per strade e vicoli e gridando le magnificenze della loro merce.
    (dal web)





    scrittore



    'O scrivano se metteva, spisso, annanzo a cafè e triate, o, ll'urteme anne, vicino a ll'ufficie d' 'e cummune o d' 'e pposte. 'O scrivano ajutava 'e perzone nnalfabbete a scrivere lettere o ati documente. 'E juorne 'e mò 'o mestiere d' 'o scrivano è quasi scumparuto, pecchè 'a maggiuranza d' 'e perzone se 'mparano a scrivere.


    LO SCRIVANO





    All'ombra del portico che decora l'ingresso di alcuni dei nostri teatri, la dove la spessezza dei pilastri offre riparo dal vento e dalla pioggia pochi uomini di sparuto aspetto e con abiti gretti e cenciosi siedono davanti un vecchio tavolo, che contiene qualche foglio di carta, uno sporco calamaio ed un piccolo peso che impedisce alle poche carte di volare via al soffiare del vento.
    Questi uomini molto pazienti si rendono gli interpreti degli affetti, le ire e le passioni degli analfabeti. Il suo stile nello scrivere è molto semplice, ama la brevità, non cerca mai modi eleganti per manifestare ciò che pensa il suo vicino, egli è chiaro ed originale.
    Lo scrivano ha pure la sua tariffa col prezzo dei suoi lavori, cominciando dalla supplica in carta semplice fino al volume di cento pagine, lo scritto alla spagnuola è il vero culmine della sua arte.
    Lo scrivano è l'interprete di tante passioni, è il depositario dei palpiti altrui, delle amarezze delle giovani fanciulle povere e onorate che per mancanza di istruzione debbono molte volte arrossire raccontando i propri segreti.




    "Non è avvocato, medico o professore. Non è maestro, e non insegna. Scrive all'angolo della strada, tutto stretto tra tavolo, sedia, carte e clienti. Si fa pagare, lo scrivano, ma pochi soldi vede e tanta roba accumula. Polli e uova, qualche frutta, un po' di vino. E scrive, ascolta e scrive.Io lo chiamo scrivano, quando lo chiamavano "scribacchino" e gli raccontavano i problemi con la terra acquistata, col figlio lontano, coi parenti litigiosi. E lui scriveva letteree riempiva i fogli già ingialliti con l'inchiostro del pennino. Com'era bravo e veloce, quando copiava pensieri e parole di lettere vecchie e di messaggi già arrivati a destinazione. E com'era bravo quando leggeva ad alta voce le risposte ai messaggi e alle lettere. Qualcuno avrebbe letto meglio, ma il cliente era analfabeta, o aveva la vista difettosa, o andava di fretta. E allora correva da lui.Lo scrivano diventava intellettuale di professione. Dava anche consigli di ragioneria, di medicina e di pratiche religiose e superava, per arguzia, convincimento e passione, gli altri intellettuali impegnati a fare il loro lavoro. Prete compreso. E il tavolo diventava scrivania, scranno, confessionale e lo scritto una piccola opera d'arte, fatta in serie.Aveva studiato, lo scrivano vestito di scuro? Sapeva leggere, scrivere e fare di conto e pazienza se i voti di quella scuola che ancora non era d'obbligo gli davano sufficiente in "lavori manuali o lavori donneschi" e "storia", aveva studiava tutto il resto e ora lo metteva in pratica.Dopo la seconda guerra mondiale, con la scuola d'obbligo, il mestiere di scrivano scompare e così il suo nome."Scribacchino" è oggi uno che scrive sotto comando, con la testa china e la voce muta. E invece Totò - lo scrivano pubblico Don Felice - urlava la "Miseria e Nobiltà" di Napoli e quella della sua categoria."





    " Caro Giuseppe...cumpare e nepote "...

    Dal film: " Miseria e nobiltà"



    TOTÒ - Una lettera?
    CAFONE- Una lettera de carta, sa...
    TOTÒ - E perché, le lettere si scrivono di porcellana?
    CAFONE- Eh, non si può sape'...
    TOTÒ - Dunque. Lei è ignorante?
    CAFONE -Io? Si.
    TOTÒ - Bravo, bravo. Viva l'ignoranza! Tutti così dovrebbero essere...
    CAFONE -Eh...
    TOTÒ - E se ha dei figliuoli, non li mandi a scuola, per carità!
    CAFONE -No, io figli nun tengo...
    TOTÒ - Li faccia sguazzare nell'ignoranza...
    CAFONE -No, io tengo nu cumpare nipote: proprio per lui devo scrivere la lettera, sai...
    TOTÒ - Bravo. A lui? (Prende un pacco di lettere nella scrivania). Quanti anni ha questo compare?
    CAFONE -Tiene quarantacinque anni...
    TOTÒ - Quarantacinque? (Fruga tra le lettere e ne estrae una). Eccola qua. Questa va benissimo.
    CAFONE- E cos'è questa?
    TOTÒ - No, vede: noi le lettere le scriviamo prima, di modo che, quando viene la persona...
    CAFONE -None! Tu non sai che debbo scrivere qui dentro!
    TOTÒ - Va be', non vuol dire: guadagnamo tempo.
    CAFONE -E che sai, li fatti miei?
    TOTÒ - Ma scusi: lei m'ha detto che suo nipote compare ha quarantacinque anni...
    CAFONE -Eh, quarantacinque anni...
    TOTÒ - Questa lettera io l'ho scritta tre anni fa per un signore che ne aveva quarantadue.
    CAFONE -E 'stu signore che è? Lu cumpare mio?
    TOTÒ - Non vuol dire! Ma gli va bene...
    CAFONE -No, paisa', non me piace...
    TOTÒ - Ma gli andrà bene...
    CAFONE -Ma no!
    TOTÒ - La vuole da capo?
    CAFONE -Proprio da capo.
    TOTÒ - Scriviamola da capo. Lo facevo per lei: lei con questa lettera economizzava...La vuole nuova? Facciamola nuova!
    CAFONE -Bravo.
    TOTÒ - Siamo qui apposta... Dunque. Vuol dettare, per cortesia?
    CAFONE -Scriva.
    TOTÒ - Si...
    CAFONE -Napole...
    TOTÒ - Eh... (Mette la penna nel calamaio e spruzza d'inchíostro il cafone). Avanti. Napoli... eccetera eccetera eccetera... Sissignore.
    CAFONE -(inizia a dettare) Caro Giuseppe cumpare nipote...
    TOTÒ -Beh... caro Giuseppe...
    CAFONE -E mio cumpare e mio nipote.
    TOTÒ - Va be', vuole che... Beh... Caro...
    CAFONE -Caro...
    TOTÒ - ... Giuseppe...
    CAFONE -... cumpare...
    TOTÒ - ... compare nipote... sì... sì... (Lo spruzza ancora d'inchiostro).
    CAFONE (-asciugandosi) A Napole... a Napole stocio facendo la vita de lu signore
    TOTÒ - A Napoli...
    CAFONE -Stocio facendo...
    TOTÒ - (s'interrompe riflettendo)) Stocio... Stocio... Io stocio, tu stoci... Non esiste questo.
    CAFONE -Non te piace stocio?
    TOTÒ - Sto! Io sto! Che me fai scrivere?
    CAFONE -E più corto, eh...
    TOTÒ - Me fai scrivere stocio... (Cancella con una mano,e spruzza di nuovo d'inchiostro il cafone)). Ah, santo Iddio, come se fa... come se fa... (Lo spruzza ancora)
    CAFONE- (asciugandosi il vestito) Paisa', chistu lu vestito l'hai cumprato io, eh...
    TOTÒ - Ah, bravo... bravo... Paga sempre lei: bravo! (Ad alta voce rivolto a Peppiniello) Peppiniello! Quelle pizze diventano due! (Al cafone) Dica, dica...
    CAFONE -Alla sera me ne vaco a lu tabbarene...
    TOTÒ - Bene. Alla sera me ne vado...
    CAFONE -... me ne vaco a lu tabbarene...
    TOTÒ - Me ne vado...
    CAFONE -... e me ne esco quanti chiode...
    TOTÒ - Quanti chiodi? (Gli spruzza l'ínchiostro in un occhio).
    CAFONE -Quanti chiode. Ma che, sta chiovenno ignostro, paisa'?
    TOTÒ - Quanto chiodo?...
    CAFONE -Chiodo, si: chiodono li porte, va...
    TOTÒ - Ah. quando chiude!
    CAFONE -Finisci! Finisci!
    TOTÒ - Eh, dice chiodo... Chiude, chiude!
    CAFONE - E per questo...
    TOTÒ - E per questo...
    CAFONE -... mandame...
    TOTÒ ... mandami...
    CAFONE -... nu poco de soldi...
    TOTÒ - ... per questo mandami un po' di so... (rimane di sasso)
    CAFONE -... perché nun tengo nemmeno li soldi per pagare la lettera a lu scrivano che me sta scrivendo la lettera presente...
    TOTÒ - (smette di scrivere) E poi?
    CAFONE - E poi... Mettece li saluti... Ponto.
    TOTÒ - Ma che saluti e saluti!? (Si alza e straccia la lettera).
    CAFONE -(si alza anche lui, spaventato) E che?
    TOTÒ - Ma che saluti e saluti!? Vai via, mascalzone! Vai via!
    CAFONE- ...
    TOTÒ - (lo minaccia col calamaio) E ringrazia Dio che non tiro il calamaio perché mi serve
    CAFONE- E che... (Allontanandosi).
    TOTÒ - (fra sè) Chiodo... ponto... stace... Mi fa perdere del tempo inutilmente
    PEPPINIELLO -(Che arriva tutto contento) Papà, le pizze sono pronte: dammi i soldi.
    TOTÒ - E che soldi e soldi? E che pizze e pizze? M'è passato l'appetito... Non voglio mangia' più (Torna a sedersi, amareggiato).



     
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  2. gheagabry
     
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    Venditore di latte



    All'alba aiutato da un garzone, munito di un piccolo sgabello, di un secchio e di un paniere per contenere le bottiglie, faceva uscire una mucca dalla stalla ed iniziava il giro per le borgate. Le comari accorevano ancora sonnecchianti e in vestaglia ed egli con estrema professionalità mungeva le mammelle della mucca per riempire le bottiglie di schiumoso latte. Qualche comare più furba a volte apostrofava: <<mi livassi 'a scuma!>> temendo che la schiuma facesse diminuire la quantità del prezioso liquido.



     
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    Sorteggiatore


    Era un uomo giovane ed energico, girava per le vie affollate delle città con un giubbotto tappezzato con banconote di grosso taglio e con un megafano con cui invitava le persone ad acquistare dei biglietti numerati. Appena venduti i biglietti un bambino bendato in presenza di molte persone estraeva un biglietto ed al vincitore andava l'intera somma. Affinchè tutti potessero constatare la sua correttezza e restare suoi clienti, girava per le strade dove aveva venduto i biglietti urlando a squarciagola il numero del biglietto vincente ed il nome del vincitore.


    urna_vecchia_lotto

     
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  4. gheagabry
     
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    MAESTRO D'ASCIA



    Il maestro d'ascia costruiva botti, barili, produceva arcolai e conocchie, costruiva e riparava traini, perfezionava la forma delle ruote per infilarvi il cerchio di ferro. Lo scultore e scrittore Nicola Morelli, nel suo libro intitolato " Storie di Cheravanna ", così descrive le varie fasi della ferratura delle ruote eseguite da un maestro d'ascia. "E chi potrà mai dimenticare la scena magica della ferratura delle ruote?
    La grande ruota veniva montata inserendo nel mozzo, un vero capolavoro di ebanisteria, i raggi a due a due, già bloccati nel corrispondente arco del cerchione di legno; venivano poi forzati controllando bene che il cerchio fosse perfetto. Intanto, a parte, veniva scaldato il grande anello di ferro che avrebbe rinserrato e bloccato definitivamente la ruota nella morsa del suo grande cerchione. Questo, il grande cerchio di ferro, posato per terra, veniva ricoperto in maniera uniforme da tanti pezzetti di legno, tutti uguali, che venivano incendiati e che portavano il ferro a temperatura di color bianco, provocandone la dilatazione...Quando il cerchio era ben caldo e dilatato, veniva sovrapposto alla ruota, forzato perché la abbracciasse correttamente e saldamente lungo tutto il cerchione di legno, rapidamente raffreddato con docce d'acqua che, riducendone la dilatazione, lo portavano a rinserrare quel grande rosone di legno in maniera permanente e definitiva...Uno spettacolo che ci teneva in silenziosa attenzione per tutto il tempo."



     
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    Straccivendolo



    In voga soprattutto nel periodo nel secondo dopoguerra (intorno agli Anni Cinquanta), soprattutto in Italia e in Francia. Nel corso degli anni lo straccivendolo (o cenciaiolo) si è trasformato in rottamaio, cioè colui che raccoglie e vende rottami, o di robivecchi, colui che vende ferraglie e simili…Lo straccivendolo, al contrario di altri ambulanti, non offriva nessuna prestazione di manodopera, ma girava per paesi e campagne raccogliendo e comprando stracci, vetro, metalli, ossa e pelli di coniglio…Gli straccivendoli si muovevano generalmente su un carretto a due ruote trainato da un cavallo, oppure in bicicletta. A volte i materiali di scarto venivano regalati e allora lo straccivendolo offriva qualcosa in cambio: filo, aghi, ditali, pettini, mollette per capelli, sapone, ed altri oggetti che custodiva in una cesta. I bambini, quando lo vedevano arrivare, correvano da tutte le parti per cercare qualcosa da dargli; in cambio ottenevano dolciumi o le ricercatissime biglie.


    Il saponaro


    Era un curioso commerciante che barattava abiti smessi o cinfrusaglie di ogni tipo, roba vecchia ( il suo grido...grido di richiamo era " sapunaro ...roba vecchia " ) con pezzi di sapone ...quel sapone molle, giallo ... sapone di marsiglia… Napoli era famosa per la produzione di saponi fin dal 400…I migliori saponi erano prodotti nel convento del monaco Olivetani…Secondo la tradizione i buoni frati, senza un becco di un centesimo, avevano necessità di arredare il monastero e per riuscirvi producevano sapone per robivecchi , in cambio il sapunaro dava ai monaci qualche mobile in pessime condizioni…




     
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    Venditore di carbone



    Mestiere durissimo quello del carbonaio e senza limiti nelle ore continue di lavoro. Il taglio di boschetti o la potatura fornivano la materia prima per ottenere il carbone, per cucinare o per riscaldare le case. La carbonaia va assistita e alimentata anche di notte; un errore durante la cottura per la trasformazione del legno in carbone comporta la perdita di settimane di lavoro e di mancato guadagno. I tronchi e i rami che dovranno diventare carbone vengono ammassati intorno ad una "fossa" nella quale verrà acceso ed alimentato il fuoco. Tutti membri della famiglia, anche i più piccini, sono coinvolti durante la preparazione della carbonaia e poi nell'insaccamento del prodotto. Il mestiere sopravvive per gli amatori del caminetto, delle stufe o degli arrosti sulla brace.




    Venditore di ricotta


    Trattasi di un venditore ambulante molto particolare per il modo di vestire, indossava solitamente: camicia, pataloni di velluto, coppola, gilet e scarponi. Arrivava in città dalla campagna la mattina presto con le fascedde (fiscelle) realizzate con sottili canne e giunchi intrecciati, piene di ricotta che pendevano a grappoli dalle sue mani. Oggi i pochi ricottari ambulanti rimasti, vendono la ricotta in macchina o in ape urlando la propria merce attraverso un megafono microfono amplificato.



     
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    Tessitrice


    Era un mestiere esercitato esclusivamente da donne mediante un telaio il cui battitoio produceva un suono cadenzato caratteristico. In ogni via del paese c'era almeno un telaio in funzione, ininterrottamente per moltissime ore di ciascuna giornata. Venivano, prima filate e poi tessute, le fibre del cotone, del lino, della canapa, della ginestra, della seta, della lana. Il telaio, costruito in legno dai falegnami locali. Il prodotto contribuiva alle economie delle famiglie che preparava le tele necessarie ai bisogni di tutti: biancheria, vestiti, coperte, tovaglie, ecc.. Il disegno su carta che serviva da guida per realizzare tessuti particolari veniva chiamato "carta di musica", forse per la sua somiglianza con una partitura musicale.







    L’ombrellaio


    L’artigiano ambulante si siede accanto al portone, con il dorso appoggiato allo stipite, oppure dentro; depone accanto a sé la cassetta oblunga dove sono riposti i ritagli di pura “gloria” , le asticelle sottili di varia lunghezza da inserire nella raggiera dell’ombrello in sostituzione di quelle spezzate o mancanti e poi refe, fil di ferro, aghi, pinze e forbici… “ogni tanto a Milano se ne incrocia qualcuno. Certo, non grida "Ombrellaio... ombrellaio..."; anzi, non grida affatto e se ne sta quasi sempre zitto. Lo trovi seduto all'angolo di una via o di una piazza e non ti accorgi che ripara ombrelli, perché è quasi sempre impegnato ad impagliare sedie. Però, se ti ci fermi a fare due chiacchiere, come mi è capitato un paio di volte, scopri che l'impagliatore ripara anche ombrelli: viene a ritirarli a casa e te li riconsegna a domicilio, come nuovi.”



     
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  8. gheagabry
     
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    Lo spazzacamino



    Questo mestiere è molto antico, dato che se ne trova testimonianza già in scritti e dipinti della Firenze dei Medici; pare sia nato infatti verso la fine del '400, soprattutto nelle valli del nord Italia: le Valli dell'Orco, Vigezzo e Cannobina in Piemonte; la Val d'Aosta, la Val di Non in Trentino..Nel periodo invernale, gli spazzacamini scendevano in pianura per svolgere il lavoro in città. Lo spazzacamino aveva, in genere, un autante... che poi era quello che, oltre a trasportare le attrezzature, faceva il lavoro "sporco": un bambino di 10-12 anni, meglio se mingherlino, che poteva infilarsi facilmente all'interno di camini e canne fumarie per pulirle. Un bambino era agile, costava poco mantenerlo e non accampava troppe pretese... soprattutto in epoche in cui la fame era diffusa. Molte famiglie davano in affitto agli spazzacamini i propri figli più piccoli... non tanto per i soldi (dato che il guadagno era davvero scarso), quanto per il fatto che per tutto il periodo invernale c'era una bocca in meno da sfamare in casa.Erano i bambini ad infilarsi in cunicoli sporchi e polverosi portandosi appresso i "ferri del mestiere": la caparuzza (il sacchetto che mettevano in testa per ripararsi dalla fuliggine mentre risalivano il camino), la raspa e il brischetin (lo scopino), la squareta (la canna con in cima un riccio di lame di ferro disposte a raggiera) e il sach (il sacco per riporre la fuliggine raccolta).Intorno agli anni Cinquanta del secolo scorso, cominciò il lento ed inarrestabile declino degli spazzacamini... anche perché di camini ce n'erano sempre meno. Ma ancora oggi il mestiere non è scomparso, anzi, è diventata un'associazione nazionale: quella di fumisti e spazzacamini, che ha addirittura aperto alcune scuole per l'avviamento alla professione. Naturalmente siamo lontani dai vecchi spazzacamini dell'Ottocento....




    Il gelataio


    Il gelataio ambulante specialista in sorbetti, avanzava nella calura estiva con un secchio da pozzo per lavare bicchieri, un parabicchieri a scompartimenti, un recipiente di legno con la neve per raffreddare la pasta aromatizzata contenuta nella subbrettera, cilindro di stagno con il coperchio argenteo. I più fortunati si concedevano un carrettino, a due piani (al primo si trovava un bidone contenente il gelato di solito al gusto di limone, al secondo c’erano le cialde, per i più fortunati, i bicchieri e gli strofinacci). Il sorbetto veniva offerto con la punta ritta, come un cono rovesciato: al culmine e sui fianchi della gelida montagnella i più fantasiosi aggiungevano striature di sciroppo rosso, per rappresentare il Vesuvio in eruzione. Indossava un farsetto e un grembiule pulito (bianco). Tra i suoi attrezzi una dozzina di bottiglie con sciroppi di vari colori e una brocca per la limonata. Un sorbetto costava mezzo soldo. Nel secondo dopoguerra, invece, i subbrettari avanzavano su carrettini a pedale. Essi girovagavano per le piazze e le strade principali del comune.



     
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  9. gheagabry
     
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    Il cestaio


    Una volta non c’ erano le automobili o gli autocarri. Generalmente, specialmente in montagna, tutto veniva trasportato a dorso di mulo oppure caricato sulle proprie spalle. I recipienti dove deporre le varie masserizie erano fatti in vimini dalle abili mani del “caàgnì” (cestaio). Ceste, gabbie per polli, caàagne, gerle per portare il fieno prendevano forma, nei freddi giorni invernali, dal paziente lavoro del cestaio. Il materiale usato doveva essere molto flessibile; i rami più adatti erano i rami del pèndol (salice) oppure quelli di nocciola. Dopo essere rimasti in bagno per alcune ore i rami venivano scortecciati e quindi erano pronti per essere utilizzati nel lento intreccio che dava forma ai vari contenitori. I montanari, fin dalla più giovane età, venivano iniziati all’arte dell’intreccio. Durante le gelide giornate invernali, nel calduccio delle stalle, gli uomini di montagna riparavano o costruivano i vari recipienti in vimini. I più bravi diventavano cestai di professione e di mercato in mercato andavano a vendere il frutto della loro arte.





    Il fornaciaio



    Gli oggetti che anticamente venivano usati in cucina erano prodotti artigianalmente dai fornaciai, specialmente quelli che operavano a Grottole e a Matera. La materia prima utilizzata era l'argilla che, in zolle, veniva cavata dai calanchi o dai bacini lacustri delle nostre zone. La creta veniva lavorata e impastata pestandola con i piedi, compito affidato a ragazzi che venivano chiamati "pestacreta". Nelle fornaci si producevano mattoni, tegole per l'edilizia, cuch'm e zol' che si vendevano specialmente durante le fiere. Il vasaio portava il forno a temperatura elevata e per ricavare la terracotta , come combustibile usava la paglia di lino o fascine di rami di ulivo. Nei forni i mattoni si facevano cuocere per 24 ore e poi si sfornavano ed erano fatti raffreddare poggiati per terra. Un mattone di dimensioni di centimetri 20x30 costava circa 20 centesimi. Nelle fornaci, oltre ai mattoni, si fabbricavano anche i piatti e le pentole di terracotta. I piatti erano di dimensioni diverse ;solitamente nelle case si usava un unico piatto, la spas' in cui mangiava tutta la famiglia. La carne, i legumi, l'insalata, il lievito e la "cialledda" venivano riposti nel uar'vuattiedd'. Gli oggetti per contenere i liquidi erano: lu cuch'm', per l'acqua in terracotta beige, con la bocca stretta e due anse simmetriche sotto il collo ; la z'ledd', una brocchetta di terracotta verniciata, con la bocca che si restringeva a triangolo e con il collo largo; la zol', a forma di brocca con il collo dritto a cui erano attaccate due anse, che serviva per attingere l'acqua dalla fontana. Per arrotondare la misera paga, gli apprendisti, e non solo, modellavano i "cucù", una specie di fischietto, delle piccole sculture che raffiguravano pupe e gallinelle, uomini della legge, cesti di fiori o strane creature originate dalla fantasia dell'artista.




     
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  10. gheagabry
     
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    Il mietitore


    Un lavoro molto importante nella vita del contadino era quello della "mietitura" in cui venivano coinvolti tutti i componenti della famiglia.I lavori avevano inizio, generalmente, il 15 giugno, giorno di San Vito, quando il paese si affollava di traini con i quali si trasportavano fieno e covoni dai campi alle aie. Durante la mietitura venivano a Miglionico braccianti forestieri, i mietitori, (generalmente dalla Marin', cioè dalla Puglie) i quali si fermavano in piazza alla ricerca di un ingaggio. Lì passavano anche la notte, dormendo per terra con la testa poggiata su un fazzoletto colorato in cui mettevano pane, qualche indumento e i loro ditali di canne che servivano a proteggere le dita durante il taglio degli steli.Alla mietitura seguiva il lavoro della trebbiatura: le spighe venivano battute con delle pertiche, oppure si facevano girare i muli bendati intorno alle aie al rumore della frusta o al ritmo dei canti del contadino.Le aie erano costituite da spazi di terra battuta. I muli battevano gli zoccoli sulle spighe, guidati dal contadino che indossava un cappello di paglia per ripararsi dal sole cocente.Le donne e i ragazzi si alternavano con gli uomini nella guida dei muli. Nel pomeriggio si svolgeva il lavoro della "ventilazione", che consisteva nel separare il frutto dalla paglia. Il grano, l'orzo e la biada venivano accumulati in sacchi di tela e trasportati col traino a casa dove venivano versati in grandi casse di legno (l' casciun'), con grande soddisfazione del contadino.






    Il maniscalco



    Il maniscalco ( lu furruar') era l'artigiano che ferrava muli e cavalli, attività molto importante in un paese ad economia contadina contadina ...Egli, oltre a forgiare il ferro secondo la forma e la dimensione dello zoccolo, svolgeva altre funzioni: assisteva al parto degli animali, curava le ferite, "favoriva" la monta equina...Si serviva di pochi ed elementari attrezzi: martello, tenaglia, incastro che serviva a pareggiare l'unghia dello zoccolo, chiodi realizzati da lui stesso.Le prestazioni del maniscalco erano richieste in tutti i periodi dell'anno, in particolare nel periodo della trebbiatura in quanto gli animali dovevano essere ben preparati per il lavoro estenuante sull'aia.

     
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  11. gheagabry
     
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    Lo sconzapiatti


    Capitava spesso che pentole, recipienti e brocche essendo fragili, sottoposti agli urti, si rompessero. In questo caso non venivano gettati via, come accade oggi, ma riparati dal "conzapiatti", un artigiano ambulante che per annunciare il suo arrivo in paese e consentire alle massaie di approntare sull'uscio di casa le brocche da riparare, gridava a squarciagola: "U cunzapiott, è arrivato u cunzapiott! U' 'mbr'llar'!".Con un trapano rudimentale di legno ricuciva l'oggetto rotto: praticava dei fori e univa i cocci con un filo di ferro, spalmandoci sopra uno strato di cemento, restaurando così l'oggetto che riacquistava la sua funzione.Il tutto avveniva sotto l'occhio vigile delle massaie che cercavano di evitare ogni spreco. Terminata la prestazione si passava al compenso pattuito in precedenza che dipendeva dal numero dei fori eseguiti: generalmente negli anni 30-40 il conzapiatti esigeva un soldo per ogni foro (20 soldi corrispondevano a una lira). I tempi erano duri e non sempre la gente aveva la possibilità di pagare, sebbene si trattasse di pochi spiccioli. Alcune volte si era costretti a pagare in natura...Terminata la prestazione il conzapiatti riprendeva il suo giro nelle vie del paese, segnalando con vocalizzi la sua offerta che, il più delle volte, consisteva anche nella riparazione degli ombrelli.

     
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  12. gheagabry
     
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    Il lustrascarpe


    Ci sono alcuni mestieri che resistono al tempo, che continuano a esistere nonostante le tecnologie corrano. Uno di questi è il lustrascarpe..Un mestiere che, si dice, è nato nel 1806, quando un facchino lucidò gli stivali di un generale francese e ne fu ricompensato con una moneta d'oro. Di solito si immagina il lustrascarpe in giro con una bicicletta, mentre porta la sua scatola degli attrezzi con dentro spazzole e lucido, e infine sistema il pezzo di legno su cui far poggiare il piede del signore. Il suo lavoro era quello di togliere il fango e la polvere, passare le vernici e poi spazzolare.Un lavoro umile e povero ma pur sempre un lavoro dignitoso che ancora oggi, in qualche parte dell'America e non solo, esiste nella sua forma originaria.





    Il Mugnaio


    Utilizzavano l'acqua dei torreni, incanalandola in lunghi percorsi in muratura ("a prisa"), come forza motrice per far girare le grandi macine che servivano per trasformare in farina alimentare i cereali, i legumi prodotti nelle campagne. I paesi posti ai piedi delle montagne o nelle strette valli beneficiano di flussi di acqua continui, che muovevano anche le macine dei mulini. All'edificio del mulino l'acqua bisognava portarla, canalizzandola a partire, spesso, da grande distanza. Nel tratto finale una condotta forzata, quasi perfettamente verticale, conduceva, quando era necessario, l'acqua sulle pale del rotore posto sotto le macine del mulino. I proprietari, i massari, i contadini producevano grano, granturco e altri semi che dovevano essere macinati. Al mugnaio si pagava la "decima" sottraendola al prodotto macinato, o in denaro.



     
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  13. gheagabry
     
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    Venditore di scope


    Preparava le sue scope con il verbasco, e con una stuoia sulle spalle le portava a tracolla per venderle lungo le strade o nelle fiere la domenica. Sui pavimenti di terra, di cemento, o di mattoni questo tipo di scope erano insostituibili. Secondo una superstizione popolare le scope non erano ritenute propizie per i matrimoni durante il mese di agosto, quindi in questo periodo di magra per le vendite evitava di girare per i quartieri così che quando ritornava le comari erano molto ansiose nel rivederlo.







    Il cantastorie



    Una piazza, uno sgabello o una macchina come palcoscenico, uan chitarra o una fisarmonica, un cartellone dipinto a mano con grandi riquadri illustrati o un proiettore con diapositive per la scenografia: sono questi gli elementi, ogni volta diversi a seconda delle latitudini, dei tempi e delle opportunità, che fanno da cornice all’azione dei cantastorie. “Nati” intorno agli anni Venti del Novecento, sulla scia dei canzonettisti popolari, i cantastorie hanno accompagnato il corso della storia raccontandone i fatti salienti, le cronache, le biografie di personaggi illustri, i punti di crisi e di svolta. Il cantastorie è una delle figure più importanti della tradizione orale e della cultura popolare.. Si spostavano di piazza in piazza in tutti i paesi. Alla fine delle loro esibizioni avveniva la raccolta, con il classico cappello, delle offerte oppure c'era la vendita di dischi, con le loro storie. (dal web)



     
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  14. gheagabry
     
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    L'acconciaterraglie



    “L'acconciaterraglie è una figura completamente scomparsa e per spiegarla ai più giovani mi servirò di un classico della letteratura italiana "La Giara" di Luigi Pirandello. Chi non ricorda Zì Dima che entrato dentro la giara per ripararla vi era rimasto dentro? E' lui… era un riparatore di articoli di terracotta, incollava i cocci con mastice e fil di ferro e attraversando i paesi richiamava ad alta voce i propri clienti invitandoli ad affrettarsi.”







    Il Gallettaro



    Antico mestiere tipicamente stabiese che identifica il produttore della "Galletta" (un caratteristico sfarinato durissimo, simile ad un biscotto dalla forma tonda e schiacciata). La "Galletta", definita anche "Biscotto di mare", perché apprezzata e consumata già in epoca remota dai marinai, fu senz'altro prodotta con lo scopo di approvvigionare i velieri ed i mercantili per le lunghe traversate marittime. Un documento angioino risalente al 1283 relativo ad una commissione di gallette per l'armata navale, attesta l'antico nobile utilizzo di tal biscotto.

    Secondo la tradizione locale il "Gallettaro" otteneva il caratteristico biscotto, cuocendo l'impasto (privo di lievito e sale), per un tempo addirittura doppio rispetto al comune pane (l'operazione era richiesta per eliminare qualsiasi traccia di umidità, in modo tale di poter conservare la "Galletta" per lunghi periodi, senza pericolo di ammuffimento). Per il consumo era necessario ammollare la "Galletta" con acqua di mare (a quei tempi sicuramente meno inquinata), operazione essenziale per ammorbidire ed insaporire il biscotto (altrimenti insipido).





     
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  15. gheagabry
     
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    Venditore di fichi d'India




    Dopo la fine della guerra, la vita nel ritornare al suo tran tran naturale faceva affacciare i mestieranti della strada che portavano a domicilio il frutto delle loro iniziative praticate un giorno dopo l’altro per sbarcare in qualche modo il lunario. Erano per lo più dei ragazzi che trascinavano su carrettini di legno che avevano per ruote cuscinetti a sfera, cassette di fichi d’india che vendevano sia singolarmente, sia ad “appizzare”, una sorta di acquisto/lotteria che consisteva nel far cadere il coltello verticalmente con la punta in avanti sopra i frutti deposti nella cassetta per prelevarne tutti quelli conficcati sempre che non si sfilavano dalla lama che doveva restare sempre e comunque perpendicolare alla cassetta. Le prestazioni erano diverse con costi diversi. Per un numero illimitato di “appizzate”, fino a quando l’ultimo frutto sollevato non si sganciava dal coltello, vi era un prezzo, oppure si pagava per il numero di colpi che si desiderava effettuare.Il coltello era sempre di peso modesto, con la punta acuminata e a lama liscia, senza seghettature che potevano facilitare il cliente nell’asporto. Il coltello non sempre riusciva a penetrare nei frutti per cui il più delle volte si riusciva a prelevarne ben pochi. Quando non si riusciva a prenderne nemmeno uno il ragazzo ne offriva sempre qualcuno come consolazione per la perdita…Quando invece le cose andavano a sfavore del venditore sorgevano animate discussione sul modo con il quale si era riusciti a sollevare il coltello dalla cassetta con i frutti infilzati. (G. Ruocco )

     
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