DONNE...CONTROCORRENTE

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  1. gheagabry
     
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    La donna celtica cammina in pace,
    ma porta con sé, inosservate, le sue armi.
    Si considera come una parte della ragnatela del creato
    Ma anche una persona unica e degna di grande valore.
    Ama e rispetta la famiglia, gli amici, la comunità
    Ma trova ispirazione nella solitudine.
    Sa comandare, ma sa anche quando lasciarlo fare agli altri.
    Lavora per imparare, per insegnare, per condividere
    e mantenere i segreti, per cambiare restando uguale a se stessa,
    per essere umana e divina.
    Il pianeta ha bisogno di donne celtiche, che portino dentro di sé
    un inesauribile calderone pieno di forza interiore
    un utero da cui possa nascere un mondo nuovo e migliore.
    (Edain McCoy, Celtic Women Sprirituality)



    DONNE CELTICHE





    Nell’antica società celtica l’elite intellettuale era composta da druidi e druidesse dalle svariate conoscenze. La loro formazione durava circa vent’anni e consisteva nella memorizzazione di letteratura, poemi, storia, legge e astronomia.
    Spesso si è osservato che le fonti antiche non parlano di donne quali sacerdotesse o veggenti, fonti antiche che sono per lo più osservatori romani che paiono non far caso al ruolo delle donne celtiche nel potere tranne che nel caso di Tacito che finalmente nel I° secolo asserisce “i celti non fanno distinzione tra ruoli maschili e femminili”.
    Successivamente la leggenda ha mistificato molti dei ruoli femminili nella società celtica antica dando loro poteri mistici e stili di vita talmente straordinari da risultare alla fine troppo eccessivi per essere veri.
    Il risultato è che è molto difficile per noi oggi sapere se veramente queste donne avessero del potere o se fossero almeno druidesse.
    Donne come Boudica, Onomaris e altre donne di ruolo importante ma senza nome le cui tombe sono state trovate a Vix e Reinham mostrano che la donna celtica poteva avere anche più potere dell’uomo anche se le prove rimangono difficili da decifrare.
    E’ comunque accertato che il ruolo della donna era nettamente diverso da quello riservatole, nelle stesse epoche, da altre società. Ricoprivano qualsiasi ruolo, pare che donne-guerriero furono presenti tra i Celti fino al IX secolo poi furono bandite per legge, ma in alcune sepolture sono state trovate armi e armature; inoltre secondo la leggenda a istruire nelle armi Cu Chulainn fu una donna: Scathacht.



    La donna poteva ereditare, quindi se aveva possedimenti maggiori del marito diventava automaticamente capo famiglia. Poteva anche avere figli da uomini diversi senza alcun problema dato che la successione era matrilineare.
    Oltre all’esempio famosissimo di Boudicca, Plutarco nel “De mulierum virtute” cita altre due donne estremamente combattive: Chiomara e Camma.

    Chiomara regina-guerriera

    La regina Chiomara, moglie di Ortagion della tribù degli Tolistoboii è raccontata anche dallo storico Polibio il quale ci dice che la sua tribù era alleata dei galati contro lo strapotere di Roma nel periodo del 189 a. C. circa.
    Chiomara durante un combattimentimento venne catturata dai romani e successivamente rapita da un centurione il quale chiese un riscatto a Ortagion, avendo scoperto il rango elevato della donna.
    Lo scambio si svolse sulla riva di un fiume, ma mentre il centurione si abbassava per prendere l’oro Chiomara lo decapitò e donò la testa al marito sostenendo che fosse una buona cosa che fosse in vita un solo uomo in intimità con lei. Polibio sostiene di aver avuto una conversazione con lei a Sardis e ne sottolinea il buon senso e l’intelligenza.



    Camma

    Sempre Plutarco ci narra la storia di questa giovane; Camma era la giovane moglie di Sinatos, tetrarca della Galazia, famosa per la sua bellezza e la sua virtù, amava molto il marito e si dedicava completamente a lui. La sua bontà e la sua dolcezza la resero famosa e amata. Ciò che la rendeva ancor più famosa era il fatto che fosse una sacerdotessa di Artemide, divinità molto rispettata e venerata dai galati. Synoirx, lontano parente di Sinatos e tetrarca lui stesso, la vide e se ne invaghì e per poterla avere senza violenza pensò di ucciderle il marito. Senza lasciar passare troppo tempo chiese la mano di Camma che però si chiuse nel tempio a pregare e a pensare a come vendicarsi. Dopo molto tempo, molte preghiere e molte pressioni da parte di parenti e amici, Camma acconsentì a sposare Synorix.
    Lo fece chiamare per dichiararsi davanti alla Dea, lo accolse gentilmente e lo accompagnò all’altare dove li attendeva una coppa di idromele per suggellare l’unione; l’idromele però era avvelenato, preparato da lei stessa.
    Camma ne bevve una lunga sorsata e invitò Synorix a fare lo stesso e dopo che lui ebbe bevuto scoppiò in una risata isterica e si prostrò davanti alla Dea: “Mi sei testimone, è per vedere questo giorno che sono sopravvissuta alla morte di Sinatos, senza trovare nella vita nulla di buono che non fosse la vendetta. Ora che l’ho avuta, torno dal mio sposo.
    Per te, più esecrabile degli uomini invece che il talamo nuziale si preparerà la tomba”.

    Altre donne sono passate attraverso i filtri censori dei narratori, ma per lo più relegate nel mito come Fedelma druidessa e consigliera della regina Medb della corte di Connacht, la quale le predisse la vittoria su Cu Chulainn e le confermò i poteri di Scathach colei che aveva addestrato Cu Chulainn alle armi.

    L’introduzione della religione cristiana viene indicata dalla professoressa Margaret Minor come la fine dell’egualitarismo della società celtica.
    Le donne non poterono più avere alcun ruolo di potere e furono obbligate a “rientrare nei ranghi”
    “le donne druido furono ridotte, nelle storie antiche, al rango di figure demoniache simili alle streghe” (Ellis, Celtic women, p.221).



    La tomba trovata a Vix in Francia ha scatenato molte discussioni sul ruolo della donna nella società celtica. La tomba è datata tra il VI e il V secolo a.C. e se per alcuni è semplicemente la tomba di una principessa, altri hanno affermato essere una druidessa, è certo comunque, data l’opulenza dei reperti, che in effetti la donna avesse raggiunto alti livelli di autorità all’interno della sua comunità. Molti gioielli d’oro sono stati ritrovati indossati dalla donna e che erano segno, anche per le forze dell’altro mondo, che la persona era di elevato rango sociale. Ed è soprattutto per questa ragione che si potrebbe facilmente sostenere la teoria che fosse anche una druidessa di grande potere, tanto da doverlo esibire anche agli dei in una vita successiva.
    Nell’area di Vix successivamente sono stati ritrovati diversi altri tumuli eretti in onore di principesse (es. il tumulo di Sainte-Colombe), tutte riccamente agghindate con importanti gioielli, tanto da far dire al prof. Moscati che in alcuni casi risultano “persino più magnifiche di quelle della maggioranza dei capi guerrieri loro contemporanei” (I Celti – S. Moscati - Bompiani 1991).
    (Mikayla,celticword)




    Boudica (o Boadicea)

    Britannia 33? - 60-61?





    La storia di Boudica è documentata solo attraverso tre resoconti scritti che si possono considerare fonti ufficiali, uno dei quali è noto solo nella traduzione di 900 anni successiva. I primi due sono di Tacito (55 d.C. – 120 d.C.): l’Agricola, biografia del suocero composta nel 98 d.C., e gli Annali, di circa 15-20 anni dopo. La terza fonte è Dione Cassio (163 d.C.- 235 d.C.), e ci è pervenuta attraverso i compendi redatti a fini divulgativi nella seconda metà dell’XI secolo dal monaco Sifilino di Trapezunte (oggi Trebisonda).
    La sua vicenda si snoda intorno alla metà del I secolo, e il suo nome Boudica, secondo la storia, o Boadicea, secondo la leggenda, ha probabilmente origine dal gallese bouda, vittoria. Di stirpe reale, nel 49 d.C. è già sposa del re degli Iceni, popolo di origine celtica che vive nei territori che oggi corrispondono grossomodo al Norfolk e al Suffolk settentrionale. Questo popolo, già da un secolo spontaneamente sottomesso ai Romani, tenta una ribellione intorno al 49–50 d.C., senza ottenere alcun successo. Il re Prasutago riesce comunque a mantenere per il suo popolo la condizione di tribù semi-indipendente, ovvero di Stato satellite il cui capo aveva nei confronti di Roma diritti e doveri precisi. Morto nel 60, il re lascia le sue terre e i suoi possedimenti personali in parte all’imperatore di Roma e in parte alla moglie, che avrebbe dovuto curarne la tutela per le figlie. Probabilmente in questo modo sperava di garantire una successione pacifica.
    Ma per volontà del procuratore romano Cato Marciano, amministratore capo della provincia, vengono confiscati e annessi non solo tutte le proprietà ed il tesoro del re, ma anche quelli dei notabili e dei membri della corte: «tanto il regno quanto la casata furono saccheggiati quasi fossero bottino di guerra» (Tacito).
    Boudica protesta con forza: per tutta risposta, i Romani la umiliano esponendola nuda in pubblico e frustandola, mentre le giovani figlie vengono stuprate (Tacito). Purtroppo i nomi di queste due fanciulle ci sono ignoti. Gli storici danno spesso per scontato che una qualche provocazione da parte degli Iceni abbia preceduto la brutalità dei Romani nei confronti delle donne della famiglia di Prasutago. Ciò è possibile, data la naturale inclinazione degli Iceni alla ribellione, ma Tacito non ne parla. Anzi, specifica proprio quanto queste crudeltà abbiano indotto gli Iceni a prendere le armi.
    Così nel 60 o 61, mentre il proconsole romano Gaio Svetonio Paolino conduce la sua campagna contro i druidi dell'isola di Anglesey (Galles settentrionale), gli Iceni e i loro vicini, i Trinovanti, si ribellano sotto la guida di Boudica, furiosa per l'affronto subito e desiderosa di vendetta.
    Dione Cassio la descrive così: una gran massa di capelli fulvi che le scendono fino alla cintola, alta statura quasi spaventevole a vedersi, espressione feroce, voce straordinariamente aspra, una lancia in pugno per apparire ancora più terribile, vestita di una tunica di diversi colori e mantello fermato da una spilla.
    Il discorso che Boudica fa al proprio popolo è stato non poco maltrattato dagli storici e non vale la pena di riportarlo. È invece interessante il gesto che le viene attribuito alla fine del discorso, allorché libera una lepre che tiene nascosta tra le pieghe dell’abito, come una specie di presagio. La folla vede l’animale imboccare nella fuga la direzione propizia ed esplode in grida di giubilo, poiché evidentemente si tratta di un auspicio favorevole alla rivolta.
    Poi Boudica si rivolge a una dea «ti ringrazio, Andraste, e a te mi rivolgo come donna che parla ad una donna». Questa dea, della quale non sono note altre invocazioni, è probabilmente una divinità femminile delle popolazioni della Gallia sudorientale e una generica dea della vittoria venerata dai Britanni. Fatto sta che quando libera la lepre e invoca la dea, Boudica assume su di sé i ruoli di sacerdotessa, profetessa e condottiera; diventa, insomma, una figura di santa, armata, ispiratrice.
    Ecco dunque Boudica, regina e condottiera degli Iceni, piombare con il suo carro sulla sventurata Camulodunum, l’odierna Colchester, cittadina sorta circa 12 anni prima non come postazione militare, ma come insediamento di veterani dell’esercito. Poiché gli ex militari avevano cacciato gli abitanti delle “colonie” dalle proprie case e li avevano dichiarati prigionieri e schiavi, trattandoli molto duramente, c’era in quei luoghi grande risentimento nei confronti dei Romani.
    Fu l’apparente repentinità dell’attacco alla città indifesa a determinare le tragiche conseguenze, ma l’attacco dei Britanni non avrebbe dovuto cogliere i Romani di sorpresa né la città avrebbe dovuto trovarsi così completamente sguarnita. Il tempio sopravvive due giorni al saccheggio della città. Qui si erano rifugiati i veterani in un ultimo, disperato tentativo di resistere fino all’arrivo dei rinforzi, che non arrivarono mai. Sono state rinvenute armi e armature evidentemente da tempo fuori uso perché incrostate di ruggine, che quei vecchi soldati dovevano aver precipitosamente tirato fuori ed indossato. Il tempio sfarzoso viene raso al suolo ed incendiato, i veterani e le loro famiglie trucidati.
    Scrisse Dione Cassio «E, per giunta, questa rovina venne ai romani da una donna, fatto che causò loro la più grande vergogna».
    L'esercito ribelle incendia e rade al suolo anche Londinium (Londra), abbandonata a sé stessa da Paolino, il quale non ha sufficienti truppe per affrontare i ribelli. La stessa sorte tocca poi a Verulamium (oggi St. Albans).
    Riorganizzate le truppe, Paolino si scontra con Boudica nella battaglia di Watling Street (ubicazione non ancora identificata con certezza). Nonostante fossero inferiori di numero, i Romani, sfruttando la loro superiorità tattica sconfiggono i ribelli. Boudica non muore sul campo di battaglia, ma si suicida poco dopo, probabilmente avvelenandosi. Resta invece ignota la sorte delle figlie.
    E’ singolare che nella memoria di Boudica sia stato epurato il suo esser guerriera, la violenza che fu in grado di scatenare. Boadicea, come è giusto chiamarla ora in riferimento alla futura leggenda, viene spesso raffigurata come eroina partigiana di grande nobiltà d’animo, solo idealmente combattiva. Nelle figurazioni monumentali - quali quella sul ponte del Tamigi, proprio di fronte al Big Ben - appare sul temibile cocchio falcato (peraltro mai esistito), ma da quel cocchio non la vediamo mai scendere per metter fine, di persona, ad una vita romana.
    (Paola Busolo)




    E' da due grandi autori dell'antichità, lo storico latino Tacito, negli “Annali” e nell’”Agricola”, e lo storico greco Dione Cassio, nella “Storia romana”, sche possiamo ricavare informazioni riguardo alla regina-guerriera Boudica, la famosa donna che assommò in sé l’autentica cifra delle donne celte, ma , in generale, dello straordinario popolo dei Celti: la fierezza.
    Boudica (Vittoria), spesso erroneamente ortografata con due “c”, Boudicca, chiamata anche Budiga o Boadicea, di cui si ignorano le origini, probabilmente, però, nobili, era alta, bella, con lunghi capelli fiammeggianti, intorno al collo portava il torquis, la pesante collana celtica considerata simbolo di nobiltà e del legame con l’aldilà; coraggiosa e fiera, incitava gli uomini alla battaglia, spostandosi sul carro ( per i Celti simbolo di potere e poderosa arma di battaglia per la velocità e la notevole capacità di penetrazione in battaglia fra le schiere avverse).


    Era di statura imponente, dall’aspetto terribile, di sguardo lampeggiante ferocissimo e di voce glaciale; una gran massa di capelli fulvi le calava sulle spalle; intorno alla sua gola c’era una grossa collana d’oro e indossava una tunica di vari colori con sopra un mantello fermato da una fibbia. Questo era il suo invariabile abbigliamento.
    (Dione Cassio, “Storia romana”, 62.3-6)


    Boudica era la sposa di Prasutagus, re di una potente tribù, gli Iceni, le cui terre si trovavano nell’Inghilterra orientale, nelle odierne contee di Norfolk e Suffolk, che si era sottomesso all’imperatore Claudio. Quando Prasutagus morì, nel 60 d.C., senza eredi maschi, lasciò tutte le sue ricchezze alle due figlie e all'imperatore Nerone, sperando, così, di ottenere protezione per la sua famiglia, ed invece i Romani, per annettersi il regno, occuparono e saccheggiarono i suoi territori ed umiliarono la sua famiglia, picchiando la moglie e stuprando le figlie; allora Boudica si armò contro gli invasori.
    Il re degli Iceni, Prasutago, famoso per un’ opulenza che risaliva a molti anni, aveva lasciato come suoi eredi due figlie e l’imperatore, pensando che con tale atto d’omaggio egli avrebbe preservato il suo regno e la sua famiglia da ogni offesa. Accadde, tuttavia, il contrario, al punto che il regno fu devastato dai centurioni, la casa dei servi, come se si fosse trattato di preda di guerra. La moglie di lui, Budicca, fu bastonata e le figlie furono violentate…
    (Tacito, “Annali”, 14. 31)



    Budicca, portando sul carro dinnanzi a sé le due figlie, scorreva le file e a ciascuna delle genti alle quali si avvicinava dichiarava che era pur consuetudine per i Britanni combattere agli ordini di donne, ma che in quel momento essa non voleva vendicare, come discendente di nobili antenati, la perdita del regno e delle ricchezze, ma, come una donna qualunque, chiedeva vendetta per la perdita della libertà, per l’offesa recata al suo corpo fustigato, per il violato pudore delle sue figlie. Le brame dei Romani erano giunte a tal punto da non lasciare inviolati né i corpi, né la vecchiezza, né la verginità. Era pur giunta l’ora delle giuste vendette degli dei; la legione che aveva osato attaccare battaglie era stata tagliata a pezzi, gli altri stavano nascosti negli accampamenti, o spiavano la possibilità di una fuga. I Romani non avrebbero neppure potuto sopportare il fragore e le grida di tante migliaia d’uomini, e neppure la violenza degli assalti; se i Britanni avessero considerato la forza dei loro eserciti e le ragioni della guerra, avrebbero dovuto, in quella battaglia, o vincere o morire. Questo, lei, donna, aveva comandato a sé; gli uomini conservassero pure la vita e si piegassero a servire.
    (Tacito, “Annali”, 14. 35)


    … sotto il comando di Budicca, donna di stirpe regia (essi, infatti, nel conferimento del supremo potere non badano al sesso).
    (Tacito, “La vita di Agricola”, 1. 16)




    Desiderosa di giustizia, per lavare l’oltraggio subito, ed anche per ribellione contro le continue vessazioni dei Romani, Boudica organizzò un grande esercito, con il quale riuscì a cacciare i nemici da Camulodunum (Colchester) e a riprendersi Londinium (Londra) e Verulanium (St. Albans); ben presto, però, i nemici si riorganizzarono e riconquistarono il suo regno, falcidiando 80.000 dei 100.000 britannici (i Romani, invece, persero 400 uomini su 1.200).
    Costretta ad arrendersi, fu condotta in carcere, ma qui, pur di non sottomettersi ai nemici, si uccise, ingerendo del veleno.
    E la mitica regina guerriera, che tanto aveva colpito i due grandi autori latini per il coraggio “virile”, amata ai nostri giorni dalle femministe per l’ardente sete di libertà, considerata nei libri scolastici inglesi una delle eroine della patria, conosciuta come la prima regina d'Inghilterra, immortalata trionfante, insieme alle figlie, mentre guida il suo carro da guerra, in una statua in bronzo (eretta nel 1902, opera dello scultore Thomas Thorneycroft), che troneggia, oggi, sul Tamigi, a Londra, ai piedi del Big-Ben, all’estremità nord del ponte di Westminster, non ha mancato di regalare altre emozioni quando, nel 2004, nei dintorni di Hunstanton, a Norfolk, è stato ritrovata la seconda parte (la prima era stata ritrovata 40 anni prima) di una collana che gli storici ritengono appartenuta proprio a lei.





    Edited by gheagabry - 19/4/2012, 22:36
     
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