DONNE...CONTROCORRENTE

..nel mondo

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  1. gheagabry
     
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    « C'è chi dice sia un esercito di cavalieri,
    c'è chi dice sia un esercito di fanti,
    c'è chi dice sia una flotta di navi, la cosa più bella
    sulla nera terra, io invece dico
    che è ciò che si ama »
    (Frammento 16, incipit)


    Sappho_and_Alcaeus



    SAFFO ERESO (Lesbo)

    VII - VI secolo


    In un vaso attico del 430 è raffigurata una donna intenta a leggere un volume su cui compare il nome di Saffo. Attorno a lei un gruppo di persone ascolta.
    L’immagine fa pensare a una sorta di lettura pubblica e l’attenzione è grande. Come mai, ci si può chiedere, la scelta dell’artista che ha dipinto quel vaso è caduta su quel nome? Evidentemente si trattava non solo di un nome noto, ma anche di un nome amato. La predilezione per Saffo, protrattasi per molti secoli, fa sì che i suoi testi, anche se frammentari, siano giunti a noi. Di questa acquisizione dobbiamo ringraziare i frammenti papiracei, perché alla conclusione dell’epoca bizantina l’opera di Saffo risultava perduta.
    Saffo nacque probabilmente a Ereso, nell’isola di Lesbo, situata nel settore nord-orientale del Mare Egeo, ma trascorse gran parte della sua vita a Mitilene tra il VII e il VI secolo. Fu contemporanea del poeta Alceo, un suo compatriota che sicuramente la conosceva e la ammirava, dal momento che la apostrofa con queste parole «Saffo divina, chioma di viola, sorriso dolce come il miele« (I T58, fr.61). Proveniva da una famiglia aristocratica e proprio per tale motivo, a causa delle contese politiche che dilagavano nell’isola in quegli anni, fu costretta a trascorrere un periodo d’esilio in Sicilia. La famiglia era ricca ma si dice che i suoi beni fossero stati dilapidati dal fratello Carasso, che era stato irretito dalla cortigiana Dorica a Naucrati, in Egitto, dove si era recato per commerciare. Testimonianze di questa diceria possono essere ricavate dal fatto che in una preghiera di Saffo (di cui è rimasto un frammento) la donna invoca Afrodite e le Nereidi perché aiutino il fratello a fare ritorno a casa per la gioia degli amici, la rovina dei nemici e il conseguente recupero del rango che per nascita gli spettava.

    Sappiamo che Saffo ebbe un marito, Cercila di Andro, di professione mercante, e una figlia, Cleide. La tradizione dice che si uccise gettandosi dalla rupe di Leucade perché respinta dal giovane Faone. Quest’ultima notizia viene però confutata da due particolari noti, anche se difficilmente testimoniabili. Il primo fa riferimento al fatto che Faone era una figura mitica legata alla cerchia di Afrodite, che Saffo aveva trattato nelle sue opere. Il secondo è che Saffo era sospetta di omosessualità e che alcuni frammenti, recentemente publicati (I T50, fr. 94) lasciano trasparire che in lei l’ardore sentimentale fosse inferiore al piacere dei sensi. Della sua fine terrena non v’è documentazione, ma il fatto che in alcuni frammenti si legga del rimpianto di Saffo per la giovinezza ormai lontana, è possibile desumere che sia giunta a una certa età.
    Quello che è certo è che fu artisticamente prolifica. I grammatici alessandrini hanno sistemato la sua copiosa produzione in ben nove libri: odi in strofe saffiche, carmi in pentametrici eolici, asclepiadei maggiori, tetrametri ionici, epitalami in metri diversi. Saffo pur prestando grande attenzione alla forma riesce ad esprimersi con grande semplicità per manifestatre sentimenti intensi e coerenti. Esempio lampante di queste sue caratteristiche è l’ode di invocazione a Afrodite che ci è giunta completa (I T$), fr.1). In questa ode Saffo, sofferente per un amore non corrisposto, si rivolge alla dea per averne aiuto, come in altre occasioni. Si potrebbe dire che Saffo sia una psicologa dell’amore, pure le sue considerazioni sono espresse in modo da non turbare, ma addirittura da esaltare, il senso della bellezza. Il gusto del bello rintracciato anche nei dettagli dell’esistenza quotidiana potrebbe essere frutto della sua conoscenza della cultura orientale, facilitata dalla vicinanza geografica dell’isola di Lesbo con la Licia. L’amore per Saffo è un tormento, ma anche la manifestazione massima della gioia di vivere, che nello spirito greco si pareggia con il dolore innato al fatto di esistere.
    (Lia Del Corno)


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    Inno ad Afrodite

    « Afrodite eterna, in variopinto soglio,
    Di Zeus fìglia, artefice d'inganni,
    O Augusta, il cor deh tu mi serba spoglio,
    Di noie e affanni.

    E traggi or quà, se mai pietosa un giorno,
    Tutto a' miei prieghi il favor tuo donato,
    Dal paterno venisti almo soggiorno,
    Al cocchio aurato

    Giugnendo il giogo. I passer lievi, belli
    Te guidavano intorno al fosco suolo
    Battendo i vanni spesseggianti, snelli
    Tra l'aria e il polo,

    Ma giunser ratti: tu di riso ornata
    Poi la faccia immortal, qual soffra assalto
    Di guai mi chiedi, e perché te, beata,
    Chiami io dall'alto.

    Qual cosa io voglio più che fatta sia
    Al forsennato mio core, qual caggìa
    Novello amor ne' miei lacci: chi, o mia
    Saffo, ti oltraggia?

    S'ei fugge, ben ti seguirà tra poco,
    Doni farà, s'egli or ricusa i tuoi,
    E s'ei non t'ama, il vedrai tosto in foco,
    Se ancor nol vuoi.

    Vienne pur ora, e sciogli a me la vita
    D'ogni aspra cura, e quanto io ti domando
    Che a me compiuto sia compi, e m'aita
    meco pugnando. »



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    SEMIRAMIDE


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    Regina, donna d’armi, cavallerizza, conquistatrice di terre, governatrice. Semiramide fu la moglie del re assiro Shamsshiadad V (800 a.C. circa). Con lui cavalcò per la Babilonia e oltre; lottò al suo fianco, sempre.
    Morto il marito, Semiramide conquistò Egitto ed Etiopia. Reggente – in minore età – per il figlio Adad-Nirari III ebbe con lui rapporti incestuosi, a quanto dicono Giustiniano, Agostino di Ippona e addirittura Dante, che la colloca direttamente all’Inferno (Canto V), come emblema della lussuria. Boccaccio la condanna violentemente nel suo De Mulieribus Claris.
    L’unica testimonianza positiva su Semiramide è quella di Chiristine de Pizan, che in “La città delle donne” (XV secolo) scrive:

    « Semiramide fu una donna di immenso valore e grande coraggio nelle imprese e nell'esercizio delle armi. Fu sposa del re Nino, che diede il nome alla città di Ninive, e diventò un grande conquistatore grazie all'aiuto di Semiramide, che cavalcava in armi al suo fianco. Egli conquistò la grande Babilonia, i vasti territori degli Assiri e molti altri paesi. Questa donna era ancora molto giovane quando Nino venne ucciso da una freccia, durante l'assalto a una città. Dopo aver celebrato solennemente il rito funebre la donna non abbandonò l'esercizio delle armi, anzi più di prima prese a governare e realizzò tali e tante opere notevoli, che nessun uomo poteva superarla in forza e in vigore. Era così temuta come guerriera, che non solo mantenne i territori già conquistati ma, alla testa di una grande armata, mosse guerra all'Etiopia, contro cui combatté con ardimento, conquistandola e unendola al suo impero. Da lì partì per l'India e attaccò in forze gli Indiani, ai quali nessuno aveva mai osato dichiarare guerra, li vinse e li soggiogò. In seguito arrivò a conquistare tutto l'Oriente, sottomettendolo alle sue leggi. Oltre a queste conquiste, Semiramide fece ricostruire e consolidare la città di Babilonia,fece costruire nuove fortificazioni e grandi e profondi fossati tutt'intorno. »

    Per via dei costumi liberi e la società matriarcale, Babilonia è definita dall’Apocalisse “la Grande Meretrice”.
    Gaber la ricorda nella sua Corinna… Semiramide: “esempio di bellezza e sensualità”.



    Per descrivere l'avvento al trono di Semiramide nella sua Biblioteca historica Diodoro Siculo attinge da diverse fonti soprattutto Ctesia di Cnido che aveva fatto parte della corte persiana ed era perciò un testimone attendibile. Nel testo l'autore attribuisce a Semiramide come marito Nino, il fondatore del regno assiro e costruttore della città di Nino cioè Ninive (città delll'Assiria posta sul Tigri). Personaggio di cui però i testi cuneiformi non recano traccia collocando così la sua figura più al mito che alla storia.
    Ebbene si racconta che Semiramide fosse figlia di un adulterio e per questo abbandonata dalla madre. Trovata e allevata da pastori fu ceduta in sposa a un dignitario di Corte. Il re Nino colpito dalla sua bellezza offrì al marito la propria figlia Sosane affinché gli cedesse la moglie, ma avendo l'uomo rifiutato l'offerta il re minacciò di cavargli gli occhi. Preso dalla disperazione il marito impazzì e si suicidò impiccandosi. Si racconta poi che Semiramide alla morte del marito re fondò altre città, poi quando il figlio ordì un attentato alla sua vita, invece di punirlo gli cedette il potere e scomparve nel nulla al pari degli dèi.
    Altri storici (Ateneo) riferiscono ella fosse una bella etera di cui il re d'Assiria si fosse innamorato. Convinto il re a cedergli per cinque giorni il potere allestì una grande festa nella quale convinse i condottieri dell'esercito a seguirla tradendo il loro re che fu posto in prigione e lì dimenticato.
    Altri ancora ritengono fosse una principessa babilonese che giunta sul trono assiro, operò una politica di amicizia con Babilonia.





    LA REGINA di SABA


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    Con l'espressione antonomastica Regina di Saba ci si riferisce a una specifica sovrana del regno di Saba, citata nella Bibbia (nel primo libro dei Re e nel secondo libro delle Cronache), nel Corano e nel Kebra Nagast. Nei testi biblici e nel Corano non viene mai chiamata per nome, ma solo come Regina di Saba o Regina del Sud; per la tradizione etiope il suo nome era Machedà, mentre alcune fonti arabe la chiamano Bilqis (talvolta trascritto Balkiyis). Viene ricordata come regina ricchissima; nella Bibbia, fa visita a Salomone per metterne alla prova la grande saggezza. Secondo il Kebra Nagast, che racconta più estesamente delle vicende della regina, il sovrano etiope Menelik I era figlio di Machedà e Salomone. Da un punto di vista storico, la questione se la regina di Saba sia realmente esistita è controversa.
    La regina visse ad est di Sana’a, a Marib che era la capitale dell’antica Saba. Marib era situata nel punto in cui si incrociavano le carovane che trasportavano incenso in direzione del mar Rosso e l’intera regione con il passare degli anni, a causa dei fortunati e fiorenti commerci, prese il nome di Arabia Felix.
    Poche le tracce nella città per svelare il mistero che circonda la regina di Saba, se veramente è esistita si pensa che possa essere vissuta a Marib, al centro del deserto, circondata dallo splendore di grandi templi e palazzi.
    Sempre secondo la leggenda, la Regina regnava su un dominio di grande ricchezza, oggi questo non sembrerebbe possibile in una terra così desolata e arida. Fu costruito un grandioso sistema d’irrigazione che fece del deserto un giardino, l’acqua proveniva dalla grandiosa diga di Marib, lunga 640 metri ed alta 11 situata in pieno deserto in fondo allo Wadi Adhana.
    Gli archeologi hanno scoperto che la diga, di cui ancora è evidente la struttura, sia stata costruita nel sesto secolo avanti Cristo, cioè 400 anni dopo il leggendario regno di Saba, ma sono state scoperte tracce di una precedente struttura più antica di qualche centinaia di anni.


    La leggenda di Bilqis

    La maggior parte degli studiosi ritiene che il regno di Saba sia da collocarsi nello Yemen, ma della sua regina Bilqis, rimangono solo poche tracce. Narra la leggenda che un giorno re Salomone (che poteva parlare agli animali grazie ad un magico sigillo donatogli da Dio), chiamò a raccolta tutti gli animali. All’appello mancava solo l'upupa, che quando giunse si giustificò raccontando di essersi attardata in un regno nel cuore del deserto che aveva giardini fioriti e un grande trono d'oro e d'argento, tempestato di pietre preziose che apparteneva alla regina Bilqis. Incuriosito il re di Gerusalemme inviò una lettera alla regina di Saba invitandola nel suo regno. La sovrana accettò l'invito decidendo però di mettere alla prova la sapienza del re di cui tutti parlavano. Si fece
    precedere da un corteo di ambasciatori che portavano in dono sandalo, incenso, aloe e mirra, 500 lingotti d'oro e 500 d'argento. Il corteo era composto da 6000 tra fanciulli e fanciulle, gli uni vestiti con abiti femminili le altre con abiti maschili. In un cofanetto depose una perla non forata e una conchiglia con un foro tortuoso. Salomone doveva riuscire a distinguere i maschi dalle femmine, doveva rimanere impassibile davanti a tanta ricchezza e doveva trovare il modo di
    perforare la perla senza toccarla e passare un filo nel foro della conchiglia.
    Per prima cosa il re fece dipingere d'oro e argento i mattoni della sua reggia in modo da sminuire le ricchezze portategli in dono, poi quando giunse il corteo, invitò i giovani a rinfrescarsi e
    lavarsi nella grande vasca: stanchi del viaggio si gettarono nell’ acqua, che rivelò le loro vere identità. Quindi, aiutato dagli animali suoi amici, convocò un tarlo per perforare la perla e un bruco che, contorcendosi, infilò un capello nel foro della conchiglia. Quando la regina di Saba giunse a corte rimase incantata, sia per la splendida città dipinta d'oro e argento, sia per l'arguzia del suo re. Salomone, dal canto suo, per l'arrivo della sovrana fece posizionare delle lastre di cristallo sul pavimento del palazzo, creando uno strano effetto ottico: chiunque ci passasse sopra credeva fosse acqua. Anche Bilqis, vedendo i riflessi cadde nell'inganno, alzò le vesti e mostrò le
    sue gambe maschili, villose* e il suo piede caprino**.
    Durante la sua permanenza la regina di Saba mise più volte in difficoltà re Salomone con enigmi d'ogni sorta. Una volta tornata nel suo regno, Salomone prese a far visita alla bellissima regina ogni mese, fermandosi da lei per tre giorni, e coprendo la distanza nella sola mattina tanto
    era veloce il re e forte il richiamo della sua amata.

    *Secondo la versione araba quando Salomone s'accorse di questa imperfezione chiamò i Jinn, i demoni che lo assistevano, e chiese il loro aiuto. Questi prepararono una pasta di gesso da utilizzare per la depilazione. **Si racconta che la madre di Bilqis, incinta, vedendo una capra esclamò:
    "che bella capra ! che bei piedi!".
    Fu così che ella partorì una figlia con un piede umano e uno zoccolo caprino. Secondo la leggenda quando la regina giunse al cospetto di re Salomone e sollevò la sua veste inciampò in un legno miracoloso e il suo piede caprino si trasformò in piede umano.


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    Dall’unione del re Salomone con la regina, fu concepito Menelik, il cui significato intrinseco è “Figlio dell’uomo saggio” che portava nel sangue le tracce di una ascendenza divina e che sarebbe stato il capostipite di una stirpe salomonica; da qui nasce il fatto che gli Etiopi siano una un popolo eletto. Menelik, cresciuto e divenuto re, fece proprio il simbolo del leone di Giuda che innalzò a simbolo del proprio regno. Divenuto adulto, volle far visita al presunto padre Salomone e quando fece ritorno ad Axum, trafugò o gli fu affidata, l’Arca dell’Alleanza.
    Essa non arrivò con Menelik ad Axum, ma impiegò qualche secolo dopo un lento peregrinare in terra d’Egitto. Questo avvenimento è ricordato con i lenti ed esasperanti riti che la Chiesa Copta etiopica celebra in onore dell’Arca in occasione di Ghenna e Timkat che sono il Natale e l’Epifania del rito copto. Le feste di celebrazione di queste due ricorrenze fanno rivivere lo splendore di quelle che furono le corti di Gerusalemme ed di Axum.



    Nelle valle delle tombe..la tua bellezza distesa
    sulla sabbia morbida di un deserto immortale
    Ogni granello di sabbia conserva il tuo profumo
    Bellezza immutevole nella dolcezza di un tempo
    trafitto dalla leggenda
    E tu, solo tu, accanto a me
    con il tuo candore nella seta dell'amore
    vesti i miei sogni
    (Elia Ria)


    NEFERTARI


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    Il tempio di Abu Simbel, in Nubia è l'enorme monumento, eretto da Ramses II, il grande faraone che resse le sorti dell'Egitto durante il regno nuovo per ben 67 anni, dal 1292 al 1225 a.C.. Oltre a proclamare la sua gloria, testimonia in maniera inconfutabile e imperitura il grande amore e l'immenso rispetto che lo legarono a Nefertari, la prima sposa reale, la "padrona" della stupenda tomba che i recenti restauri hanno permesso di riaprire al pubblico nella valle delle Regine, a Luxor.

    Era bellissima, la potente Nefertari, e tale la ritrassero gli artisti reali: alta, sottile con lunghi capelli neri. Come la maggior parte delle principesse reali egizie. Ma a distinguerla dalle concorrenti e a sottolinearne il fascino, Nefertari ebbe dalla sua un carattere e una determinazione inconsueti per le donne del suo tempo, avvezze sì a una certa indipendenza, ma tenute per lo più lontane dalla politica e dalle decisioni di corte. Fu lei invece la prima a prendere parte attiva alla lunga trattativa di pace con gli Ittiti, gli eterni nemici che insidiavano i confini dell'estesissimo Impero dei Faraoni in Asia Minore. E lo dicono senza ombra di dubbio i documenti dell'epoca giunti intatti sino a noi.
    Scrive Nefertari:

    Da me tutto bene, nel mio paese tutto va bene, che tutto possa andar bene da te, sorella mia; possano il dio Sole d'Egitto e il dio della Tempesta di Hatti portarti gioia. I1 dio Sole faccia sì che la pace sia buona fratellanza al Gran Re di Hatti.

    E le speranze di pace di Nefertari inducono lei stessa a proporre a Pudukhepa di inviare a Tebe una delle principesse reali sue figlie perché questa entri a far parte dell'harem del Faraone, cementando così l'unione e la fratellanza fra i due popoli. E la proposta non deve stupire. Nefertari, al ventunesimo anno di regno del marito Ramses, era già una potente e tranquilla dama più vicina ai quaranta che ai trent'anni di età, a cui certo non doveva far ombra l'arrivo di una nuova principessa da aggiungere alla lista già lunga (Ramses ebbe otto consorti legittime) delle spose reali. Da tempo lei aveva consolidato il proprio potere, mettendo in ombra persino Tuya, la madre amatissima di Ramses II. Durante il regno di Sethos, il padre, la regina Tuya era stata la sua fedele sposa e compagna, ma certo non aveva avuto un ruolo preminente negli affari pubblici. Lo ebbe invece con il figlio Ramses II, che le tributò straordinari onori (fra le sei enormi statue che ornano il tempio di Abu Simbel, dedicate tutte a Ramses e a Nefertari, una rappresenta anche Tuya, sebbene sia posta in una posizione di minore importanza). Anzi, per sottolineare l'origine divina della propria regalità, il Faraone fece costruire a Tebe un tempietto dedicato proprio a Tuya, sulle cui pareti è illustrata la teoria secondo la quale era stato lo stesso dio Amon a fecondare Tuya, sostituendosi e incarnandosi nel corpo terreno del padre Sethos I. Insomma Tuya sarebbe stata amata nientemeno che dal sommo degli dei egizi e dalla loro unione avrebbe tratto origine Ramses. E non ci vuole molto a comprendere con un simile onore alle spalle, quanto grande fosse il potere a corte della regina madre, soprattutto durante i primi vent'anni di regno di Ramses II. Ma, nonostante questo Nefertari, la bella fra le belle, com'è indicata in uno scritto ebbe nel cuore del Faraone un posto di assoluta preminenza. Tanto da offuscare l'altra sposa reale, Istnofret, che pure divise a lungo il letto di Ramses II e gli diede numerosi figli.

    A paragone di Nefertari, chiamata ad apparire in pubblico al fianco del Faraone nelle occasioni ufficiali e nelle cerimonie religiose, la figura di Istnofret appare ai nostri occhi come sfuocata: nessuna statua la ritrae e in suo onore non furono costruiti templi. Anche se proprio da lei, la sposa dimenticata, nacque l'erede al trono d'Egitto. I figli di Nefertari, infatti, non ebbero grande fortuna: dal primogenito Amenhiruonmef, che morì in giovane età, ai suoi fratelli minori, che si spensero tutti fra i 20 e i 30 anni. Così fu che il principe Meremptah, il tredicesimo figlio nato da Istnofret, divenne l'erede del Faraone e gli successe sul trono, quasi per una postuma rivalsa della sposa che il grande Ramses aveva dimenticato.
    Nonostante gli sviluppi successivi della storia d'Egitto, è impossibile negare la chiara preminenza di Nefertari fra le dame di palazzo. Lei sola accompagnò Ramses a Tebe nel primo anno del regno e già a partire dal terzo la sua immagine iniziò ad apparire accanto a quella del sovrano nelle scene incise sulla facciata posteriore del nuovo grande pilone del tempio di Luxor, mentre una sua statua elegantemente scolpita nel granito, era collocata per ordine del Re nel cortile anteriore del tempio stesso. Il nome di Nefertari compare anche a Karnak, ma il più grande onore le fu tributato proprio nella lontana Nubia, in quell'imponente tempio di Abu Simbel, che già abbiamo ricordato, dove la regina appare tanto quanto il suo regale consorte. Soltanto sul muro di fondo del sacrario interno Ramses II ha infine la precedenza ed è raffigurato da solo nell'atto di compiere un sacrificio alla dea Hathor. Nefertari ebbe comunque il privilegio di avere un tempietto lì vicino, completamente dedicato a lei: un'attenzione e un omaggio supremi, che soltanto il faraone Amenophis III aveva avuto per la sua sposa Tiyi. E' intorno al ventiquattresimo anno di regno di Ramses che Nefertari coglie questo altissimo onore: i due templi di Abu Simbel sono finalmente terminati ed è giunto il momento di inaugurarli. Con ogni probabilità durante il mese di febbraio del 1255 a.C. la flotta reale salpa verso sud. Il Re e la Regina sono accompagnati dalla principessa Meryetamon e dal vizir Heqanakt oltre che da un vasto seguito di dignitari.

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    E' l'alba quando, attraccata la flotta reale, si dà inizio alla cerimonia. Il sole sorge lentamente dalle colline orientali e valica il fiume, finché i suoi potenti raggi arrivano a lambire la facciata del tempio e a dare per un attimo l'illusione della vita alle grandi statue che ne ornano la facciata. E' questa, secondo la convinzione dei sacerdoti, l'unione mistica con il disco solare: i raggi dell'astro, sfiorando la materia inerte, le danno per un istante l'illusione dell'esistenza e fanno brillare i colori di un incredibile splendore.

    Sotto la luce che avanza, l'una dopo l'altra vengono spalancate le porte del tempio, sinché i raggi, affondando per 60 metri nelle viscere della roccia, giungono al fondo del sacrario. E baciano la statua del Faraone e di Nefertari. Ma la regina, come lasciano intendere alcuni scritti, non può assistere a questa straordinaria cerimonia. Stroncata dal lungo viaggio, è costretta a restare a bordo della nave reale sotto la sorveglianza dei medici. Anzi, anche se i documenti non permettono di formulare questa ipotesi con sufficiente certezza, è proprio di ritorno dalla spedizione che ne sottolinea e consacra l'importanza sulla scena politica egizia che Nefertari si ammala gravemente e muore. Ramses II, affranto, l'accompagna, con il fasto che si confà a una regina del suo rango e della sua statura, all'ultima dimora. Quella stessa tomba che oggi, con reverenziale rispetto, i turisti possono di nuovo ammirare per inchinarsi ancora una volta dinanzi alla bellezza e al potere della grande sposa reale. E forse il loro ammirato omaggio, secondo le credenze antiche, andrà ad alimentare lo spirito di Nefertari, il suo "Ka", in modo che la più grande delle regine d'Egitto possa vivere e regnare in eterno.
    (spazioinwind)



    La sua origine è tuttora incerta, qualcuno sostiene che fosse originaria della regione di Tebe e che non fosse di sangue reale, altri, invece, fanno risalire la sua parentela e la sua bellezza a Nefertiti, in quanto entrambe considerate figlie di Ay, penultimo faraone della XVIII dinastia e quindi, secondo questa ipotesi, erano sorelle.
    Pare che le nozze con Ramesse II fossero state celebrate da sei a otto anni prima dell’ascesa dell’imperatore.
    Nefertari è sempre apparsa accanto a Ramesse II ed era molto amata da tutti, lo si comprende dagli appellativi che riceveva: ''Sposa del Dio'' ''Signora delle due terre'' ''Madre di Dio'' e ''Sovrana dell’harem''.
    Il suo nome significa ''la migliore'', ''la più bella di tutte'', ma fu anche chiamata ''quella che possiede grazia, dolcezza e amore e che occupa un posto speciale nel tempio di Amon''.
    Nefertari diede a Ramesse II, oltre al primo figlio, anche il terzo, l’undicesimo, il sedicesimo e la quarta e quinta figlia. (Ramesse ebbe più di duecento figli e figlie e visse più di 90 anni).
    Nefertari morì giovane, circa sui quarant’anni. Aveva un ruolo molto importante nel regno sicuramente per la sua intelligenza, la sua determinazione, volontà e non ultima la sua bellezza.
    Aveva anche un ruolo diplomatico non indifferente e lo si deduce dalla lettera di auguri alla regina Ittita Pudukhepa.
    Ramesse II le dedicò un tempio ad Abu Simbel e si leggono queste parole in una iscrizione: ''Alla regina prima sposa reale Nefertari Mert-en Mut, per la quale brilla il sole''. Il significato di Mert-en-mut (aggiunto probabilmente dalla stessa Nefertari) vuol dire: ''Colei che è amata dalla dea Mut'' (Mut era la consorte del dio di Tebe Amon).
    La bellezza di Nefertari era sorprendente e lei svolgeva il ruolo di essere la controparte del Faraone nella creazione e nel sostegno del mondo cosmico. Ad Abu Simbel la regina venne vista per l’ultima volta ed era in occasione del viaggio di Ramesse II per celebrare la fine dei lavori di costruzione dei templi. Da allora di Nefertari si perde ogni notizia e, fino agli inizi del secolo scorso, neppure la sua mummia viene ritrovata. A scoprire il sepolcro di Nefertari, che si trova nella valle delle regine, è Ernesto Schiapparelli nel 1904. La sua tomba è piccola in confronto a certe tombe della valle dei re che sono di dimensioni imponenti. «Vi si accede attraverso una scala che porta verso la prima anticamera. La tomba arriva ad una profondità di circa 12 metri all’interno della roccia calcarea ed è divisa in sette spazi architettonici di diverse misure e destinati a funzioni diverse, divisi in due parti unite da una scala» (Fondazione Memmo, Nefertari luce d’Egitto, pag. 27). Un tempo la tomba era interamente coperta da dipinti, ora in buona parte (circa il 20%) spariti. Il tutto è espressione della vita oltre la morte: i sarcofagi, il libro dei morti, le statue. Gli Egiziani rappresentavano perfettamente l’ambiente del defunto, proprio per permettergli di continuare la stessa vita nell’aldilà. Nelle tombe vengono rappresentati anche gli oggetti di vita quotidiana, i capi di abbigliamento. Nel libro dei morti erano raccolte le formule magiche che avevano lo scopo di far fronte a qualsiasi pericolo si fosse presentato nell’altra vita. I bellissimi dipinti nella tomba di Nefertari hanno lo scopo di facilitare il viaggio della regina verso la resurrezione e la vita eterna. Ciò che colpisce nella sua tomba è il fatto che la regina appare sempre da sola nel suo viaggio verso l’aldilà, viene accompagnata dalle divinità, ma non c’è il faraone Ramesse II, che compare solo nel titolo principale della regina ''La grande sposa del re''. Manca anche il suo cartiglio, mentre in altri templi la regina è sempre a fianco del faraone.
    L’età della morte di Nefertari probabilmente è intorno al 1255 a.c. Nella tomba non ci sono riferimenti ai suoi figli e non ci sono immagini che richiamino alla memoria la vita terrena della regina. Il tutto è proteso verso l’aldilà, verso la vita ultraterrena. Vengono riprese le iscrizioni geroglifiche del libro dei morti e si ripetono le formule che assicurano la salvezza. «I testi e le immagini si basano sui miti relativi alla morte e alla resurrezione di Osiri, il dio della fertilità, del sole e dell’oltretomba» (op.cit pag 73). Nella tomba vengono raccontati gli incontri di Nefertari con gli dei, presentando una visione religiosa del mondo.
    La camera funeraria della regina, scoperta da Schiapparelli, era stata saccheggiata dai ladri e rimanevano solo pochi resti: «Il coperchio, ridotto a tre quarti circa, del sarcofago esterno in granito rosa del quale si rinvennero abbandonati sul pavimento della sala medesima tre grandi e molti piccoli frammenti, alcuni frammenti di legno rivestito di foglia d’oro, pertinenti probabilmente al sarcofago interno e pochi elementi, non tutti integri, del corredo, in tutto 34 “ushabti”: statuine funerarie di colore nero perché ricoperte da una sostanza resinosa scura, una specie di bitume e considerata dagli Egizi una sostanza divina, capace di proteggere l’oggetto e garantirgli la possibilità di vivere nell'Aldilà (op. cit. pag. 194), due coperchi di cofanetti e altri elementi di mobilio, una statuetta lignea di ibis modellata assai finemente, che purtroppo manca del capo e delle zampe, alcuni vasi, in gran parte frammentari, porzioni di tessuti e di corde, e un paio di sandali di fibre vegetali realmente usati dalla sovrana. Al suo corpo appartengono forse i resti mummificati di due gambe rinvenuti ancora in situ. Chiuso in una nicchia nella parete di fondo della sala del sarcofago si rinvenne un amuleto ''djed'' di finissima fattura».
    (tratto da NEFERTARI: LUCE D’EGITTO, Leonardo Arte , Baioni Stampa, Roma. Ottobre 94)



    In una pittura rinvenuta nella tomba di Nefertari, la regina è raffigurata davanti ad una pagina del libro dei morti. Nella tomba l’immagine è abbastanza estesa sulla stessa parete e si nota anche Nefertari mentre si rivolge ai tre geni della prima porta del regno di Osiri (cap. 144 del regno dei morti): Sekhed-her-‘asha-iru, seguito dal guardiano Tekat-meseger e da un essere femminile con la testa di ippopotamo che impugna due coltelli e da un’altra figura femminile (si tratta del terzo genio detto ''l’annunciatore'') senza caratteristiche specifiche.
    Il testo riferito alla regina dice: ''La grande sposa del re, Signora delle due Terre, Sovrana dell’Alto e del basso Egitto, Nefertari Mery-en-Mut, giustificata presso Osiri, il dio grande, protezione, vita, durata, vigore, salute, ogni gioia, ogni difesa, come Ra''. In tutta l’immagine della parete sono riportati i passi del capitolo 144 del libro dei morti riguardanti le porte del regno di Osiri, come specifica l’inizio dell’iscrizione: ''Formula per conoscere le porte del regno di Osiri nell’occidente e degli dei che risiedono nei loro recessi (i geni delle porte): come uno si potrebbe rivolgere a loro nel mondo terreno. Parole dette dall’Osiri, la Grande Sposa del Re, Signora delle due terre, Nefertari Mery-en-Mut, giustificata presso Osiri''. (Op. cit. pag. 154)
    (LEBLANC C, SILIOTTI A., Nefertari e la Valle delle regine, Giunti, Prato, 2002)



    Eccola, guarda,
    è come la stella luminosa
    all'inizio di una bella annata.
    Lei, che risplende di perfezione,
    brillante di pelle,
    con occhi belli quando guardano
    e labbra dolci quando parlano,
    non ha mai una parola di troppo.
    Alto il collo,
    il petto chiaro,
    capelli come lapislazzuli,
    braccia che superano lo splendore dell'oro,
    dita che assomigliano ai boccioli di loto,
    languide le reni,
    sottili le anche.
    Fa in modo che ogni uomo
    si volti a guardarla...
    (Anonimo Egiziano, XVI-XI sec. a.C.)



    Edited by gheagabry1 - 29/1/2023, 02:29
     
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