GIOCHI DA TAVOLO ed ENIGMISTICI nel mondo

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    GLI SCACCHI



    I giocatori di scacchi che accettano il veto che a lungo è stato posto a temi quali la religione o la politica, possono aggiungere la storia degli scacchi a questi argomenti. Ancora oggi infuria la polemica sulle origini di questa disciplina. Scrittori e teorici hanno variamente attribuito l'invenzione degli scacchi a quasi tutte le antiche civiltà africane, asiatiche ed europee, mentre alcuni arrivano a sostenere che le origini possano addirittura risalire alla nascita dell'umanità. Alcune teorie attribuiscono a personaggi singoli l'onore dell'invenzione; l'elenco dei presunti inventori è arrivata a includere (insieme a una delle loro effettive `invenzioni'): Adamo (il peccato), Ermes (la lira), Palamedes (l'abitudine di mangiare tre volte al giorno), la Regina Semiramis (la fondatrice di Babilonia), Re Salomone (la giustizia) e Aristotele (la metafisica).
    Non solo nessuno di questi individui ha inventato gli scacchi, ma nessuno di loro vi giocò mai.
    Giochi con somiglianze superficiali agli scacchi sono esistiti per migliaia di anni e sono stati dipinti, per esempio, sulle tombe degli antichi egizi. Ma queste similitudini sono con ogni probabilità dovute al caso. Non è ancora stato provato alcun legame diretto tra gli scacchi e questi giochi, né probabilmente lo verrà mai.


    Il nome originale del gioco fu chaturanga (letteralmente "diviso in quattro"), dalle parole in sanscrito chatur, che significa "quattro", e anga, che significa "parti". Il nome fa riferimento alla divisione delle quattro armate - fanteria, cavalleria, carri ed elefanti. Questa prima forma di scacchi veniva giocata sull'ashtapada (letteralmente "a otto piedi"): una scacchiera di 64 quadrati.
    L'aspetto "quadripartito" della parola sanscrita in riferimento al gioco è stato spesso travisato, ed è così che si credette che nella forma originale fosse un gioco per quattro persone. Ci sono prove di una versione a quattro partecipanti del gioco degli scacchi, ma questa sarebbe stata solamente una variante della versione originale e non fu mai particolarmente popolare.
    Gli scacchi a quattro, comunque, sembrano non essere mai usciti dai confini dell'India. È importante notare che chaturanga era una parola che faceva riferimento direttamente agli eserciti indiani; solo in seguito agli scacchi. Così anche la parola ashtapada esisteva già dal secondo secolo d.C.. Questo significa che, nella forma originale, gli scacchi erano esplicitamente considerati un gioco di guerra, avendo preso il nome direttamente dalle armate.
    Poiché una partita a scacchi veniva affrontata su una scacchiera già da lungo utilizzata per diversi giochi nel corso dei secoli, molti teorici hanno convenuto nel credere che gli scacchi stessi fossero molto più vecchi di quanto non siano in realtà.
    Quale ruolo specifico abbia avuto l'ashtapada nello sviluppo degli scacchi non è dato sapere. Una possibilità è che fosse utilizzata per giochi totalmente diversi dagli scacchi e che la sua introduzione in questa disciplina fu una vera innovazione. Un'altra teoria sostiene che l'ashtapada sia sempre stata associata a qualcosa di simile agli scacchi, ma del quale non sappiamo nulla. Altri sostengono che essa fu inizialmente utilizzata per propositi astrologici e solo gradualmente introdotta come scacchiera. II primo riferimento agli scacchi nella letteratura sanscrita giunta fino a noi appare nel 625. Il poeta Bana elogia il sovrano indiano Harsha, che regnò dal 606 al 647; Bana descrive questo Re di Kanauj quale principe di pace, notando che nel suo regno le uniche guerre combattute erano quelle tra le api in cerca di polline, gli unici piedi mozzati erano quelli in letteratura e le sole armate erano quelle mosse sui 64 quadrati.

    Gli scacchi si spostarono nel mondo islamico dalla Persia probabilmente nel periodo tra il 650 e il 750. È proprio dal mondo islamico alla metà del 9° secolo che provengono le prime testimonianze documentate sull'esistenza della teoria scacchistica. Nell'anno 988, lo scrittore Ibn an-Nadim nomina numerosi giocatori che avevano scritto libri sul gioco degli scacchi. Durante questo periodo, molti autori non solo contribuirono all'apprendimento della teoria scacchistica, ma si diedero un gran da fare per trovare una giustificazione morale per questo gioco: dal momento che non era menzionato nel Corano, il suo stato religioso era incerto.
    I sostenitori degli scacchi lo elogiavano nella speranza che non fosse inserito nella categoria delle attività bandite, come il gioco d'azzardo. I pezzi in questo periodo erano generalmente non rappresentativi, in quanto la pratica musulmana non permetteva l'uso di immagini. I poeti islamici scrissero sugli scacchi e utilizzarono le idee scacchistiche come metafore. Al-Farazdaq compose un poema che conteneva riferimenti a1 basso livello sociale dei pedoni: "Li tengo lontano dalla tua eredità e dalla corona reale, cosicché, ostacolato dalla mia armata, tu rimanga un pedone tra i pedoni".
    Gli scacchi penetrarono nell'Europa occidentale attraverso il mondo arabo, prima della fine del primo millennio. Di conseguenza, l'Europa divenne la più fertile zona per lo sviluppo degli scacchi nel secondo millennio. Non si sa se gli scacchi siano giunti prima in Spagna o in Italia; é anche possibile che siano arrivati in entrambe le nazioni più o meno contemporaneamente. Il primo documento scritto europeo che fa riferimento al gioco degli sacchi risale a poco prima dell'anno 1000; ma non è chiaro se gli scacchi fossero un gioco nuovo o se facessero già parte della cultura dell'Europa occidentale del secolo precedente. Fin da quando gli scacchi appaiono regolarmente nella letteratura europea, spesso sono state fatte ipotesi sulle loro origini: una storia diffusa nella letteratura medievale narrava per esempio che gli scacchi fossero nati durante l'assedio di Troia per vincere la noia. Fu in Europa che le pedine subirono la trasformazione da disegni astratti a forme rappresentative. Tra i vari pezzi importanti, in quanto costituiscono prove dell'esistenza degli scacchi in epoca medievale e ci dicono che forma rappresentativa assunsero, i più celebri sono quelli detti Lewis Chessmen. Scoperti nel 1831 nell'isola scozzese di Lewis, questi 78 pezzi - parte di quattro serie incomplete - sono datati intorno al 12° secolo. Sono ricavati dall'avorio di tricheco e, probabilmente, originari della Scandinavia. Attualmente si trovano tutti al British Museum o al National Museum of Antiquities, in Scozia.
    Dopo aver raggiunto l'Europa, gli scacchi si diffusero rapidamente: già all'inizio del 13° secolo avevano conquistato il continente. Uno storico degli scacchi descrisse la loro diffusione con queste parole: "dall'Indo all'Atlantico e dal Sahara all'Islanda". In epoca medievale gli scacchi furono così popolari da soppiantare tutti gli altri giochi. L'irlandese "fidchell" e il gallese "gwyddbwyll" furono tra i giochi che non sopravvissero all'introduzione degli scacchi e ancora oggi sappiamo poco di loro. La vittoria degli scacchi fu così netta che i pochi riferimenti a questi giochi furono spesso tradotti nelle altre lingue con il medesimo termine di "scacchi". Tra i primi a giocare a scacchi in Europa furono gli ecclesiastici. Ci sono molti documenti che testimoniano il bando della chiesa nei confronti degli scacchi, ma chiaramente questo bando fu inefficace. Verso i1 14° secolo, uno scrittore cristiano condannò un giocatore solamente per aver peccato di orgoglio nel voler giocare bene a scacchi, senza tuttavia condannare il gioco in sé. Dalla Chiesa, gli scacchi si spostarono alla nobiltà. Già nel 12° secolo un elenco delle attività preferite dai cavalieri annoverava gli scacchi in un elenco comprendente l'equitazione, la caccia col falco e lo scrivere versi. Spesso gli scacchi venivano legati a scommesse di natura economica, come per molti passatempi dell'epoca. Una delle forme di vittoria più comuni in età medievale era chiamata "re nudo", quando cioè venivano catturati tutti i pezzi all'infuori del re. Questo è documentato da vecchissimi registri delle scommesse, dove appariva come questo tipo di scaccomatto, relativamente difficile, pagasse doppio.
    Gli scacchi, come molti altri giochi e passatempi, venivano regolarmente menzionati nella letteratura di questo periodo, con due amanti che si incontravano durante una partita a scacchi, per esempio, come elemento comune a molte storie. Ma la letteratura scacchistica medievale è degna di nota soprattutto per l'utilizzo delle allegorie. Una storia su una partita a scacchi poteva essere una vicenda d'amore, di guerra o di tradimento, e così via. Queste allegorie correlavano spesso le differenti caratteristiche dei pezzi alla gerarchia sociale del momento: una partita a scacchi poteva quindi essere utilizzata come strumento letterario per rappresentare due signori feudali e i loro vassalli in guerra o, più generalmente,i ruoli di persone di differenti classi sociali. Una delle più famose di queste allegorie morali fu scritta da Jacobus Cessolis; William Caxton la tradusse in inglese con il titolo di "The Game and Playe of the Chesse" e, nel 1475, questo testo divenne il secondo libro a essere stampato in lingua inglese. verso la fine del 15° secolo ci fu un'improvvisa riforma nelle regole che fu adottata velocemente in tutta Europa: si tratta del maggior cambiamento di questo gioco nel corso di tutta la sua storia documentata. Una delle nuove regole permetteva a un pedone di avanzare di due caselle alla sua prima mossa e questo ebbe l'effetto di velocizzare il gioco senza stravolgerne troppo le tattiche generali.
    [ M.L. Rantala (tratto da ChessMaster 9000)]


    ..una leggenda..



    Il gioco degli scacchi è uno dei più antichi del mondo, per quanto non si sappia con precisione chi l’abbia inventato: si presume i cinesi, alcune migliaia di anni fa, o forse gli indiani. Lentamente, con il progredire delle relazioni commerciali, si diffuse in altre regioni e specialmente in Persia, dove divenne ben presto popolare e dove i pezzi acquistarono forme ben definite. Essi erano indicati come Re, Consigliere, Elefante, Cavaliere, Carro di guerra, Soldati. Il gioco arrivò in seguito in Egitto, portato da un ambasciatore persiano che volle insegnarlo anche al Faraone. Questi, entusiasta del gioco, al termine della partita, per testimoniare la propria gratitudine, invitò l’ambasciatore ad esprimere un desiderio qualsiasi che sarebbe stato senz’altro esaudito. L’interpellato rispose che voleva del grano: un chicco sulla prima casella della scacchiera, due chicchi sulla seconda, quattro sulla terza e così continuando e raddoppiando, fino alla sessantaquattresima casella.
    “Una cosa da nulla” proclamò il Faraone, stupito che la richiesta fosse così misera, e diede ordine al Gran Tesoriere di provvedere. Dopo oltre una settimana il funzionario, che ne frattempo aveva tentato di fare i conti, si presentò dicendo: “Maestà, per pagare l’ambasciatore non solo non è sufficiente il raccolto annuale dell’Egitto, non lo è neppure quello del mondo intero, e neppure i raccolti di dieci anni di tutto il mondo sono sufficienti”.
    La storia non dice come rimase il Faraone a tale notizia, ma si suppone piuttosto male; se anche qualche lettore fosse incredulo, lo invitiamo a fare le operazioni. Con le moderne macchine calcolatrici potrà constatare, in breve tempo, che il funzionario aveva detto la pura verità.
    (Tratto da Natale Ramini, Come giocare e vincere a scacchi, De Vecchi Editore, Milano 1973.)




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    Particolari circoli di ritrovo, chiamati "coffehouse", apparvero per la prima volta in Europa durante il 17° secolo: luoghi destinati a diverse attività di piacere, casuali o più ricercate, divennero in quegli anni particolarmente popolari a Londra e a Parigi. Nel 18° secolo gli scacchi acquistarono sempre maggior favore tra gli intellettuali; Leibniz il grande matematico, li considerava come un buon esercizio mentale. I centri dell'attività scacchistica durante questo secolo furono l'Inghilterra e la Francia; a Parigi, il Café de la Régence era il luogo d'incontro preferito dai giocatori di scacchi; fondato alla fine del 17° secolo, il principale caffè scacchistico londinese era invece il Slaughter's Coffee House. Il Café de la Régence fu fondato nel 1670 da un americano. Riunì i migliori giocatori dell'epoca, inclusi Légall de Kermeur, Francois-André Danican, Philidor, Alexandre Deschapelles, Bourdonnais e Saint-Amant così come famosi giocatori non professionisti quali Voltaire, Rousseau, Robespierre, Napoleone e Benjamin Franklin.

    Il famoso saggio scacchistico del 1779 di Benjamin Franklin "The Morals of Chess", dimostrò la stima che il grande teorico provava nei confronti di questo gioco. Molte delle qualità che egli attribuiva agli scacchi, però, possono derivare da altri tipi di allenamento mentale: Franklin non indicò nessun elemento esclusivo del gioco. Il suo saggio diede il via al galateo degli scacchi e comprendeva alcuni divertenti consigli:

    - Non dovete, quando avete conquistato la vittoria, usare espressioni di esultanza o di insulto, né mostrare troppa soddisfazione; dovete, invece, tentare di consolare il vostro avversario e di renderlo meno insoddisfatto di se stesso, con ogni tipo di espressione gentile e civile che possa essere usata senza l'uso della menzogna; provate, per esempio, con

    "capisci il gioco meglio di me, ma sei leggermente distratto", oppure "Giochi troppo velocemente"; o ancora "Hai giocato decisamente meglio, ma è successo qualcosa che ti ha deconcentrato".

    Sebbene fosse americano, il contributo di Franklin agli scacchi va considerato in un contesto francese. II suo saggio fu scritto mentre viveva in Francia e pubblicato a Londra prima che negli Stati Uniti. Inoltre, Franklin ebbe difficoltà a trovare avversari in America e, di conseguenza, giocò la maggior parte delle sue partite nei suoi anni di soggiorno a Parigi.


    Il primo best-seller

    Una completa descrizione di questi nuovi scacchi apparve in un libro spagnolo del teorico Luis de Lucena intitolato "latte degli scacchi". Curiosamente, il saggio fu stampato e pubblicato nel 1496 unitamente al suo libro il "Discorso sull'amore" (come affermò uno studioso di scacchi, "amore e scacchi possono non sembrare argomenti correlati, ma per Lucena erano entrambi due battaglie in miniatura"). Il libro di Lucena contiene undici esempi di aperture e 150 problemi equamente divisi tra i vecchi scacchi e gli scacchi "della Regina". Esempi del suo lavoro sopravvivono ancora oggi. Il secondo libro sulla teoria scacchistica di questo periodo sopravvissuto fino ai giorni nostri venne pubblicato nel 1512 dall'italiano Damiano, che non cita neppure gli scacchi medievali, deducendo che la nuova formula aveva completamente conquistato l'Italia. Il libro di Lucena era elaborato e molto esauriente, ma non fu mai ripubblicato. Quello di Damiano, stampato in italiano e spagnolo, fu ripubblicato otto volte in edizioni diverse nel corso di mezzo secolo, portando uno storico ad affermare che fosse il "primo best-seller del gioco moderno".
    Un prete spagnolo che lesse il libro di Damiano, trovandolo totalmente inadeguato, ne scrisse uno personalmente. Ruy Lòpez de Segura fu considerato uno dei più grandi giocatori dei suoi giorni e il suo libro, pubblicato nel 1561, fu un passo in avanti rispetto alle scuole precedenti. Concentrò la sua attenzione sulle aperture piuttosto che sui problemi, introducendo il termine "gambit" (prima mossa) nella letteratura scacchistica. Viene, inoltre, ricordato per il suo suggerimento di cercare sempre di collocare la scacchiera in modo tale che il sole fosse in faccia all'avversario!
    Prima nel 1574 e poi nell'anno successivo il prete sfidò Leonardo di Bona e Paolo Boi a Madrid. Queste partite furono significative non solo perché le sconfitte di Lòpez segnarono l'inizio del declino della sua fama scacchistica, ma anche perché rappresentarono il primo esempio documentato di un incontro di scacchi organizzato e patrocinato. Filippo II sovvenzionò entrambi gli incontri di Lòpez contro i due avversari stranieri, tanto che sia Leonardo che Boi ricevettero ricchi premi dal regnante spagnolo.
    È difficile mettere insieme un'accurata biografia di questi due uomini. Furono i protagonisti di molti scritti dell'epoca, ma ormai è difficile determinare quali potessero essere veri e quali falsi. Si diceva che entrambi fossero stati catturati dai pirati e che entrambi fossero riusciti a liberarsi battendo a scacchi il capo dei pirati e che fossero poi morti avvelenati.



    Dall'oscurità alla luce

    Il periodo seguente la pubblicazione del libro di Ruy Lòpez fu tra i più importanti per lo sviluppo degli scacchi e incluse 1a pubblicazione di alcuni importanti contributi al gioco stesso. Il patrocinio di reggenti e nobili sostenne giocatori di talento e promosse notevoli progressi nella teoria. Se il prete spagnolo disprezzò il suo predecessore Damiano, uno dei critici tedeschi di Lòpez affermò che il progresso verificatosi tra Lòpez e l'avvento del teorico italiano Polerio poteva essere considerato "il passo dall'oscurità alla luce", sottolineando la rapidità con cui gli scacchi si svilupparono durante il rinascimento.
    Un altro personaggio che largamente contribuì allo sviluppo degli scacchi in quel periodo fu il giocatore italiano Gioacchino Greco, nato nel 1600. Costui viaggiò attraverso l'Europa guadagnandosi da vivere con le vittorie a scacchi e vendendo il suo manoscritto copiato a mano. Circa venti delle copie sopravvivono ancora oggi, mostrando come la teoria scacchistica italiana fosse più evoluta rispetto a1 resto dell'Europa. Greco scrisse per i giocatori esperti, utilizzando delle analisi di aperture estensive e svariati esempi, ma in modo piuttosto carente per quanto riguardava la spiegazione.
    La sua maggiore influenza sugli scacchi europei si ebbe dopo la sua morte, all'età di 34 anni, quando il suo lavoro fu pubblicato e stampato in varie lingue, incluso l'inglese, il francese e il tedesco. Circa 50 anni dopo la sua morte, lo storico francese Pierre Bayle scrisse nel suo Dictionaire Historique et Critique che Greco "era un così abile giocatore di scacchi, che non deve sembrare strano che io scriva un breve articolo su di lui. Non ebbe eguali al gioco in nessuna parte del mondo".
    Durante la vita di Greco, tuttavia, i libri che andavano per la maggiore erano per lo più di un livello inferiore al suo. Il "Famous Game of Chessplay", per esempio, pubblicato in Inghilterra nel 1614, fornì soprattutto dettagli di natura puramente comportamentale durante una partita a scacchi, più che vere e proprie analisi teoriche. II successo di questo libro dimostra come gli scacchi fossero diventati sempre più popolari, ma solo come passatempo per le persone di un certo livello sociale.
    Gli scacchi continuarono poi, per tutto il rinascimento, a fornire lo sfondo per interventi di varia natura non strettamente inerenti al gioco stesso. Nel 1624, una commedia antispagnola, "A Game at Chess", fu rappresentata a Londra per nove giorni consecutivi facendo segnare il tutto esaurito e fu interrotta solo a causa delle proteste dell'ambasciatore spagnolo.


    L'eredità di Philidor

    Senza dubbio, la stella più luminosa che emerse dal Café de la Régence fu Philidor. Ricordato nei circoli scacchistici per le sue imprese di gioco e i suoi manuali, questo francese, il cui padre era stato custode presso la biblioteca musicale del re, fu anche un grande compositore di opere. Una delle sue prime e più divertenti imprese scacchistiche si svolse durante una pausa di riposo trascorsa con i musicisti del re. Il giovane Philidor, che era allora membro del coro alla Cappella Reale a Versailles, giocò a scacchi con uno degli anziani musicisti, il cui umore peggiorò man mano che la sua situazione si aggravava; appena Philidor diede scaccomatto, scappò dalla stanza, preoccupato della reazione del suo avversario alla sconfitta!
    Quando la sua voce cambiò, lasciò il coro per trascorrere gran parte del tempo al Café de la Régence, dove incontrò Legai] de Kermeur, che divenne suo maestro. Philidor superò presto Légall, che fino a quel momento era stato il miglior giocatore in circolazione. A poco più di venti anni, Philidor si recò a Londra dove vinse una partita contro Philip Stamma, partita giocata al centro del circolo scacchistico londinese, Slaughter's.
    Era solo ventiduenne quando scrisse il suo libro sugli scacchi di maggior successo, "Lanalyze de échecs" (1749). Philidor sosteneva che il più grande difetto dei giocatori di scacchi del suo tempo era l'uso scorretto dei pedoni. "I pedoni sono l'anima degli scacchi" è la più comune interpretazione della più famosa frase del suo libro. Introdusse inoltre i concetti di "assedio" e "sacrificio di posizione", allora assolutamente all'avanguardia.
    Nonostante le sue notevoli capacità in svariati campi, Philidor fu descritto dai suoi contemporanei come un uomo assai poco interessante. Si dice che uno dei suoi ammiratori, per spiegare la sua mancanza di spirito, abbia affermato: "Quell'uomo non ha senso comune, è solo genio".
    Non deve sorprendere che Philidor fosse attirato da Londra; i giocatori di scacchi da Slaughter's erano infatti seri studenti della disciplina. Un celebre saggio pubblicato in quel periodo conteneva lo slogan "Venduto solo alla Coffe House di Slaughter's, in Si. Martin's Lane"; e un frequentatore del circolo Philip Stamma, aveva pubblicato il più influente libro sugli scacchi del decennio antecedente il lavoro di Philidor.
    Stamma si diede molto da fare nell'attaccare il lavoro di Greco, per esempio deridendo l'attenzione prestata da Greco alla prima mossa del re; scrisse a tale proposito: "considero questo metodo assolutamente inutile e privo di fondamento. Tuttavia, dopo la sua sconfitta nella sfida contro Philidor non pubblicò più nulla. Mentre Philidor dominava la scena scacchistica del 18° secolo, c'erano comunque anche altri teorici di riguardo fuori dalla sua influenza. In Italia, tre scrittori acquistarono importanza: Ercole del Rio, Giambattista Lolli e Domenico Ponziani. Gli scritti di Del Rio contenevano problematiche di alta qualità; Lollí scrisse il migliore lavoro sulla chiusura di partita del suo tempo; il libro di Ponziani fornì un'ampia panoramica delle strategie e analizzò un vasto numero di aperture. Insieme, questi tre scrittori erano conosciuti come la Scuola Modenese ed erano critici nei riguardi di Philídor Essi rappresentarono la fine di un'era per quanto riguarda gli scacchi italiani: dopo la pubblicazione delle loro opere a metà del 18° secolo, non furono prodotti documenti degni di nota in Italia nei seguenti 100 anni.


    Il 19° secolo

    La prosperità economica del 19° secolo portò a un aumento del numero di persone dotate di cultura sufficiente a trovare appassionanti gli scacchi. Fu in questo periodo che nacquero club destinati esclusivamente agli scacchi, particolarmente in Gran Bretagna. Le scoperte tecnologiche supportarono l'espansione del gioco degli scacchi: la riduzione del costo di stampa si rifletté in edizioni economiche di numerosi libri sugli scacchi e sempre in questo periodo nacque la prima rivista di scacchi. A causa della complessità del gioco, il materiale scritto per giocatori di ogni livello fu fondamentale per la sua diffusione.
    Uno degli eventi più importanti della prima metà del secolo fu lo scontro tra Louis Charles Labourdonais (un membro del Café de la Régence) e Alexander MacDonnell (uno scozzese che acquistò notorietà in Inghilterra) in numerose partite londinesi del 1834. Sebbene Labourdonnais fosse senza dubbio il vincitore degli incontri, MacDonnell vinse alcune partite interessanti. Questa contesa tra due affermati giocatori creò un forte interesse nei confronti degli scacchi. Alcune partite furono pubblicate e studiate dagli allievi e dagli stessi insegnanti di scacchi. L'anno successivo all'incontro Labourdonnais-MacDonnel, apparve il primo articolo di scacchi di tipo popolare, sul Bell's Life di Londra. La domanda di letteratura scacchistica fu così forte che due case editrici si sfidarono ribassando sempre più i prezzi dei libri; il pubblico trasse vantaggio da questa situazione, trovando sul mercato edizioni veramente economiche di famosi libri sugli scacchi.
    Non tutti i centri scacchistici sperimentarono lo stesso successo che arrise a Londra durante la prima parte del 19° secolo. Labourdonnais fondò la prima rivista di scacchi nell'anno che seguì le sue grandi vittorie su MacDonnel. Ma Le Palamède (che ricevette il nome da Palamedes, uno dei presunti inventori degli scacchi) durò solo pochi anni. La rivista non venne più pubblicata dopo la morte di Labourdonnais nel 1840, per poi risorgere, ma solo per un breve periodo, grazie a un altro giocatore francese di successo. Più o meno in questi anni, un gruppo di appassionati di Berlino, conosciuto come Pleiades, realizzò la prima moderna enciclopedia delle aperture. Paul von Bilguer iniziò a scrivere 1'Handbuch des Schachspiels e la prima edizione fu terminata dal Barone Tassilo von der Lasa dopo la morte di Bilguer.


    Il contributo di Staunton

    La preminenza di Londra come capitale mondiale degli scacchi nel 19° secolo fu indiscutibilmente stabilita dall'apparizione di Howard Staunton sulla scena scacchistica. Egli fondò il Chess Player's Chronicle e piccole sfide avvenivano di tanto in tanto, attraverso la sua rivista e il Palamède, tra giocatori inglesi e francesi.
    Staunton fu descritto da uno storico degli scacchi come "quasi sempre pronto a discutere con quasi chiunque". Ciononostante, era il più forte giocatore del mondo. Quello che tutt'oggi è considerato il più popolare disegno per i pezzi della scacchiera è chiamato Staunton - non perché egli li avesse disegnati, ma perché il loro creatore, Nathaniel Cook, volle usare il prestigioso nome di Staunton per promuoverli.
    Durante l'era di Staunton fu creata la prima organizzazione nazionale per promuovere il gioco degli scacchi, che nacque dalla `Yorkshire Chess Association'. Allo stesso tempo, mentre sbocciavano locali scacchistici, gli scacchi divennero un gioco sempre più internazionale, almeno agli alti livelli. Per la fine del 19° secolo, venivano condotte partite internazionali via telegrafo.


    La rivelazione Morphy

    Mentre il 19° secolo è conosciuto per alcuni tra i più grandi scontri nella storia degli scacchi, è anche famoso per uno dei più grandi incontri mai svoltisi. L'americano Paul Morphy divenne una rivelazione degli scacchi ancora in gioventù. Nel 1858, all'età di 21 anni, viaggiò in Europa per giocare a scacchi, in particolare per il desiderio di disputare una partita contro Staunton (Staunton aveva rifiutato di andare negli Stati Uniti per giocare contro Morphy). Vinse facilmente alcune partite a Londra e a Parigi, giocando brillantemente, ma non ebbe mai la possibilità di affrontare Staunton alla scacchiera. L'inglese, che sarebbe con ogni probabilità stato sconfitto dal suo sfidante, spostò ripetutamente l'incontro e infine si rifiutò di giocare, negando a Morphy la possibilità di accedere al titolo non ufficiale di campione del mondo di scacchi. Morphy tornò in America, smise di giocare a scacchi e soffrì, più avanti, di instabilità mentale.



    I tornei internazionali

    Ma il più importante sviluppo internazionale di questo periodo fu il torneo internazionale. Il primo si tenne a Londra nel 1851, organizzato da Staunton, il quale stabilì le regole della competizione. Molti dei migliori giocatori europei si recarono a Londra per partecipare, avendo le spese garantite se non avessero vinto un premio. Fu un torneo a eliminazione diretta e così alcuni popolari giocatori furono eliminati prima della fine del torneo, incluso lo stesso Staunton, che fu eliminato in semifinale da Adolph Anderssen, che poi vinse il torneo. Nel secondo torneo londinese, tenutosi l'anno seguente, fu utilizzata la formula tutti contro tutti e solo pochi anni dopo fu istituita la convenzione di assegnare mezzo punto alla patta. L'aumentare dei tornei rese necessaria l'introduzione dei limiti di tempo: senza limiti, i giocatori potevano andare avanti per ore. Henry Buckle, uno storico britannico e un affermato giocatore di scacchi, fece questo commento sul fastidio del giocare contro un avversario lento: "La lentezza del genio è difficile da sopportare, ma la lentezza della mediocrità è intollerabile". Staunton stabilì al primo torneo tenutosi a Londra che i giocatori avessero un limite di due ore per effettuare le ventiquattro mosse; furono utilizzate le clessidre. Circa vent'anni dopo, fu perfezionato uno speciale orologio per tenere il tempo. Oggi, nessun torneo serio si svolge senza l'ausilio dell'orologio.


    L'uomo contro la macchina

    Una curiosa "innovazione" del 18° secolo fu il cosiddetto giocatore meccanico. Ne furono progettati numerosi, ma tutti seguivano uno schema di base: una scatola che metteva in mostra un meccanismo contenuto all'interno e che sembrava in grado di giocare a scacchi grazie a un braccio meccanico; ma in realtà, naturalmente, tutte queste invenzioni giocavano a scacchi solo grazie all'intervento umano.
    Le prime automazioni nascondevano una persona all'interno della scatola, in seguito divennero comandate a distanza, elettricamente. Il primo giocatore di scacchi automatico fu una macchina creata nel 1769 dal Barone Wolfgang von Kempelen, un pubblico ufficiale ungherese. Era composto da un manichino di forma umana vestito di abiti turchi, attaccato a un mobile.
    Kempelen descrisse la sua creazione come un automa in grado di giocare a scacchi, ma in realtà veniva fatto funzionare da molti giocatori; ciononostante, il suo funzionamento divenne argomento di discussione. Suscitò abbastanza interesse da fare in modo che Philidor volesse giocarvi: naturalmente, lo sconfisse con facilità. Un centinaio di anni dopo, nel 1868, comparve un'invenzione simile.
    Ajeeb era una macchina che, a detta del suo realizzatore, l'inglese Charles Arthur Hopper era in grado di giocare a scacchi. Fu esibita per la prima volta al Royal Polytechnical Institute e in seguito al Crystal Palace; aveva le sembianze di un egiziano e funzionava grazie a una persona che vi si celava all'interno. A New York ebbe come avversari, tra gli altri, Sarah Bemhardt e O. Henry.
    Uno dei giocatori all'interno della scatola negli Stati Uniti fu Harry Pillsbury e, dopo la morte di quest'ultimo, la macchina fu usata solo come scacchiera. Charles Godfrey Gumpel costruì Mephisto e tenne la prima dimostrazione a Londra nel 1878. Mephisto, come i suoi predecessori non era altro che un dispositivo con una persona all'interno che giocava a scacchi. Comandato da Isidor Gunsberg, fu la prima macchina a vincere un torneo di scacchi.


    Il primo campione mondiale
    L'incalzante professionismo scacchistico portò a stabilire nuovi titoli per i giocatori. Sebbene molti giocatori, grazie al supporto dei loro sostenitori, si dichiarassero campioni del mondo, il primo giocatore largamente riconosciuto come tale è stato Wilhelm Steinitz (avendo battuto Anderssen nel 1858, Morphy è stato spesso considerato il campione del mondo non ufficiale). Steinitz stesso istituì il titolo nel 1866 e lo difese più volte, perdendolo infine contro Emanuel Lasker nel 1894. Steinitz aveva 58 anni quando finalmente rinunciò al titolo e visse solo altri sei anni; egli rimase campione del mondo per 28 anni e Lasker per 27: nessuno dei loro successori è mai riuscito a regnare così a lungo.
    Il titolo di Grande Maestro divenne popolare nel tardo 19° secolo dopo che lo zar russo lo utilizzò per descrivere i cinque migliori giocatori che giocarono il torneo di S. Pietroburgo nel 1895-96.


    Il ventesimo secolo

    Gli scacchi fiorirono nel nostro secolo, sia in popolarità che in tecnica. Come altre manifestazioni, gli scacchi furono accantonati durante la prima guerra mondiale. La natura prettamente internazionale del gioco svantaggiò alcuni giocatori quando iniziarono le ostilità - i giocatori russi che parteciparono al torneo di Mannheim del 1914 furono internati in Germania quando fu dichiarata la guerra! E la scena scacchistica fu differente dopo la fine della guerra. Alcune delle manifestazioni più importanti che si erano svolte prima della guerra, come incontri tra professionisti della durata di alcune settimane, non furono mai più ripetute.

    Il più importante cambiamento amministrativo del 20° secolo fu la creazione di un comitato mondiale per gli scacchi. Nell'estate del 1924, delegati provenienti da 15 nazioni si incontrarono a Parigi e costituirono la Féderation Internationale des Eches: questa organizzazione mondiale è generalmente citata con la sigla di FIDE. Al momento della creazione non era particolarmente potente; per esempio, né gli Stati Uniti né l'unione Sovietica ne erano membri fondatori; ma acquistò lentamente influenza nella scena scacchistica internazionale, iniziando dalla creazione delle olimpiadi di scacchi: tornei a squadre giocati ogni due anni.

    Negli anni 20 emerse un'eccitante nuova scuola di pensiero scacchistico. Chiamata la scuola ipermoderna, comprendeva teorici quali Reti, Tartahower e Nimzowitsch. Essi sostenevano, tra le altre cose, il controllo del centro a distanza. Promulgarono le loro idee non solo scrivendole, ma grazie a numerose vittorie sulla scacchiera. Il 20° secolo ha assistito anche alla crescita dell'importanza delle numerose organizzazioni scacchistiche nazionali, che generalmente promuovevano una volta all'anno i vari campionati; il campionato mondiale, però, rimase distinto. Per la prima metà del secolo si tenne a intervalli irregolari; era basato su incontri, non tornei e rimase sotto il controllo del campione stesso. Lasker fu battuto da Capablanca nel 1921, che poi perse in favore di Alekhine nel 1927. Quest'ultimo, che si presentò ubriaco ad alcune partite, perse il titolo nel 1935 cedendolo a Max Euwe in una partita appassionante. Vinse nuovamente il campionato mondiale nel 1937 e mantenne il titolo fino alla sua morte, nel 1946.


    Scacchi sovietici

    Gli scacchi vennero tenuti in alta considerazione in Unione Sovietica fin dall'inizio del regime comunista e nessuna nazione ha avuto maggiore influenza sul gioco degli scacchi nel nostro secolo. Con il sostegno del governo, gli scacchi venivano incoraggiati in tutta l'Unione Sovietica (vi sono alcuni aspetti ironici nell'entusiasmo sovietico per gli scacchi: la maggior parte del sostegno agli scacchi negli anni antecedenti al comunismo veniva dall'aristocrazia; gli scacchi come strumento di allenamento alla guerra sono un'idea borghese, e così via). Ma denaro e impegno furono riversati negli scacchi, permettendo a questo gioco di fiorire. Ciò che è difficile da comprendere è se questo supporto da solo abbia permesso la nascita dei numerosi giocatori sovietici di talento del 20° secolo o se tale successo sia dovuto in larga misura al fatto che gli scacchi erano l'unica attività in cui l'organizzazione sovietica permetteva a un individuo dotato di talento di emergere e di guadagnare prestigio e denaro. Solo dopo la morte di Alekhine nel 1946 la FIDE fu in grado di estendere il proprio controllo al campionato mondiale. Per assicurare ai suoi giocatori la possibilità di partecipare, l'Unione Sovietica si uni finalmente alla FIDE nel 1947. Quest'ultima organizzò il campionato mondiale del 1948 che consacrò il sovietico Mikhail Botvinnik campione del mondo.
    Egli, un giocatore molto esperto, mantenne il titolo fino al 1963, con due uniche piccole pause (Smyslov dal 1957 al 58 e Tal dal 1960 al 61). I titoli scacchistici formali, come quello di grande maestro, furono stabiliti ufficialmente dalla FIDE nel 1950, mentre le olimpiadi continuavano a guadagnare popolarità.

    La febbre Fischer

    Gli anni `60 segnarono la nascita di un fenomeno americano. Brillante e vivace, Bobby Fischer catturò l'attenzione ovunque si trovò a giocare. Sfiorò il titolo mondiale più di una volta e, finalmente, lo ottenne nel 1972. La sua partita contro il campione del mondo Boris Spassky fu un evento sensazionale non solo per lo stile di Físcher, ma per la sue buffonerie all'inizio della partita. Sul punto di essere eliminato, diede forfait in una delle prime partite e infine vinse il titolo dopo essere stato sotto di due partite. Fischer, un pittoresco anticomunista, diede una forte spinta agli scacchi occidentali. II mondo degli scacchi subì una grande delusione quando, dopo lunghe trattative con la FIDE, Fischer rifiutò di difendere il titolo nel 1975; Karpov fu nominato automaticamente il nuovo campione del mondo. Fischer rimase in esilio (auto-imposto) dal mondo degli scacchi per 20 anni. Quando tornò sulla scena mondiale nei primi anni `90, fu per giocare e vincere una controversa rivincita contro Spassky nella Jugoslavia straziata dalla guerra.

    Mutamento di fine secolo

    Gli scacchi sono oggi più competitivi che mai. Gli eventi mondiali supportano una vasta classe di giocatori professionisti e un numero infinito di giocatori amatoriali, più di quanti ce ne siano mai stati nel corso della storia. Forse inevitabilmente in queste circostanze, il titolo mondiale è diventato oggetto di controversia: attualmente due organizzazioni mondiali sostengono di avere assegnato il titolo di campione del mondo.

    Ciononostante, gli scacchi sono oggi quanto mai emozionanti e vivi. Tra i più grandi giocatori ci sono finalmente anche delle donne, come le sorelle Polgar piene di talento. Di tanto in tanto ci sono giocatori che criticano l'avanzare del computer in questa disciplina affermando che distruggerà il gioco umano. Per il momento, l'unico dato di fatto è che i progressi del computer hanno solamente giovato allo sviluppo degli scacchi: gli incontri tra grandi campioni e computer continuano ad affascinare il grande pubblico; inoltre, programmi quali Chessmaster o Frtz offrono grandi quantità di informazioni scacchistiche e materiale didattico ai giocatori, aiutando a diffondere sempre più questo splendido gioco.
    M.L. Rantala (tratto da ChessMaster 9000)



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    grazie gabry,ce da sempre la polemica se scacchi sono uno sport di attività fisica o mentale!
     
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    Il PUZZLE


    Il cartografo inglese John Spilbury creò , nel 1760, il primo esemplare: realizzò una delle sue mappe su uno strato di legno duro e, per delineare meglio i confini delle diverse nazioni,taglio intorno ai bordi con il seghetto da traforo. Il prodotto divenne un ottimo supporto didattico usato nelle scuole.

    Con l'arrivo del 1900 la pressofusione rivoluzionò la realizzazione del puzzle: le presse, come grossi stampi per biscotti, tagliavano con precisione millimetrica i singoli pezzi. La vera e propria età dell'oro dei puzzle fu negli anni 20 e 30 ed ebbe come centri principali l'Inghilterra e gli Stati Uniti. Il Marketing non si lasciò sfuggire l'occasione e nel 1931 la Einson-Freeman di Long Island, New York, regalò dei puzzle con gli spazzolini da denti. Tuttavia la strategia più importante per il successo fu l'introduzione del puzzle settimanale, iniziata negli Stati Uniti nel settembre 1932 con la produzione iniziale di 12 mila puzzle che trovarono posto nelle edicole il mercoledì. Rapidamente le produzioni salirono a 100 mila e poi a 200 mila esemplari e l'appuntamento con il puzzle da 25 centesimi di dollaro divenne un evento a cui molti non riuscivano a rinunciare. La diffusione del puzzle è ormai capillare in tutto il mondo.


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    Backgammon
    Il backgammon è un gioco da tavolo/sport per due giocatori. Ciascun giocatore possiede 15 pedine che muove lungo 24 triangoli (punti) secondo il lancio di due dadi. Lo scopo del gioco/sport è riuscire per primi a rimuovere tutte le proprie pedine dalla tavola, cercando nel contempo di bloccare l'avversario e di evitare le sue azioni di disturbo.

    Storia
    L'origine del backgammon viene comunemente fatta risalire a circa 5000 anni fa al Gioco reale di Ur ritrovato nella tomba di un re sumero durante gli scavi nell'antica città mesopotamica di Ur, nell'attuale Iraq. Una successiva scoperta, però, sembra poter anticipare la data di nascita di circa 100-200 anni e trasferire il luogo di nascita nell'attuale Iran a causa del ritrovamento di una tavola durante gli scavi archeologici della città di Shahr-i Sokhta nella provincia sud-orientale del Sistan-Baluchistan. È probabile che successive migrazioni ne abbiano permesso una diffusione estensiva sia verso Occidente che verso Oriente favorendo la nascita di numerose varianti. Vista la sua antichissima origine è facile comprendere come siano potute nascere col tempo anche numerose leggende sulla sua paternità. Una di queste attribuisce l'invenzione al re di Persia Ardashir Babakan, della dinastia dei Sasanidi, un'altra ad un antico saggio indiano di nome Qaflan. Una variante di nome Senet si doveva giocare anche nell'antico Egitto. Sono state trovate delle tavole risalenti al 1500 a.C. nella tomba di Tutankhamen così come degli affreschi raffiguranti delle tavole simili a quella attuale. La diffusione della tavola, nelle sue diverse varianti, non si arresta e raggiunge la Grecia: Platone accenna alla popolarità di cui un gioco simile godeva tra i Greci. Sofocle ne attribuisce l'invenzione a Palamede che in tal modo passava il tempo durante il lungo assedio alla città di Troia. Omero lo menziona nell'Odissea. Un gioco costituito da una tavola e tre dadi si conquista il suo posto d'onore anche nell'antica Roma; era conosciuto come Ludus Duodecim Scriptorum ("gioco delle dodici linee"), che successivamente prese il nome, probabilmente anche subendo delle modifiche, di Alea ("dado") o Tabula ("tavola"). Il gioco doveva essere molto diffuso in tutte le classi sociali. Svetonio, nelle sue Vite di dodici Cesari, descrive così l'interesse maniacale che l'imperatore Claudio nutriva per quel gioco: «Con gran passione giocava ai dadi, su la quale arte mise fuori anche un libro; e soleva giocare anche in viaggio, facendo adattare il cocchio e il tavoliere in modo che il giuoco non si scompigliasse». Invece gli scavi di Pompei riportarono alla luce dei dipinti murali all'interno di una taverna che raffigurano lo svolgimento di una partita a tabula, terminata tra reciproci insulti. Le legioni romane permisero una certa diffusione del gioco (in Britannia era appunto conosciuto col nome di Tables), ma probabilmente esso seguì le sorti della caduta dell'Impero, perdendo via via di popolarità. In Asia veniva giocata una versione chiamata Nard già prima del IX secolo che differiva dalla Tabula principalmente per l'uso di due soli dadi. In Cina si diffuse col nome di T'shu-p'u, in Giappone era invece chiamato Sugoroku. Una rinascita del gioco in Europa si ebbe durante le Crociate, quando i soldati conobbero la versione del tawla dagli Arabi (takht-e nard, o semplicemente Nard, in persiano). Nonostante i numerosi tentativi da parte della Chiesa di bandire il gioco perché ritenuto d'azzardo, la sua diffusione nel Medioevo fu tale che gli storici contano diverse varianti allora in voga, come: Tavola Reale in Italia, Tablas Reales in Spagna, Tavli in Grecia, Tavla in Turchia, Tric Trac in Francia e in Italia[3], Backgammon o Tables in Gran Bretagna, Puff in Germania, Vrhcaby in Cecoslovacchia, Swan-liu in Cina, Golaka-Krida in India. Bisogna però attendere il 1743, con la pubblicazione del breve trattato ad opera di Edmond Hoyle, per avere una prima organica codifica delle regole del backgammon. Il dado del raddoppio invece fu inventato negli Stati Uniti solo nel 1928.

    Origine del nome
    L'ipotesi più accreditata è quella che fa risalire il nome backgammon al sassone baec ("dietro", "ritorno") e gamen (game = gioco). Le più antiche versioni prevedevano di iniziare con le pedine ancora fuori della tavola, perciò il gioco consisteva nell'introdurre le pedine all'interno della tavola (questa fase non è più presente nel gioco moderno) per farle tornare indietro alla casa e poi nuovamente fuori della tavola. Inoltre le pedine mangiate sono costrette a tornare indietro e rifare tutto il percorso. Alcuni però ipotizzano anche che l'origine del nome possa risalire al Gallese dove bach significa piccolo e cammun battaglia perciò il gioco è una riproduzione in piccolo di una battaglia. Un'altra ipotesi spiega l'origine dal fatto che molto spesso la tavola del backgammon era disegnata sul retro (back in inglese) di quelle per gli scacchi.

    Simbolismo
    Gli storici hanno spiegato come, nel backgammon, sia stato rappresentato il ciclo annuale e giornaliero della vita umana: i 24 punti rappresentano le 12 ore del giorno e le 12 della notte ma anche i 12 mesi dell'anno, le 30 pedine i giorni del mese. Anche i due dadi possono rappresentare il giorno e la notte e la somma dei punti ai lati opposti di un dado può far riferimento ai giorni della settimana ma probabilmente anche ai pianeti allora conosciuti. La compresenza di elementi cromatici discordanti (le punte della tavola, le pedine) sembra rappresentare la visione dualistica del mondo nella antica cultura indoeuropea caratterizzabile dal conflitto tra il bene e il male, la vita e la morte. Il backgammon, nella sua capacità di miscelare componenti di abilità e fortuna, simboleggia perciò una certa visione dell'esistenza umana. L'esito di una partita non può essere pianificato a priori così come il successo nella vita: la sorte è importante quanto l'ingegno (infatti molti giocatori esperti concordano con l'idea che il backgammon sia un gioco in cui la fortuna occupi un ruolo parziale; molti di essi infatti sostengono che un giocatore bravo vince più spesso perché sa ottimizzare i lanci più fortunati, minimizzando al contempo i danni di quelli meno favorevoli).

    Backgammon giocato all'elaboratore
    Il primo forte avversario creato al computer fu BKG 9.8. Fu sviluppato, verso la fine degli anni settanta, da Hans Berliner, all'epoca impiegato presso il dipartimento di scienze informatiche della Carnegie Mellon University e campione mondiale di scacchi per corrispondenza, su un PDP-10 come esperimento sulla valutazione delle posizioni nella tavola. Le prime versioni di BKG giocavano male persino contro i giocatori più scarsi, ma Berliner notò che il programma commetteva gli errori critici sempre in corrispondenza dei cambiamenti di fase del gioco. In seguito applicò i principi di base della logica fuzzy per appianare la transizione tra le fasi del gioco. Gli diede una mano il famoso giocatore Paul Magriel che lo aiuto a rifinire alcuni algoritmi e a migliorare le prestazioni complessive del programma. Così, per il luglio del 1979, BKG 9.8 fu pronto a giocare con il campione mondiale dell'epoca, l'italiano Luigi Villa, in un incontro svoltosi a Monte Carlo dove erano in palio 5000$. BKG vinse l'incontro, 7-1, diventando così il primo programma per computer in grado di battere un campione mondiale in un gioco dove è richiesta intelligenza. Per stessa ammissione di Berliner, il computer fu però più fortunato nel lancio dei dadi del suo avversario umano. Verso la fine degli anni 1980 i creatori di versioni software del backgammon iniziarono a riscuotere successo grazie all'applicazione nei loro programmi dei principi delle reti neurali. TD-Gammon, sviluppato per OS/2 da Gerald Tesauro, al tempo ricercatore in IBM, fu il primo programma per computer che giocasse ad un livello uguale a quello di un vero esperto. La rete neurale di questo programma fu addestrata usando algoritmi chiamati "a differenza temporale" (Time Difference, da cui il prefisso TD) applicati ai dati generati giocando con sé stesso. Tesauro, in una sua pubblicazione, descrive infatti TD-Gammon come «una rete neurale che allena sé stessa per essere una funzione di valutazione del backgammon, giocando contro sé stessa ed apprendendo dai risultati». Questa linea di ricerche ha portato allo sviluppo di altre versioni software del backgammon dalle prestazioni eccellenti. I più conosciuti sono i programmi commerciali Jellyfish e Snowie per Windows, lo shareware BGBlitz implementato in Java e, tra i programmi open source, GNU Backgammon, sviluppato per Linux ma disponibile anche per altri sistemi operativi. Essi giocano oramai alla pari dei migliori giocatori "umani" al mondo tanto che sono sempre più spesso usati per analizzare nel dettaglio le partite dei professionisti e per verificare la validità delle strategie presentate nei libri di settore. Come per gli scacchi, al momento non è chiaro se il migliore giocatore in assoluto sia il miglior computer o il miglior giocatore umano; per la maggior parte degli altri giochi o l'uno o l'altro è, senza ambiguità, il più forte. Ma nonostante questa coincidenza, vi sono enormi differenze tra i software per backgammon e quelli per gli scacchi. La principale è che, per il backgammon, la valutazione delle mosse tramite reti neurali finora funziona meglio di altri metodi. Per gli scacchi, la ricerca tramite forza bruta, supportata da sofisticate riduzioni ed altri raffinamenti, funziona meglio delle reti neurali. Di conseguenza, qualsiasi avanzamento nella potenza dell'hardware dei computer ha significativamente migliorato anche la forza dei programmi di scacchi, mentre questo avviene solo marginalmente nel caso del backgammon. Quando vengono usati come strumenti di analisi, tuttavia, anche i programmi per il backgammon possono sfruttare appieno la potenza di calcolo del calcolatore. A questo scopo essi non esaminano in profondità l'albero del gioco come negli scacchi, ma giocano invece migliaia di partite diverse partendo dalla stessa posizione. Il grande numero di partite giocate elimina la componente casuale data dal lancio dei dadi. Questo metodo di analisi, detto rollout, si è dimostrato talmente efficace da avere influenzato il modo consigliato per effettuare alcuni tiri di apertura (ad esempio 2-1 e 4-1).






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    Le CARTE DA GIOCO



    Le origini delle carte da gioco si perdono nella notte dei tempi; le prime testimonianze risalgono infatti al X secolo in Cina ed in India con il ganjifa. Alcuni storici legano l’origine delle carte alla nascita della carta moneta proprio nel continente asiatico, in questa visione il mezzo e la posta in gioco dell’azzardo si fondevano in un unico veicolo; altri storici sostengono invece che le carte derivino direttamente dai tasselli del domino. Non sappiamo con esattezza se la storia di una delle due tesi sia vera, ma di certo sappiamo che il termine cinese p’ai viene usato per descrivere sia le carte che le tessere per il gioco del domino o del mahjog il che lega a doppio filo l’origine e la storia di entrambi gli strumenti ludici.
    Le tradizioni Indiane o Cinesi passarono comunque attraverso la Persia fino a giungere alle coste mediorientali dominate dagli arabi che nel medio evo trasformarono le carte in un modello che divenne già molto simile a quello contemporaneo. Storicamente i Mamelucchi che dominavano al tempo le coste settentrionali dell’Africa utilizzavano per scopi ludici un mazzo di circa 52 carte divisi in quattro semi: daràhim (denari), tùmàn (coppe), suyùf (spade), jawkàn (bastoni da polo); ognuno dei quali era formato da 13 carte di cui dieci numerali e tre figure: il re, il vicerè ed il sottodeputato. La carte mamelucche, seguendo i dettami del corano che vietava di ritrarre le persone, riportavano solo disegni astratti, ma avevano comunque una didascalia con il nome degli ufficiali dell’esercito. Un mazzo mamelucco completo di 56 carte fu rinvenuto nel 1939 ed è ora conservato nel museo Topkapi Sarayi di Istambul e sebbene risalente al XV secolo ha permesso l’interpretazione storica di frammenti di carte più antichi datati tra il XII ed il XIII secolo.
    La storia ci insegna che sebbene il 38° concilio di Worcester (1240) venga spesso citato come dimostrazione dell’esistenza delle carte da gioco in Inghilterra già a metà del XII secolo è assai probabile che i giochi citati siano derivazione degli scacchi mentre è altresì probabile che le carte inizino la loro diffusione nel vecchio continente solo a partire dal XIV con l’intensificarsi degli scambi commerciali con i mamelucchi egiziani. Le prime testimonianze storiche in Europa dei giochi di carte si ebbero in Italia ed in Spagna da dove poi si diffusero cambiando forma e adeguandosi di regione in regione.


    Durante il XIV secolo le carte si diffusero velocemente in tutta Europa, importanti testimonianze storiche ne sono:
    -un ordinanza Fiorentina del 23 maggio 1376 che vieta il gioco di carte delle naibbe (nome arcaico derivato dall’arabo ‘nàib, e cioè il deputato o vicerè delle carte memelucche)
    -nel 1377 un ordinanza parigina vieta il gioco delle carte nei giorni feriali.
    vengono in oltre ritrovati
    -un sermone di un frate domenicano di Basilea risalente al 1377 che parla del gioco delle carte
    -un inventario di un mercante di Barcellona del 1380 che contiene tra le altre cose un mazzo di nayps (carte) composto da 44 pezzi

    il mazzo di carte più antico è risalente al 1430, viene chiamato il “mazzo di Stoccarda” e le carte che lo compongono ritraggono scene di caccia.
    La Storia nel continente europeo è diversa : variano molto la struttura e l’aspetto delle carte da gioco iniziando con l’introduzione dei disegni che ne semplificavano notevolmente l’utilizzo.
    Gli spagnoli cambiarono gli sconosciuti bastoni da polo con i ben più conosciuti randelli; al tempo, inoltre, si perse l’uso del dieci portando le carte dalle originarie 52 alle locali 48.
    In origine nei paesi di cultura germanica i semi diventarono cuori, campanelli, ghiande e foglie e si sviluppò una tipologia di mazzo a cinque semi (il quinto sono gli scudi) che raffigura scene di caccia, questa variante destinata a scomparire verrà chiamata “Mazzo Venatorio”. I mazzi venatori erano di solito splendidamente illustrati e utilizzavano semi rappresentanti animali o strumenti di caccia.
    La Francia cambiò i semi in forme stilizzate probabilmente come derivazione dei semi tedeschi. I semi francesi si estesero anche all’Ighilterra dove i fiori tornano a chiamarsi bastoni (clubs) e i quadri vennero chiamati diamanti (diamonds).
    Storicamente gli italiani unirono alle carte di origine moresca 22 soggetti illustrati di origine locale ed aggiunsero alle tre figure maschili una figura femminile la “regina” dando così origine al mazzo per il gioco dei trionfi cioè i “tarocchi” che con alterne fortune sono arrivati fino a noi. I tarocchi vennero utilizzati solo dai ceti ricchi data la difficoltà di realizzazione ed i complessi regolamenti che legavano il gioco dei Trionfi. Il termine Tarocco comunque fu introdotto solo dal XVI secolo e solo a partire dal 1780 si sviluppò l’uso di queste carte per pratiche esoteriche.
    Secondo alcuni studiosi i semi nell’epoca tardo medievale presero anche un valore simbolico divenendo rappresentazione metaforica delle classi sociali secondo l’equazione: Coppe=Religiosi Spade=Nobili, Denari=Mercanti, Bastoni=Contadini; secondo altri invece i semi rappresentarono soltanto le quattro stagioni.


    Le carte da gioco continuano ad evolversi e mutare anche se in nessun caso vengono stravolte le logiche che ne regolano la struttura.
    Nel corso del XV secolo le carte mutarono per rappresentare le famiglie reali europee ed i loro vassalli. Originariamente le figure furono il “re”, il “cavaliere”, “il vassallo”; poi fu introdotta la regina che nei mazzi tedeschi addirittura rimpiazzò il re nei due semi di maggior valore.
    Nei primi giochi i re erano considerati la carta di maggior valore senza nessuna eccezione, ma già a partire dalla fine del XV secolo si iniziò a dare un significato speciale alla carta nominalmente di valore minore, che da questo momento verrà chiamato asso.
    Tra il Cinquecento e il Settecento cominciarono ad apparire i primi manuali che fissavano le regole dei vari giochi di carte.
    A partire dal XIX secolo iniziarono a comparire le indicazioni del valore delle carte sui bordi, per permettere al giocatore di tenere le carte ravvicinate a ventaglio con una sola mano. L’innovazione successiva fu quella di disegnare le figure in modo simmetrico ovvero “a due teste” così da non costringere il giocatore a girare la carta dando indicazione all’avversario delle carte che si possedevano.
    La matta o jolly, chiamata joker in inglese, fu una creazione solo per il gioco alsaziano dell’ Euchre e si diffuse assieme al poker, dove però oggi non viene più usata. Nonostante la somiglianza con il pazzo dei tarocchi non c’è nessuna prova storica di qualsivoglia correlazione.


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    La storia della tombola


    Era l'anno 1734 e il re di Napoli Carlo III di Borbone era deciso ad ufficializzare nel suo Regno il gioco del Lotto che, se mantenuto in modo clandestino, avrebbe sottratto entrate alle casse dello Stato. A ciò si opponeva il frate domenicano Gregorio Maria Rocco, perciò tra il sovrano e il frate scoppiò una violenta disputa.
    Padre Rocco, legato al re da un rapporto di amore odio, diceva che non era giusto introdurre un "così ingannevole ed amorale diletto" in un paese in cui si cercava sempre di rispettare gli insegnamenti cattolici.
    Alla fine, però, Carlo III, facendo presente che il lotto, se giocato di nascosto, sarebbe stato più pericoloso per le povere tasche dei sudditi, riuscì a spuntarla, ad un patto però, che il gioco del lotto, almeno nella settimana delle festività del Natale, sarebbe stato sospeso.
    In quei giorni il gioco, insomma, non poteva distrarre il popolo dalle preghiere.
    Ma il popolo subito pensò di organizzarsi per proprio conto.
    I novanta numeri del lotto furono messi in "panarielli" di vimini e, per divertirsi in attesa della mezzanotte, ciascuno provvide a disegnare numeri sulle cartelle. Così la fantasia popolare riuscì a trasformare un gioco pubblico in un gioco familiare, che prese il nome di tombola dalla forma cilindrica del numero impresso nel legno e dal capitombolo che fa lo stesso numero nel cadere sul tavolo dal panariello che, una volta, aveva la forma di tombolo.
    Ad ognuno dei novanta numeri della tombola fu attribuito un simbolo diverso da regione a regione. I simboli della tombola napoletana sono quasi tutti allusivi, alcuni anche piuttosto scurrili.
    Si può, dunque, affermare che la tombola è figlia del lotto, ma soprattutto della fantasia del popolo napoletano.


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    La storia del PUZZLE



    Il termine “puzzle” è di origine inglese (la sua pronuncia è pazol), ed indica un popolare gioco da tavolo che consiste nell’incastrare fra loro numerose tessere allo scopo di ricreare un’immagine originale. Il puzzle è un’invenzione che risale al XVIII secolo, e la sua paternità spetta al londinese John Spilsbury. Questo incisore e cartografo inventò i puzzle verso il 1760 semplicemente creando un disegno sulla superficie di una tavola di legno piatta e rettangolare, che poi veniva tagliata con un seghetto da traforo. In inglese, i puzzle sono definiti infatti come “jigsaw puzzle“, dove il termine jigsaw sta proprio ad indicare la parola “seghetto”. I primi modelli di puzzle erano fatti di legno e perciò pesanti e piuttosto scomodi da maneggiare e trasportare, e ben presto vennero soppiantati dai ben più pratici puzzle in cartone che erano molto più semplici anche da tagliare.

    La maggior parte dei puzzles del XVIII secolo aveva un ruolo istruttivo, oltre alla geografia, questi oggetti erano utilizzati per meglio insegnare la storia, la cronologia dei monarchi e famiglie regnanti, la religione, episodi biblici. In seguito verso la fine del XVIII secolo, venne dato spazio ad argomenti più leggeri e divertenti che dominarono la produzione crescente dei puzzles ne XIX secolo, soggetti come filastrocche, storie fantastiche, animali, eventi vari come l’incoronazione della regina Vittoria incominciarono ad esercitare un fascino maggiore sui bambini.
    Solo la ricca classe borghese era in grado di acquistare i primi puzzles, il prezzo era superiore al salario mensile di un lavoratore medio. La difficile lavorazione ed l’elevato costo dei materiali usati (soprattutto legno di alta qualità come mogano e cedro) rendevano il prezzo medio dei puzzles altamente proibitivo per le classi povere. Il prezzo dei puzzles declino durante il XIX secolo, grazie all’utilizzo di litografie e legno molto più economico. Tutto questo si svolgeva in Europa, in America i primi puzzles apparvero al grosso pubblico intorno al 1830 circa, tutti i puzzle precedenti a questa data erano importati dall’Europa. Dal 1850 la produzione di puzzles in America aumenta incredibilmente, i maggiori produttori americano di quel periodo sono McLouglin Brothers di New York e Milton Bradley di Springfield Mass. in seguito Parker Brothers di Salem Mass.
    Queste tre aziende furono i maggiori produttori di puzzles e giocattoli fino al 1920, quando Milton Bradley incorporò la McLouglin Brothers. Bradley e Parker continuano ad essere i maggiori produttori di giochi oggi, anche se entrambe sono state inglobate nella Hasbro in anni recenti.
    All’inizio di questo secolo i puzzles divennero anche un passatempo per gli adulti. Ci fu un Boom nelle vendite dei puzzles nel 1908, nel 1909 la domanda fu così alta che aziende come Parker Brothers, bloccarono la produzione di tutti gli altri giochi per dedicarsi completamente ai puzzles. Nel 1910-1911 Parker introdusse nei propri puzzles delle grosse innovazioni, pezzi tagliati nella forma di svariati oggetti (animali, cani gatti uccelli, iniziali dell’acquirente ecc.) al fine di rendere i più affascinanti divertenti e facili da assemblare. Un’altra innovazione fu l’introduzione dello stile Interlocking, cioè i pezzi si incastravano tra loro, in precedenza i pezzi di un puzzle potevano essere solo avvicinati, affiancati, ma non incastrati. Nonostante questi progressi tecnici il prezzo dei puzzles rimaneva alto, ogni pezzo doveva essere tagliato singolarmente. Negli anni successivi questa puzzles–mania declinò, benché i puzzles continuarono a essere venduti a migliaia.



    ....curiosità....

    Il puzzle, della Ravensburger, di serie più grande del mondo, 32256 (trentaduemiladuecentocinquantasei) pezzi. Lungo 5,44 metri, alto 1,92 metri per un peso di circa 17kg. Il puzzle è al tempo stesso un'opera d'arte, rappresenta infatti un'antologia delle opere del celebre artista statunitense Keith Haring (1958-1990)

     
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    GIOCO DELL’OCA – (Dal 1580…)



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    Il gioco dell’oca è un tipo di gioco da tavolo tradizionale per bambini. Si tratta di un gioco di percorso estremamente semplice, in cui il vincitore è determinato esclusivamente dalla sorte.

    La versione tradizionale
    Si gioca su un tabellone sul quale è disegnato un percorso a spirale, generalmente sinistrorsa, composto da 63 caselle (talvolta questo numero sale fino a 90), contrassegnate con numeri o altri simboli. I giocatori iniziano con unsegnalino nella casella di partenza e, a turno, procedono lungo il percorso di un numero di caselle ottenuto attraverso il lancio di una coppia di dadi. Lo scopo del gioco è raggiungere la casella centrale della spirale.

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    Alcune caselle di arrivo hanno un effetto speciale. Nella versione tradizionale, le caselle che rappresentano oche (da cui il nome del gioco) consentono di spostarsi subito in avanti di un numero di caselle pari a quelle coperte dal movimento appena effettuato. Queste caselle sono collocate ogni nove caselle a partire dalle caselle 5 e 9 (una conseguenza di questa disposizione è che un lancio iniziale di 9 porta immediatamente il giocatore alla casella 63 e quindi alla vittoria).

    Le altre caselle speciali sono le seguenti:
    alla casella 6 (“il ponte”) si paga la posta e si ripete il movimento come nelle caselle con le oche;
    alla casella 19 (“casa” o “locanda”) si paga la posta e si rimane fermi tre turni;
    alle caselle 31 (“pozzo”) e 52 (“prigione”) si rimane fermi fino a quando non arriva nella casella un altro segnalino, che viene a sua volta “imprigionato”;
    alla casella 42 (“labirinto”) si paga la posta e si torna alla 39;
    alla casella 58 (“scheletro”) si paga la posta e si torna alla 1.
    La casella d’arrivo (la 63) deve essere raggiunta con un lancio di dadi esatto; altrimenti, giunti in fondo, si retrocede dei punti in eccesso.

    Storia del gioco
    800px-Joc_de_la_Oca_-_Gabriel_Guasp_-XVIII-secolo

    Il gioco dell’oca, o giochi simili come scale e serpenti, sono fra i più semplici giochi di percorso, e quindi rappresentano i prototipi della categoria. Il concetto di gioco di percorso ha certamente origini molto antiche. Anche la numerazione delle caselle (presente in tutte le varianti tradizionali, incluso scale e serpenti), e l’applicazione di certe strutture numeriche (come la distanza fissa di 9 caselle fra le caselle con le oche), potrebbero avere significati dimenticati di tipo matematico o numerologiche.

    Il gioco dell’oca inteso nella forma moderna (con il percorso a spirale e le decorazioni tipiche) risale alla seconda metà del XVI secolo. Nel 1580 Ferdinando I De’ Medici fece dono del nuovo e molto dilettevole giuoco dell’oca a Filippo II Re di Spagna, il quale ne rimase affascinato. Le caselle della versione di De’ Medici erano decorate con simboli che in parte sono rimasti nella tradizione: due dadi, un teschio, una coda, un ponte, un labirinto o un’oca. Il giuoco dell’oca era forse derivato da un gioco cinese Shing Kunt t’o(“la promozione dei mandarini”), in cui il tabellone era costituito da 99 caselle numerate disposte a spirale.

    All’inizio del XVII secolo apparvero in Inghilterra i primi tabelloni stampati, e rapidamente il gioco si diffuse in tutta Europa. La decorazione tradizionale fu spesso rielaborata con soggetti diversi; per esempio, esistono giochi dell’oca con soggetti di tipo politico (come la Rivoluzione Francese) o letterario (episodi delle avventure di Don Chisciotte).

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    Riferimenti nella cultura
    Il gioco dell’oca, come in sostanza tutti i giochi di percorso, si presta a una lettura simbolica, già evidente nella scelta delle decorazioni della versione di De’ Medici, con i “pericoli” che rappresentano le difficoltà (fisiche e morali) della vita. Di conseguenza, il gioco viene talvolta citato con intento allegorico nella cultura e nelle arti.

    Un riferimento celebre al gioco si trova nel romanzo Il testamento di uno stravagante di Jules Verne (Le Testament d’un excentrique, 1899). Vi si narra di un eccentrico testamento che mette in palio una straordinaria somma fra sette contendenti, costringendoli a una spericolata gara in cui gli Stati Uniti diventano un gigantesco tabellone del gioco dell’oca. Il legame con il gioco dell’oca non è noto a chi conosce questa storia solo attraverso i numerosi adattamenti cinematografici (tra gli ultimi, Rat Race) che non ne fanno menzione.


    gioco_oca




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    IL CRUCIVERBA



    "Fun", la storia dei cruciverba è un fumetto pieno di misteri. Nel suo ultimo graphic novel Paolo Bacilieri incrocia le avventure del suo personaggio, Zeno Porno, a quelle delle parole crociate. Chi glielo ha fatto fare? Stefano Bartezzaghi, uno che l'enigmistica ce l'ha nel sangue...

    Sapete qual è la parola più usata in assoluto nei cruciverba (inglesi e non)? Gnu. Proprio il bovino africano, con aria indifferente, cammina per le strade della New York del 1913. Succede nelle prime pagine del nuovo graphic novel di Paolo Bacilieri (autore della biografia a fumetti Sweet Salgari e disegnatore, tra le altre cose, di Napoleone per Sergio Bonelli Editore). Il volume di intitola Fun e racconta la storia di uno dei giochi enigmistici più famosi al mondo: le parole crociate. Lo fa a partire da quella vigilia di Natale del 1913 quando il quotidiano New York World dell'editore Pulitzer pubblicò per la prima volta un curioso schema a caselle bianche e nere nella sezione domenicale. Lo stesso quotidiano aveva ospitato una delle prime serie di strip comiche a fumetti della storia, The Yellow Kid di Richard Felton Outcault.
    Dopo poco più di cento anni, il mondo dei fumetti e quello dei cruciverba si incrociano nuovamente nel graphic novel di Bacilieri per scoprire che, in fin dei conti, i due non sono poi così distanti: "Ho intitolato il mio libro Fun perché è la prima parola comparsa nel primo cruciverba, quello di Arthur Wynne del 1913. È una parola inglese, significa divertente, spero che anche il mio libro lo sia", racconta Paolo Bacilieri a cui l'idea di parlare di enigmistica in un romanzo a fumetti è stata suggerita proprio da uno dei massimi esperti italiani in materia, Stefano Bartezzaghi: "Ho conosciuto Stefano nel 2011 e ho scoperto che abitavamo a 200 metri di distanza qui a Milano. Scrisse un articolo molto bello su Sweet Salgari per Repubblica. Una sera, eravamo da Cucchi (una nota pasticceria di Milano, ndr), mi buttò lì questa idea: 'Perché non fai un graphic novel sulla storia dei cruciverba?'. Lì per lì devo aver risposto qualcosa come: 'Stefano, in un'altra vita, forse...'. Poi però ho letto il suo bellissimo L'orizzonte verticale e ho pensato che contenesse molte storielle ad alta 'fumettabilità'".(Alessandra Roncato, repubblica.it)

    «Chi sa qual è quell' oggetto che da quasi un secolo è sotto gli occhi di tutti ma non ha ancora una storia?»
    ..«è il cruciverba» - «è un' arte discreta che ama stare sulle sue».
    (Stefano Bartezzaghi)


    ...la storia...



    Sebbene già esistessero giochi simili, ad esempio in Italia le "parole quadrate" e gli "acrostici doppi", la paternità delle prime parole crociate è riconosciuta ad Arthur Wynne (1862-1945), giornalista inglese di Liverpool.
    Il New York World, giornale edito a New York dal 1860 al 1931, nel supplemento domenicale "Fun", il 21 dicembre 1913 pubblicò un nuovo gioco denominato word-cross puzzle realizzato da Arthur Wynne. Il gioco aveva forma di losanga senza caselle nere. Queste infatti furono introdotte solo successivamente dando così la possibilità di avere più definizioni sulla stessa linea.


    "Quell’inverno, in particolare, è alle prese con la necessità di farsi venire una nuova idea per l’edizione natalizia. Ripensa così a un gioco insegnatoli dal nonno quando era un bambino: il cosiddetto word square. Questo gioco prevede l’inserimento di una serie di parole che si leggono sempre allo stesso modo da qualsiasi verso si cominci. Arthur decide di renderlo più interessante creando delle caselle che possano essere compilate sia in direzione orizzontale che verticale. Solo più tardi deciderà di introdurre anche delle caselle nere per separare le parole.
    Inizialmente al nuovo passatempo viene dato il nome di cross-word, poi trasformato in word-cross a causa di un errore tipografico. La losanga con le caselle ottiene subito un grande successo di pubblico e viene programmata anche per le domeniche successive. Dopo qualche mese, la rivista decide di cancellare il cruciverba che presenta qualche difficoltà di stampa. Le proteste dei lettori, però, sono tali da indurre gli editori a trasformarlo in una rubrica fissa.
    Per oltre dieci anni, nessun altro giornale si prende la briga di pubblicarne, e al New York World rimane la completa esclusiva del cruciverba settimanale. Solo intorno al 1920 gli altri giornali cominciano a stampare le proprie versioni e, nel 1930, il termine cross-word compare nei dizionari a testimonianza del successo sempre più crescente di questo gioco che allena la mente e la memoria. In Italia bisogna attendere il 23 gennaio 1932 per la pubblicazione del primo numero de La Settimana Enigmistica, storica rivista dedicata a cruciverba, rebus e giochi di parole."
    (http://cultura.biografieonline.it/)
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    Nel 1924 sempre negli Stati Uniti esce il primo libro di cruciverba da risolvere che, per un errore tipografico, fu poi cambiato in crossword, poi rimasto. Il termine CROSSWORD comparve in un dizionario per la prima volta nel 1930. Il termine CRUCIVERBA comparve in un dizionario per la prima volta nel 1927. Secondo alcuni invece fu una felice intuizione di Valentino Bompiani, noto editore, solo nel 1929.

    In Italia i cruciverba avrebbero una precisa data di nascita. Infatti la Domenica del Corriere, l’8 febbraio 1925, pubblicò il primo “Indovinello delle parole crociate”. La prima attestazione della locuzione parole incrociate fu del 1927. A Valentino Bompiani si deve invece il nome cruciverba. Tra gli autori italiani, è stato famoso per i suoi schemi particolarmente difficili da risolvere Piero Bartezzaghi (il suo cruciverba pubblicato settimanalmente dalla rivista "La Settimana Enigmistica" era chiamato per antonomasia il Bartezzaghi), il cui testimone è stato raccolto dal figlio Alessandro. I migliori schemi sono difficili, ma non devono essere "astrusi": Bartezzaghi, infatti, sosteneva che l’abilità del creatore di parole crociate consiste nell'impegnare il solutore in una sfida leale, lasciandogli aperte le strade per completare il gioco. Particolarmente ostico è anche "il cruciverba più difficile del mondo" redatto annualmente da Ennio Peres..
    C’era stato però un precedente: il 14 settembre 1890 il giornalista Giuseppe Airoldi aveva pubblicato sul Secolo illustrato un cruciverba (senza quadrati neri), che non aveva avuto successo. I primi cruciverba di Airoldi furono pubblicati con il nome di "Parole Incrociate" il 14 settembre 1890 sul numero 50 de "Il Secolo Illustrato della Domenica" edito a Milano da Edoardo Sonzogno. Precisamente nella rubrica "Per passare il tempo". Era una griglia bianca di piccole dimensioni (4x4), perfettamente definita. Ma un piccolo dettaglio gioca contro di lui: il minicruciverba di Airoldi non contiene nessun quadratino nero. Nemmeno il rombo di Wynne ne ha, ma la figura bianca centrale svolge la funzione di separazione tra le parole di una stessa riga che differenzia i cruciverba dai giochi geometrici classici.
    Nel 1961 alcuni enigmisti italiani avviarono un'operazione che metteva in discussione il primato anglosassone nell'invenzione dei cruciverba. Ricorreva il centenario della nascita dell'enigmista Giuseppe Airoldi e approfittarono della commemorazione per diffondere un piccolo schema che quest'ultimo aveva pubblicato nel 1890. Airoldi era funzionario municipale e corrispondente del "Corriere della Sera", oltre che enigmista e musicologo e, per ovvie ragioni cronologiche, non seppe mai nulla di Wynne.

    ...nel mondo...



    Anche per i cruciverba vale il detto 'paese che vai usanza che trovi'. Infatti nel Nord America i cruciverba sono di tipo simmetrico, l'inizio delle risposte alle definizioni è numerato per orizzontali e verticali, ogni risposta deve contenere almeno tre lettere e le caselle nere devono essere al massimo un sesto del totale. Cruciverba simmetrico significa che, ruotando di 180 gradi lo schema, permane la simmetria delle caselle nere. Inoltre di solito sono di forma quadrata.
    In Gran Bretagna e in Australia invece gli schemi delle parole crociate hanno un numero ben maggiore di caselle nere pur mantenendo le altre caratteristiche sopra riportate.
    I cruciverba giapponesi invece non possono avere caselle nere ai quattro angoli e non possono essere contigue.
    In Italia invece si ammettono definizioni con risposte di sole due lettere, le caselle nere possono anche essere contigue, la forma è spesso rettangolare anziché quadrata, si utilizzano molto spesso schemi non simmetrici detti a schema libero. Si è anche soliti inserire risposte composte da più parole al centro dello schema in modo da formare una piazza più grande.
    In Francia i cruciverba sono di dimensioni più piccole: 8 o 10 colonne per righe.
    Gli accenti sono ignorati sia in Italia che in Francia, così come gli apostrofi.
    Le risposte nelle parole crociate in ebraico sono scritte da destra a sinistra.(www.crucienigmi.it/)


    "Presente da quasi un secolo su tutti i giornali del mondo, assente da qualsiasi storia del giornalismo, del costume, della lingua, il cruciverba è l'inavvertito elefante che siede nel salotto della comunicazione del Novecento. Molti lo ritengono piú antico di quello che è: eppure non poteva che nascere nella New York degli anni Dieci, contemporaneamente a tutto ciò che ha costituito l'orizzonte del moderno, dalla catena di montaggio al cubismo, dal giornalismo dei reportage alla musica jazz. Vuoto, il cruciverba è una griglia ortogonale di caselle; pieno, è un caleidoscopio alfabetico in cui si frammentano e si ricompongono le parole della lingua e i nomi del mondo, dando la possibilità ai lettori di verificare le proprie conoscenze in una sfida con se stessi, circoscritta a una percorrenza in metropolitana o a una sosta in poltrona durante il weekend. La storia del cruciverba è anche un romanzo. I suoi personaggi sono tutti straordinariamente eccentrici (e apparentemente tutti «normali»), i suoi dialoghi collegano definizioni indiziarie e soluzioni congetturali, la sua ambientazione è la metropoli, con i suoi giornali, i suoi grattacieli, i suoi mezzi di trasporto. A questa storia si incrociano affondi saggistici e un viaggio per immagini: i casellari a schema piú o meno libero occhieggiano da quadri, architetture, oggetti di design, abiti di alta moda, persino costumi da bagno, e il linguaggio delle definizioni e delle soluzioni ritorna in romanzi, poesie, test di intelligenza, titoli di giornale.

    «Per secoli e secoli l'invenzione del cruciverba è stata nell'aria. Dai primissimi andirivieni della scrittura nello spazio piano fino alla frenesia degli ultimi decenni dell'Ottocento, quando i precursori si affollavano e l'imminenza davvero si respirava, il cruciverba è stato lí lí per accadere. L'accumulo delle condizioni necessarie sarebbe prima o poi precipitato: tuttavia la scelta del tempo e del luogo di questa invenzione non sarebbe toccata al Caso».

    «Il 21 dicembre 1913 era una domenica. Il passante newyorkese che avesse acquistato una copia del "New York World" - il giornale quotidiano che era stato rifondato e portato al successo da Joseph Pulitzer - si sarebbe trovato fra le mani un involto molto piú voluminoso che negli altri giorni della settimana».
    (tratto da L'orizzonte verticale di Stefano Batterzzaghi)
     
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