ALBERI - CONIFERE, LATIFOGLIE..

..nei boschi, nella giungla insomma proprio tutti

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  1. gheagabry
     
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    L'ACACIA AFRICANA

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    Non è per difendere la bellezza delle sue chiome leggere e il suo bel portamento che l’acacia albida, chiamata balanzan nel Mali, ha messo le spine. E’ troppo importante per finire nello stomaco degli animali, perché, ancora più di altri alberi, sa prendere all’aria elementi chimici preziosi per la terra e fargliene dono. Azoto, fosforo, potassio dispersi nel vento, sono catturati dalle sue foglioline leggere e portate alle radici, che le accumulano nel terreno cotto dal lungo calore implacabile, come quello di un forno. Le sue lunghe antenne sotterranee, arrivano fino a 50 metri di profondità per cercare l’acqua, che nella stagione secca si ritira, in attesa del nuovo, fresco carico dissetante con le nuvole di Giugno. Allora, il bell’albero, si riposerà, lasciando cadere le sue foglie, al contrario degli altri che, proprio allora, se ne rivestono. Intanto, però, la mancanza di verde ha portato le giraffe affamate, con le loro bocche a tutta prova, ad addentare i suoi ramoscelli, nonostante le spine. Per difendersi, l’acacia comincia a distillare un veleno che disgusti le assalitrici, prima che i danni diventino troppo gravi. Minuscole particelle tossiche si sollevano intanto nell’aria calda, si dilatano, galleggiano e si spostano in trasparenti nuvolette odorose, fino a raggiungere le vicine. Insieme alla linfa scendono nelle radici, arrivano ai filamenti sensibili come nervi, portano veloci l’allarme ai fili intrecciati delle compagne, perché subito si mettano all’opera nello stesso modo. Il messaggio passa veloce da un albero all’altro e, finalmente, le giraffe disgustate si allontanano.
    Per ritardare al massimo l'effetto del messaggio odoroso, di cui questi animali sono consapevoli, per mangiare le foglie iniziano da una posizione sottovento. Nonostante questo, l’acacia potrà ancora vivere a lungo vicino al gran fiume Niger, che viaggia per un bel pezzo d’Africa, anche lui verde e assottigliato dal gran caldo.
    Sembrano non fare niente, calmi come sono, invece lavorano con la lentezza necessaria a non sprecare tempo, uniti da un’uguale, unica vita.

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    Edited by gheagabry1 - 27/1/2023, 00:27
     
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  2. gheagabry
     
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    LA PIANTA DELL'INCENSO


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    La pianta dell’incenso appartiene alla famiglia delle Busseraceae. Alla stessa famiglia appartiene la pianta dalla quale si ricava la mirra. Non si coltiva, ma cresce spontanea nelle aree desertiche nel sud dell’Arabia Saudita, in India, Etiopia e Somalia dove occupa ampie zone desertiche caratterizzate da un clima caldo torrido e dall’assenza di precipitazioni.
    Il genere Boswelia comprende più specie. La più conosciuta è la Boswelia sacra, dalla quale si ricava l’incenso più pregiato. Queste piante raggiungono l‘altezza massima di tre metri ed hanno un portamento molto contorto La corteccia è di colore grigio cenere ed i rami spesso si dipartono direttamente dal terreno a formare un grosso cespuglio con rami molto grossi. Le foglie sono composte, formate da foglioline ovali disposte in modo opposto su uno stesso asse (assomigliano a quelle della nostra acacia o robinia). Sono coriacee e di colore verde intenso e caduche. I fiori sono di colore avorio o rosa tenue, riuniti in grappoli portati sulla cime dei rami. Gli alberi di Boswelia non sono mai stati nel tempo oggetto di coltivazione nemmeno a scopo ornamentale perché, oltre ad essere poco decorativi, richiedono ambienti particolari difficilmente riproducibili nelle zone abitate: clima caldo secco e una modestissima quantità di acqua. Sopportano senza danni i venti intensi e prolungati tollerando anche le raffiche più impetuose grazie alla conformazione contorta dei loro flessibili rami.

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    Le varie specie di Boswelia producono incensi diversi per colore e profumo: i grani possono essere verdi, rossi o color ambra. Ma quelli più ricercati sono di colore argento. La raccolta è un’operazione che ancora oggi si fa con riti di vera sacralità che dura immutata dalla notte dei tempi. In primavera, alla ripresa vegetativa, quando all’interno della pianta la linfa e le sostanze gommose sono presenti in massima quantità, la corteccia del tronco ed i rami più vigorosi vengono incisi con lame o coltelli affinché fuoriesca l’essudato resinoso e gommoso di colore biancastro e lattiginoso. Questo, rimanendo sui rami per qualche settimana, diventa solido sotto forma di granuli più o meno grandi. E’ questo il momento della raccolta vera e propria. La stagione di raccolta dura tre mesi, da gennaio a tutto marzo e da ogni pianta è possibile ricavare fino a 10 chilogrammi di incenso.


    Edited by gheagabry1 - 27/1/2023, 00:37
     
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  3. gheagabry
     
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    burnell-7-scaled
    photo Neil Burnell


    Sono verticale

    Ma preferirei essere orizzontale.
    Non sono un albero con la radice nel suolo
    che succhia minerali e amore materno
    per poter brillare di foglie ogni marzo,
    e nemmeno sono la bella di un'aiola
    che attira la sua parte di Ooh, dipinta di colori stupendi,
    ignara di dover presto sfiorire.
    In confronto a me, un albero è immortale,
    la corolla di un fiore non alta, ma più sorprendente,
    e a me manca la longevità dell'uno e l'audacia dell'altra.

    Questa notte, sotto l'infinitesima luce delle stelle,
    alberi e fiori vanno spargendo i loro freschi profumi.
    Cammino in mezzo a loro, ma nessuno mi nota.
    A volte penso che è quando dormo
    che assomiglio loro più perfettamente -
    i pensieri offuscati.
    L'essere distesa mi è più naturale.
    Allora c'è aperto colloquio tra il cielo e me,
    e sarò utile quando sarò distesa per sempre:
    forse allora gli alberi mi toccheranno e i fiori avranno
    tempo per me.

    Sylvia Plath
    (28 marzo 1961)



    Edited by gheagabry1 - 27/1/2023, 00:29
     
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  4. gheagabry
     
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    Abete di Douglas

    abete-di-douglas



    Nei luoghi di origine nordamericani il Douglas è uno degli alberi del pianeta che raggiunge le maggiori altezze (fino a 95 m). In quei boschi i fusti sono privi di rami per almeno 20 m e hanno diametri di 0,9 – 1,5 m. In Europa si raggiungono altezze di 50 m, con diametri fino ad 1 m. Nei luoghi adatti il Douglas cresce velocemente e presenta incrementi del 100 % maggiori rispetto all’abete rosso. Il fusto è tondo e diritto. Questa pianta raggiunge un’età di 500 – 700 anni, singoli esemplari superano i 1000 anni. La corteccia presenta da giovane numerose sacche di resina, con gli anni diviene spessa e profondamente fessurata. Gli aghi sono teneri e flessibili, e profumano di arancio se strofinati. Gli strobili sono allungati, peduncolati e facilmente riconoscibili dalle squame munite di brattee triforcute.

    Solamente pochi frequentatori di boschi sanno che l’imponente abete di Douglas prima dell’ultima era glaciale era indigeno in Europa. Dal Nord America dove si è potuto conservare e dove rappresenta un importante fonte di legname da opera, il botanico David Douglas inviò in Europa, nel 1828, i primi semi del “pino dell’Oregon”. La reintroduzione non avvenne senza conflitti e ad oggi i forestali lavorano per coltivare nei luoghi appropriati questa pianta apprezzata per la notevole porzione di fusto privo di rami. Per l’impiego nella produzione di mobili ed interni si crede venga utilizzato sempre legname di importazione, sebbene la materia prima provenga anche da Austria e Germania.

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    Edited by gheagabry1 - 27/1/2023, 00:40
     
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  5. gheagabry
     
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    L'ONTANO



    L’ontano appartiene alla famiglia delle Betulacee, come la betulla e il nocciolo, ed è una pianta che predilige terreni umidi, come gli argini dei corsi d’acqua e le nebbiose paludi. Se cresce isolato da altre piante della sua famiglia può assumere forme molto contorte, mentre se cresce accanto ad altri alberi simili si erge eretto. Presenta una corteccia che inizialmente è liscia e di colore marrone/verde, in seguito più rugosa e scura, e se tagliata o incisa diventa rosso/arancione; i suoi rami si estendono molto e le sue foglie sono scure sulla pagina superiore e più chiare in quella inferiore, appiccicose quando sono giovani, arrotondate, seghettate e molto smussate in punta. Queste crescono e rimangono verdi fino alla caduta, senza perdere colore o ingiallirsi.
    L’ontano è un albero monoico, che produce, cioè, sia fiori maschili che fiori femminili sulla stessa pianta: quelli maschili si presentano in amenti lunghi e pendenti di colore verde/rosso, mentre quelli femminili sono eretti e a forma di cono ovale. I frutti sono piccoli, appiattiti e di colore rosso/bruno, mentre le sue radici, che possono anche fuoriuscire dal terreno, sviluppano ulteriori rami e nodosità. Il suo fogliame lascia filtrare la giusta luce per far sì che alla base del fusto nascano una gran moltitudine di piantine, come viole, menta, primule, edera, felce, aglio selvatico, balsamina, caprifoglio e altri tipi di erbe. Queste, a loro volta, attraggono gli insetti e altri piccoli animali, che trovano rifugio fra le radici, dando origine ad una grande vita attiva e movimentata alla base dell'albero.
    Gli ontani vengono utilizzati da secoli per bonificare i terreni infertili e impregnati d'acqua. Inoltre ha radici che contengono batteri in grado di utilizzare l'azoto dell'aria e fissarlo, migliorando, così, la carenza di azoto che, di solito, si riscontra nei terreni molto umidi. Cresce spontaneo nelle radure umide di tutta Europa. L'Ontano nero è la specie più adattabile, in particolare proprio grazie ai suoi tubercoli radicali che fissano l'ossigeno, inoltre ha un accrescimento molto rapido. Questa pianta fin dal mese di novembre fa spuntare i suoi amenti maschile che si allungano durante i mesi invernali.

    E' impiegato anche come sostanza conciante. Il suo legno era usato per la costruzione di barche, particolarmente adatto proprio perchè immarcescibile.... è molto resistente all'acqua: infatti a contatto diventa durissimo e si presta, quindi, ad opere come piloni per le barche e palafitte. Venezia è tutta costruita su fondamenta di pali di ontano. I menestrelli usavano l'ontano per produrre i loro pifferi.
    Il suo legno è anche di facile lavorazione e viene usato per fabbricare zoccoli e manici di scopa. La segatura era ed è usata in qualche caso ancora oggi, per affumicare pesci e carni.
    Il carbone di ontano è il migliore per la produzione di polvere da sparo..I Celti usavano il carbone di ontano per lavorare il ferro.


    ...miti e leggende...

    Legato al liquido mondo delle acque, l’ontano è sempre stato considerato un albero misterioso e magico, un naturale collegamento tra la dimensione della materia e quella dello spirito.
    Crescendo lungo le rive di corsi d’acqua, vicino a paludi o in luoghi molto umidi e nebbiosi, esso sembra essere intriso dell’ambiguo spirito dei Guardiani dell’Altromondo, esseri dalle forme inquietanti che si pongono come difensori dei luoghi sacri e che, segnandone i confini, li proteggono da coloro che non sono adatti ad oltrepassarli. Oltre ad essere simbolo del mondo spirituale per le sue particolari caratteristiche legate all’acqua, considerata un passaggio che conduce ai mondi fatati – come le nebbie, l’Ontano lo è anche per la forma delle sue gemme, che si sviluppano a spirale ed indicano, in tal modo, il percorso di consapevolezza e crescita interiore, rivolta sempre verso l’alto.
    In una saga medievale tedesca, chiamata Wulfdietrich, si può trovare l’affascinante e misteriosa figura della Donna Ontano. Si tratta di una fanciulla dall’aspetto incantevole che, dopo aver sedotto certi uomini, e trovandosi tra le loro braccia, si trasforma in un essere peloso e ripugnante, punendoli così della loro insaziabile sete di conquista, spesso priva di vero interesse e spinta dalla superficialità. Nel secondo canto dell’opera, questa creatura selvatica maledice il protagonista delle vicende, rendendolo folle per sei mesi, dopodichè lo conduce su una nave verso un luogo misterioso, in cui ella è Regina. Qui, la Donna Ontano si bagna in una magica sorgente e si trasforma, dall’essere peloso e ripugnante che era, nuovamente in fanciulla meravigliosa, la più bella mai esistita sulla Terra. In seguito a questo mutamento ella assume un nuovo nome, che tradotto significa “Vittoria dell’Amore”. Questa vicenda, di carattere chiaramente iniziatico, ricorda diverse storie appartenenti alla tradizione celtica e arthuriana, in cui il giovane cavaliere dal puro spirito deve vivere sacrifici e prove molto difficili per poter conoscere l’Amore divino e sposare la Donna/Dea Terra, spesso celata dietro un aspetto ripugnante.
    Un’altra misteriosa caratteristica dell’ontano è quella di “sanguinare” quando viene inciso. La sua linfa assume infatti un colore rossastro appena viene a contatto con l’aria, e dà l’impressione che l’albero perda sangue. D’altra parte questa linfa vermiglia veniva anche prelevata ed utilizzata per tingere i tessuti di lana, insieme ai fiori, che invece producevano una bel verde, e i ramoscelli, che davano il marrone. Accanto a questi colori, l’ontano mostrava anche il bianco del suo legno asciutto ed il nero, colorazione che lo stesso legno assumeva quando veniva bagnato, e che insieme al rosso del suo “sangue” rivelava i tre colori del processo alchemico di trasmutazione interiore, nonché quelli simbolici della Grande Madre nei suoi tre aspetti di Vergine selvaggia, Madre amorevole e potente Crone.

    Nella mitologia gallese l’ontano era associato a Bran il Benedetto, il gigantesco Dio che per aiutare la sua cara sorella Branwen, imprigionata e trattata come una serva dagli irlandesi, partì con i suoi compagni e li aiutò a guadare il fiume con il suo stesso corpo, stendendosi sull’acqua proprio come un ponte.
    Nel mito celtico della Battaglia degli Alberi (Cad Goddeu), invece, l’ontano è il primo albero dell’esercito e guida gli altri verso la battaglia, con ardore e temerarietà impareggiabili. Sempre nel mondo celtico il suo legno è uno dei nove usati per accendere il grande falò di Beltane, e nonostante sia un cattivo combustibile, il carbone che produce è dei migliori ed era largamente preferito dai fabbri perché sprigiona molto più calore rispetto a quello prodotto da altri alberi. In Irlanda tagliare un ontano era considerato un atto deplorevole, un vero delitto, e chi compiva questo gesto rischiava di vedere arsa la propria casa.
     
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  6. gheagabry
     
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    Il CIAVARDELLO


    Il Ciavardello (Sorbus torminalis) appartiene alla famiglia delle Rosaceae, è un albero alto 15-20 m oppure un arbusto alto 1-7 m, con chioma globosa, irregolare e densa, appiattita. L’aggettivo “torminalis” deriva dal fatto che tormina significa colica, infatti i suoi frutti venivano usati per trattare la colite. Il tronco, che ha la corteccia liscia grigio-bruna macchiata da lenticelle chiare che diventa rugosa e screpolata con il tempo, è eretto a volte policormico, con rami ascendenti bruno grigiastri, lucidi e angolosi. La corteccia una volta era usata come colorante rosso-bruno. Le foglie decidue molto diverse da quelle degli altri sorbi e somiglianti a quelle degli aceri sono alterne, lunghe 10-12 cm, con lamina ovata-lobata con 3-4 lobi profondi e acuti, con margini dentati in modo irregolare. Sono color verde brillante nella pagina superiore e più chiare in quella inferiore, con 3-5 paia di nervature secondarie che diventano rosso sangue in autunno. Inizialmente sono fortemente pelose, poi diventano glabre, e in autunno sono di color rosso sangue. I fiori ermafroditi, che compaiono tra aprile e giugno e sono molto amati dalle api, sono profumati, riuniti in corimbi radi, eretti, e hanno il calice peloso. La corolla è costituita da cinque petali bianco crema e presentano numerosi stami lunghi quanto i petali, con le antere gialle, e due stili. I frutti ricchi di vitamina C sono pomi ovoidali dal sapore acidulo, rossastri prima e poi color ruggine e punteggiati da lenticelle. Contengono 4 semi rosso bruni e restano sulla pianta tutto l’inverno, fornendo cibo agli uccelli proprio come il Sorbo degli uccellatori (e difatti anche il Ciavardello viene impiegato per attirare l’avifauna migratoria a scopo venatorio). Con i suoi frutti maturi si possono preparare marmellate e sciroppi, oppure previa fermentazione un distillato di elevato valore economico. Il suo polline non è allergenico. Arriva a 100 anni di età, ma solo di rado.
    Il legno del Ciavardello è molto omogeneo e compatto, paragonabile a quello del Noce. Veniva usato in ebanisteria e falegnameria fine per la produzione tra le altre cose di viti, denti di ruote, righe (dato che ha caratteristiche di indeformabilità), utensili vari. Oggi si usa per torniture e intagli, e per produrre strumenti musicali (flauti).




    Edited by gheagabry - 19/4/2012, 21:21
     
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  7. gheagabry
     
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    MACLURA POMIFICA



    La Maclura pomifera è un piccolo albero, o un grande arbusto, originario del nord America; molti esemplari di questo albero si trovano in Italia, nei giardini antichi, nelle ville, nei parchi, questo perchè verso la metà dell'800 si cercò di coltivare questa pianta per utilizzarne le foglie come cibo per i bachi da seta, visto che la maclura appartiene alla stessa famiglia del gelso, le moracee. Il progetto non ebbe successo, però le piante rimasero, ormai utilizzate solo come ornamento. Nei luoghi d'origine invece la maclura pomifera veniva utilizzata in mille modi, il suo legno come materia prima per archi e frecce, le radici per estrarne un colorante naturale. Il legno della maclura è durevole e di colore gradevole, viene tutt'ora utilizzato per produrre utensili da lavoro.
    In Italia la maclura è puramente un albero ornamentale, utilizzato come esemplare singolo, in modo che dispieghi la sua chioma, oppure come pianta per produrre alte siepi. Questa pianta ha foglie caduche, di colore verde scuro, coriacee e lucide, che ricordano vagamente le foglie del limone o dell'arancio; sul tronco e all'ascella fogliare sono presenti grosse spine molto acuminate, che rendono la maclura molto utile per formare siepi invalicabili. In primavera inoltrata la pianta produce grandi infiorescenze verdastre; si tratta di una pianta dioica, quindi i fiori maschili ed i fiori femminili vengono prodotti su esemplari differenti. In estate ai fiori seguono i frutti: appariscenti infruttescenze, che ricordano delle grosse arance, simili a palle da tennis, compatte, di colore verde, con la superficie esterna ricoperta da piccole protuberanze. Nonostante a vedersi i grossi frutti siano molto invitanti, ed emanino un delicato profumo aranciato, in realtà non sono commestibili, soltanto i piccoli semi contenuti all'interno vengono mangiati dagli scoiattoli.

    Il legno della Maclura è un legno dalle molte virtù. Pesantissimo e molto duro, può smussare rapidamente punte da torno e lame da sega. Eppure è prodigiosamente flessibile, infatti i pellerossa Osage lo usavano per fabbricare archi dalle prestazioni eccezionali, in grado di trafiggere un bisonte facendo penetrare una freccia di legno di Corniolo fino all’impennatura. Ha un color ocra screziato da cui deriva un altro nome della pianta: legno giallo. In passato il legno è stato utilizzato per fabbricare gli assali dei carri, mozzi di ruote, pulegge, manici di attrezzi, pali, manganelli, parti di battelli, pavimentazione stradale e traversine ferroviarie che dopo 25 anni avevano ancora le stesse caratteristiche dell’anno in cui erano state posate.

    La Maclura pomifera, nel Nordamerica, è conosciuta come Osage orange, introdotta in Europa nel 1818 ed in Italia nel 1827. In alcune zone come la Toscana, è nota anche come "Moro degli Osagi". Era ben noto agli Indiani d'America, in particolare, sembra, alla tribù degli Osage, che ne utilizzavano il legno flessibile ed elastico per la costruzione di archi (e, per questo motivo, nel Lazio viene anche detto "legno d'arco"), e riuscivano a ricavare, sempre da quest'albero, un pigmento giallastro con il quale si tingevano il volto. Thomas Nuttall, padre della botanica americana, descrisse la pianta nel 1811 e le diede il nome dell'amico William Maclure, geologo filantropo.
    (dal web)


    Edited by gheagabry - 25/2/2017, 18:25
     
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  8. gheagabry
     
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    scatto di Gerd Frey

     
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  9. gheagabry
     
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    La SOFORA JAPONICA


    Lo Styphnolobium japonicum ((L.) Schott ex Endl.) o Sophora japonica, conosciuto con il nome comune di Sofora del giappone è una specie esotica, proveniente dalle regioni centro asiatiche, proviene dal Giappone, dalla Cina Nord orientale e dalla Corea e fu introdotta in Europa nel 1747. La Sophora Japonica è un albero ornamentale da ombra che da adulto può raggiungere i 7-10 m ed eccezionalmente i 20 metri di altezza. Appartiene alla famiglia delle leguminose e delle papilionacee. La Sophora del Giappone si distingue per il suo portamento vegetativo, coi rami primari tortuosi e i rami secondari pendenti. Per mantenere queste caratteristiche viene innestata sulla sophora selvatica, dai rami diritti, inclinato-verticalizzati, non contorti e con la vegetazione giovane pendula. La Sophora Japonica la troviamo coltivata come albero ornamentale ed è presente in particolar modo nei parchi e nei giardini delle antiche ville. La Sophora Japonica cresce in tutta l'Europa tranne che nelle regioni nordiche più fredde, ma si sviluppa meglio nelle regioni temperate.
    La fioritura avviene nei mesi estivi. I fiori di colore bianco crema o bianco violetto, a seconda della varietà, misurano 1-2 cm di lunghezza; sono riuniti in gruppi e sono leggermente profumati....le foglie sono decidue, composte da 7 o 13 foglioline con lamina lanceolata ed apice appuntito. Nella pagina superiore sono di colore verde scuro brillante, in quella inferiore sono poco più opache; in autunno, invece, assumono il caratteristico color oro su entrambi i lati....i frutti a legume (lomento) contengono da 3 a 7 semi interspaziati da strozzature.

    Le ramificazioni contorte e spiraleggianti rappresentano una vera e propria scultura vegetale vivente. Nelle zone di origine, dai baccelli si estraggono pigmenti per colorare di giallo i tessuti. Il legno di queste piante può essere usato per costruire oggetti di uso comune.

    E' una pianta con proprietà fitoterapiche, infatti, da foglie e frutti si ricavano sostanze medicinali con proprietà diuretiche e depurative. I semi di Sophora secundiflora contenenti alcaloidi, vengono usati come allucinogeni nei riti tribali delle popolazioni indigene degli U.S.A.

    ..altre Sofore..


    Sophora davidii, con foglie lucide, pennate, di color verde scuro e fiori riuniti in racemi, con petali color bianco-blu e calice viola; l´altezza massima è 2-3 metri.
    Sophora flavescens, con rami arcuati, foglie pennate verde scuro e fiori penduli, riuniti in racemi color bianco-crema; viene largamente impiegata per curare varie patologie nella medicina tradizionale cinese.
    Sophora microphylla, originaria della Nuova Zelanda, è un albero dalle dimensioni più contenute rispetto alle altre piante appartenenti a questo genere, dato che al massimo si sviluppa fino ad una altezza di 2-3 metri con diametro di 1-2 metri della chioma. Le foglie sono piccole ed oblunghe mentre i fiori sono gialli.
    Sophora prostrata, dall´aspetto molto “aggrovigliato”, presenta rami color giallo-arancio, piccole foglie e infiorescenze gialle, talvolta gialle-arancio; al massimo raggiunge i 2 metri di altezza per altrettanti di larghezza.
     
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  10. gheagabry
     
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    caducifoglie_27



    Tanto tempo fa, sulla terra non vi erano troppe differenze tra le piante, se non quelle relative al tempo.Le piante che erano nate prima,e quindi più adulte, chiacchieravano tra di loro, e le nuove si guardavano intorno incuriosite. La Novità, una particolare fata delle piante, già da tempo girava irrequieta tra la flora, senza riuscire a capire il perché di quel nervosismo. La fata percepiva che stavano cambiando le cose, e non sarebbe stata proprio lei a tirarsi indietro di fronte a quel cambiamento.

    Nei giorni seguenti, la forza del vento aumentò gradualmente, sempre di più. Tanto aumentò che le piante più piccole, più delicate cercarono riparo tra quelle più adulte.Ci fu una grande migrazione,con le giovani piante che si divertivano da morire, rincorrendosi e girando intorno alle piante più adulte. A tutta quella festa alcune piante adulte reagirono bene, riscoprendosi anche loro "bambine" e partecipando alla gioia, altre, prima pian piano, poi sempre più manifestamente, cominciarono a dare segni di fastidio. Cominciò cosi' un'animata discussione sull'argomento, che portò le grandi piante a dividersi in due settori di opinione: quelle che amavano la gioia delle giovani piante e quelle che ne erano infastidite.

    Il vento,che ascoltava senza esser visto,comprese l'origine della contesa, e decise che occorreva far rinascere nelle ultime qualcosa che si era perduto. Soffiò con sempre maggiore forza, sino a creare nelle piante una sorta di sonnolenza, di dormiveglia, quello che in seguito sarà chiamato il letargo. Al risveglio,le piante sentirono,con la percezione propria di ognuna, che qualcosa in loro era cambiato.

    I giorni passavano, mentre il cambiamento prendeva piede, con grande gioia della nostra fatina, e diventava parte dell'esistenza; il clima divenne più fresco, infine più freddo, ed alcune piante,in particolare quelle che erano rimaste infastidite dalle grida delle piante più giovani, cominciarono a sentirsi vecchie, ad addormentarsi e perdere le foglie, mentre le altre rimanevano verdi, in virtù della loro propensione alla vita.

    Fu così che nacquero le piante che perdevano le foglie nel periodo freddo, per poi rinascere con i tepori di quella che verrà chiamata la primavera. In questo modo,quelle piante che, tutte prese da se stesse, avevano dimenticato la bellezza di tornare bambine, lo avrebbero ricordato in continuazione: ogni anno avrebbero ricoperto il terreno dei gioiosi colori del tempo, per poi riassaporare il vigore della gioventù con l'inizio della nuova stagione.
    (dal web)

     
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  11. gheagabry
     
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    “Gli alberi raccontano al cielo i segreti della terra.
    Se voi faceste meno rumore potreste sentire
    le loro parole giungere direttamente al cuore.
    Allora, forse, potreste smettere, come noi, di cercare.”

    (dal web)

     
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  12. gheagabry
     
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    L'albero vivente più vecchio del mondo



    Oltre all'abete rosso svedese, piante millenarie si trovano in California, Iran, Cile e Italia.
    È un abete rosso le cui radici hanno 9.550 anni, trovato in Svezia da un gruppo di botanici dell’Università di Umea. Tra questi, il professore Leif Kullman, cui si deve la datazione, che lo ha definito “il più antico organismo vivente oggi conosciuto”. Il tronco dell’abete, che gode di ottima salute, ha soltanto 600 anni ma le sue radici sono nate durante l’ultima glaciazione e sono sopravvissute al clima e alla deforestazione. Nelle radici dell’albero (analizzate al carbonio 14) è possibile “leggere” tutti i cambiamenti climatici che si sono verificati negli ultimi 8 millenni.

    Prima dell’abete svedese, l’albero ritenuto più antico si trovava in California: un pino di circa 5 mila anni, soprannominato “Matusalemme”. Altre piante millenarie sono in Iran (un cipresso di oltre 4 mila anni) e in Cile (3.600 anni). Anche l’Italia vanta il suo primato: in Sardegna, nella provincia di Sassari, c’è infatti un olivo selvatico di 3 mila anni. Considerando i cespugli, invece degli alberi, l’età può aumentare ancora: l’anno scorso, i ricercatori dell’Università di Davis, in California, hanno scoperto vicino a Las Vegas una quercia di addirittura 13 mila anni. In realtà, la pianta è formata da tantissimi cespugli, ognuno di età diversa, cloni l’uno dell’altro, tutti originati da un unico esemplare antichissimo. In questa forma ha potuto sopravvivere a tutte le avversità.

     
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  13. gheagabry
     
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    Il tasso



    Il Tasso comune è una conifera sempreverde, appartenente alla famiglia delle Taxaceae; ha crescita alquanto lenta e gli esemplari adulti possono raggiungere anche i venti metri di altezza.
    La corteccia del tasso è di colore marrone rossastro, ma diventa grigia con il passare del tempo fino a squamarsi. Le foglie lunghe fino a tre centimetri, sono piccole, lucide e nella tonalità del verde scuro sul lato superiore, verde chiaro sul lato inferiore; la chioma è tondeggiante, parecchio folta e irregolare, mentre i rami sono molto bassi; i frutti e le foglie dei tassi sono fortemente tossici. Questi alberi sono originari delle zone dell’Europa settentrionale, Nord Africa e del Caucaso; in Italia sono diffusi principalmente in luoghi montuosi. La pianta, essendo una Pinophyta, non produce frutti (solamente le Angiosperme ne producono).
    Quelli che sembrano i frutti in realtà sono degli arilli, ovvero delle escrescenze carnose che ricoprono il seme. Inizialmente verdi, rossi a maturità, contengono un solo seme, duro e molto velenoso; la polpa invece è innocua e commestibile.
    Gli uccelli favoriscono la diffusione della pianta: mangiano gli arilli e ne digeriscono la polpa, mentre i semi veri e propri riescono ad attraversare intatti il processo digestivo e, espulsi, si insediano nel terreno dando origine ad un nuovo esemplare. Il tasso è quindi una pianta zoofila (o a riproduzione ornitogama), che si serve degli animali per riprodursi: senza gli animali gli arilli cadrebbero al suolo e non crescerebbero per la mancanza di luce e la concorrenza con la pianta madre per i sali minerali del terreno. Un seme di tasso può impiegare fino a due anni dalla messa a dimora per germinare.
    Il nome comune deriva dal greco taxon che significa "freccia", e l'appellativo di albero della morte nasce proprio dal suo impiego nella fabbricazione di dardi velenosi e dalla sua caratteristica tossicità

    ...storia, miti e leggende...


    Il Tasso (Taxus baccata) è albero ammantato di fascino e mistero, anticamente sacro presso molti popoli, denso di significati simbolici e circondato da una copiosa massa di leggende, quale nessuna altra specie della flora europea, fatta eccezione per la quercia.
    Il Tasso ebbe la sua massima diffusione nell'era Terziaria, in corrispondenza di condizioni climatiche assai diverse da quelle odierne; dopo l'ultima glaciazione, avvenuta circa 10.000 anni fa, ha conosciuto un progressivo ed inesorabile declino, al punto da divenire estremamente raro allo stato spontaneo, e da mantenere una certa diffusione solo grazie all'uomo, che lo apprezza molto come specie ornamentale. Dotato di un legno eccezionalmente resistente e flessibile, oltre che durevole (può mantenersi inalterato per migliaia di anni), venne fino dai tempi remoti prescelto per la fabbricazione di archi, frecce e lance. Di legno di Tasso è il grande arco di Ötzi, l'uomo del Similaun (3.330 a.C. circa); di tasso era la freccia che uccise Re Riccardo Cuor di Leone. Lo stesso nome specifico deriva dal greco antico Tóξov (Toxon), che significa appunto "arco". Tra il 13° ed il 16° secolo la richiesta di legname per fabbricare armi fu talmente elevata da decimare dapprima i boschi inglesi, e poi quelli spagnoli e dei territori anseatici, da cui gli inglesi lo importarono una volta esaurito il proprio. La popolazione europea del Tasso non si è mai più ripresa da quei secoli di guerra.
    Già nel IV secolo a.C., Teofrasto ci parla del carattere estremamente velenoso della pianta le cui foglie, notava, sono letali per gli equini, anche se risultavano innocue per i ruminanti. Nell'età moderna le proprietà tossiche sono state attribuite ad un alcaloide chiamato Tassina (in realtà sono state riconosciute sei differenti molecole tossiche), presente in tutti gli organi della pianta, ad eccezione della parte carnosa del frutto, ed in grado di uccidere, in dosi elevate, anche l'uomo. Il veleno del Tasso era utilizzato per rendere più micidiali le punte di freccia e di lancia, anche se veniva pure usato, in una sorte di anticipazione dei principi omeopatici, per curare i morsi di ragni e serpenti. Shakespeare racconta come il padre di Amleto fu ucciso proprio versandogli nell'orecchio una sostanza estratta dal Tasso.
    Che una pianta impiegata per produrre armi mortali, e le cui foglie e corteccia sono in grado di uccidere uomini ed animali, venisse associata alla morte, appare come un fatto conseguente e naturale. L' altro nome volgare che ha nella lingua italiana, ovvero Albero della Morte, ce lo ricorda immediatamente. Il Tasso diviene quindi il solitario guardiano dei cimiteri celtici, ma addirittura già di quelli dei popoli a loro precedenti, una tradizione che si è poi mantenuta anche nei luoghi di sepoltura cristiani della Gran Bretagna e della Francia.
    Su di un piano parallelo, l'eccezionale longevità ricosciutagli (Secondo un'antica tradizione cimbrica poteva vivere fino a 20.000 anni! Aldilà della leggenda, si tratta comunque della specie europea più longeva, anche se l'età dei suoi esemplari maggiori può essere solo stimata, vista la caratteristica di svuotare la parte centrale del fusto. Gli individui più vecchi si ritrovano in Gran Bretagna; al Tasso di Fortingall, in Scozia, sulla cui età gli studiosi hanno opinioni assai discordi, vengono attribuiti dai 2.000 ai 5.000 anni.), e l'incredibile durata del suo legno (di Tasso è il più antico manufatto umano di legno, costituito da una lancia pressochè intatta, rivenuta a Clacton in UK, e datata 150.000 anni fa), ne hanno fatto ben presto anche un simbolo di immortalità e di saggezza omnicomprensiva.

    Presso le popolazioni pre-romaniche, il Tasso viene in definitiva a simboleggiare la morte, ma intesa come momento di passaggio verso una nuova vita, ed ancora il continuo rinnovamento della vita attraverso la trasformazione, l'eterno ciclo di morte e rinascita, la porta attraverso la quale si apre la via per l'eterna vita dell'anima, ed infine la promessa di vita contenuta nella morte.
    Per i primi popoli germanici, il Tasso era l'Albero della Rinascita, ed era associato al giorno del 21 dicembre, giorno in cui il Sole rinasceva dal ventre del mondo sotterraneo, e ricominciava il ciclo annuale di vita e morte. Nel calendario dei Celti, presso cui fu albero sommamente sacro (era uno dei cinque alberi magici, di Tasso era il bastone dei Druidi e le lettere runiche dell'alfabeto iniziatico Ogham), era associato alla festa di Samhain, situata nel mese di novembre, durante la quale si aprivano le porte tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Si credeva che il Tasso fosse il guardiano delle porte che mettevano in comunicazione i due mondi, che purificasse i morti e proteggesse l'anima nel suo viaggio verso l'aldilà, prevenendo l'interferenza degli spiriti malvagi. Proprio per proteggere il morto durante il suo viaggio, si mettevano nel sudario dei ramoscelli di Tasso, e per la stessa ragione si piantava nei cimiteri, laddove si credeva che la pianta inviasse una radice ad ogni corpo ivi sepolto. Anche i Greci lo considerarono una sorta di porta di accesso verso gli Inferi, e lo avevano dedicato ad Ecate, dea degli Inferi; i sacerdoti di Eleusi lo utilizzavano durante i loro riti riti misterici, come simbolo inscindibile di morte ed immortalità.
     
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  14. gheagabry
     
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    L'EUCALIPTO



    L'eucalipto, nome comune di eucalyptus, appartiene alla famiglia delle Myrtaceae ed è un albero originario dell'Australia. E' un albero arboreo e sempreverde.
    Albero a grande sviluppo, raggiunge anche i 25 metri di altezza. La chioma è a forma colonnare, aperta, molto ampia- Le foglie sono persistenti ma rinnovabili. Da giovani sono ovali ma con il tempo assumono una forma lanceolata, piuttosto accuminata, la colorazione è un tipico verde argentato. I fiori sono generalmente solitari, costituiti da numerosissimi stami inseriti sull'ovario; questo è avvolto dal ricettacolo legnoso, da cui deriverà il frutto. Secondo alcuni autori la fioritura avviene da novembre a luglio, mentre secondo altri da maggio a luglio; probabilmente in relazione alle differenti zone d'Italia in cui questa specie è presente. I fiori sono solitari, portati all'ascella delle foglie, piuttosto vistosi. Sono costituiti da numerosissimi stami inseriti sull'ovario; questo è avvolto dal ricettacolo legnoso, da cui deriverà il frutto.

    In medicina.....Si raccoglie la fronda matura, senza parti apicali tenere. Gli estratti della pianta timolano il sistema circolatorio, permettendo così un miglior incanalamento dell'ossigeno e delle sostanze nutritive verso le diverse parti del corpo. E' adatta per tutte le persone che soffrono di patologie all'apparato respiratorio, viene trovato molto spesso nei negozi come essenza per il bagno.
    Gli aborigeni australiano masticano le radici di eucalipto per dissetarsi.


    "Il botanico Labillardière che accompagnava il navigatore Entrecasteaux per la ricerca di La Perouse, vide per la prima volta il 6 maggio 1792 un gruppo di Eucalyptus sulla terra di Van-Diemein, grande isola al sud dell'Australia. La forma e le dimensioni di quest'albero meravigliarono Labillardière che capì l'utile che se ne poteva trarre. Egli lo descrisse nella sua Storia delle Piante della Nuova Olanda, sotto il nome di Eucalyptus globulus. Il nome scientifico di globulus era destinato a ricordare la forma globulosa del frutto o delle capsule che avvolgono i semi." Così G. L. Figuier introduce nel suo libro "Storia delle piante" il genere Eucalyptus.
    Fu, comunque, l'Hèritier nel 1788 ad attribuire a questo vasto genere di alberi il nome di Eucalyptus, riferendosi al peculiare opercolo che racchiude il fiore fino alla maturazione. Il termine Eucalyptus nasce infatti dalla combinazione di due vocaboli greci: éu = bene e kalypto = nascondo.
    A questo genere appartengono circa seicento specie originarie della Tasmania, della Nuova Guinea, ma soprattutto dell'Australia. Nel Nuovissimo Continente gli eucalipti fanno parte delle formazioni forestali della savana alberata (prateria alberata pascolata da pecore), della foresta arida spontanea a sottobosco di acacie varie, delle foreste localizzate ai margini della zona desertica centrale ed, infine, delle foreste umide localizzate nelle zone montuose e caratterizzate da elevata piovosità e ridottissimi periodi di siccità. Da specie alte pochi metri si passa gradualmente a specie con esemplari giganteschi che possono superare i 100 metri di altezza. La letteratura riporta il caso di un esemplare maestoso abbattuto alla fine del secolo scorso in Australia: 130 metri di lunghezza, purtroppo non di altezza.Delle numerose specie classificate solo una sessantina hanno anche interesse economico e provengono tutte dalle zone costiere dell'Australia, le zone caratterizzate da clima mite e da ricchezza di precipitazioni atmosferiche. Attualmente gli eucalipti sono diffusi in numerosi paesi in ragione della adattabilità delle differenti specie a climi diversi, della rapida crescita e dei molteplici scopi per cui vengono coltivati.

    La sua introduzione in Italia...Nel catalogo pubblicato nel 1803 da G. A. Graefer per il Giardino Reale di Caserta sotto il nome di Mestrosideros metrum vacuum veniva ricordata una pianta di Eucalyptus robusta; poco dopo, nella Villa del Principe di Bisignano a Barra, avvenne l'identificazione di un E. capitellata. Il botanico prima citato, nel 1809, nel catalogo delle piante dell'Orto Botanico di Napoli elencò otto specie di eucalipto, tra le quali E. camaldulensis, specie dedicata al Duca di Camaldoli che nel suo giardino di Napoli raccolse una importante collezione di questi alberi.
    Negli. stessi anni gli eucalipti si diffusero in altre parti d'Italia, segnatamente nelle ville patrizie per il loro notevole valore ornamentale: a Porto Empedocle, sul Monte Argentario dal Barone Ricasoli, a Pegli, in Liguria, dal Durazzo Pallavicini, ecc. Queste notizie permettono di concludere che l'introduzione in Italia dei primi esemplari di eucalipto avvenne alla fine del '700, contemporaneamente a quanto avveniva nel resto d'Europa. Un ruolo particolare nella diffusione dell'eucalipto in Italia venne svolto dai Monaci Trappisti dell'Abbazia delle Tre Fontane, fuori Porta San Paolo a Roma che nel 1869, intravedendo un differente valore economico nella coltivazione di questi alberi, iniziarono a realizzare in pianura le prime formazioni monospecifiche di eucalipti. Un'iniziativa attirò l'attenzione del governo che concesse in enfiteusi ai Padri Trappisti l'intera tenuta delle Tre Fontane, "purché i concedenti si obbligassero a piantare un eucalipteto al fine di migliorare l'aria non salubre della zona". Lo scopo del Governo era di convincere i proprietari dell'Agro Romano a piantare eucalipti in quanto si riteneva che essi potessero, con i loro effluvi aromatici, risanare l'aria e far scomparire la malaria; probabilmente la regressione della malaria era da attribuirsi al notevole assorbimento di acqua stagnante esercitato da queste piante.
    Furono così messe a dimore piante di diverse specie, tra cui E. camaldulensis, E. globulus, E. resinifera, E. melliodora, E. polyanthemos, E. botryoides, E. viminalis. L'inverno del 1875, particolarmente rigido, si incaricò di accertare che gli eucalipti erano abbastanza resistenti ai geli prolungati, mentre l'abate Franchino accertò che nel clima romano avevano saputo sopportare brillantemente quattro mesi di ininterrotta siccità. Nacque la più vasta superficie di eucalipteti in coltivazione specializzata. Un rapporto inviato dal già citato abate Franchino al ministero dell'agricoltura precisava che "nello spazio di un anno si sono piantati 28.500 Eucalyptus (…..) Quanto alla malaria essa diminuisce molto sensibilmente alle Tre Fontane dopo la piantagione degli Eucalyptus. Dal 1869 al 1874 un quarto dei religiosi soffriva ordinariamente la febbre, ed era obbligato a lasciare la sera l'abbazia e far ritorno a Roma. Oggi, al contrario, la febbre attacca appena 5 individui su 100, ed i casi di febbre perniciosa sono assai rarissimi (….) I buoni effetti del risanamento considerevole, già constatato, sono dovuti soprattutto all'aroma che emana dagli Eucalyptus ed alla proprietà che ha quest'albero di disseccare il terreno (….)."
    (mieliditalia.it)

    ....l'eucalipto e i koala....


    Il koala passa quasi tutta la vita sugli alberi di eucalipto. Verso sera, in quanto arboricolo notturno, inizia il proprio pasto composto di foglioline e gemme di eucalipto, consumandone abitualmente circa mezzo kg al giorno. Trascorre il resto del tempo sonnecchiando, incuneato saldamente nella biforcazione di un ramo. Occasionalmente scende a terra per cambiare albero o per favorire la digestione inghiottendo terra, corteccia e sassolini. La masticazione del koala è estremamente lunga, e l'animale non inghiotte le foglie e le gemme prima di averle ridotte a una pasta finissima con le proprie forti mandibole.
    I koala dell’Australia si cibano esclusivamente di foglie fresche di eucalipto, un fatto noto agli aborigeni e ai curatori degli zoo di tutto il mondo. Questo nutrimento esclusivo ha un effetto narcotico-rilassante sui koala. Per questo motivo gli aborigeni credono che i koala sono tossicodipendenti dalle foglie di eucalipto. L’adattamento e l’abitudine alle foglie di eucalipto non sembra essere geneticamente impresso nei koala, bensì si forma nei primi mesi di vita attraverso l’allattamento e l’educazione materna. Ciò sarebbe provato dal fatto che si è riusciti ad adattare e a far sopravvivere i koala con una differente dieta (latte di mucca, pane e miele) a condizione di separarli dalla madre appena nati (Siegel, 1989, pp. 43-49).


    C’era una volta, un orsetto Koala, che abitava sopra un albero di eucalipto, si chiamava Rosmarino e viveva felice con la sua mamma e il suo papà, sgranocchiando allegramente le tenere foglioline dell’amico albero. Un giorno Rosmarino pensò che si era stancato di mangiare sempre lo stesso tipo di foglie sul medesimo albero, e volle andarsene per cercare qualcosa di più buono in un posto più bello. Quando li salutò, il papà e la mamma erano molto tristi, non capivano perchè il loro adorato cucciolo stesse partendo. Secondo loro non esisteva nulla di più buono delle foglie di eucalipto, ma soprattutto nulla di più bello del loro albero. Rosmarino era testardo e partì felice, promettendo loro che sarebbe tornato, prima o poi.
    Se ne andò a spasso per un po’ nella foresta a testa alta, fiero di quello che stava facendo, ma quando il sole fu sul punto di tramontare s' impaurì, perchè non aveva ancora trovato un riparo per la notte. Cammina cammina, si rese conto che non sapeva nemmeno dove si trovasse, e che non sarebbe riuscito a tornare dai suoi adorati genitori. Cominciò a piangere, i suoi occhi diventarono rossi e gonfi tanto che quasi non ci vedeva più, allora, mentre se li strofinava con le zampette, guardando in alto, vide un grande albero di mele, con i frutti rossi e maturi che pendevano dai solidi rami. Immediatamente salì sull’albero, e lì si sentì comodo e al sicuro come mai si era sentito in vita sua. Era così stanco che subito si addormentò.
    Il giorno dopo, quando si svegliò, la prima cosa che vide fu una grossa mela, rossa e profumata davanti a sè, allungò la zampetta e la raccolse. Aveva molta fame, perciò diede subito un morso al frutto succoso, e pensò che non aveva mai mangiato niente di più dolce e delizioso.
    Quando finì di mangiare la terza mela, si sentì sazio e si sistemò comodamente sdraiato sopra due grossi rami intrecciati fra loro, preparandosi per dormire ancora un po’, ma un rumore lo disturbò, era un fruscìo molto fastidioso. Un esercito di formiche stava avanzando verso l’albero, i piccoli animaletti neri formavano una lunga striscia scura che lentamente si avvicinava, Rosmarino cominciò ad avere paura perchè erano moltissime. La formica che guidava tutte le altre era la più grossa, aveva una corona in testa e gridava continuamente imponendo ordini a tutte le altre.
    Quando questa si trovò proprio sotto l’orsetto gridò: "ALT!" e tutte le altre ubbidienti si fermarono immediatamente, poi disse: "Orsetto, buttaci le mele, così possiamo mangiarle senza doverci arrampicare sull’albero".
    Rosmarino rispose: "Va bene, ve ne lancio qualcuna".
    La Regina delle formiche urlò: "Noi vogliamo tutte le mele, hai capito?".
    Il Koala rispose: "Se ve le butto giù tutte, io cosa mangio?.
    "Se non le fai cadere tutte - annunciò la Regina - noi scuoteremo l’albero, così oltre alle mele faremo cadere anche te".
    Rosmarino non voleva cedere e si attaccò con una zampa ad un ramo, mentre con l’altra riuscì a raccogliere tre mele e a tenerle strette a sè; intanto la Regina delle formiche ordinò al suo esercito di scuotere l’albero per far cadere le mele. L’ orsetto riuscì a non cadere per miracolo, mentre con tristezza guardava tutte le mele che, cadute a terra, stavano per essere divorate.
    Pochi istanti dopo, sull’erba erano rimasti solamente i torsoli, ma la Regina non era ancora contenta e gli gridò: "Lancia anche le tre mele che hai in mano!".
    "No, sono mie" rispose lui.
    La formica si arrabbiò moltissimo minacciandolo: "Se non ce le dai, veniamo noi a prenderle e poi vedrai cosa ti faremo!".
    Rosmarino prese la più piccola delle tre mele e la tirò vicino alla Regina, colpendole una zampina.
    "Volevi la mela? - urlò lui - eccoti accontentata".
    La formica si rotolò a terra, lamentandosi per il dolore e tutte le soldatesse corsero verso di lei per aiutarla, arrivò anche un dottore-formica che, dopo averla visitata, suggerì di portarla subito all’ospedale per poterla curare meglio. La Regina delle Formiche venne delicatamente adagiata sopra una barella, e tutto l’esercito partì al suo seguito. Rosmarino, comodamente seduto sul ramo del melo, si pentì di aver fatto male alla Regina, anche se era molto cattiva, e seguì il corteo di formiche con lo sguardo, fino a quando non si videro più. Si accorse anche che l’albero era rimasto senza mele, invece lui ne aveva ancora due.
    "Come sarebbe stato bello poterle regalare alla mamma e al papà", pensò, "chissà come saranno preoccupati per me in questo momento". Decise di scendere dall’albero e correre dai suoi genitori, aveva nostalgia delle loro coccole, ma non si ricordava la strada del ritorno.
    Passò di lì una rana che, guardando con interesse le sue mele, chiese : "Ciao bel Koala, rruakk rruakk, dove stai andando?". Rosmarino rispose tristemente : "Vorrei tornare dai miei genitori, ma non ricordo la strada per arrivarci, so solamente che il grande eucalipto dove noi abitiamo si trova vicino allo Stagno Millenario".
    "Io so dov’è lo Stagno Millenario - gracidò la ranocchia - sto andando proprio in quella direzione, e se mi regali le tue mele ti accompagno io".
    Rosmarino si arrabbiò: "No, non te le posso dare, le voglio portare ai miei genitori".
    "Come fai ad andare dai tuoi genitori a portargli le mele?" chiese la rana, "Se non sai nemmeno dove si trovano?" e se ne andò, lasciando Rosmarino triste e solo con i suoi pensieri.
    Improvvisamente egli capì che la soluzione era semplice, poteva seguire la rana senza farsi vedere da lei. Allora si mise a correre per raggiungerla ma, quando la vide, si accorse che era arrivata troppo lontano, infatti poco dopo era sparita. Rosmarino continuò a camminare pensando che quella fosse la direzione giusta, ma, dopo un po’ di tempo, gli venne male ai piedi, allora si fermò per massaggiarseli e, preso dallo sconforto, cominciò a piangere.
    Arrivò una lucertola che gli chiese: "Ciao orsetto, perchè sei così triste?".
    "Ciao Lucertolina", la salutò Rosmarino "Piango perchè mi sono perso".
    "O povero tesoro" lo consolò lei, "Dimmi, dove devi andare?".
    "Vorrei tornare al mio albero, che si trova vicino allo Stagno Millenario - rispose - per favore, conosci la strada che conduce lì?".
    "Certamente - rispose lei - devi proseguire alla tua destra sempre dritto e dopo mezz’ora sarai arrivato".
    "Grazie!" eclamò Rosmarino, "Mi piacerebbe poter ricambiare la tua gentilezza, cosa posso fare per te?".
    "Ho sempre desiderato assaggiare una mela ma non ho mai potuto farlo, me ne potresti dare almeno un pezzettino?" domandò la lucertolina.
    Rosmarino non se lo fece ripetere, staccò un pezzetto di una delle due mele e lo diede alla sua nuova amica, poi la salutò e promise che sarebbe tornato a trovarla. Si diresse verso il suo bell’albero, pensando che alla mamma avrebbe dato la mela intera, e al papà avrebbe dato la mela rotta; ciò che importava era di poterli riabbracciare. Seguendo le indicazioni della lucertolina, in poco tempo, arrivò al suo albero.
    Il papà e la mamma stavano dormendo, così pensò di non svegliarli e di fare un riposino anche lui.
    Quando la mamma si svegliò e lo vide, non credeva ai suoi occhi e, piangendo per la felicità, lo riabbracciò. Il rumore svegliò il papà che, per l’emozione, quasi cadde dall’albero. Rimasero così appiccicati per un’ora, poi Rosmarino diede le mele ai suoi genitori che le sgranocchiarono beatamente, mentre ascoltavano sereni il racconto delle sue avventure.
    (nenanet.it)
     
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  15. gheagabry
     
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    Il FICUS MACROPHYLLA


    Il Ficus macrophylla è una pianta originaria delle foreste pluviali del Queensland australiano, dove raggiunge dimensioni enormi, sviluppandosi spesso in forma di rampicante parassita. Infatti, quando germina sul ramo di un altro albero, propaga le sue radici attorno al tronco dell’ospite, soffocandolo per soppiantarlo e prenderne il posto, da cui in nome comune di "albero trangolatore".
    La caratteristica forma del F. macrophylla è dovuta allo sviluppo, dai suoi rami, di radici aeree colonnari che, raggiungendo il terreno, si affrancano e si modificano anatomicamente e fisiologicamente in tronchi supplementari di supporto. Proprio per questa sua peculiarità di poter quasi camminare sul terreno con l’emissione continua di radici che si trasformeranno in tronchi, questa specie riesce a raggiungere dimensioni incredibili arrivando a coprire con la sua estesa chioma aree vastissime di terreno. Alberi tozzi che si sviluppano più in larghezza che in altezza e debbono quindi fare i conti con gli enormi problemi meccanici di supporto di una pesante chioma orizzontale. Fatica brillantemente risolta con la formazione di radici aeree che, stimolate dalla ricerca d’acqua, raggiungono velocemente il terreno, affrancandosi e trasformandosi in tronchi legnosi di sostegno.

    Con il tronco possente e contorto, le grandi radici fascicolate e l’innata esuberanza del loro sviluppo, i Ficus incarnano il prototipo stesso del gigante delle foreste primigenie. Alcune specie possiedono una chioma di dimensioni impressionanti, con grossi rami orizzontali dai quali spuntano imponenti radici aeree, che danno vita a colonnati spettacolari. Altre, invece, sono in grado di germinare a grandi altezze, sulla corteccia umida dei rami degli alberi, comportandosi in un primo tempo come rampicanti. Anche l’apparato riproduttivo ha un aspetto inusuale. I fiori sono piccoli, insignificanti, privi di petali e sono raccolti all’interno di una curiosa infiorescenza di forma globosa, avvolta da un involucro, nel quale è possibile entrare solo attraverso un piccolo foro. In seguito alla fecondazione le pareti che circondano l’infiorescenza si ispessiscono e danno origine ad una sorta di frutto, in alcuni casi anche commestibile, che prende il nome di siconio. Gli insetti pronubi sono piccole vespe che trascorrono tutta la vita all’interno del siconio, i maschi addirittura sono privi d’ali e le femmine abbandonano questa cavità solo per andare a deporre le uova dentro le infiorescenze degli alberi vicini.

    ...a Palermo...



    I Ficus macrophylla hanno trovato a Palermo un clima perfetto: tutti gli esemplari che oggi ornano le vie, le piazze,i giardini ebbero origine nell’Orto Botanico di Palermo. Il grande esemplare patriarca svetta ancora oggi, con la sua chioma ampia che ricopre duemila metri quadri di spazio, al centro del frequentatissimo Orto; fu messo a dimora nel 1845 e da allora fu una corsa in città alla piantagione di questi alberi.
    Nel cuore della Palermo medioevale, circondato dal famoso mercatino dell’usato e delle anticaglie di Piazza Marina, tra stupendi palazzi storici, è radicato “il gigante dei giganti”, un enorme esemplare di Ficus macrophylla, entrato nel Guinness dei primati come l’albero esotico più grande d’Italia: 25 metri d’altezza, 21 mt. di circonferenza del tronco, 50 metri il diametro della chioma che va a coprire una superficie di quasi 3000 metri quadri – quasi la metà di un campo di calcio!! –. L’albero fu collocato lì, all’estremità del pubblico giardino Garibaldi, nel 1864 dall’architetto Giovan Battista Filippo Basile assieme ad altri due esemplari posizionati più centralmente nel parco. Sotto le fronde dell’esemplare cadde nel 1909, colpito a morte dalla Mano Nera, il famoso poliziotto italo americano Joe Petrosino.
    Oggi l’albero, di una bellezza mozzafiato, è divenuto attrazione turistica della città al pari dei suoi monumenti architettonici e con le sue fronde deborda dal giardino e invade la trafficata Via comunale; la sua chioma giunge a nascondere la massiccia facciata de Palazzo cinquecentesco Chiaramonte Steri.
    (dal web)
     
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161 replies since 15/2/2011, 19:38   42261 views
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