ALBERI - CONIFERE, LATIFOGLIE..

..nei boschi, nella giungla insomma proprio tutti

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  1. gheagabry
     
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    Gli alberi sono liriche che la terra scrive sul cielo.
    Noi li abbattiamo e li trasformiamo
    in carta per potervi registrare,
    invece, la nostra vuotaggine.
    (Kahlil Gibran)


    GLI ALBERI



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    Di questi tempi si parla con insistenza sempre crescente della distruzione dei boschi e delle foreste del pianeta e dei suoi effetti a lungo termine sull'insieme degli esseri viventi...Ma troppo spesso si dimentica che con gli alberi scompare anche un prezioso patrimonio dell'umanità. Perché è esistita un'epoca in cui le piante venivano considerate la manifestazione più concreta e manifesta della divinità...Alle piante gli uomini si rivolgevano per chiedere protezione e conforto, intorno ad esse fiorivano miti straordinari ,che toccavano i cuori e rasserenavano gli animi.... E a ciascuna specie , a ogni albero venivano attribuite caratteristiche particolari, perché in ciascuno di essi il mistero della Natura e quello del divino trovavano un diverso equilibrio.... venivano considerate la manifestazione più immediata e concreta della divinità: a esse gli uomini si rivolgevano per chiedere protezione e conforto, intorno alle piante fiorivano miti straordinari, a ciascuna specie, a ogni albero, venivano attribuite virtù e funzioni particolari.



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    La storia della quercia, in fondo, è la storia dell' uomo. E, per raccontarla dall' inizio, bisogna riandare ai tempi dei nostri avi balanofagi. La dieta all' epoca non era granché: ghiande a pranzo, a cena e a colazione. La qualità della vita, a modo suo, doveva tuttavia essere abbastanza alta se è vero che miti e leggende rimpiangono quell' albore della civiltà chiamandolo l' Età dell' oro. L' uomo, si narra, viveva in semplicità, senza affanni, trovando la garanzia della sua sopravvivenza nei frutti (più precisamente: le balane) di un albero che evidentemente non poteva non radicarsi nella memoria collettiva fino a diventare un archetipo, una reminiscenza che aleggia in tutte le culture, dall' Oriente all' Occidente. Uno dei primi simboli elaborati dalla psiche primitiva; ma anche, più concretamente, il filo conduttore di quella civiltà del legno che, iniziata dopo la fine della vita nomade, tra i dodici e i quindicimila anni or sono, è andata avanti fino all' avvento della civiltà del carbone e del petrolio, un paio di secoli or sono....Partendo da dove si dovrebbe partire: dal sapore della ghianda. Che non è cattiva; ma, di certo, nemmeno buona. Diciamo che, eliminato l' amaro del guscio, una balana non sa di niente; però nutre, sfama, sazia. In alcuni paesi (Stati Uniti, Corea, Spagna, Algeria) le ghiande rientrano ancora, come una curiosità culinaria, nella preparazione di qualche antica ricetta; alcune migliaia di anni or sono, però, rappresentavano ancora la base dell' alimentazione umana. Erano abbondanti. Potevano essere ridotte a farina, conservate, trasportate. E, per avere la conferma di questo legame ancestrale tra uomo e quercia, basta consultare la mappa degli areali occupati dal genere Quercus: la dislocazione dei boschi coincide con i luoghi che hanno visto nascere le grandi civiltà stanziali. Gli uomini si stabilivano dove crescevano le querce. Una sorta di simbiosi; destinata a durare anche dopo l' avvento del frumento e di nuovi regimi gastronomici. La quercia non detiene record particolari. Non è la più alta: una sequoia può doppiare una quercia raggiungendo i cento metri di altezza. Né la più longeva: un pino della California passa i quattromila anni, mentre una quercia si ferma a duemila. Una sequoia, tuttavia, vive solo in una fascia costiera fresca e mite; un pino della California in montagne dove non esistono parassiti. Le querce, viceversa - più caldo o più freddo, più secco o più umido - si sono insediate in tutta la fascia temperata. Sono flessibili. Si adattano, si convertono. E in questo, forse, somigliano all' uomo. Le querce si combinano, mischiano il dna, si ibridano. Una capacità di cambiare che spiega la variabilità di un genere che, a seconda dei vari autori (anche un esperto talvolta distingue difficilmente una varietà dall' altra), conta tra le duecentocinquanta e le quattrocentocinquanta specie: Quercus robur, ilex, pubescens... coi relativi nomi volgari (la quercia è il nome di albero più diffuso nel mondo), nazionali, regionali, provinciali: rovere e roverella, cerro, farnia, sughera... Navi, mobili, tetti, botti, utensili, combustibili. Nella civiltà del legno la materia prima per eccellenza veniva dalla quercia. E la storia della quercia è anche la storia delle arti e dei lavori che le ruotavano attorno. Dal taglialegna al carbonaio, dal mastro d' ascia al conciatore. Ognuno con la sua sapienza e i suoi trucchi del mestiere. Dal boscaiolo, che deve saper scegliere e preparare i tronchi al carpentiere, calato nei dettagli delle venature che si trasformeranno in giunti, ossature, incastri. O il bottaio che, seguendo i consigli impliciti in un legno che già suggerisce con la sua conformazione il come farsi tagliare e modellare, è arrivato di generazione in generazione a fissare, empiricamente, la forma ideale di un contenitore, la vecchia botte, che Keplero tentò inutilmente di migliorare. Nessun albero è capace di mantenere rami così lunghi e pesanti, così a lungo e così saldamente. La quercia, ha scoperto la scienza moderna, tende naturalmente a distribuire le sollecitazioni sulla linea dell' intera superficie: se su un punto si verifica una pressione eccessiva l' albero la controbilancia sviluppando nuovo legno. L' hanno chiamato assioma di sollecitazione uniforme. E sta alla base della tecnologia che realizza le viti chirurgiche per le fratture ossee. La quercia dà buoni consigli. E molti aiuti concreti. Teofrasto sosteneva che «sulla quercia ci sono più cose che su qualunque altro albero». Ghiande, legno, la corteccia indispensabile alla concia delle pelli... Senza dimenticare le galle - quelle palline prodotte dalle punture di un insetto - che per secoli hanno fornito la base degli inchiostri che si ritrovano nei disegni di Leonardo o nella dichiarazione di Indipendenza americana. La quercia, molto concretamente, rappresenterà per un paio di millenni sia la principale fonte energetica della società umana, sia la materia prima indispensabile a ogni tipo di costruzione, a partire dalle navi che, in molti casi, arrivavano a utilizzare il legno di tre o quattromila querce. Vittima della sua stessa generosità la regina della foresta non poteva, si direbbe, non diventare una presenza sempre più rara, sia nel paesaggio agrario che in quello cittadino dove l' unica quercia utilizzata sembra essere il leccio sempreverde. Il declino, tuttavia, non è stato causato solo dal super sfruttamento, dalla competizione ecologica con l' uomo, che proprio dall' ambiente più amato dalle querce (il versante caldo delle pendici collinari) si procaccia campi arabili e terreni edificabili, o dalla nota lentezza di un albero che spinge i selvicoltori a preferirle le conifere, più veloci e produttive. Sul tramonto di un' epoca aleggia anche qualcosa che ha a che vedere con la cultura, la religione, l' idea dello spazio e del tempo. L' inizio della fine per l' albero sacro a Giove e a Thor, comincia con l' avvento del cristianesimo, una religione che priverà la quercia e altri venerabili alberi della loro anima pagana. La fine della fine potrebbe invece essere simbolicamente annessa alla fine dell' era della botte: un contenitore ottimale per ogni tipo di merce che poteva essere spostato facendolo rotolare. Un secolo or sono, in Inghilterra, solo per stipare le aringhe, si producevano ancora un milione di botti all' anno. Poi sono nati i bracci meccanici. E con loro i contenitori squadrati, stile container. La botte, figlia della quercia, apparteneva a una società piena di curve; uccisa dal trionfo del rettilineo. Resta, se non altro, l' eredità di un ricordo inscritto in ogni risvolto della società, nei nomi dei luoghi, nei modi di dire, o nei cognomi delle famiglie: Barker, Tanner, Becker... Logan, un anglosassone, enumera centinaia esempi tratti dalla sua cultura. Ma, proprio in quanto presenza universale calata, di volta in volta, in un ambiente specifico, la quercia può ancora suggerire a ognuno di noi - «Vedi tu quel burattino attaccato penzoloni a un ramo della Quercia grande?» - la sua personale antologia: Ghiandai, Della Rovere, la Madonna della Quercia, la Quercia delle Cinque passere...
    LUCA VILLORESI


    C'è qualcuno seduto all'ombra oggi
    perché qualcun altro ha piantato un albero molto tempo fa.
    - Warren Buffett -



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    ... nella mitologia...



    In tutte le religioni, i miti, le credenze popolari compare sempre la figura dell'albero. Questo essere vivente che percorre la sua esistenza senza muoversi, ancorato al terreno, che dove nasce e cresce trova la sua morte ha colpito la fantasia dei popoli di tutto il mondo, dalla famosa mela legata al mito di Adamo ed Eva alle saghe nordiche dove dal tronco del frassino Odino avrebbe ricavato l'uomo. Ogni cultura ha il suo albero sacro, portato sulla terra dalla divinità suprema, a simboleggiare la vita che inizia. Per i Greci era la quercia, simbolo di forza e potenza, portata da Zeus sulla Terra... per i Persiani il cipresso, giunto per opera di Zoroastro... per gli Ainu, popolazione bianca dell'isola di Hokkaido (Giappone), è l'olmo (forse perché strofinando le sue radici secche si origina il fuoco)...
    per i Berberi del Nordafrica il frassino.


    L'albero si è sempre accompagnato alla vita dell'uomo.
    Sotto i platani Socrate amava passeggiare e conversare, nella Roma di Plinio il Vecchio (I sec. d.C.) non mancavano i viali fiancheggiati da platani maestosi e perfino Buddha meditava all'ombra del mango, albero da frutto e da ombra molto comune nei Paesi tropicali. Il cipresso fin dall'antichità è invece associato alla morte e al culto dei morti (non solo nei Paesi mediterranei), forse, come riferisce Teofrasto (IV sec. a.C.), perché dai suoi polloni non si sviluppano nuove piante....Molti alberi sono legati alla mitologia classica greca e latina. La ninfa dei boschi Dafne per sfuggire ad Apollo fu trasformata in alloro... il giovane Ciparisso, caduto in una profonda depressione per aver ucciso inavvertitamente il suo cervo preferito, fu tramutato in cipresso... la ninfa Filira concepì da padre Zeus il centauro Chirone e per la vergogna chiese di essere trasformata in tiglio. Probabilmente non si tratta del tiglio, che è estraneo alla macchia mediterranea, ma di quell'alberello o arbusto a cui Linneo volle attribuire il nome generico Phyllirea in dedica alla suddetta ninfa. Lo stormire delle fronde dei pioppi a ogni alito di vento aveva colpito la fantasia dei Greci che avevano legato quest'albero al mito di Fetonte: il figlio di Elio, guidando il carro del Sole, si era avvicinato troppo alla terra con il rischio di incendiarla e per questo fu colpito dal fulmine di Zeus, precipitando nel fiume Eridano, sulle cui sponde le Eliadi rattristate dalla morte del fratello furono trasformate in pioppi.
    Forse nel Medioevo, più che in ogni altra epoca storica, credenze e superstizioni si impadronirono degli alberi. È giunta fino a noi la storia del famoso noce</ì> di Benevento, che intorno al VII secolo d.C., cresceva ampio e maestoso vicino alle mura della città. Considerato dalla popolazione punto d'incontro delle streghe che secondo la tradizione giungevano da tutta Europa in occasione del solstizio d'estate venne fatto abbattere dal vescovo Barbatus.


    Se un albero scrivesse l'autobiografia,
    non sarebbe diversa dalla storia di un popolo.
    - Kahlil Gibran -



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    Il frassino Yggdrasill...Nei culti a loro dedicati uno in particolare ne veniva venerato,questo era l'Albero Cosmico.
    Egli rappresentava il pilastro centrale, l'asse intorno al quale si organizzava l'universo,naturale e sovrannaturale ,fisico e metafisico.
    In questa mitologia molto arcaica, gli alberi sono gli agenti privilegiati della comunicazione fra i tre mondi: gli Abissi Inferi,la Superficie della Terra ed il Cielo,oltre a costituire per eccellenza le manifestazioni della presenza divina.
    I poeti Scandinavi ci hanno fornito il ricordo più grandioso e suggestivo dell'Albero Mitico,trascritto dai testi tradizionali di mitologia germanica.
    Questa descrizione coagula intorno a sé tutto un pulviscolo di tradizioni e miti sacri, raccolti e inventariati sistematicamente nell' "Edda" da Snorri Sturluson, scrittore islandese (1178-1241). ....."Nel più lontano passato, molto prima che l'uomo facesse la sua comparsa sulla terra, un albero gigantesco s'innalzava fino al cielo. Asse dell'universo , attraversava i tre mondi"... Le sue radici affondavano fin negli abissi sotterranei, i suoi rami arrivavano all'empireo. L'acqua attinta dalla terra diventava la sua linfa , dai raggi del sole nascevano le sue foglie , i suoi fiori , i suoi frutti...Attraverso di lui, il fuoco scendeva dal cielo, e la sua cima, raccogliendo le nubi faceva cadere le piogge fecondatrici.
    Con la sua verticalità , l'albero assicurava il nesso tra l'universo uraniano e i baratri ctoni."....In lui il cosmo si rigenerava in perpetuo. Fonte di ogni vita, l'albero dava riparo e nutrimento a migliaia di esseri... Tra le sue radici strisciavano i serpenti, gli uccelli si posavano sui suoi rami. Anche gli dei lo sceglievano per soggiornarvi. Ritroviamo quest'albero cosmico in quasi tutte le tradizioni,da un capo all'altro del pianeta,ed è lecito supporre che sia esistito dappertutto, anche laddove la sua immagine si è cancellata.
    Yggdrasill è il più grande e il migliore di tutti gli alberi.
    I suoi rami si stendono al di sopra di tutti i mondi,e raggiungono il cielo.Tre radici lo tengono eretto,tutte straordinariamente larghe. Una procede da Aesir, il mondo inferiore degli Asi,gli dei; la seconda dai " Thursi di brina", i giganti di ghiaccio che precedettero la specie umana; la terza arriva a Niflheim Niflhel, la dimora dei morti...
    Presso quest'ultima radice scaturisce la fontana Hvergelmir, fonte di " tutti i fiumi mormoranti che irrigano la terra" e la rendono abitabile agli umani.L'acqua sotterranea, da cui ha origine ogni vita, proviene dunque dalla dimora dei morti: e' questo un motivo ricorrente nelle credenze popolari, dove si trovano esempi di donne fecondate per il semplice fatto di essersi immerse in un corso d'acqua sacro.. A coloro che vi bagnano le labbra, da' scienza e saggezza, ma l'accesso ad essa e' proibito dal suo possessore, il cui nome significa Meditazione, a sua volta colmo egli stesso del profondo sapere che attinge quotidianamente dalle sue acque... Sotto la prima radice,che, secondo la tradizione, arriverebbe sia nella sfera sotterranea degli dei sia nella loro residenza celeste- d'altronde unite da Bifrost, l'arcobaleno - esiste una terza fonte, la piu' sacra di tutte: il pozzo sul quale veglia Urdhr, la piu' vecchia delle Norne.-- Depositarie delle leggi e dei costumi arcaici, le Norne sono le sole capaci di determinare il destino, non soltanto degli uomini ma degli dei, i quali non sono eterni e non possono sfuggire alla sorte comune. Originariamente Urdhr, il cui nome significa destino, con ogni probabilita' era sola... E' possibile che, nella versione giunta a noi, le leggende che si riferiscono alle Norne, le quali sono in numero di tre e vengono rappresentate come filatrici, abbiano subito l'influenza delle Moire (personificazione del destino) e delle Parche delle mitologie greca e latina.
    Al pari delle Parche, esse rappresentano anche le tre fasi della luna - crescente, piena e calante - che ritmano la vita della natura e corrispondono altresi' alle tre eta' della vita umana: giovinezza, maturita' e vecchiaia. Le Norne attingono quotidianamente l' acqua alla fonte di Urdhr , con il limo che la circonda , e ne aspergono il frassino , affinché i rami dell' albero non secchino e non marciscano.
    Tutto ciò che cade nella fonte diventa bianco come la membrana che si trova nel guscio dell' uovo , cioè ritorna alla purezza primigenia , all' origine prenatale...Di questo candore assoluto è ammantata la coppia di cigni che abita la fonte e da cui discende "la specie di uccelli che porta quel nome". La fonte di Urdhr è quindi una fontana dell' eterna giovinezza...Vicino a lei si radunano gli dei per tenere consiglio , risolvere i conflitti e rendere giustizia. Questo pozzo del Destino rappresenta il mondo delle potenzialita', delle sementi, dei germi, un mondo di acque e di humus notturni,nei quali sono foggiati tutti gli esseri viventi. Mentre, grazie alle sue radici,Yggdrasill consente che emergano alla superifie terrestre i tre settori ctoni sovrapposti, quello degli dei ,quello dei giganti preistorici e quello degli antenati umani, il tronco attraversa il piano medio situato tra cielo e terra, il Midhgardh, in cui vivono gli uomini, e la cima si innalza fino ad Asgardh, dimora celeste degli dei...Per quanto potente, l'Albero cosmico e' soggetto a continue minacce. Il gigantesco serpente Nioggrh rode subdolamente la terza radice, ma a sua volta e' aggredito ogni giorno dall'aquila che abita tra i rami piu' alti. Quattro cervi vanno e vengono nella sua chioma, brucando i giovani germogli via via che spuntano...Il fogliame di Yggdrasill ospita altri animali, benefici questi: la capra Heidhrun che nutre con il suo latte i guerrieri di Odino, lo scoiattolo Ratatosk che sale e scende per trasmettere le reciproche sfide che si rivolgonoil serpente e l'aquila. Quest'ultima, che "sa' molte cose", dalla sua alta postazione sorveglia l'orizzonte, per avvertire gli dei quando i loro nemici di sempre, i giganti, si prepareranno ad assalirli.
    In talune versioni, in cima all'albero si trova un gallo d'oro preposto alla stessa funzione.



    Troverai più nei boschi che nei libri.
    Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà.
    - Bernard de Clairvaux -



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    .....una leggenda....



    "In principio, prima della creazione del mondo, c'era solo una grande distesa d'acqua. Dio era adirato di non avere né fratelli, né amici, e, in un momento di furia, scagliò il suo bastone contro la superficie delle acque. Il bastone si trasformò in un enorme albero e sotto l'albero dio scorse il diavolo. "Buongiorno, fratello mio - gli diceva il diavolo - io d'ora in avanti sarò il tuo compagno di viaggio". Per nove giorni vagarono sulla superficie delle acque, ma Dio si accorse che il diavolo non era un amico sincero. Il nono giorno il diavolo disse: "Perché, mio Signore, non creiamo altri esseri che possano rallegrare la nostra vita?" "D'accordo - rispose il Signore - creiamo il mondo e popoliamolo di uomini. Ti insegnerò io come fare. Immergiti nella profondità delle acque e portami della sabbia. Quando avrò la sabbia pronuncerò il mio nome e dalla sabbia nascerà il mondo". Il diavolo allora si immerse nel mare e dal fondo prese una manciata di sabbia, ma invece di portarla in superficie pronunciò subito il suo nome: "Diavolo!". Sperava così di poter creare egli stesso il mondo, ma la sabbia divenne infuocata e gli ustionò le mani. Per nove giorni il diavolo tentò di ingannare Dio, ma ogni volta la sabbia diventava rovente e gli bruciava una parte del corpo. Dio, allora, vedendo il diavolo tutto scottato capì l'inganno. "Sei davvero un cattivo amico - gli disse -, se questa volta non mi porti la sabbia ti brucerai completamente". Il diavolo fu costretto a consegnare la sabbia a Dio. E fu allora sufficiente che colui che è padrone del cielo e della terra pronunciasse il suo nome, "Dio!", perché la sabbia prendesse forma di mondo, con i mari e i fiumi, i monti, le valli, animali ed alberi di ogni tipo. Ma il diavolo era proprio un grande imbroglione. Appena vide il mondo scelse per sé il luogo più bello: "Io abiterò sotto questo albero frondoso al centro della terra". Questa volta, però, Dio non si fidò più del diavolo e lo fece sprofondare sotto terra. E allora dall'albero caddero molte foglie e ogni foglia generò un uomo".



    Gli alberi sono lo sforzo infinito della terra
    per parlare al cielo in ascolto.
    - Rabindranath Tagore -



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    Edited by gheagabry1 - 5/2/2022, 22:42
     
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    La foresta incantata esiste davvero: è in Russia


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    In un parco naturale al confine tra l'enclave russa di Kaliningrad e la Lituania, c'è un angolo di bosco che lascerebbe a bocca aperta anche Fox Mulder, l'eroe dei telefilm X-Files: i pini crescono in forme strane e bizzarre.

    I tronchi girano a spirale, vanno su a zig-zag oppure strisciano come serpenti.
    Ce n'è persino uno fatto a trono e un altro che assomiglia a un antico strumento musicale, la lira.
    Il parco si chiama Kurshskaia Kosà, sorge sulla costa del Mar Baltico e il suo direttore - Aleksandr Fomiciov - racconta di aver scoperto per caso «il fenomeno» qualche settimana fa andando per funghi: «Sono rimasto impietrito», confida al settimanale russo Itoghi che sull'ultimo numero dedica un ampio reportage alla «foresta incantata» dove nemmeno gli uccelli si azzardano a cinguettare e regna dunque un inquietante, assoluto silenzio.
    II ritrovamento dell'enigmatica pineta, che dà l'impressione di essere stata «modellata da una forza invisibile», ha suscitato subito una grossa curiosità sia a Kaliningrad (l'ex-Koenigsberg, la città del filosofo tedesco Immanuel Kant nell'ex-Prussia orientale) sia in Lituania. E già si sprecano le teorie sul perché e sul percome di quegli alberi in fantasiosa contorsione.
    Viadimir Kulikov, uno storico intervistato da Itoghi, si dice convinto che nella «foresta danzante» non c'è nulla di davvero eccezionale: fenomeni simili esistono nei Paesi scandinavi e nella stessa Lituania e sono dovuti alla particolare composizione del sottosuolo e alla violenza del vento. Qualche biologo tira invece in ballo il bruco di una farfalla che divorando le gemme dei pini ne provocherebbe la crescita anomala.

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    Nella zona di Kurshskaia Kosà vive una comunità di vecchio-credenti (così si chiamano gli ortodossi russi rimasti fedeli alla liturgia esistente prima della riforma compiuta nel 1654 dal patriarca Nikon) che dopo la scoperta della misteriosa pineta hanno rispolverato una leggenda del loro folclore, quella di Predislava. Così si chiamava una ragazza che facendo ballare gli alberi di quel bosco avrebbe convinto un principe prussiano di lei innamorato ad abbandonare il paganesimo e abbracciare la fede cristiana. Fox Mulder avrebbe ovviamente trovato molto più affascinante l'ipotesi avanzata da un gruppo di «cosmo-biologi» che nella foresta incantata di Kurshskaia Kosà vedono una «zona di Forza» tra lo spazio infinito e gli esseri viventi della Terra, paragonabile a luoghi magici come il monumento megalitico di Stonehenge in Inghilterra o le Piramidi d'Egitto.
    «Nella foresta - sostiene con argomenti da X-Files un medium di Kaliningrad, Mikhail Buklin - corre un legame invisibile tra il cosmo e la Terra e ciò crea un vortice energetico». Per i «cosmo-biologi» è particolarmente carico di energia il pino con il tronco a cerchio: passandoci attraverso - assicurano - si aggiunge un anno intero alla propria vita.


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    Edited by gheagabry1 - 5/2/2022, 22:52
     
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    da LUSSY

    Abete Argentato

    "Picea pungens - Hoopsii"



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    Questo superbo, maestoso albero è il più vistoso dei Blue Spruce Colorado cultivar.
    Il suo lungo, spesso, aghi luminoso blu-argento hanno guadagnato la reputazione di un albero campione eccezionale, con un pieno, la forma piramidale.
    Molto lento che cresce ad un altezza di circa 5 metri in 25 anni



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    Edited by gheagabry1 - 5/2/2022, 22:53
     
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    da lussy

    il Faggio




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    il Faggio, longevo anche fino a 300 anni, ha sempre sussurrato messaggi di eternità agli uomini, fin dall’antichità, quando era considerato uno di quegli alberi cosmici che congiungono terra, cielo ed inferi portando le sue linfe vitali al cosmo intero, che nutre e dal quale è nutrito.
    Vecchie leggende britanniche e del nord della Francia narrano che dentro agli alberi si nascondano le anime intrappolate di chi deve pagare pegno di qualcosa, di chi in vita ha avuto una qualche manchevolezza che ora deve scontare, nutrendo la pianta con la sua stessa essenza.

    Classificazione, origine e diffusione
    Divisione: Spermatophyta
    Sottodivisione: Angiospermae
    Classe: Dicotyledones
    Famiglia: Fagaceae
    Il faggio è una pianta tutta europea, presente dalla Svezia meridionale ai monti della Sicilia e della Gran Bretagna alla Russia sudorientale.

    Caratteristiche generali
    Dimensione e portamento
    Albero con chioma a portamento conico-globoso, con tendenza ad espandersi nelle piante adulte; vegetazione folta e densa. Raggiunge altezze di 20-30 metri.
    Tronco e corteccia
    Il tronco è diritto, cilindrico da giovane, largamente scanalato da vecchio; la scorza sottile si presenta caratteristicamente liscia e lucente, grigio chiaro.
    Foglie
    Le foglie alterne, ovato-ellittiche, sono lunghe 10-15 cm, leggermente ondulate e cigliate al margine, con nervi secondari diritti e paralleli; sono dotate di un breve picciolo e si presentano all’inizio arrossate, poi superiormente verde scuro, più chiare sotto.
    Strutture riproduttive
    Le infiorescenze sono unisessuali: quelle maschili in glomeruli pendenti dotati ciascuno di un lungo peduncolo, quelle femminili erette consistenti di 1-2 fiori circondati da 4 brattee superiori larghe e da numerose brattee inferiori lineari.



    [size=7][color=blue] Note botaniche sulla specie: il Faggio è un grande albero abbastanza longevo che può raggiungere agevolmente i 35 metri di altezza e i 100-150 centimetri di diametro. Il fusto, dritto e slanciato, presenta una corteccia liscia e dal caratteristico colore grigio, spesso ricoperta di licheni. Le foglie sono semplici, di forma ellittica e con margine leggermente ondulato, inizialmente di consistenza erbacea, più coriacee in età avanzata. Il Faggio è una pianta monoica con fiori unisessuali: quelli maschili sono riuniti in infiorescenze pendule, l'infiorescenza femminile è eretta brevemente peduncolata con 2-3 fiori fiori racchiusi in una cupola verdastra. L'antesi avviene in contemporanea alla fogliazione, tra aprile e maggio. Il frutto (la faggiola) è una noce coriacea di colore bruno e forma piramidale contenuta, in due esemplari, in una cupola coperta da lunghe squame che a maturità si apre in 4 valve. La maturità del Faggio viene raggiunta solo verso i 60-80 anni in bosco mentre scende a 30-40 anni negli esemplari isolati; la fruttificazione non è costante tutti gli anni ma è buona ogni 4-5 anni e abbondante ogni 10 anni circa (annata di pasciona). Il Faggio è una specie sciafila e mesofila che necessita di un tasso di umidità dell'aria elevato, preferisce suoli freschi, ben drenati e profondi ma si adatta anche a suoli meno fertili.
    Nel mondo: l'areale del Faggio interessa quasi tutta l'Europa occidentale, dalla Sicilia settentrionale a sud alla Scandinavia meridionale a nord; ad est si spinge fino alla Moldavia. La sottospecie orientalis, è presente con un areale che si estende più ad est arrivando fino ai Monti Elburzi, vicini al Mar Caspio.
    In Italia: è presente in tutte le regioni italiane ad eccezione della Pianura Padana e della Sardegna. Si trova prevalentemente nella fascia montana. Molto diffuse anche numerose varietà ornamentali del Faggio con notevoli variabilità morfologiche riguardanti il portamento o l'aspetto delle foglie


    curiosità


    storia
    In Italia sono diventati alberi più rari ma in antichità erano addirittura cantati dai poeti che ne elogiavano la loro ombra rinfrescante. Un tempo dalla sua corteccia si ricavava la carta, in lingua tedesca infatti si chiama Buche da cu deriva buch, libro.
    ambiente
    specie forestale un tempo molto diffusa sull'Appennino e sulle Alpi, vive fino a 300 anni. Convive molto bene con altre conifere. Le faggete colonizzavano la maggior parte delle colline più elevate del nostro paese. In Liguria, come in gran parte dell'Italia appenninica, il faggio cresce sopra gli 800-900 metri di altitudine.

    letteratura e mitologia

    Albero cosmico che unisce cielo, terra e inferi sostenendo e nutrendo il cosmo. Vi sono diverse leggende dedicate a queste piante: in particolare in Francia ne esistono alcune che hanno come tema comune la trasformazione di uomini in faggi per punizione divina, infatti, in alcuni racconti è possibile scorgere delle voci umane passeggiando vicino a questi alberi.



    OROSCOPO

    dal 22 dicembre (solo) – Faggio
    Faggio (La creatività) – ha buon gusto, si preoccupa per il suo aspetto, materialista, ha buona organizzazione nella vita e nella carriera, parsimonioso, buon leader, non prende rischi inutili, ragionevole, splendido compagno di vita, ci tiene a mantenere la forma (diete, sport, Ecc.)


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    Edited by gheagabry1 - 5/2/2022, 22:58
     
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  8. gheagabry
     
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    da lussy

    ACACIA.

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    Acacia Mill., 1754 è un genere di piante della famiglia delle Mimosaceae (o Fabaceae secondo la classificazione APG).
    Ci sono approssimativamente 1300 specie di Acacia al mondo, di cui circa 960 originarie dell' Australia e le rimanenti diffuse nelle regioni calde e a clima tropicale di entrambi gli emisferi, in Africa, nel sud-est asiatico e nelle Americhe. Pianta che appartiene alla stessa famiglia della mimosa. L'acacia africana ha sui rami spine acuminate e possiede radici che possono spingersi fino a 50 m nel sottosuolo.


    Specie e ibridi

    L'Acacia baileyana F. Muell. originaria dell'Australia, è una pianta rustica, albero o arbusto di 2-4 m di altezza, con ramificazioni più o meno pendule, ha foglie bipennate, con 4-8 divisioni ciascuna con 10-20 paia di foglioline lineari, di un colore verde-glauco argentato, in primavera portano racemi di 20-30 capolini globosi, con fiori di colore giallo-oro.
    L'Acacia cultriformis A. Cunn. ex Benth originaria dell'Australia, arbusto sempreverde con fiori ermafroditi, raggiunge un'altezza di 4 m.
    L'Acacia dealbata Link originaria dell'Australia, albero sempreverde con fiori profumati, ermafroditi, può arrivare ad una altezza di oltre 25 m. È la comune mimosa dei fiorai e della Giornata Internazionale della Donna.
    L'Acacia farnesiana (L.) Willd. volgarmente chiamata Gaggia originaria delle zone calde del globo, si presenta come un arbusto o alberello, sempreverde nei climi miti, con tronco e rami spinosi, foglie bipennate. infiorescenze primaverili profumatissime e globose, di colore giallo-arancio, solitarie o in piccoli gruppi.
    L'Acacia greggii A. Gray specie poco rustica, originaria degli U.S.A. (New Mexico, Texas e Arizona) arbusto, o a volte piccolo albero alto 5-7 m, con foglie bipinnate, fiori di colore giallo-chiaro, riuniti in infiorescenze, frutti lunghi una decina di centimetri.
    L'Acacia iteaphylla F. Muell. ex Benth. specie poco rustica originaria dell'Australia, arbusto alto 3-4 m con rami penduli o ascendenti, di colore verde-grigiastro, i giovani rami presentano apici di colore rosso-porpora, piccioli fogliari appiattiti e simili a foglie (fillodi) lanceolati, di colore verde-bluastro argentato, in primavera porta racemi ascellari con 8-12 gruppi di 6-12 capolini globosi di colore giallo-citrinoe, frutti lunghi 6-12 cm, di colore verde-bluastro
    L'Acacia karroo Hayne (= Acacia horrida) specie abbastanza rustica originaria del Sud Africa, grande arbusto o albero di 10-15 m dalla chioma tondeggiante, le foglie bipennate, sono composte da 2-6 paia di pinne, ciascuna con 5-20 paia di foglioline oblunghe, stipole spinose, infiorescenze estive, globose e profumate di colore giallo-intenso, riunite in gruppi di 5-8.
    L'Acacia nilotica (L.) Delile subsp. leiocarpa Brenan specie poco rustica originaria dell'Africa tropicale, albero di 10 m d'altezza, con chioma tondeggiante e allargata, foglie bipennate, con stipole lunghe e spinose di colore rosso-brunastro, infiorescenze primaverili, ascellari e globose, solitarie o in gruppi di 2-6, di colore giallo-intenso.
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    L'Acacia podalyriifolia A. Cunningham ex G. Don originaria dell'Australia, albero sempreverde, con fiori profumati, ermafroditi, non supera l'altezza di 3 m.
    L'Acacia retinoides Schldl. specie di buona rusticità originaria dell'Australia e della Tasmania, arbusto o alberello, con piccioli fogliari appiattiti e simili a foglie (fillodi) allungati e stretti, racemi primaveril
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    i e autunnali, di 6-12 fiori profumati e di colore giallo-pallido.
    L'Acacia rubida Cunn. specie di buona rusticità originaria dell'Australia, arbusto o alberello di 2-10 m d'altezza, con rami appiattiti, di forma angolosa, glabri, con i giovani rami di colore rosso-brunastro, piccioli fogliari appiattiti e simili a foglie (fillodi) lanceolati, di colre verde-bluastro o rossastro, a volte presenti anche folgie giovanili bipennate, inforescenze primaverili lunghe 10-15 cm, formate da 10-15 fiori globosi portati da peduncoli di colore rossastro.
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    L'Acacia terminalis (Salisb.) Macbr. (= Acacia botrycephala) specie poco rustica originaria dell'Australia, arbusto o piccolo albero con foglie bipennate formate da 10-15 paia, di colore verde scuro, infiorescenze primaverili globose, di colore giallo-scuro riunite in racemi terminali.


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    I mieli del Piemonte

    Acacia

    Il miele
    Il nome commerciale di miele di acacia è oramai quasi ovunque consolidato per il raccolto su robinia pseudoacacia . E' certamente fra i mieli più conosciuti dai consumatori ed apprezzato per le sue caratteristiche di estrema delicatezza.
    E' di colore giallo paglierino, talvolta quasi incolore, è liquido e si mantiene tale molto a lungo se scaldato anche solo delicatamente.
    Il profumo viene descritto come poco intenso, lievemente floreale, profumo di cera nuova, talvolta un po' più volgare (straccio o carta bagnati).
    In bocca stupisce la sensazione di dolce, di sciroppo zuccherino, completata dal sapore confettato, di vaniglia, che è la caratteristica e la tipicità di questo miele in purezza.
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    Zone di produzione
    Piemonte e Lombardia sono le regioni italiane dove si ottengono le più belle produzioni sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo.
    In Piemonte in particolare negli ultimi anni si sta osservando un importante incremento di questa specie arborea che ha colonizzato ampie zone un tempo vitate, sta conquistando aerali in zone pedemontane ed aspetto non di poco conto costituisce una boscaglia che viene lasciata crescere molto più a lungo che in passato nei boschi cedui utilizzati per legna da ardere.
    Le zone di produzione classiche sono le zone lacustri, collinari e pedemontane del Novarese e Vercellese, dove si ha la fioritura più precoce e dove si insegue la seconda fioritura ai piedi delle vallate alpine, le colline del Monferrato, dell'Astigiano, dell'Alessandrino, la collina di Torino e a Sud le Langhe ed il Roero. Ma a queste zone tipiche conosciute si aggiungono ora tutte le zone pedemontane a partire dai confini liguri sino alla bassa Valle d'Aosta.
    Il miele se raccolto in purezza presenta caratteristiche molto simili anche se solitamente si distinguono per limpidezza e pienezza di sapore confettato le acacie novaresi, sono ritenute più gustose le acacie astigiane e cuneesi, spesso macchiate dalla presenza di tarassaco, ma si tratta soprattutto di modi di dire perché con dovute attenzioni quasi ovunque in Piemonte si possono ottenere mieli da concorso, infatti l'epoca di fioritura dell'acacia non coincide con altre fioriture importanti.

    Utilizzo nella dieta e in cucina
    E' sicuramente un miele ideale per essere utilizzato come dolcificante.
    A mio parere è ideale per dolcificare un caffellatte od un cappuccino perché il suo caratteristico sapore confettato ed il suo elevato potere dolcificante arricchiscono queste bevande in modo più fine e completo di quanto non possa fare lo zucchero.
    Può sostituire egregiamente lo zucchero, poi, in quasi tutte le preparazioni in cucina, ma vorrei suggerirvi il suo utilizzo soprattutto per il gelato, per il budino alla panna, ma anche nei piatti più semplici come una macedonia di frutta. E' incredibile come il confettato dell'acacia possa arricchire in modo armonico e piacevole un gran numero di cibi.
    Come ricetta regionale, vorrei proporre un abbinamento semplice che richiama le zone di produzione:
    gambo di sedano ricolmo di gorgonzola spennellato di miele di acacia e a decorare una spruzzata di nocciole tostate delle Langhe.


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  9. gheagabry
     
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    Insieme con l’acqua l’albero è il simbolo della creazione. Nessun’altra forma rappresenta la vita quanto lui. Le radici aspirano l’humus. Il tronco ne è l’asse. I rami sono l’espansione, il dominio della sfera terrestre. Foglie e fiori solidali alla luce sono forze imponderabili.
    (Ignácio de Loyola Brandão)



    Il CEDRO del Libano


    cedro-libanese



    A differenza di ciò che molti erroneamente credono, il Cedro del Libano (Cedrus Libani) non va confuso con l'omonima pianta di agrumi, ma è una conifera, cioè appartiene alla stessa famiglia dei pini e degli abeti. Questa in particolare può raggiungere i 40 metri di altezza, e un albero di cedro può vivere fino a 3000 anni. La sua coltivazione risale ai tempi più remoti, ed è nota la sua importanza in tutta la storia. La Bibbia racconta che fu l'unico albero piantato dalle mani di Dio, ed il suo legno è uno dei più pregiati: facilmente lavorabile, ignifugo e non deperibile, si mantiene inalterato per secoli anche se la pianta muore. Il cedro del Libano, stando ai racconti biblici, è stato utilizzato per la costruzione del Tempio di Salomone e dell'Arca dell'Alleanza. Oggi questa pianta, divenuta simbolo del paese tanto da comparire al centro della bandiera nazionale, è protetta. Gli ultimi esemplari storici, venerati per secoli e da oltre un secolo e mezzo sotto la protezione del patriarcato libanese, si trovano nella Valle dei Cedri (foto 3) a Becharrè, nel Nord del Libano. Si trovano a 1920 metri di altezza, e comprendono due piante di oltre 3000 anni di vita, una decina di età millenaria ed oltre 350 centenarie. Per dare un'idea della lentezza della loro crescita, basti pensare che un piccolo seme di cedro impiega 40 anni soltanto per germogliare e poi cresce di appena 7 cm l'anno.



    L’abbattimento clandestino sta minacciando la maestosa cedraia dell’Atlas (Cedrus Altlantica), rischiando di provocare seri danni all’equilibrio ecologico di una regione che ospita la principale riserva d’acqua del Marocco oltre ad una fondamentale colonia del macaco di Barbarie, autoctono in Marocco. Questa conifera è una ricchezza naturale del reame e si estende su oltre 134.000 ettari di territorio. Nella foresta di Ajdir, nel cuore del Medio-Atlas, i cedri si stanno sempre più diradando e gli abitanti berberi della zona sono in allarme. “Ogni anno migliaia di alberi, alcuni vecchi di alcuni secoli, sono abbattuti illegalmente con la complicità delle guardie forestali” ha dichiarato alcuni giorni fa Aziz Akkaoui, dell’Associazione marocchina dei Diritti Umani (AMDH). Su 134.000 ettari di cedraia, con una maggioranza situata nel Medio-Altlas è difficile il controllo di un aerea cosi’ vasta. Il mercato illegale di questo legno minaccia l’esistenza secolare di queste conifere, che sono utilizzate principalmente per fabbricare mobili di pregio e controsoffitti intarsiati, segno di opulenza nelle grandi dimore del Marocco. Gli alberi vengono abbattuti di notte, i falegnami acquistano il legno, e diversi agenti corrotti del ministero delle Acque e dele Foreste, lasciano trasportare i tronchi a valle. Un cedro di circa 30 anni costa all’incirca 800 euro al mercato nero. Ogni anno, i comuni della regione organizzano degli abbattimenti dove i cedri vengono venduti all’asta e questa operazione porta nelle casse comunali oltre un milione di euro.



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    .....il cedro di Torino.....



    Mi avvicino sempre con timidezza e rispetto agli alberi antichi...Sono testimoni di mille avvenimenti. Testimoni silenziosi ma carichi dei segni, a volte delle cicatrici di tutto quanto è successo attorno a loro nel passare dei secoli, a volte millenni. Questo aver resistito a tante avversità li pone ai miei occhi come dei vecchi saggi che ci possono dispensare, nel loro silenzio, serenità, saggezza, forza.
    Nei pressi di Torino c’è uno di questi alberi, forse il più imponente d’Italia, un vero monumento; sono rimasto incantato la prima volta che ho potuto vederlo, tanto che ho sentito il bisogno di ritornare per poter godere con più calma della sua compagnia. Sto parlando del cedro di Montalenghe (Cedrus atlantica). E’ cresciuto in modo inconsueto per un cedro. Di solito i cedri hanno un unico possente tronco, in questo caso invece otto enormi branche partono dal livello del terreno. Un ramo del diametro di quasi 50 centimetri si protende curiosamente per una decina di metri a valle, per poi, dopo un improvviso gomito risalire; ci si può sedere e dondolare, la lunghezza gli dà una flessibilità tale da farne un’altalena. Forse Thomas Pakenham non sapeva dell’esistenza di questo albero spettacolare, altrimenti gli avrebbe senz'altro riservato una pagina sul suo libro «Grandi alberi del mondo». Anche la storia del parco che ospita da quasi 300 anni questo albero eccezionale è stata ricca di eventi. La proprietaria lo donò, insieme con la grande villa del Settecento che si vede dalla statale che porta a Ivrea, ai Salesiani; poi fu acquistato dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X, fondata da Monsignor Marcel Lefebvre, che per la sua fedeltà alla Tradizione fu prima sospeso a divinis e poi scomunicato. Negli anni la Fraternità San Pio X prosperava e Montalenghe diventava il Priorato San Carlo, che utilizzava le numerose costruzioni che costituivano le parti rustiche della grande villa, mentre questa non era abitata e di conseguenza sempre più decadente. Il Priorato è tuttora luogo di incontri e ritiri spirituali. Ho incontrato i «custodi», don Emanuele e don Giuseppe, che mi hanno permesso di visitare e fotografare il parco. I Cedrus atlantica sono originari delle montagne dell’Atlante appunto,tra l’Algeria e il Marocco. Da noi si sono trovati benissimo, anche le specie Cedrus deodara, proveniente dall'Himalaya e Cedrus libani, sempre più raro nelle montagne del Libano. Fino a pochi anni or sono venivano molto utilizzati nei nostri giardini, ora stanno passando di moda, come tutte le conifere. Peccato. Pare che siano in corso trattative per cedere a un privato la villa e la maggior parte del parco, che ospita oltre al grande albero anche un altro gigantesco cedro, ma non così inconsueto. In un cedro tre secoli di storia MI avvicino sempre con timidezza e rispetto agli alberi antichi. Sono testimoni di mille avvenimenti. Testimoni silenziosi ma carichi dei segni, a volte delle cicatrici di tutto quanto è successo attorno a loro nel passare dei secoli, a volte millenni. Questo aver resistito a tante avversità li pone ai miei occhi come dei vecchi saggi che ci possono dispensare, nel loro silenzio, serenità, saggezza, forza. Nei pressi di Torino c’è uno di questi alberi, forse il più Qualcuno si augura che il parco venga aperto al pubblico, io spero proprio di no. Mi vedo già ragazzi che si dondolano su quel ramo speciale e si arrampicano sui tronchi danneggiandoli. Questo albero è un vecchio patriarca e come tale non bisogna importunarlo. Ora gode ottima salute, è stato seguito e assistito con competenza e amore ed è inserito nello speciale elenco previsto dalla legge regionale 50/95 per la tutela e valorizzazione degli alberi monumentali del Piemonte.
    (Renato Ronco)



    .....nella mitologia.....



    Un tempo, i monti del Libano, della Siria e dell’Anatolia ospitavano un’unica immensa e splendida foresta di cedri, maestose conifere che raggiungevano anche sessanta metri di altezza.
    Regni ed imperi hanno sfruttato per secoli questo legno compatto, aromatico e durevole, pregiato almeno dall’epoca biblica, per fabbricare mobili e palazzi: il grande Tempio di Salomone fu edificato grazie alle travi possenti del cedro ed anche a ciò dovette la sua fama di regale immortalità; ma anche le ville patrizie di Roma e i palazzi di Babilonia ne furono impreziositi.
    L’imponenza del cedro del Libano era ed è leggendaria, così come la sua longevità, e ciò lo rese uno dei legni adatti ad onorare gli Dei. Il cedro era il simbolo di altezza, grandezza e potenza, e come tale aveva la proprietà di proteggere gli edifici dalle negatività e dai danni del tempo. Era consigliabile costruire le case con travi di cedro “per preservare l’anima dalla corruzione“, come ammoniva Origene.
    Dal cedro si ottenevano miracolosi unguenti per curare i dolori delle articolazioni, il decotto della sua corteccia si usava contro le bronchiti, una sua essenza aveva ottime proprietà antisettiche e balsamiche.
    Il suo legno profumato e robusto evocava l’eternità della Vita e diverse antiche leggende raccontavano di quando Set pose sotto la lingua del padre Adamo tre mistici semi, di olivo, di cedro e di cipresso, che germinarono insieme soltanto all’epoca di Mosè, il quale piantò i tre ramoscelli nella Valle di Ebron dopo aver operato, grazie ad essi, molti miracoli.
    Ne risultò un unico grande tronco rigoglioso, uno straordinario ibrido di piante sacre, metafora antica della Trinità. Più tardi Re David trapiantò il triplice albero sacro in Gerusalemme e lo protesse, circondandolo di anelli d’argento. Salomone vi edificò intorno il Tempio, ma gli ebrei ortodossi non gradivano la venerazione del popolo per quel legno, che vollero piuttosto utilizzare in modo profano, come ponte sopra un ruscello.
    Si dice che la Regina di Saba non volle calpestare il legno di quel ponte, riconoscendone la sacralità e profetizzandone la futura mistica funzione: secoli dopo, da quelle assi si ricavò la Croce di Cristo.
    Le leggende arabe consideravano i cedri esseri eterni, saggi e preveggenti, degni di venerazione, veri e propri “esseri divini in forma d’alberi“, come scrisse Alphonse de Lamartine.
    Oggi, fra i 1.300 e i 3.000 metri di altitudine, sui versanti settentrionali del Vicino Oriente, l’inverno è ancora fresco e le nevi abbondanti, mentre l’estate è secca; ma i maestosi alberi che amano questo clima sono rari e la grande foresta è ormai scomparsa, trasformata in edifici di straordinaria bellezza dall’orgoglio degli uomini potenti di ogni epoca, mentre un ultimo, regale esemplare campeggia nella bandiera nazionale, simbolo di lunga vita.
    Oggi gli ultimi sublimi cedri guardano dai monti del Libano i guasti dovuti alle follie umane ed alle guerre: alti e solenni, con la loro ieratica presenza ricordano ancora che l’incorruttibilità rende “inattaccabili dal tarlo della concupiscenza che dà la morte” e, sempre usando le parole di Antonio di Padova nei Sermoni, “mette in fuga i demoni“.
    (Giovanni Pelosini)



    Il CEDRO DEL LIBANO (Cedrus Libani) per le sue notevoli dimensioni, è stato fatto l’emblema della grandezza, della nobiltà, della forza e dell’immortalità.

    E’ quanto afferma Origene, il teologo e filosofo del II secolo, commentando il Cantico dei cantici:

    " Il cedro non marcisce; fare in cedro le travi delle nostre case
    è preservare l’anima dalla corruzione ".


    Essendo simbolo d’incorruttibilità, gli Ebrei, al tempo di Salomone, lo utilizzarono per costruire la struttura del Tempio di Gerusalemme:"Il cedro all’interno del Tempio era scolpito a rosoni e a boccioli di fiori;
    tutto era in cedro e non si vedeva una pietra"
    (1Re 6,18).

    I riferimenti nella Bibbia sono molti: Isaia 2,13; Amos 2,9; Ezechiele 31,3; Salmi 28,5; 91,13; 103,16.
    Il cedro è anche simbolo di bellezza. Ezechiele utilizza il cedro come simbolo del Messia e del suo Regno:
    Dice il Signore Dio:

    " Io prenderò dalla cima del cedro,
    dalle punte dei suoi rami coglierò un ramoscello
    dalle punte dei suoi rami coglierò un ramoscello
    e lo pianterò sopra un monte alto, massiccio;
    lo pianterò sul monte alto d’Israele.
    Metterà rami e farà frutti
    E diventerà un cedro magnifico.
    Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno,
    ogni volatile all’ombra dei suoi rami riposerà.
    Sapranno tutti gli alberi della foresta
    Che io sono il Signore,
    Che umilio l’albero alto
    faccio segare l’albero secco.
    Io il Signore, ho parlato e lo farò "

    (Ez. 17,22-24).





    ...le leggende....

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    «Racconta una vecchia leggenda che nelle belle foreste del Libano antico nacquero tre cedri. Come tutti sappiamo, i cedri impiegano molto tempo per crescere e questi alberi trascorsero interi secoli riflettendo sulla vita, la morte, la natura e gli uomini. Assistettero all’arrivo di una spedizione da Israele inviata da Salomone e, più tardi, videro la terra ricoprirsi di sangue durante le battaglie con gli Assiri. Conobbero Gezabele e il profeta Elia, mortali nemici. Assistettero all’invenzione dell’alfabeto e si incantarono a guardare le carovane che passavano, piene di stoffe colorate.
    Un bel giorno, si misero a conversare sul futuro. “Dopo tutto quello che ho visto – disse il primo albero – vorrei essere trasformato nel trono del re più potente della terra” “A me piacerebbe far parte di qualcosa che trasformasse per sempre il Male in Bene“, spiegò il secondo. “Per parte mia, vorrei che tutte le volte che mi guardano pensassero a Dio” fu la risposta del terzo.
    Ma dopo un po’ di tempo apparvero dei boscaioli e i cedri furono abbattuti e caricati su una nave per essere trasportati lontano. Ciascuno di quegli alberi aveva un suo desiderio, ma la realtà non chiede mai che cosa fare dei sogni. Il primo albero servì per costruire un ricovero per animali e il legno avanzato fu usato per contenere il fieno. Il secondo albero diventò un tavolo molto semplice, che fu venduto a un commerciante di mobili. E poiché il legno del terzo albero non trovò acquirenti, fu tagliato e depositato nel magazzino di una grande città. Infelici, gli alberi si lamentavano: “Il nostro legno era buono, ma nessuno ha trovato il modo di usarlo per costruire qualcosa di bello!”.
    Passò il tempo e, in una notte piena di stelle, una coppia di sposi che non riusciva a trovare un rifugio dovette passare la notte nella stalla costruita con il legno del primo albero. La moglie gemeva in preda ai dolori del parto e finì per dare alla luce lì stesso suo figlio, che adagiò tra il fieno, nella mangiatoia di legno. In quel momento, il primo albero capì che il suo sogno era stato esaudito: il bambino che era nato lì era il più grande di tutti i re mai apparsi sulla Terra.
    Anni più tardi, in una casa modesta, vari uomini si sedettero attorno al tavolo costruito con il legno del secondo albero. Uno di loro, prima che tutti cominciassero a mangiare, disse alcune parole sul pane e sul vino che aveva davanti a sé. E il secondo albero comprese che, in quel momento, non sosteneva solo un calice e un pezzo di pane, ma l’alleanza tra l’uomo e la Divinità.
    Il giorno seguente prelevarono dal magazzino due pezzi del terzo cedro e li unirono a forma di croce. Lasciarono la croce buttata in un angolo e alcune ore dopo portarono un uomo barbaramente ferito e lo inchiodarono al suo legno. Preso dall’orrore, il cedro pianse la barbara eredità che la vita gli aveva lasciato. Prima che fossero trascorsi tre giorni, tuttavia, il terzo albero capì il suo destino; l’uomo che era inchiodato al suo legno era ora la Luce che illuminava ogni cosa. La croce che era stata costruita con il suo legno non era più un simbolo di tortura, ma si era trasformata in un simbolo di vittoria.»
    (Paulo Coelho)



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    In un'altra leggenda medioevale, si dice che l‘angelo del Signore diede a Seth tre semi, ordinandogli di metterli sotto la lingua di Abramo dopo la sua morte. I tre semi: uno d’ulivo, uno di cedro e l’altro di cipresso, si trasformarono in tre virgulti e rimasero senza crescere nella sua bocca fino ai tempi di Mosè, al quale il Signore ordinò di tagliarli..Egli obbedì e con quei semi operò molti miracoli. Prima di morire Mosè li piantò nella valle di Ebron e con essi re Davide guari molti infermi, poi mise i virgulti in una cisterna e da essi nacque una pianta attorno alla quale re Salomone costruì un tempio. Un giorno all’albero si appoggiò una donna di nome Maxmilla e, mentre esclamava queste parole: "Gesù, Dio e Signor mio", i suoi abiti presero fuoco. A quel punto gli Ebrei la lapidarono e gettarono il legno nella piscina del tempio dove, in seguito, avvennero molte guarigioni.
    Gli Ebrei, irritati da quei miracoli, lo utilizzarono a mo’ di ponte, ma la regina di Saba si rifiutò di passarci sopra e predisse che quel legno sarebbe stato utilizzato per costruire la croce di Cristo..


    Un altro mito racconta che un’aquila dalle piume variopinte portò in Libano il midollo del cedro.
    L’aquila rappresenta l’evangelista Giovanni che, elevato sopra di sé, poté contemplare e raccontarci l’unigenito figlio che sta nel seno del padre e, il verbo che era fin dal principio. L’aquila dalle grandi ali volò fino alla patria celeste e, portò il midollo del cedro quando disse: " in principio era il verbo ".

    Un’altra leggenda cinese narra che l’imperatore voleva possedere la moglie del suo segretario imperiale cosi, lo fece imprigionare. Egli dalla disperazione si uccise., ma la moglie, che non voleva tradirlo, si buttò da una terrazza altissima e, come ultimo desiderio, lasciò scritto che voleva essere seppellita insieme al marito. L’imperatore, indispettito, non rispettò le sue ultime volontà e li fece seppellire separatamente. Dopo dieci giorni sulle loro tombe si elevarono due cedri che riuscirono ad incrociare i rami e le radici.




    " E’ una pianta che dura migliaia di anni.
    Anzi è precisamente al suo centesimo anno di età che fiorisce per la prima volta.
    lo non conosco questo fiore: non ne ho mai visti: ma deve essere bello e grande come una bandiera azzurra.
    Dicono che sulle colline di Gerusalemme, ancora esiste un cedro sotto il quale andava Gesù coi suoi discepoli, nelle notti lunari di estate.
    Sempre vibrante della vita degli uccelli, ha, con essi, una voce in coro.
    Il fruscio dei suoi rami, e un mormorio che freme anche quando non c’è vento, anll’anziano la sua presenza, come il respiro di un essere vivente.
    La pioggia dei suoi aghi secchi, della stagione propizia, è diversa dalla caduta delle altre foglie: non ha nulla di triste, e riveste la terra, intorno, con un’ombra violacea
    vellutata.
    E il suo lottare col vento, nelle giornate di tramontana, ha l’agilità e la sana letizia dei fanciulli che giocano con la neve o dei giovinetti che s’ubriacano di moto sulle cime alpine.
    E se romba il libeccio, l’albero intona una sinfonia accorata; racconta le leggende della foresta. "
    (Grazia Deledda)



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    Edited by gheagabry1 - 5/2/2022, 23:39
     
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  10. gheagabry
     
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    "Scorre una memoria, con la linfa, nel corpo degli alberi
    Scrivono il tempo come i libri; gli alberi sono libri.
    Gli alberi sono degli alfabeti, dicevano i Greci"


    [ ROLAND BARTHES ]



    Edited by gheagabry1 - 5/2/2022, 23:41
     
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  11. gheagabry
     
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    Pino di Wollemi

    wollemia_nobilis




    L'albero più antico del mondo, il Pino di Wollemi (Wollemia nobilis) non corre più pericolo di estinzione. Incredibilmente, questa conifera che può arrivare a sfiorare i 40 m di altezza e che fa parte delle araucariacee, era stata scoperta (in forma vivente) soltanto nel 1994, nelle foreste delle Blue Mountains, in Australia, a circa 150 km da Sidney e da allora è stato fatto ogni sforzo per garantirne la sopravvivenza.



    L'"habitat" naturale di questi alberi è nell'emisfero meridionale e dopo la scoperta in Australia ne sono state localizzate popolazioni isolate in America Latina, Nuova Caledonia, Nuova Guinea e Nuova Zelanda.

    Nel 1994 furono censiti 76 alberi e 200 arbusti in crescita e, nonostante ulteriori rinvenimenti, questo pino rimane uno degli alberi più rari di tutto il pianeta. Per motivi di sicurezza è stato deciso di non rivelare l'esatta posizione della foresta di pini di Wollemi (che, d'altra parte, è in una zona già di per sé difficilmente accessibile) ed è stato avviato un piano basato sull'allevamento in vivaio di 400 piantine, con le quali avviare un programma di propagazione dell'albero più antico di tutti.

    Nel maggio del 2005, dopo tre mesi di quarantena, alcuni alberelli sono stati consegnati all'orto botanico di Edimburgo (Scozia) ed alle sue tre dipendenze a Logan, Benmore, Argyll e Dawyck per allargare la base di allevamento e giungere nel corso del 2006 alla vendita al pubblico.

    Così i privati potranno contribuire alla salvaguardia di quest'albero, che si riteneva estinto 110 milioni di anni fa, portandosi in giardino un pezzo di... Cretaceo! Nei vivai scozzesi i pini di Wollemi saranno in compagnia di un'altra rarissima conifera, l'abete siciliano (Abies nebrodensis) del quale in Sicilia è stata localizzata anni fa l'unica popolazione superstite con non più di 30 alberi.



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    dal web

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    "ti verrò in soccorso, sarò il tuo asilo"


    IL GINEPRO


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    Il ginepro è una pianta arbustiva sempreverde, che presenta un aspetto molto mutevole a seconda della zona di coltivazione. Questa pianta spinosa, dalla crescita lenta, può avere infatti, eccezionalmente, solo dove il clima è mite, l'aspetto di un piccolo albero, ma spesso forma cespugli più o meno alti, od assume un portamento prostrato. Ciò accade in alta montagna, ed è un modo per difendersi dal freddo e dai venti...Il significato attribuito alle fronde del ginepro è: “ti verrò in soccorso, sarò il tuo asilo” e si riferisce, evidentemente, alle proprietà medicinali di alcune sue specie che producono bacche utilizzate nella medicina popolare per le loro proprietà.

    Le bacche di ginepro sono l’unica spezia a provenire da una conifera. La pianta cresce in forma di arbusto o di piccolo albero, e presenta aghi appuntiti lunghi da 1 a 2 cm. Dai piccoli fiori, apparentemente insignificanti, si sviluppano dei grappoli di bacche sferiche, che giungono a piena maturazione nel corso di 3 anni, durante i quali il loro colore passa dal verde a un blu scuro. Sono proprio queste bacche a fungere da spezia: vengono utilizzate sia fresche che essiccate, sia intere che macinate.


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    ....nella storia....


    Presso tutte le culture preistorico-sciamaniche sviluppatesi nelle aree di diffusione del ginepro quest'albero o arbusto era venerato come pianta sacra e protettrice, simbolo della vita dai particolari poteri magici. Ancora oggi gli ultimi sciamani della Siberia lo chiamano albero della vita. Il suo legno, i rami e le bacche venivano bruciati già nella preistoria a scopi curativi e religiosi. Più tardi, nel Medioevo, si riteneva che il suo fumo allontanasse i demoni malvagi e tuttora il ginepro gode della reputazione di "albero protettore". Gli antichi manuali di erboristeria offrono numerose informazioni che enfatizzano il suo uso nell'ambito delle cerimonie magico-religiose e delle pratiche curative. "Dove c'è odore di ginepro non sosta il demonio": è ciò che si legge in quei testi....Nelle fumigazioni, del ginepro si utilizzano le bacche, i rametti, il legno e la resina, ingredienti delle ricette di Kyphi. Il ginepro fenicio, noto nell'antico Egitto al tempo dei faraoni, è un albero o un arbusto che non supera i 5 m d'altezza e può vivere diverse centinaia di anni. Per tale ragione, sin dai primi insediamenti nella sua area di diffusione, fu considerato simbolo di forza e longevità.
    Nell'emisfero Nord esistono circa 40 varietà di ginepro. In Tibet ve ne sono alcune che crescono a un'altitudine di 6000 m. Nell'intera regione dell'Himalaya Le fumigazioni a base di ginepro, chiamate dhupi, hanno il potere di purificare internamente e di rafforzare la concentrazione spirituale nei rituali, nelle preghiere o semplicemente nella preparazione mattutina.

    I frutti (galbuli) detti anche bacche, che sono in realtà delle pseudobacche, impiegano due anni a maturare; sono quasi perfettamente sferici, ricoperti di una patina opaca. Il loro sapore ha dato origine al nome della pianta, derivato da una parola celtica, “juneprus”, che significa acre. Nel Medioevo, queste false bacche hanno avuto la fama di operare guarigioni miracolose; anche nel XVI secolo, erano considerate una panacea universale prodigiosa...Gli antichi asserivano che il ginepro avesse la capacità di tenere lontano i serpenti e ne curasse il morso.
    Il francescano Maurizio da Tolone, nel 1500, compose dei profumi con il ginepro utili a disinfettare le navi provenienti da luoghi infetti.
    Nei secoli scorsi il legno del ginepro era usato per costruire le doghe delle botti e per intarsi....Era utilizzato come mestolo per la polenta, perché lasciava alla farina un po’ del suo aroma e perché non è soggetto a muffe. Inoltre si costruivano calci di pistole e altri utensili. Si bruciava per profumare la stalla e nel forno per aromatizzare il pane. L’intera pianta era usata per pulire le canne fumarie ed era posta sul colmo del tetto di una casa, a fine costruzione, come segno di festa.
    Il ginepro è una pianta assai considerata dalla liturgia cristiana, tanto che viene spesso identificato con la stessa figura di Cristo...La leggenda vuole che Maria e la Sacra Famiglia, inseguiti dai soldati di Erode, riuscissero a fuggire nascondendosi tra i rami di una pianta di Ginepro. Maria benedisse la pianta e qualche anno dopo volle che il suo legno fosse utilizzato per la croce di Gesù.

    Nel 1600 i contadini emiliani usavano bruciare rametti di ginepro nelle case per benedirle, oppure appenderne un rametto nelle stalle come portafortuna.
    In toscana si usava appendere un ramo di ginepro alle porte delle case per far si che le streghe, si fermassero a contare le sue numerose foglie , se avessero sbagliato il conteggio di queste foglie, avrebbero dovuto ricominciare da capo e questo le avrebbe fatte indispettire, ma per paura di essere riconosciute spesso lasciavano velocemente la casa allontanandosi da essa.

    In Estonia si usava piantare il ginepro vicino alle abitazioni per allontanare gli spiriti maligni e se non bastava, si passavano i ramoscelli tra le fessure delle porte per maggior sicurezza.
    In Germania, si crede che il ginepro abbia uno spirito femminile, chiamato Frau Waccholder, era la pianta protettrice dai ladri, esiste infatti ancora oggi un rituale ben preciso: ” chi veniva derubato doveva recarsi ad un ginepro per poi curvarne un ramo fino a terra tenendolo fermo con un masso poi doveva gridare il nome del ladro ad alta voce che sarebbe arrivato lì all’istante “.



    Ginepro-Osteosperma



    Taci. Su le soglie del bosco non odo
    parole che dici umane;
    ma odo parole più nuove
    che parlano gocciole e foglie lontane.
    Ascolta. Piove dalle nuvole sparse.
    Piove su le tamerici salmastre ed arse,
    piove sui pini scagliosi ed irti,
    piove su i mirti divini,
    su le ginestre fulgenti di fiori accolti,
    su i ginepri folti di coccole aulenti,
    piove su i nostri volti silvani,
    piove su le nostre mani ignude,
    su i nostri vestimenti leggeri,
    su i freschi pensieri
    che l’anima schiude
    novella
    .......
    su la favola bella
    che ieri
    t’illuse, che oggi m’illude,
    o Ermione...
    (G. D'Annunzio)



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    Edited by gheagabry1 - 15/2/2022, 16:35
     
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  13. gheagabry
     
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    Tanti anni fa, la gente, prima di entrare nel bosco a cercare i funghi, si toglieva il cappello,
    si inginocchiava e recitava una preghiera....


    LA BETULLA


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    Il nome del genere deriva dal celtico betu che significa appunto "albero"....E' un albero snello, alto 10-25 m, con corteccia bianca, liscia, che si sfoglia in placche cartacee, con rami sottili, pendenti, di un rosso bruno. Le foglie sono picciolate, ovate, quasi romboidali, aguzze, doppiamente seghettate, glabre. I fiori monoici (esistono cioè fiori maschili e femminili separati) crescono con le foglie. Gli amenti, cioè le infiorescenze a forma di spiga pendente, sono di due tipi, i maschili più lunghi e pendenti, perlopiù a paia in cima ai rami, i femminili più corti, solitari e laterali. La betulla, in natura, è un albero pioniere, ovvero cresce solitamente al di fuori dei boschi, sui terreni ancora da colonizzare da parte delle piante; quindi preferisce posizioni soleggiate, molto luminose, ad una certa distanza da altre piante; a volte vengono piantate vicine, a creare un suggestivo boschetto


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    ...storia, miti e leggende....


    La betulla e' senza dubbio una pianta evocativa. Il colore bianco della corteccia, la chioma leggera e luminosa ed il portamento pendulo dei rami le conferiscono un aspetto puro e delicato.
    Al tempo stesso la capacita' di crescere su diversi tipi di suoli e di resistere al freddo la rendono efficace simbolo dell'adattabilita', dell'umilta' e della tenacia. Probabilmente proprio per questi suoi aspetti peculiari, pur non essendo un albero possente e longevo, era venerata come albero cosmico dagli sciamani siberiani. In Scandinavia la betulla e' uno dei primi alberi ad emettere le foglie in primavera, per questo era venerata come albero della rinascita primaverile ed associata a feste popolari e religiose tipiche della stagione.
    'Bianca e luminosa' era inoltre considerata una pianta purificatrice, fonte di rimedi per numerosi malanni. Ad esempio la corteccia era usata come diuretico, febbrifugo, per curare malattie della pelle e favorire la digestione, ma si impiegava anche per fabbricare carta, sandali intrecciati e coperture per i tetti. Addirittura in primavera, quando si presentava tenera e zuccherina, costituiva un alimento per le popolazioni dell'estremo Nord. La linfa raccolta in primavera, detta 'acqua o sangue di betulla', era usata come rimedio per l'artrite e le malattie delle vie urinarie, poiché favoriva l'eliminazione dell'acido urico.
    Nell'antica Roma, i fasci intorno all'ascia che reggevano i littori davanti ai magistrati erano composti da rami di betulla. I fasci rappresentavano le punizioni che potevano essere inflitte ai colpevoli ed avevano anche la funzione di purificare l'aria dinanzi ai magistrati.
    Secondo R. Graves (1 979) in tutta Europa i rami di betulla sono stati usati 'per calmare gli esagitati e frustare i delinquenti, e una volta gli alienati, allo scopo generale di scacciare gli spiriti cattivi'.
    Insomma questa pianta 'purificava in senso lato'... In Francia, nel Medioevo la betulla era considerata simbolo di saggezza e, per la gioia degli scolari, spesso con i suoi rami venivano intrecciate le bacchette dei maestri!

    'L'albero delle scope': da Dormelletto a Fondotoce questo il primo ricordo della betulla che affiora in tante persone. Sino agli inizi degli anni '60 si utilizzavano i rami della pianta, prelevati durante l'inverno, per fabbricare scope impiegate nei cortili e nelle stalle. La scopa (granera o scua a seconda delle zone) nella sua tipologia piu' tipica era interamente di betulla.
    Il legno di questa pianta, elastico e tenero era anche talvolta utilizzato per fabbricare zoccoli, gioghi per i buoi o altro bestiame, freni per i carri, manici per falcetti e coltelli per tagliare la polenta. All'occorrenza si usava come combustibile. Presso le cave di granito di Baveno e del Monte Orfano i tronchi di betulla erano usati come rulli (detti cürli su cui venivano fatti scorrere, per brevi tratti, i blocchi di pietra.

    Le Streghe Basche usano ungere candele d’amore con olio di betulla. La betulla guarisce la pelle e molti malanni. Secondo la Tradizione, il dono di un ramoscello di betulla alla persona amata era considerato segno di incoraggiamento. Significava : Tu puoi iniziare...

    La betulla è talvolta associata alla luna, o al sole e alla luna: in questo caso è doppia, padre e madre, maschio e femmina. Plinio pensava che la betulla fosse originaria della Gallia: "la betulla, dice, fornisce ai magistrati i fasci che tutti temono, e ai panierai i cerchi e le coste necessari per la fabbricazione di panieri e cestini".Viene impiegata anche per confezionare torce nuziali, ritenute porta-fortuna il giorno delle nozze.


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    ....una favola.....


    E’ giunse la primavera, Betulla era nata sotto una strana e buia nuvola, che non si era mai spostata da sopra il suo capo, eppure di tempeste ne erano venute tante che con i loro tifoni e le loro tormente l’avrebbero potuta spazzare via, ma niente quella nuvola nefasta era rimasta sempre lì come inchiodata su di lei. Ma qualcosa stava cambiando e Betulla sentiva la primavera fiorirle nel cuore, e non potendo ancora goderne a causa di quella brutta nuvola che le ostacolava ogni cosa, prese ad inclinarsi un pochino, e credete per un albero non era una cosa facile.
    - Non è il caso che ti sforzi tanto! - disse una voce, proveniente dalla nuvola nera.
    - E’ giunto il tempo che io ti lasci! E detto ciò la nuvola prese a singhiozzare come commossa, la Betulla restò senza parole, in tanto tempo non aveva mai sentito parlare la sua nuvola nera, eppure lei di “parole” gliene aveva dette tante, e nessuna di esse era stata gentile. Ancora confusa, si raddrizzò dicendo:
    - Ma tu parli?
    - Certo che parlo....
    rispose la nuvola.
    - E piangi pure?...Aggiunse la Betulla.
    - Si piango! Piango perché sto per andare via, e so che mi mancherai troppo. La Betulla aveva odiato con tutta se stessa quella impietosa nuvola nera, che non le aveva mai lasciato tregua, ma ora le iniziava quasi a dispiacere.
    - Mi spiace averti trattata sempre tanto male, se avessi saputo che potevi ascoltarmi, avremmo ragionato insieme e parlato, ti avrei chiesto del perché di tanta pioggia proprio su di me.
    - Cara ma il tuo grido di dolore era per me un eterna domanda, alla quale io ho sempre cercato di rispondere, ma purtroppo invano, tu non eri ancora pronta ad ascoltare le parole di una nuvola.

    La betulla carezzò con i suoi rami la morbida nuvola, e la nuvola accolse quella carezza come un dolce addio, incominciando ad allontanarsi.
    - Nuvola, nuvoletta ed ora dove andrai, ti ricorderai di me?
    - Non potrò mai dimenticarmi di te, sei cresciuta al mio insegnamento e del tuo divenire io sono pregna di orgoglio. Vado lontano verso le terre del domani, dove sono ancora addormentati i semi del vivere, ne ascolterò le preghiere innalzate al cielo e sceglierò chi ha nel cuore un albero, e quello che tu sei divenuta, mi darà la forza per continuare la mia missione. Tu sei il mio più grande successo.
    - Un successo? Perché dici così?
    - Vedi i semi in terra sono tanti, e tutti hanno in se potenzialità, c’e’ il seme che darà vita ad un semplice filo d’erba ed averlo portato sino al realizzo della sua natura sarà il compito della brezza che lo alimenterà, c’è il seme destinato a divenire fiore e la pioggia sottile lo avvolgerà sino al suo sbocciare, ma tu eri destinata a diventare albero, un compito assai gravoso, e per te sono dovuta giungere io la tua nuvola nera, ed averti portata sino al realizzo della tua natura, è per me un grandissimo successo. Ora non c’è più necessità che io resti qui, devo andare via.
    - Addio nuvola.
    ...Disse piangendo la Betulla, aveva imparato a voler bene anche al suo dolore, era divenuto parte di lei.
    Non piangere, non volevi vedere il sole, ora guardalo splende su di te.
    Disse la nuvola. La Betulla prese a guardare il cielo e finalmente potè scorgere la sua chiara luce, e quando ritornò a guardare la nuvola, essa era svanita per sempre, anche dal suo orizzonte.
    Fu in quell’istante che accadde un fatto strano, la Betulla incominciò a fiorire anche se fuori stagione, e del profumo dei suoi fiori l’aria circostante s’impregnò tutta, giunse poi un vento misterioso che ne diffuse il meraviglioso aroma in ogni luogo, annunciando alla vita che un altro albero era nato.
    (dal web)


    Tu non sai : ci sono betulle che di notte levano le loro radici,
    e tu non crederesti mai che di notte gli alberi camminano
    o diventano sogni.
    Pensa che in un albero c'è un violino d'amore.
    Pensa che un albero canta e ride.
    Pensa che un albero sta in un crepaccio
    e poi diventa vita.
    Te l'ho già detto : i poeti non si redimono,
    vanno lasciati volare tra gli alberi
    come usignoli pronti a morire
    (Alda Merini)


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    Edited by gheagabry1 - 15/2/2022, 16:53
     
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    "...ogni essere umano viene al mondo
    con una dotazione unica di potenzialità e aspira a realizzarsi
    così come la ghianda aspira a diventare la quercia che si porta dentro"
    (Aristotele)


    La QUERCIA


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    La quercia (Quercus robur), detta comunemente anche e farnia, appartiene alla famiglia delle Fagacee, la quale annovera, tra l’altro, anche il faggio e il castagno. é un albero solido e molto longevo, che può vivere dai 500 ai 2000 anni.
    Il genere Quercus comprende circa 200 specie di alberi apprezzati, oltre che per l’ottimo legno, anche per l’aspetto maestoso e per i colori autunnali. In Italia, oltre alla Q. robur, sono diffuse circa altre dieci specie molto note, fra cui il leccio, il rovere, il cerro, la roverella, il fragno, il farnetto ecc. Nel Trentino il nome di rovere viene spesso usato indifferentemente per tutte e tre le specie più diffuse, ossia la roverella (Q. pubescens), il rovere (Q. petraea) e la farnia (Q. robur). La farnia si distingue dal rovere per la forma meno slanciata, la chioma meno aperta e regolare, il tronco meno diritto e la maggiore longevità (può superare gli 800 anni!). Se da giovane l’albero è poco apprezzato, gli esemplari di oltre 40 anni, con il loro portamento maestoso, sono davvero bellissimi. Nella nostra Regione, purtroppo, non esistono più veri e propri boschi di querce d’alto fusto, ma solo gruppi di individui o individui singoli, mentre altrove esse costituiscono una
    parte importante dei boschi cedui fino ad un’altitudine di circa 1000 metri. La quercia, o farnia, può raggiungere i 40 metri di altezza. Il tronco è tozzo e robusto con la corteccia grigia, liscia e lucida da giovane, di color scuro, quasi nero e screpolata longitudinalmente da adulta. Le foglie sono caduche, dure, ovali ... il colore è verde scuro nella pagina superiore e azzurrastro in quella inferiore..I fiori compaiono in maggio: quelli maschili sono infiorescenze a forma di spighe pendenti (amenti), giallastre, poco vistose, alla base dei rami dell’anno; quelli femminili sono insignificanti. I frutti sono ghiande ovoidali spesso striate di bruno e riunite di solito in gruppi di due; sono protette nella parte inferiore da una cupola a scaglie più o meno sovrapposte e di forma variabile. La farnia si può piantare con successo, sia al nord che al centro Italia, fino a 800-1000 metri d’altitudine, tenendo presente che, pur adattandosi a terreni diversi, predilige quelli ben drenati, freschi, profondi, senza calcare.... cresce meglio in posizioni soleggiate, ma può adattarsi anche a luoghi parzialmente in ombra. La pianta infatti è eliofila...ama cioè il sole sulla chioma e il fresco alle radici.

    La quercia è per eccellenza l’albero generoso in cui si intrecciano le vite di numerosi animali: vi fanno il nido cinciallegre e fringuelli, vi si posano cornacchie e ghiandaie, che si nutrono dei suoi frutti e, in zone molto umide, vi sosta anche il germano reale. Nel suo tronco e sui suoi rami si rifugiano ghiri, scoiattoli e l’astuta faina. Nel sottobosco possiamo trovare pungitopi, felci e spesso bellissimi fiori selvatici..Una delle più grosse querce viventi, la "major oak", sorge nella foresta di Sherwood: ha una circonferenza di quasi 20m e può ospitare nel suo tronco cavo 34 bambini.
    (Iris Fontanari)


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    La ghianda può diventare o non diventare quercia, ma non qualsiasi altra cosa.


    ....nella storia.....


    Il genere di queste piante maestose è antichissimo, come è provato dai reperti fossili. Anche le testimonianze del loro
    ruolo mitico e religioso risale a tempi assai remoti, addirittura agli albori della civiltà. Nella mitologia germanica la
    pianta era sacra a Donar, il dio del tuono e della fecondità. Per i Greci, invece, la quercia era sacra a Zeus, il padre degli dei, ed essi ritenevano che il dio stesso l’avesse piantata sulla Terra. Secondo quel popolo, prima che si cominciasse a coltivare il grano, c’era stato il tempo delle ghiande, quando l’uomo si cibava, come gli animali, di questi frutti.
    Anche nell’antica Roma le querce erano sacre a Giove e spesso ospitavano, secondo la mitologia, dei o ninfe o addirittura facevano profezie. Per i Romani la quercia era simbolo di forza, gloria, nobiltà e valore militare. (Nella lingua latina, infatti, il vocabolo robur significa sia forza, sia quercia).

    Il frutto della quercia che è un seme, è visto come l'organo riproduttivo del dio Zeus, che affondando nel grembo della madre terra, fa nascere un nuovo albero. Per questo motivo nell'antichità si pensava che la ghianda avesse poteri fecondatrivi, anzi afrosidiaci. La ghianda e' stata il nutrimento di molti popoli: in Europa si confezionavano dolci e pane dei periodi di carestia. Ancora oggi nella Spagna si confezionano dolci con la farina di ghiande.
    Le donne dell'isola di Samo prestavano giuramento sulle ombre della quercia...E' risaputo che Zeus l'aveva adottata come albero prediletto e di ciò non se ne era pentito. Allorché la quercia viene a rappresentare il cielo scuro e nuvoloso, il posto naturale del dio della folgore e del fulmine è nella quercia. Sul monte Liceo, in Arcadia, esisteva una volta un tempio di Zeus, vicino ad una fonte. Gli Arcadi credevano che, per far cadere la pioggia, fosse sufficiente agitare un ramo di quercia nell'acqua di questa fonte. Del pari, gli oracoli di Preneste erano resi tramite lettere incise sulla quercia. Zeus che tuona durante il temporale, Zeus che agita le foglie della sua quercia, Zeus che parla dalla sua quercia, Zeus la cui volontà è espressa dalle lettere misteriose che appaiono incise sulla sua quercia, sono quattro diverse immagini poetiche di un medesimo significato naturale.
    In Grecia esisteva la quercia oracolare di Dodona. Le statue di Zeus, in particolare quella del santuario a Dodona, erano coronate con rami di quercia, con ghiande. La stessa cosa valeva per i re, sia a roma che in grecia.
    Il tempio di Giove sul campidoglio, fu costruito da Romolo, vicino ad una quercia sacra venerata dai pastori.
    Quando Roma diventò repubblicana la corona di quercia fu assegnata al guerriero che nella battaglia avesse salvato un concittadino. Era la più alta Distinzione militare. Plinio: "Il titolare della corona può portarla sempre".
    La consuetudine vuole che ai ludi, ci si alzi al suo ingresso, Senatori compresi. Egli ha diritto a sedere accanto a loro, è esentato da qualsiasi onere, lui, suo padre e il padre di suo padre. Nel 27 a.C. un decreto del senato conferì ad Augusto il diritto di tener sempre una corona di quercia sopra la sua porta. Ovidio scrive, che questo era un onore quasi divino. Tiberio lo rifiutò.
    Abramo il patriarca fondatore, l'antenato comune delle tre grandi religioni monoteiste, aveva lasciato la sua patria per ordine dell'Eterno. Penetrato nella terra di Camaan, a Sikem, giunse alle "querce di Mori", un bosco sacro che faceva da frontiera alla regione abitata dai cananei. Proprio là Javhè apparve ad Adamo e disse :"io darò questa terra alla tua posterirità". Più tardi, presso hebron, dopo che il patriarca ebbe "innalzato un altare all'eterno, questi gli apparve tra le querce di Mamrè" sotto forma di trè uomini, in cui i cristiani riconobbero poi le tre persone della trinità. Abramo offrì loro ospitalità, senza riconoscere in quegli angeli la triplice presenza divina, ma uno di essi gli annunciò che Sara, già vecchia, avrebbe concepito un figlio da lui. Dunque il Dio unico della Bibbia scelse anche lui la quercia, l'albero cosmico per eccellenza, come portaordini dal cielo alla terra, come strumento della propria materializzazione.


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    ...la quercia del Tasso....


    Quell'antico tronco d'albero che si vede ancor oggi sul Gianicolo a Roma, secco, morto, corroso e ormai quasi informe, tenuto su da un muricciolo dentro il quale è stato murato acciocché non cada o non possa farsene legna da ardere, si chiama la quercia del Tasso perché, avverte una lapide, Torquato Tasso andava a sedervisi sotto, quand'essa era frondosa. Anche a quei tempi la chiamavano così. Fin qui niente di nuovo. Lo sanno tutti e lo dicono le guide.
    Meno noto è che, poco lungi da essa, c'era, ai tempi del grande e infelice poeta, un'altra quercia fra le cui radici abitava uno di quegli animaletti del genere dei plantigradi, detti tassi....Un caso...Ma a cagione di esso si parlava della quercia del Tasso con la "t" maiuscola e della quercia del tasso con la "t" minuscola. In verità c'era anche un tasso nella quercia del Tasso e questo animaletto, per distinguerlo dall'altro, lo chiamavano il tasso della quercia del Tasso. Alcuni credevano che appartenesse al poeta, perciò lo chiamavano "il tasso del Tasso"; e l'albero era detto "la quercia del tasso del Tasso" da alcuni, e "la quercia del Tasso del tasso" da altri.
    Siccome c'era un altro Tasso (Bernardo, padre di Torquato, poeta anch'egli), il quale andava a mettersi sotto un olmo, il popolino diceva: "E' il Tasso dell'olmo o il Tasso della quercia?".
    Così poi, quando si sentiva dire "il Tasso della quercia" qualcuno domandava: "Di quale quercia?".
    "Della quercia del Tasso." E dell'animaletto di cui sopra, ch'era stato donato al poeta in omaggio al suo nome, si disse: "il tasso del Tasso della quercia del Tasso".
    Poi c'era la guercia del Tasso: una poverina con un occhio storto, che s'era dedicata al poeta e perciò era detta "la guercia del Tasso della quercia", per distinguerla da un'altra guercia che s'era dedicata al Tasso dell'olmo (perché c'era un grande antagonismo fra i due).
    Ella andava a sedersi sotto una quercia poco distante da quella del suo principale e perciò detta: "la quercia della guercia del Tasso"; mentre quella del Tasso era detta: "la quercia del Tasso della guercia": qualche volta si vide anche la guercia del Tasso sotto la quercia del Tasso.
    Qualcuno più brevemente diceva: "la quercia della guercia" o "la guercia della quercia". Poi, sapete com'è la gente, si parlò anche del Tasso della guercia della quercia; e, quando lui si metteva sotto l'albero di lei, si alluse al Tasso della quercia della guercia. Ora voi vorrete sapere se anche nella quercia della guercia vivesse uno di quegli animaletti detti tassi.
    Viveva. E lo chiamarono: "il tasso della quercia della guercia del Tasso", mentre l'albero era detto: "la quercia del tasso della guercia del Tasso" e lei: "la guercia del Tasso della quercia del tasso".
    Successivamente Torquato cambiò albero: si trasferì (capriccio di poeta) sotto un tasso (albero delle Alpi), che per un certo tempo fu detto: "il tasso del Tasso". Anche il piccolo quadrupede del genere degli orsi lo seguì fedelmente, e durante il tempo in cui essi stettero sotto il nuovo albero, l'animaletto venne indicato come: "il tasso del tasso del Tasso".
    Quanto a Bernardo, non potendo trasferirsi all'ombra d'un tasso perché non ce n'erano a portata di mano, si spostò accanto a un tasso barbasso (nota pianta, detta pure verbasco), che fu chiamato da allora: "il tasso barbasso del Tasso"; e Bernardo fu chiamato: "il Tasso del tasso barbasso", per distinguerlo dal Tasso del tasso.
    Quanto al piccolo tasso di Bernardo, questi lo volle con sé, quindi da allora quell'animaletto fu indicato da alcuni come: il tasso del Tasso del tasso barbasso, per distinguerlo dal tasso del Tasso del tasso; da altri come il tasso del tasso barbasso del Tasso, per distinguerlo dal tasso del tasso del Tasso.
    Il comune di Roma voleva che i due poeti pagassero qualcosa per la sosta delle bestiole sotto gli alberi, ma fu difficile stabilire il tasso da pagare; cioè il tasso del tasso del tasso del Tasso e il tasso del tasso del tasso barbasso del Tasso.
    (Achille Campanile)



    « Dov'era l'ombra, or sé la quercia spande
    morta, né più coi turbini tenzona.
    La gente dice: Or vedo: era pur grande!
    Pendono qua e là dalla corona
    i nidietti della primavera.
    Dice la gente: Or vedo: era pur buona!
    Ognuno loda, ognuno taglia. A sera
    ognuno col suo grave fascio va.
    Nell'aria, un pianto... d'una capinera
    che cerca il nido che non troverà. »
    (Giovanni Pascoli, La quercia caduta, da Primi Poemetti)



    .


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    Plinio ci insegna ciò che anche la scienza moderna ammette agevolmente e cioè che, nella creazione, le querce hanno preceduto gli esseri umani. I Greci chiamavano le querce "pròterai matéres", le "prime madri". Le quercie hanno preceduto gli uomini, i padri degli uomini, cioè gli dèi, così come le api, che simboleggiano l'anima immortale, che abitato le querce. Fu nel tronco spaccato di una quercia che i Dioscuri ellenici si nascondevano dai loro nemici. In questo caso, sembra che la quercia rappresenti l'albero della notte, dentro cui va a nascondersi la sera e da cui esce, tutte le mattine, la luce del giorno. Si tratta della stessa quercia alla quale fu appeso il vello d'oro cercato in Oriente dagli Argonauti. L'aurora o dama verde della primavera, rappresentata da Medea, la bella maga, e il sole, rappresentato dal giovane e bel Giasone, si rincontrano nel cielo orientale, dopo aver viaggiato per tutta la notte, o tutto l'inverno, su un vascello in cui la figlia di Zeus, la saggia dea Atena, essa stessa una rappresentazione superiore dell'aurora, aveva prudentemente portato un treuciolo di quercia di Dodona, per preservare gli Argonauti dal naufragio.

    A Sorano, nella campagna romana, nemmeno quindici anni addietro, una pastorella, sorpresa dalla tempesta, si rifugiò sotto una quercia, pregando la madonna. Mentre pregava, gli apparve una dama; grazie a quest'ultima, la pioggia cessò di cadere sulla quercia, e la giovane pastorella se ne andò da lei senza aver preso la più piccola goccia d'acqua. Si gridò subito al miracolo. Il parroco chiamò subito presso di se la pastorella, facendola poi rinchiudere in un convento di Roma, dove si prepara senza dubbio la sua canonizzazione. Allo stesso modo, due secoli prima, una pastora toscana, la beata Giovanna da Signa, venne canonizzata. Nel distretto di Lastra a Signa, fra Malmantile e Ginestra, si mostra ancora una quercia adorata tuttora dal popolo. Si racconta che un giorno la pastora Giovanna, sorpresa dal temporale, richiamò a sè pastori e pecore e affondò nel terreno il suo bastone da pastore. Nello stesso istante, sorse dal suolo una quercia che accolse sotto i suoi rami gregge e pastori. Nessuno si bagnò; per questo bel miracolo Giovanna venne canonizzata; nei pressi della quercia, fu eretta una piccola cappella in onore della Vergine. Ora, i coraggiosi che salgono sulla quercia di Giovanna per staccarne delle frondi possono stare certi che verranno atterrati dall'albero; è tuttavia concesso staccare delle piccole frondi da tenere nelle case; con questo talismano, si dice, si è salvaguardati da ogni tempesta, posto che, di fronte a questo pezzo di quercia sacra si invochi così il nome di Gesù e di Maria:

    "Col nome di Gesù e di Maria

    Questa tempesta la vada via."


    A Chieti, negli Abruzzi, si colgono foglie di quercia su cui è caduta la folgore e le si affidano alle povere reclute in partenza per la guerra. Ciò è tuttavia in contraddizione con la testimonianza di Festo e di Servio, a riguardo di una credenza dei Romani; quando una quercia veniva colpita dalla folgore, essi consideravano tale avvenimento come infausto auspicio per l'agricoltura, la ghianda rappresentando per loro tutto il raccolto; grazie a questo talismano, i soldati non potessero essere colpiti dalle pallottole.
    Dove la folgore è caduta una volta, si pensa, essa non cadrà più: la sua azione è neutralizzata dalla quercia già colpita; la folgore è l'arma divina: per analogia, si pensa che nessun'altra arma colpirà su un oggetto su cui la stessa arma divina non ha più alcun potere. Ed è ancora per allontanare la folgore che in Germania si mette una fronda di quercia sull'ultimo covone mietuto.
    Gli antichi Greci attribuivano il diluvio della Beozia ai litigi tra Zeus ed Hera; quando cessarono le piogge, si vide erigersi dal terreno una statua di quercia, quale simbolo della pace conclusa tra il re degli dèi e sua moglie. La quercia fu, si dice, il primo albero che spuntò sulla terra e, verosimilmente, non fornì solo il miele (l'ambrosia dell'açvattha indiano; si sa che madhu "il dolce" in sanscrito, designa il miele e l'ambrosia) e la ghianda (da cui il nome di balanofagi dato ai primi uomini; e in Sardegna ci sono uomini che si nutrono ancora con un pane di ghiande), per il nutrimento, ma anche per la procreazione.



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    La ghianda, dicevano gli antichi, eccita Venere. Feconda per eccellenza, si riconosce in lei non solo una fecondatrice tra gli alberi, ma la fecondatrice degli uomini. In un racconto popolare inglese, la ghianda di quercia è posta in stretta relazione con la procreazione di uomini; un folletto canta: "Non è ancora nata, la ghianda da cui verrà una quercia, in cui si intaglia la culla per il fanciullo assassino." (Si sa che Indra, Zeus, l'eroe solare in somma, nasce parricida). E' evidente che nel racconto inglese la culla è un'immagine poetica dello stesso fanciullo, e che la ghianda della quercia si identifica qui con il glande dell'uomo. La mitologia scandinava fa della quercia o del frassino i primi uomini: così il racconto popolare latino riferito da Virgilio suppone che i primi uomini "duro de robore nati" (siano nati da una solida rovere). Gli Arcadi, ugualmente, credevano di essere stati delle querce prima di diventare uomini. In Piemonte, per schivare le domande imbarazzanti dei bambini, gli si dice che sono nati nei boschi, sotto un ceppo d'albero e, precisamente, sotto una vecchia quercia.
    La quercia è dunque l'albero antropogonico per eccellenza della tradizione europea. Secondo il mito di Milone di Crotone, quest'eroe popolare perse la vita in una fenditura di un tronco di quercia, dove ebbe l'imprudenza di tentare la stessa prova di forza della scimmia della prima favola del Pantchatantra indiano, di cui si mostra evidentemente un parente mitico assai prossimo. Secondo le credenze italiane, ceche, germaniche, serbe ecc. è un ciocco di quercia che, la vigilia di Natale, per la rinascita annuale del sole salvatore del mondo, del Cristo salvatore, che bisogna far ardere sul fuoco. Frequentata dapprima dagli dei luminosi del paganesimo, la quercia è poi divenuta il rifugio privilegiato di madonne e santi adorati nelle campagne. Nel circondario di Bologna, cioè in un'antica regione celtica e, conseguentemente, druidica, è sopravvissuto un culto speciale per le querce. Nel XIV° secolo, allorchè si avviò la pavimentazione di piazza Beccadelli a Bologna, vi si ergeva ancora una vecchia quercia. Non solo la quercia era venerata; ma, per un retaggio, senza dubbio, d'un antico uso celtico, tutte le riunioni importanti del popolo dovevano tenersi all'ombra dell'albero beneamato. Nelle antiche processioni religiose, i fanciulli bolognesi portavano corone di olivo e di quercia; i soldati, nei giorni di parata, fanno ancora lo stesso. Nelle campagne si vedono spesso immagini della Vergine sospesa a un tronco di quercia. L'immagine stessa prende qualche volta il suo nome dall'albero a cui si trova attaccata; la si chiama dunque nei pressi di Bologna la maduneina dla querza o dla ròuvra (cioè la piccola madonna della quercia). In un piccolo libro popolare sui miracoli della Vergine, stampato a Bologna nel 1679, rinvengo la storia seguente: "In una cappella, si era scordata una piccola statua della Vergine: un pio prete la prese e la trasferì nel foro di una quercia da sughero davanti a cui, per onorare la Vergine, si recava ogni giorno a suonare il flauto. Scoperto il furto, il prete venne arrestato e condannato a morte. Ma, durante la notte, grazie alla madonna, la statua e il prete tornarono presso il loro albero beneamato. L e guardie si recarono una seconda volta alla quercia e cercarono di riprendere il prete evaso; ma, nonostante tutti i loro sforzi per allontanarsi dall'albero, dopo aver marciato a lungo, essi tornavano sempre allo stesso posto. Attribuirono la strana circostanza ad un intervento miracoloso della Vergine, davanti alla quale si prosternarono, chiedendo scusa al sacerdote. San Ronan o Renan, allo stesso modo, un santo molto ostinato, non volle mai lasciare le sue querce. Ernest Renan, lui stesso un santo mancato( ), ce ne informa nei suoi Ricordi d'Infanzia. Alla morte del santo tutti i capi erano riuniti nella cella attorno al grande corpo nero, disteso per terra, allorché uno tra essi ebbe una buona idea: "Da vivo, non siamo mai riusciti a capirlo; era più facile intuire il volo della rondine nel cielo che seguire la traccia dei suoi pensieri; da morto, che faccia ancora di testa sua. Abbattiamo qualche albero; facciamone un carro cui aggiogheremo quattro buoi. Lasciamoli andare dove lui vorrà che lo si seppellisca. Tutti approvarono. Si ricavarono le tavole, si ottennero le ruote da dei tamburi pieni, tagliati nel tronco di spesse quercie, e vi si pose sopra il santo. I buoi, condotti dalla mano invisibile di Ronan, camminarono dritti davanti a loro, fin nel pieno della foresta. Gli alberi si chinavano o spezzavano sotto i loro passi con dei rumori spaventosi. Arrivati infine al centro della foresta, di fronte a dove c'erano le querce più grandi, il carro si arrestò. Tutti capirono; seppellirono il santo e si edificò la sua chiesa in quel luogo. In nessun paese del resto si può pensare di trovare il culto della quercia così diffuso come nella Gallia dei Druidi, dove le querce hanno fatto, per moltissimo tempo, le veci delle case, quando anche il dio Teute stesso veniva rappresentato sotto l'aspetto di una quercia. Il culto della quercia, per un Druido, era analogo al culto della propria casa, del suo tempio, e del proprio paese. Il re San Luigi amministrava ancora la giustizia sotto la quercia di Vincennes. I Galli, il giorno del pericolo, si radunavano al suono di un cembalo, attorno alle querce. La quercia non dava ai Galli soltanto il tetto, la ghianda, il miele, ma anche il vischio, al quale attribuivano, come gli Scandinavi, delle stupefacenti qualità magiche.
    Il pianto delle donne germaniche sulle querce, dimora dei loro dèi, abbattute dai vescovi cristiani, è più che eloquente e ci raffigura molto bene la tenacità dell'antico culto degli alberi tra i popoli germanici. Per salvare le sacre querce, i tedeschi del medioevo, non solo pregavano ed imploravano, ma sapevano anche ricorrere all'astuzia. Il Vescovo Otone di Bamberga, nel 1128, in missione a Stettino, vi trovò ancora dei templi pagani vicino a una quercia e ad una fonte. Pensò subito di demolire il tutto ma, per contenere l'irritazione degli abitanti, dovette sottostare ad una sorta di compromesso, lasciando stare la quercia, purché non vi si tributasse un culto. Secondo la credenza popolare germanica, così come quella francese, insinuata e coltivata dalla stessa chiesa, questi stessi alberi, dal momento che non è più permesso venerarvi degli dèi, sono per la maggior parte infestati dai diavoli o spiriti malvagi, che tengono così lontano dalla quercia quello stesso popolo che una volta si prosternava al suo cospetto.

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    Tra i Lettoni, la quercia figura come un albero solare. Nei loro canti popolari, alla sua nascita, la figlia del sole viene promessa in sposa da suo padre al Figlio di Dio. Ma quando essa fu in età da marito, il sole, al posto di darla al Figlio di Dio, la affidò alla luna, pregando il dio Perkun (dio della folgore) di prendere parte alle nozze. Allora Perkun abbattè la quercia. Il suo sangue scorse sul mantello di lana di Maria. Un altro canto popolare si esprime così: "Ho contato le stelle; mancava solo l'astro del mattino; correva dietro la figlia del sole. Perkun percorreva il cielo, litigando col sole. Il sole non obbediva a Perkun. Egli aveva venduto sua figlia all'astro del mattino. Perkun abbattè la quercia d'oro; la figlia del sole pianse amaramente, raccogliendo le frondi dorate. C'erano tutte, mancava solo quella più alta; lei la trovò dopo quattro anni". Un terzo canto aggiunge qualche dettaglio interessante: "La luna portò via la figlia del sole; Perkun seguì le nozze; attraversando la porta aperta spezzò la quercia d'oro; il sangue della quercia scorse sulla roccia scura; la figlia del sole restò per tre anni sui rami". Un quarto canto ritorna sul tema mitico, aggiungendovi una nuova immagine solare; "L'astro del mattino celebrava le proprie nozze; Perkun cavalcò attraverso la porta, e colpì la quercia verde. Il sangue della quercia colò sui miei abiti e sulla mia piccola corona. Così piangeva la figlia del sole, ed essa raccolse, per tre anni, le foglie staccate: Madre mia, dove devo lavare i miei abiti, per toglierne il sangue? - Figlia mia, piccola mia, recati allo stagno, in cui si riversano nove ruscelli. - Madre mia, dove devo far asciugare i miei abiti? - Figlia mia, nel giardino dove sorgono nove rosai. - In che giorno, Madre mia, dovrò rimettermi gli abiti puliti? - Figlia, il giorno in cui brilleranno in cielo nove soli".

    A proposito del mito lettone, M. Mannhardt fa ancora menzione dell'albero di Dio, del Taaras o quercia cosmogonica finnica, dai rami d'oro, che copre il cielo; secondo il Kalevala, la quercia piantata dal figlio del sole sarebbe stata sradicata da un nano uscito dal mare e divenuto un gigante. Quest'albero dai rami d'oro che copre il cielo sembra essere la stessa aurora; il nano è il sole che scaccia l'aurora, sradicandone l'albero che la personifica, la sera a occidente e la mattina a oriente. La leggenda estone fa di questa quercia un albero felice, un'albero dell'abbondanza, come lo sono il melo delle Esperidi e l'Açvattha vedico. Dai suoi rami pendono delle culle, delle tavole, delle case meravigliose, e soprattutto la casa da bagno del proprio fratello che verrà poi ad atterrarla con un'ascia. La finestra di questa casa è la stessa luna; sul suo tetto il sole fa capolino e le stelle vi danzano. Il dottor Mannhardt paragona ben a proposito questa quercia con quella dell'isola di Bujan, una specie di paradiso terrestre della tradizione popolare russa: sulla quercia dell'isola di Bujan, il sole si corica tutte le sere per svegliarsi dalla sua cima tutte le mattine; la quercia è abitata dalla vergine divina Zarjà (il nome russo dell'aurora) ed è custodita dal drago Garafena. Ebbene, cosa ne pensano i signori avversari sistematici della mitologia comparata? Abbiamo o non abbiamo il diritto di parlare di alberi solari?

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    A Pron, le quercie consacrate alla divinità erano circondate da una specie di muretto che ricorda quelli della Prussia orientale. Questo luogo era il vero santuario di tutto il circondario ed aveva un suo sacerdote, le sue feste e i suoi sacrifici. Terminata la cerimonia, il popolo si riuniva in assemblea con il sacerdote ed il capo del tribunale. Ma la corte, il 'Santo dei Santi' dove sorgeva la sacra quercia, veniva riservato al solo sacerdote, ai sacrificatori, e ai fuggiaschi minacciati di morte che vi trovavano un sicuro rifugio. Ad imitazione degli dei che si riunivano sotto l'albero universale (personificazione del cielo) per decidere dei destini dell'umanità, il tribunale degli antichi Slavi, come quello degli antichi Galli o dei Germani, si riuniva sotto una vecchia quercia. L'albero, personificazione della saggezza suprema, in specie l'albero da cui provenivano i vaticini dello Zeus di Dodona, la quercia, doveva inspirare ai giudici la verità nelle loro sentenze. Costantino porfirogenito afferma che gli antichi Russi, arrivando sull'isola di San Giorgio, adempivano ai propri riti sotto la grande quercia, davanti la quale il popolo e il sacerdote cantavano un "Te Deum"; dopo di chè il sacerdote distribuiva al popolo rami di quercia. Nella provincia di Toula, quando si tagliano gli alberi, i contadini vanno ancora alla ricerca di vecchie querce che sorgano presso una fonte; e, dopo aver tolto la corteccia dai suoi rami, la bagnano nella fonte, per custodirla in seguito amorevolmente nelle loro case come il miglior antidoto per il mal di denti. Altrove, al primo colpo di tuono, si appoggia la schiena contro il tronco di una quercia credendo, con ciò, di salvaguardarsi da tutti i mali. In Ucraina, la settimana dei Re, detta 'la settimana verde', si erige su un grande spiazzo un tronco di quercia, con una ruota fissata sulla cima; si avvolgono attorno alla ruota delle erbe, dei fiori, dei nastri; attorno al tronco si fissano delle frondi di betulla; si gioca, ci si diverte e si canta...
    Quercia secca, piegati,

    "Ti coprirà il ghiaccio.

    Io non temo il ghiaccio,

    La primavera verrà:

    Essa mi piegherà.!


    Cos'è più evidente di quest'evocazione della primavera per mezzo della quercia? Come il cuculo annunciava ai contadini romani che la primavera era arrivata, come questi, quando sentivano nel mese di marzo brontolare il tuono, venendo avvertiti dell'arrivo della bella stagione, l'albero del dio della folgore, l'albero nuvoloso e tempestoso di Indra, di Zeus, di Perkoun o Peroun, la quercia appunto, evocava, tra gli Slavi, il ritorno dell'anno nuovo.

    Abbiamo visto che nell'isola di Bujan della tradizione russa, la quercia è con tutta evidenza un albero solare; il cielo dorato dell'oriente e dell'occidente è rappresentato da quest'albero; ma il cielo non è sempre ricoperto dai raggi del sole: quando le nubi o le tenebre la ricoprono, il cielo diventa un albero della tempesta. La quercia si ritrova pertanto nelle leggende eroiche russe sia sotto forma di albero solare sia come albero della tempesta. Il brigante Soloveï (usignolo) edificò il proprio nido su sette quercie; è chiamato usignolo, perché fischia in maniera spaventevole e irresistibile e, col suo fischio, fa tremare tutta la terra; l'usignolo personifica, evidentemente, il vento della tempesta. Ilia Murometz (Elia di Mourom), l'eroe solare per eccellenza, l'Ercole dell'epopea russa, ama nascondervisi o mettervisi in agguato durante il combattimento, al pari di Indra e di Zeus. Egli non è più allora il dio della luce, ma il dio avvolto di nubi come in una corazza, il dio guerriero. Ilia, tuttavia, lo stesso che con una sola mano avrebbe potuto abbrancare tutte le quercie della foresta, lo stesso che in un combattimento con il gigante Usignolo, con una sola freccia aveva spezzato una quercia in mille pezzi (evidente rappresentazione della folgore che fende le nubi), ha paura di un'eroe più forte di lui, Sviatogor, e, pieno di paura, sale su una quercia per sfuggire al suo inseguimento. Ugualmente, in un inno vedico, Indra, il dio della folgore, è rappresentato nell'atto di fuggire a causa di un misterioso nemico (forse si tratta della sua ombra), dopo la vittoria conseguita sul mostro Ahi.



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    La corona civica dei Romani era intrecciata con foglie di quercia. Plinio ci riferisce anche che le due quercie che sorgevano presso l'altare di Zeus nei pressi di Eraclea, erano state piantate da Ercole in persona. La statua della vittoria di Ercolano, è raffigurata con una corona di quercia in una mano. In un libro su Ercolano e Pompei trovo la descrizione di due candelabri simbolici con delle ramificazioni o delle braccia su cui, come in un albero, sono posati due uccelli; come non riconoscere in questi ultimi due le colombe profetiche delle quercie di Dodona, i due uccelli che vivono sull'albero dell'ambrosia, il pippala vedico; cosa stanno facendo? Una piccola canzone popolare piemontese parla di tre galline su una quercia e di tre galli in un castello, che devono invocare il sole ed il bel tempo.

    In origine, doveva essere questione di un solo gallo e di un'unica gallina, così com'è questione di una sola quercia e di un'unico castello; a causa della ben conosciuta predilezione del popolo per il numero tre, si inventarono tre galline e tre galli. Questo gallo e questa gallina profetici mi pare che appartengano alla stessa famiglia mitologica delle colombe di Dodona e dei kapotâs vedici. Indra predilige trasformarsi in falco, Zeus in aquila. Il sole è spesso rappresentato come un'uccello d'oro.

    Le nuvole o le tenebre che nascondono il sole, il cappello che rende gli eroi invisibili, si ritrovano nel racconto popolare di Tom Pouce sotto la semplice forma di una foglia di quercia. In un'altro racconto popolare inglese, il giovane eroe si impadronisce della spada luminosa che dovrà uccidere la strega Gruagach, colpendo il Re delle Finestre di Quercia, cioè disperdendo le nubi o le tenebre della notte.
    In un gran numero di racconti popolari che si riferiscono alla leggenda indiana di Shakuntalâ, il giovane principe (il sole) lascia la giovane ragazza, sua fidanzata, ancora malvestita, e la prega di attenderlo nei pressi di uno stagno sovrastato da un'albero, fintantoché non sarà ritornato con i vestiti nuziali. L'inno vedico dice che l'aurora si prepara per il sole. Il principe Sole vuole abbellire la sua beneamata Aurora. E' così che Indra, vedendo sporca e malata la giovane Apâlâ, si incarica di guarirla e di farla bella durante la notte, senza dubbio al fine di posarla, bella e splendente di tutta la bellezza dell'aurora, al principio del giorno. In attesa del ritorno del principe (cioè che passi la notte scura e che il mattino apporti all'aurora il suo abito nuziale), la giovane sale su un'albero, che è quasi sempre una quercia, (qui, evidentemente, il cielo sotto forma di albero notturno). Ai piedi dell'albero, c'è una donna nera, una vecchia donna (altra rappresentazione della notte), che sta lavando i suoi panni. L'immagine della ragazza si riflette nell'acqua (l'oceano notturno); è così che la giovane Apâlâ discende verso la sorgente per bervi Soma (l'ambrosia, la bevanda sacra a Indra e alla luna). Tuttavia nei racconti, la vecchia donna invidiosa, brutta e sporca, la donna nera, non permette alla ragazza di specchiarsi a lungo nell'acqua, nè di bervi l'acqua di vita di cui la strega sembra che detenga il segreto; essa spinge pertanto la ragazza nell'acqua, così come fa Sharmishthâ nella leggenda indiana del Mahâbhârata. La notte ottunde lo spirito, assopisce la memoria; il principe dimentica la fanciulla che lo sta aspettando. La strega, la donna in nero, la notte, prende il posto accanto al principe della giovane ragazza: quest'ultima, dopo essere stata gettata nell'acqua, attraversa diverse trasformazioni, fino a divenire una colomba che indirizzerà, al cospetto del principe, un dolce rimprovero al colombo volato via per averla lasciata sola. Allora il principe, così come l'eroe indiano Dushmanta, si ricorda di tutto; spezza il sortilegio sfregando la testa della colomba, che ridiviene una bella donna, riparando al torto fatto alla sua tenera e infelice sposa. Questa stessa colomba che si ritrova in un racconto popolare toscano, questa colomba che rivela il suo segreto al colombo, non è forse apparentata alle colombe fatidiche della quercia di Dodona e ai due uccelli misteriosi del pippala vedico, che parlano tra di loro? Il mito e il racconto - non dispiaccia ciò a chi si fa beffe di questo tipo di storie - si ricongiungono in questo caso ancora una volta in modo strettissimo. L'uccello maschio cela nel suo simbolismo un dio; la colomba che gli parla, una dea della luce e, proprio nel nostro caso, l'eterna aurora, quella che, risvegliando tutti i giorni il mondo dandogli la luce, cioè la saggezza, a buon diritto può chiamarsi Atena.



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    La quercia è un'antichissima madre mediterranea. Lo testimonia il fatto che gli Achei, che ai loro primordi veneravano il faggio, trasferirono la sacralità arborea di quest'ultimo alla quercia quando essi discesero in Grecia perché, com'è noto, in quel paese il faggio è pressoché assente e la quercia era la più vicina, per caratteristiche, al faggio: infatti uno dei nomi della quercia, in greco, è phegòs. Ciò non significa che la quercia fosse diventata un albero oracolare grazie agli Achei. Già da prima essa era un'albero sacro, altrimenti quel popolo indoeuropeo non l'avrebbe adottata. C'è una testimonianza in proposito dello storico Erodoto, il quale scrive che il culto della quercia oracolare di Dodona, in Epiro, era contemporaneo a quello della quercia oracolare egizia di Ammone e delle sue colombe nere.

    La quercia di Ammone era custodita dalla popolazione dei Garamanti il cui capostipite era noto ai Greci come il primo essere umano apparso sulla terra. Lo Zeus di Ammone era una specie di Eracle dalla testa di ariete, una divinità tipicamente mediterranea. L'associazione delle colombe al culto della quercia rimanda a cerimonie orgiastiche in onore della Dea lunare Dione (o Diana) cui erano preposte delle speciali ninfe, le driadi (dal greco drys, quercia).Il più antico santuario oracolare della Grecia era quello della quercia sacra di Dodona. Il mito vuole che esso fosse sorto in seguito al fatto che dalla città sacra di Tebe, in Egitto, erano partite un giorno due colombe nere e che si fossero posate, l'una ad Ammone e l'altra, appunto a Dodona, proclamando che in quella sede ci sarebbe stato l'oracolo di Zeus. Non a caso a Dodona interpretavano l'oracolo delle sacerdotesse, chiamate colombe, ascoltando il tubare degli animali o il fruscio del vento tra le foglie o, ancora, il tintinnio di vasi di bronzo appesi ai rami.

    Robert Graves scrive: "Tutti gli oracoli, in origine, venivano pronunciati dalla Madre Terra e la sua autorità era così grande che gli invasori patriarcali si affrettarono ad impadronirsi dei suoi santuari, sostituendo sacerdoti alle sacerdotesse oppure costringendo le sacerdotesse medesime a servire le nuove divinità maschili. Fu così che Zeus a Dodona e Ammone nell'oasi di Siwa soppressero il culto della quercia oracolare sacra a Dia o a Dione, come Geova soppresse il culto dell'acacia oracolare di Ishtar e Apollo si impadronì dei santuari di Delfi e di Argo.

    Naturalmente i cristiani pensarono bene di erigere una chiesa sulle rovine del santuario dodoneo, chiesa che di lì a poco divenne persino sede episcopale!
    (Angelo de Gubernatis, multimania.it)

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    Edited by gheagabry1 - 4/12/2019, 20:21
     
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