ALBERI e ARBUSTI DA FRUTTO e a volte ....

PESCO, CILIEGIO,PERO, ALBICOCCO ECC

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  1. gheagabry
     
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    ..ero ai piedi di un castagno, seduta,
    una donna si avvicino' a me e disse
    "che chi non riesce a sognare non riuscirà mai a capire la propria essenza"





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  2. gheagabry
     
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    Albero: l'esplosione lentissima di un seme.
    (Bruno Munari)


    Il MELOGRANO



    Il melograno e' una pianta originaria della Persia e dell'Afghanistan, cresce spontaneo dal sud del Caucaso al Punjab ed e' diffuso fino in Estremo Oriente, oltre che nei Paesi del Mediterraneo.
    Ricchissimo di vitamine e' da millenni fonte di salvezza per i popoli degli aridi territori dell'Asia, considerato il re dei frutti anche per il suo particolare picciuolo a forma di corona. "Punica granatum" e' il suo nome scientifico, il suo fusto che puo' arrivare anche ai 5 metri d'altezza, e' molto ramoso, contorto con una corteccia rosso-grigiastra e rami spinosi. Le foglie sono decidue, oblunghe, per lo piu' opposte, rigide e lucide. I fiori scarlatti, sbocciano all'estremita' dei rami, da maggio a luglio. Il frutto e' una grossa bacca coriacea, tondeggiante di colore giallo-arancio, diviso al suo interno in 7-15 cavita' nelle quali sono posti i semi, avvolti da una polpa acida o dolce, succosa e trasparente.
    La maturazione dei frutti avviene in autunno. Il melograno viene coltivato spesso a scopo ornamentale nei giardini e sui terrazzi nelle regioni piu' calde, i suoi frutti e i suoi fiori vengono usati per decorare le tavole e le pietanze. Eppure il melograno avrebbe tutti i motivi per meritarsi maggiore considerazione: i suoi frutti sono ricchi di vitamina A e B.

    Il frutto contiene in abbondanza tannino che hanno proprieta' astringenti. Oltre che vermifugo il melograno e' rinfrescante diuretico e tonico. La corteccia del frutto, ricca di tannino e' ancora usata in Africa del nord e in Oriente per conciare il cuoio. Con la buccia essiccata si ottiene un ottimo colorante: un caratteristico giallo tendente al verde che e' stato ritrovato perfino in alcune tombe egizie. In presenza di ferro essa da' una tinta nera adatta per farne inchiostro, anche i fiori possono servire per preparare un inchiostro rosso.



    ...storia, miti e leggede....


    Poche piante possono vantare un numero di miti e leggende simile a quello che si può associare al Melograno. Raffigurato fin dal terzo millennio avanti Cristo in numerose tombe egizie questo splendido arbusto attraversa praticamente tutte le culture del Mondo antico, comparendo in riti, racconti, simboli, sogni e tradizioni spesso legati alla sensualità.
    Pianta antichissima (risalente al Pliocene) e originaria dell’Asia centro-occidentale (cresce spontanea in Afghanistane in Iran) il Melograno ha sempre affascinato l’uomo fin dall’antichità: frutti autentici per il “viaggio” di Ramsete IV trovati nella sua camera sepolcrale, pianta sacra e afrodisiaca per i Fenici il Melograno compare spesso anche nel Vecchio Testamento (soprattutto nel Cantico dei Cantici) e secondo alcune tradizioni sarebbe addirittura una melagrana il pomo offerto da Eva ad Adamo così come sarebbe una melagrana il Pomo della discordia secondo alcuni studiosi della mitologia degli antichi Greci che credevano anche, quest’ultimi, che a piantare il Melograno nell’isola di Cipro fosse stata nientemeno che Afrodite.

    Il fiore, il frutto e i numerosi semi sono quasi sempre associati, in tutte le antiche civiltà, alla fertilità e alla fecondità.
    È certamente conosciuta dagli Ebrei: nella Bibbia il Cantico dei Cantici descrive la sposa amata e la fecondità della Terra Promessa attraverso la metafora della melagrana; lo stesso nella cultura orientale: in Cina quanto in Vietnam, come simbolo della nascita di nuove generazioni, si parla di una legenda secondo cui "una melagrana si aprirà e da essa usciranno cento bambini"....Nell'Antico Egitto invece si utilizzavano i frutti anche nelle cerimonie funebri, tanto che appaiono testimonianze nelle pitture all'interno di tombe risalenti a 2500 anni fa, compresa la tomba del potente faraone Ramses IV.
    Nella mitologia greca la melagrana è il "cibo dei morti" e Kore, figlia di Demetra, Dea dell'agricoltura, fu condannata a divenire la custode dell'Oltretomba, con il nome di Per-efone, per averne mangiato alcuni grani.



    Ne emerge quindi un significato di dualità: fertilità, fratellanza e unità (simboleggiata dai tanti chicchi racchiusi in un unico frutto) ma anche simbolo di ombra e di morte. Nel " linguaggio dei fiori " comunque prevale il significato positivo, di abbondanza e di amore ardente per il colore acceso delle infiorescenza. Ancora oggi, in alcune culture dell'est Europa, la tradizione vuole che il novello sposo trasferisca un melograno dal giardino del suocero nel suo come augurio di prole numerosa; le spose turche invece scagliano a terra un frutto maturo al termine della cerimonia e il numero di grani fuoriu-sciti indicherà quanti saranno i loro figli.



    Era, la regina degli dei , nella sua accezione di dea madre, Arodite, che secondo la leggenda aveva piantato per la prima volta l'albero nell'isola di Cipro a lei sacra. Demetra dea della fecondità della terra. Come simbolo di abbondanza e di fertilità compare in un gran numero di rappresentazioni delle dee citate come ex voto in numerosi santuari, soprattutto dell'Italia meridionale e della Sicilia.
    Il frutto era rappresentato in mano alla statua dell' Era di Argo e come attributo della cosiddetta Dea del melograno, scultura arcaica di una divinità femminile.Piccole melegrane di terracotta erano collocate nelle nelle sepolture nell'area della Magna Grecia.
    La pianta era nata secondo alcune tradizioni dal sangue di Dioniso.Ma il più antico mito della Grecia che lo riguarda è quello che lo associa ad Orione, che era la più grande e luminosa costellazione e che si diceva fosse un’enorme γίγας (figura gigantesca), figlio della terra e famosissimo per la sua bellezza. Si narra che avesse sposato Side, ma che non fosse stato fortunato nella scelta, poiché lei era così vanitosa da credere di essere più bella anche di Era, la dea per questo la punì scaraventandola nell’Ade, ove si trasformò in melograno. Durante le feste in onore della dea Demetra, le θεσμοφόρια (Thesmophoria), le ateniesi mangiavano i semi luccicanti del frutto per conquistare la fertilità e la prosperità, mentre i sacerdoti erano incoronati con rami di melograno, ma non potevano mangiarne il frutto in quanto, come simbolo di fertilità, aveva la proprietà di far scendere l’anima nella carne
    (dal web)


    Ha dato il nome alla citta' di Granada ed e' da sempre considerato il frutto della fertilita'...In Dalmazia. la tradizione vuole che lo sposo trasferisca dal giardino del suocero al suo una pianta di melograno. Di origine indiana e' la credenza che il succo di questo frutto combatta la sterilita'. Nel linguaggio floreale non poteva che esprimere amore ardente.



    L'albero a cui tendevi la pargoletta mano, il verde melograno
    Dà bei vermigli fiori. Nel muto orto solingo.
    Rinverdì tutto or ora, e giugno lo ristora
    Di luce e di calor. Tu fior de la mia pianta.Percossa e inaridita.
    Tu de l'inutil vita. Estremo unico fior
    Sei ne la terra fredda. Sei ne la terra negra.
    Né il sol piú ti rallegra
    Né ti risveglia amor.
    -- Giosuè Carducci --




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  3. gheagabry
     
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    L' ALBERO DEL PANE



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    L'albero del pane è un arbusto sempreverde, appartenente alla famiglia delle Moracee, scientificamente chiamato Artocarpus Altilis, dal greco artos, ossia pane, e karpos, ossia frutto. Si tratta di un albero che cresce in zone molto calde, soprattutto nelle isole del Sud del Pacifico, dove rappresenta, con i suoi frutti, una delle primarie fornti dell'alimentazione locale.
    Questo albero è in grado di raggiungere i 20 metri di altezza...La corteccia del tronco è contraddistinta da naturali incisioni dalle quali fuoriesce un lattice piuttosto amaro, questa pianta è di tipologia monoica, ospita ossia fiori unisessuali che coesistono serenamente, sia maschili che femminili, i primi hanno dimensioni ridotte e sono raggruppati in grappoli appuntiti e di colore giallo, i secondi invece sono riuniti in inflorescenze globose di colore verdastro, che è in grado di contenere circa mille fiori.

    Il nome Albero del pane deriva notoriamente dai frutti commestibili che questo arbusto produce e che, una volta cotti, presentano un gusto molto simile a quello del prodotto da forno.

    In sanscrito questo frutto veniva denominato panasa, che ha poi portato al nome italiano panassa, a cui si fa riferimento per tutti i frutti derivanti dalle varie specie di Artocarpus.



    I frutti, generalmente di forma tondeggiante, simili a dei meloni, in alcune specie possono anche assumere forme allungate, raggiungendo un peso massimo di 30 kg, caratteristica però piuttosto rara.
    Nei paesi in cui questa pianta cresce spontaneamente o viene appositamente coltivato, il frutto viene mangiato come alimento sostitutivo del pane, di fatti il pane, una volta maturo, viene essiccato e polverizzato, dando origine ad una sorta di farina, simile a quella ricavata dal granturco, con la quale viene poi realizzato il prodotto da forno.

    In un tempo lontano sull'isola di Raiatea (l'isola sacra per eccellenza) viveva una famiglia. Durante una prolungata siccità non aveva nulla da mangiare, tutto esaurito a causa della carestia. Allora Ruata 'ata (Uomo buca) per non far morire di fame i suoi figli e la moglie Rumau 'arii (Verità senza inganni) si sacrificò e si trasformò nell'albero del pane che sfamò la famiglia e in seguito (espandendosi il prezioso albero nelle altre isole) anche il resto degli uomini.




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    Edited by gheagabry1 - 19/4/2020, 15:58
     
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  4. gheagabry
     
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    Mandalate


    Il mandalate è la nuova frontiera degli agrumi: negli ultimi anni è stato ottenuto attraverso l'incrocio del mandarino varietà "Fortune" con il mandarino varietà "Avana" e brevettato dall'Istituto Sperimentale di Agrumicoltura di Arcireale che lo ha presentato alla fiera internazionale Fruit di Berlino. L'interesse per il mandalate è dato da tre fattori essenziali: primo perchè matura in epoca tardiva, l'ultimo tra tutti gli agrumi, da fine febbraio ad aprile, secondo perchè si presta molto bene ad una coltivazione bio essendo capace di resistere ai tradizionali parassiti del mandarino richiedendo un uso minore di fitofarmaci e terzo perchè il suo polline è sterile quindi non si formano semi al suo interno.
    La pianta del mandalate si presenta come quella del mandarino e il frutto è pure molto simile: di forma oblata, colore arancio chiaro, peso di circa 100 g e buccia molto sottile, facile da spellare. La differenza essenziale sta, appunto, nel fatto che al suo interno la polpa non contiene semi.


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  5. gheagabry
     
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    Il GIUGGIOLO


    Il Giuggiolo (Zizyphus vulgaris L.) appartiene alla Famiglia delle Rhamnaceae.
    E' originaria dell'Asia dove e' molto coltivata. In Italia e' presente fin dal tempo dei Romani.
    Albero alto 6-7 metri, dall'aspetto piuttosto contorto, con rami irregolari e spinosi (ogni nodo presenta una coppia di piccole spine); la corteccia delle branche è rugosa, di colore rosso bruno. Le foglie, caduche, piccole, alterne, di forma ovata, sono lucenti e coriacee, presentano stipole spinose e pagina ondulata.
    I fiori piccoli e verdastri appaiono in giugno. I frutti assomigliano a grosse olive, sono rosso marrone scuro a maturita' la polpa e' soda, compatta, di sapore gradevolmente acidulo, di colore verde tenue. Ha un accrescimento molto lento, così come la messa a frutto.
    E' in grado di adattarsi a vari tipi di terreno, resiste a situazioni di forte aridità grazie ad un apparato radicale molto sviluppato in profondità; predilige suoli leggeri, non umidi, neutri o sub-alcalini. Vive in zone con clima temperato con minime invernali non inferiori a 10° C e con estati lunghe e calde. La pianta può subire danni da gelate precoci nel periodo autunnale, per cui in ambienti settentrionali la coltivazione è possibile solo sotto particolari microclimi come in prossimità dei laghi o in colline ben esposte.(agraria)


    Edited by gheagabry - 17/3/2015, 17:44
     
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  6. gheagabry
     
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    La FEIJOA



    La Feijoa sellowiana (o Acca sellowiana) è un albero da frutto appartenente alla famiglia delle Myrtacee ed originario dell’America meridionale, sebbene la sua diffusione si sia ormai estesa all’Africa, all’Australia ed alle zone meridionali dell’Italia. Ha portamento arbustivo e presenta una corteccia di colore grigio chiaro. Le foglie sono ovali, lucide, di colore verde chiaro sulla pagine superiore ed argenteo in quella inferiore.
    I fiori sono particolarmente appariscenti con petali di colore bianco-rosato e stami rossi molto decorativi. I frutti sono rappresentati da drupe di forma ovale ed allungata, di colore verde chiaro e fanno la propria comparsa nella stagione estiva. La maturazione del frutto avviene (in funzione alla stagione meteorologica) nei mesi di settembre e ottobre. Quando raggiungono la maturazione, i frutti si staccano spontaneamente dall'albero e cadono, questo è la maniera comune per procedere alla raccolta, dato che la buccia è robusta; si sbucciano con un coltello, o si estrae la polpa con un cucchiaino dal frutto aperto a metà, e si consumano freschi. I frutti raccolti hanno una breve durata, come per le banane di 5 /6 giorni se conservati in luogo fresco. La raccolta al suolo è indicata soprattutto per la preparazione a breve termine di una confettura, adoperando come addensante la polpa di alcume mele, possibililmente acerbe. La raccolta all'albero permette di avere frutta di durata leggermernte maggiore, ma occorre raccogliere frutti maturi, cioè che si stacchino agevolmente dal rami; per il resto solo un leggero rammollimento della polpa ed un leggerissimo schiarimento di colore della buccia, sono i non facili segnali della avvenuta maturazione.
     
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  7. gheagabry
     
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    BANANO di MONTAGNA


    Albero da frutto, dal portamento assurgente, l´Asimina triloba, raggiunge mediamente i 4-5 metri di altezza, con una fitta chioma e con grandi foglie alterne, ellissoidali, di color verde intenso, che virano verso il giallo, prima di cadere. I fiori campanulati e di color rosso-violaceo, emano un leggerissimo odore non molto gradevole, (per noi umani), ma molto piacevole ai vari insetti impollinatori. Viceversa i frutti dell´Asimina triloba, hanno una polpa dolce e profumata, molto gradevole al palato. Di colore bianco, talvolta tendente al giallo pallido, presenta una consistenza cremosa, densa e soda. La maturazione generalmente, avviene da fine agosto e per tutto settembre, ma in zone climatiche molto fredde può protrarsi fino ad ottobre. E’ specie autofertile, capace quindi di fruttificare anche se in esemplare unico, tuttavia in presenza di impollinazione incrociata la percentuale di allegagione aumenta. Originaria degli Stati Uniti d´America, dove era considerata una specie selvatica, è stata di molto rivalutata per la sua rusticità e per la bontà dei suoi frutti. Il nome comune banano di montagna o banano del nord, può far intuire facilmente le condizioni climatiche ideali per questa pianta. L'Asimina triloba, gradisce infatti, inverni freddi ed estati moderatamente calde. Il fabbisogno di freddo, anche molto intenso è assolutamente indispensabile. Mentre la pianta non va a frutto in caso di estati eccessivamente calde.
     
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  8. gheagabry
     
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    Il CORNIOLO


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    La famiglia delle Cornacee è diffusa in tutta l'Europa centrale e sud-orientale, sebbene non possa dirsi comune in quanto necessita di climi temperati e non ama gli habitat costieri. In Italia le due uniche specie spontanee sono Cornus mas e Cornus sanguinea, anche denominato Cornus foemina, mentre le infinite varietà ornamentali sono derivate da specie originarie dell'America Settentrionale, del Giappone e dell'Asia.

    Caratteristiche apprezzate di questa pianta, dal portamento spesso arbustivo-cespuglioso, sebbene possa anche possa anche svilupparsi ad albero e superare i 10 metri, sono: la bella fioritura, più o meno vistosa a seconda delle diverse specie e varietà, comunque sempre gradevole; e per quanto riguarda il Cornus mas, che fiorisce anticipatamente già alla fine dell'inverno prima ancora di aver messo le foglie, anche i gustosi frutti simili a ciliegie allungate o lucide olive rosso corallo, maturi tra agosto e ottobre. Molto diversi i frutti del sanguinello o Cornus sanguinea, cosiddetto per il colore rossastro dei rami e delle foglie in autunno: drupe nerastre disposte in infruttescenze ad ombrello, simili a quelle del sambuco; così pure i fiori, infiorescenze ad ombrello con petali bianchi e lanceolati, assai attraenti per quanto dal profumo non gradevolissimo, almeno per gli esseri umani.
    I frutti del corniolo, erano conosciuti e apprezzati già dagli antichi popoli mediterranei che li usavano canditi nel miele e conservati in salamoia, come le olive.
    Con la polpa acidula, che contiene una miscela di glucosio e cerulosio, acido malico e altre sostanze, si possono confezionare gelatine, marmellate e sciroppi e sorbetti.
    Il nocciolo tostato, ha un buon profumo di vaniglia, lo si usa per preparare il caffè viennese.
    Nel medioevo S .Ildegarda vantava le virtù terapeutiche della pianta che i monaci benedettini, coltivavano nei giardini dei loro conventi, avendone riconosciuto le proprietà febbrifughe, astringenti .
    Nei paesi dell’est dalle corniole si ricava un’acquavite chiamata “dernovka”.
    Da una radice indoeuropea kar- (essere duro) deriva, passando attraverso il vocabolo latino che indicava appunto il corno, il nome del genere Cornus, a sottolineare una delle principali caratteristiche del legno di questa pianta, l'eccezionale robustezza, evidenziata anche dal suffisso mas (maschile, quindi forte, robusto). Forse per questo circola la leggenda che il cavallo di Troia di omerica memoria fosse realizzato in legno di corniolo. Più modestamente, si tratta invece di un ottimo legno da pipe, in quanto molto resistente alla combustione, ed è utilizzato anche per bastoni da passeggio, attrezzi agricoli e ingranaggi.

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    Il legno di corniolo, pianta molto diffusa sul monte Ida, nei pressi della città di Troia,fu utilizzato per costruire il cavallo di “Troia”.
    Il colore rosso tipico del legno di corniolo sembra sia legato alle gocce di sangue scaturite dai rami spezzati da Enea, approdato in Tracia, nel suo viaggio verso l’Italia, durante un atto propiziatorio fatto nel luogo di sepoltura di Polidoro, figlio di Priamo.
    Da Ovidio si apprende che al tempo di Saturnio le corniole erano cibo per uomini, mentre Omero nell’Odissea racconta che la maga Circe nutriva gli uomini da lei trasformati in porci con frutti di corniolo.
    L’asta scagliata da Romolo verso il Palatino per impossessarsene era di corniolo. Il giavellotto si conficcò nel terreno tanto da non poter essere più estratta e a lungo andare generò dei germogli diventando un grosso albero, venerato per molte generazioni dai romani. Per questo episodio nell’antica Roma, un giavellotto di corniolo lanciato in un campo nemico significava immediatamente ostilità.
    Per la sua nota longevità, il corniolo era frequentemente usato per segnare i confini delle proprietà boschive.


    ...leggenda...


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    Una vecchia e bella leggenda dice che, al momento della crocifissione, il corniolo era paragonabile per dimensioni alla quercia e agli altri grandi re della foresta. Per la sua robustezza e durezza era stato selezionato come legno da utilizzare per la croce di Gesù Cristo, e il corniolo era angosciato e triste per essere stato scelto per un uso così crudele. Vedendo e sentendo questo, Gesù crocifisso nella sua delicata pietà per il dolore e la sofferenza di tutti disse: “A causa del suo dolore e pietà per le mie sofferenze, mai più l’albero di corniolo potrà crescere così grande da essere usato per fare una croce. D’ora in poi sarà sottile, piegato e contorto e i suoi fiori saranno a forma di croce – due petali lunghi e due più corti. Al centro del bordo esterno di ogni petalo ci saranno i segni dei chiodi – marrone con ruggine e macchiati di rosso – e nel centro del fiore ci sarà una corona di spine, e tutti coloro che lo vedranno, ricorderanno la passione del Figlio di Dio e la pietà del corniolo “.


    Edited by gheagabry1 - 19/4/2020, 16:48
     
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  9. gheagabry
     
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    L'AZZERUOLO


    L’azzeruolo è una pomacea minore appartenente alla famiglia delle Rosaceae. E' presente da lunga data nell’area mediterranea e coltivato da secoli in Italia sia per il frutto che come pianta ornamentale. I frutti, maturi a settembre-ottobre e simili a piccole mele, erano molto apprezzati nelle tavole rinascimentali per l’aroma ed il gradevole gusto dolce-acidulo e sino al secolo scorso alimentavano in diverse zone italiane un certo commercio. Naturalizzato in alcune regioni, l’azzeruolo è attualmente molto raro in Italia e a rischio di estinzione. L’area di origine è oggi difficile da definire con esattezza. Generalmente ritenuto originario dell’Asia Minore e centrale, viene talora considerato, almeno per alcuni ecotipi, nativo dell’area mediterranea. Attualmente la specie è diffusa dai Paesi del Mediterraneo (nord Africa, Spagna, Italia, sud della Francia, Malta, Creta, Isole dell’Egeo), all’Asia Minore e Iran, sino all’Asia centrale (Turkmenistan, Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan e Kirgizistan).
    L’azzeruolo è considerata specie rustica; preferisce clima mite, posizioni soleggiate, suoli ben drenati, teme i terreni eccessivamente argillosi e soggetti a ristagni idrici. Coltivato in passato soprattutto nelle aree costiere della Francia meridionale e dell’Italia settentrionale, nell’Italia meridionale e nelle isole, è tuttavia presente anche in zone a clima più continentale, dove va impiantato in esposizioni favorevoli.

    Azzeruolo “Rosso” (Crataegus azarolus L.)
    Conosciuto sin dall’antichità nel bacino del Mediterraneo, l’azzeruolo è un albero dal legno molto duro che riesce a vegetare anche in zone molto aride e fortemente calcaree.
    I frutti sono stati utilizzati come alimento di sussistenza nei paesi d’origine. In Italia ha rivestito sempre un ruolo marginale ma è sempre stato presente nei frutteti domestici.
    Azzeruolo “Bianco” (Crataegus azarolus L.)
    Come l’azzeruolo rosso, anche questa cultivar è utilizzata nei parchi e giardini più per il suo valore estetico che per quello alimentare; come l’altra non è mai stato coltivata in frutteti specializzati.
    Come altri piccoli frutti a maturazione tardo-estiva o autunnale è consigliabile effettuare la raccolta anticipata e far continuare il processo maturativo in ambiente asciutto (ad esempio nella paglia). A scopo alimentare il frutto dell’azzeruolo può essere consumato fresco o, meglio, se ne possono ricavare marmellate e confetture.

    Altre specie da ricordare sono Crataegus pennatifida, molto coltivato in Cina ed adatto alla trasformazione industriale, Crataegus mexicana, frequente in Arizona e California dove è conosciuto col nome di “manzanilla” (piccola mela), Crataegus pontica, utilizzata in Russia nel miglioramento genetico.
     
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    Il PISTACCHIO



    Il pistacchio è un albero conosciuto per il suo gustosissimo frutto usato per tantissimi scopi . Il frutto del pistacchio infatti è utilizzabile per un numero enorme di usi culinari . Ma il pistacchio è una pianta dalle radici storiche profonde . La sua area di origine è attestata sia nell'aasia minore , Turchestan e Siria , in Europa Grecia e Sicilia ed in Turchia . Ultimamente è stata importata la produzione di pistacchio anche negli Stati Uniti . Quest'ottimo regalo della natura appartiene alla grande famiglia delle Anacardiaceae . Nello specifico il pistacchio appartiene al genere pistacia. Il pistacchio è una pianta longeva (dai 200 ai 300 anni). Ha uno sviluppo molto lento e riesce a produrre solo dopo quasi dieci anni dal suo innesto.
    Allo stesso genere appartengono un grande numero di speci . Infatti fanno parte delle pistacia anche il pistacia vera L. , pistacia therebintus L. o il terebinto ed il pistacia letiscus o il letisco . Sono varie le caratteristiche che contraddistinguono ognuna di questa specie di pistacchio ma nello specifico la caratteristica sostanziale tipica di quest'albero è la sua presenza . Il pistacchio si presenta come un albero la cui altezza può variare dai quattro fino ai cinque metri arrivando ad un massimo di otto – dieci metri . Il fusto si presenta di colore grigio scuro con chioma ampia ed il legno è gialllo negli esemplari giovani mentre è rosso negli esemplari più vecchi . Le foglie si presentano come caduche , imparipennate , tomentose nelle piante giovani e coriacee in quelle vecchie . Entrando nello specifico delle varie specie della famiglia pistacia solo un esemplare è quello che solitamente vediamo nelle nostre tavole . Il pistacia vera L. Si presenta con foglie caduche . Gli altri due ovvero il terebinto ed letisco sono usate come portinnesto del pistacchio. Il letisco è una pianta sempreverde . In ogni caso sia il terebinto che il letisco sono piante con foglie caduche. Il periodo della fioritura corrisponde all'incirca con quello della primavera . Infatti la fioritura avviene in quell'arco di tempo che va da aprile fino a maggio . Una volta che la fioritura ha inizio escono fiori assolutamente privi di petali e sostenuti da delle inflorescenze ascellari che prendono la forma di pannocchie . Naturalmente i fiori sono diversi per il loro sesso . Il fiore femminile si presenta come un frutto molto piccolo con uno stimma a tre punte , carenato , allargato e ricoperto da papille . Quelli maschili invece sono ricoperti di piccole foglie che ricoprono il fiore ed una parte terminale ed ingrossata dello stamo dov'è presente il polline . Il frutto
    è composto da un guscio bivalve è unico ed allungato di colore verdastro, ricco di varie vitamine ed olii essenziali.
    La Sicilia è l'unica regione italiana dove si produce il pistacchio (della specie botanica Pistacia vera) e la cittadina etnea, con oltre 3.000 ettari in coltura specializzata, ne esprime l'area di coltivazione principale (più dell'80% della superficie regionale) con una produzione dalle caratteristiche peculiari.
    Bronte, Eden di pistacchio, con un frutto dal gusto e dall'aroma universalmente riconosciuti come unici e particolari e un colore - il verde smeraldo - unico e particolare. L'«oro verde», così è denominato il "pistacchio verde di Bronte", rappresenta la principale risorsa economica del vasto territorio della cittadina etnea. Concorreranno la terra e le sciare dell'Etna (gli ammassi di scorie vulcaniche), la temperatura o il portainnesto, le tradizioni di coltura tramandate da padre in figlio, fatto è che la pistacchicoltura brontese, a differenza dei prodotti di provenienza americana o asiatica, in massima parte con semi di colore giallo, produce frutti di alto pregio, molto apprezzati e richiesti nei mercati europei e giapponesi per le dimensioni e l'intensa colorazione verde. Il pistacchio brontese è dolce, delicato, aromatico. Soprattutto è unico.

    Il Pistacchio, un frutto dalla storia antichissima, noto ai Babilonesi, Assiri, Giordani, Greci, citato addirittura nel libro della Genesi e riportato nell'obelisco, fatto innalzare dal re dell'Assiria, attorno al VI secolo aC, è uno di questi prodotti agro-alimentari che ha contribuito a delineare il patrimonio culturale-gastronomico dei popoli mediterranei.... giunse a Roma, dal territorio d'origine, nel 30 d.C. ad opera di Lucio Vitellio, governatore della Siria, e da qui fu diffusa in Sicilia. Furono gli Arabi, settecento e più anni dopo, a diffondere la coltura nell'isola, come dimostra la somiglianza tra il nome dialettale frastucara (la pianta di pistacchio), frastuca (il frutto) con l'arabo "fustuq".

     
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  11. gheagabry
     
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    Il GELSO

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    Il gelso appartiene alla famiglia delle Moracee ed al genere Morus, all’interno del quale si annoverano soprattutto due specie: il gelso bianco (Morus alba) ed il gelso nero (Morus nigra). Il primo è utilizzato prevalentemente per l’allevamento del baco da seta, in quanto il fogliame è molto appetito dal filugello, mentre il gelso nero è interessante per la sua produzione frutticola.
    Il gelso bianco è un albero in genere alto 10-12 m, se lasciato crescere liberamente è in grado di raggiungere i 20 m d’altezza; è molto longevo, con un’età media di 100 anni, ma ci sono anche esemplari plurisecolari. Le radici sono profonde, robuste e di color giallo-aranciato, il tronco è eretto, dotato di ramificazioni irregolari e, negli individui adulti, raggiunge un diametro di circa 70 cm; è rivestito da una corteccia bruno grigiastra, screpolata, reticolata a piccole scaglie. La chioma è tondeggiante ed ampia, i rami sono di un colore grigio tendente al giallo, lisci e con lunghi internodi, le gemme sono relativamente piccole, larghe alla base ed appuntite all’apice. Le foglie sono caduche, alterne, lisce, di colore verde lucente non molto scuro, non molto grandi, di lunghezza variabile dai 7 ai 14 cm e larghezza tra 4 e 6 cm, di forma ovato-acuta e con un margine irregolarmente dentato. I fiori sono unisessuali ed entrambi si possono trovare sulla stessa pianta, quelli maschili sono raggruppati in piccoli amenti ed i fiori femminili in infiorescenze di forma ovale.
    Il gelso nero è un albero più piccolo rispetto al bianco, è dotato di rami grigi o scuri, di foglie piuttosto piccole, divise in lobi o intere, appuntite all’apice, con un bordo molto seghettato, di color verde scuro e ruvide; è proprio per quest’ultimo motivo che il fogliame è poco appetito dal filugello.
    Dalle infiorescenze femminili si origina il frutto, chiamato anche sorosio o mora di gelso. Il sorosio ha la forma di un lampone allungato ed è provvisto di un breve peduncolo, è un’infruttescenza formata dagli involucri fiorali divenuti carnosi, ossia da piccoli frutticini a forma di drupa (falsi frutti). Le more del gelso bianco sono lunghe 3-4 cm, di un colore bianco-giallastro, con un sapore dolciastro ed a maturazione, in luglio, cadono con il peduncolo che rimane attaccato; sono molli per cui mal sopportano il trasporto. Le more del gelso nero sono nere, succulente, mediamente consistenti, con un sapore dolce-acidulo e, quindi, più saporite rispetto a quelle del gelso bianco, infatti sono destinate alla produzione di confetture e sciroppi.




    "La vite è femmina e ha bisogno di avvinghiarsi, ha bisogno dell’omo”, dicono in Toscana. E “l’omo” è stato, in un passato non molto lontano, il gelso – ma anche l’acero, l’olmo e il pioppo - buono per i getti giovani da dare ai vitelli e buono per nutrire il baco, quello della seta, che ha retto l’economia dei contadini e dei commercianti durante parecchi secoli della storia italica, soprattutto quella padana. Il gelso, ora, è quasi inutilizzato, non si sposa più con la vite, né nutre gli animali; quei frutti dolcissimi di color porpora o bianchi – dal sapore
    tipico e indimenticabile per coloro che hanno memorie ultratrentennali - sono confusi con le more dei rovi e indesiderati perché “sporcano” appena caduti a terra. Così come le mani, la lingua e le labbra si sporcano, tinte di porpora, appena li gustiamo. In realtà il gelso è un albero imponente e con mille virtù che dovrebbe essere utilizzato più spesso nei giardini pubblici e privati, fatta eccezione per le aree asfaltate e i parcheggi."
    (dal web)





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    ....miti e leggende.....


    Il Gelso, noto per la bontà dei suoi frutti, come testimoniato da Plinio il Vecchio e Ovidio, già noti ai Romani, venne introdotto, dalla Grecia in Italia nel XII secolo, dal normanno Ruggero di Sicilia; in breve la coltivazione di questa pianta si diffuse in tutta la penisola italica. Nelle metamorfosi Ovidio racconta la drammatica storia di due giovani babilonesi: Piramo e Tisbe. I due giovani si amavano teneramente di nascosto perchè le famiglie contrastavano la loro unione, così trovavano riparo presso una fonte all'ombra di un albero di gelso. Un giorno la giovane innamorata, Tisbe, arrivata per prima alla fonte, se ne allontanò spaventata dalla presenza di una leonessa, lasciando cadere durante la fuga il velo che usava per coprirsi. La leonessa lacerò il velo sporcandolo del sangue di una preda che aveva precedentemente uccisa. Poco dopo arrivò il giovane, Piramo, che trovando il velo si convinse che Tisbe fosse morta e, disperato, si trafisse il cuore. Il suo sangue ricoprì le more del gelso. Quando Tisbe tornò, rendendosi conto di quanto era accaduto, condannò l'albero a portare per sempre quei frutti scuri in segno di lutto, per ricordare il sangue degli amanti che li avevano macchiati, poi si trafisse il cuore con la stessa spada usata da Piramo. Da allora i frutti del moro nero, quando maturano, assumono un colore porpora scuro. Anticamente da questi frutti se ne ricavavano diversi medicamenti ritenuti miracolosi

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    Edited by gheagabry1 - 12/6/2020, 15:08
     
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  12. gheagabry
     
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    Il MIRABOLANO


    Specie spontanea dell'Asia Minore, il mirabolano è utilizzato come portinnesto per le varietà di susine europee e cino-giapponesi, e per l’albicocco. Le susine europee sono probabilmente derivate da un’ibridazione tra questa specie e il prugnolo.
    Il mirabolano (Prunus cerasifera) viene anche denominato “rusticano”, probabilmente per ricordare la sua grande adattabilità. Vegeta bene in terreni con elevati contenuti in argilla e calcare, resistendo meglio di altre specie alla siccità ed anche a condizioni di asfissia. Albero (alto fino a 8 metri circa) a fusto eretto, a volte contorto così come le sue ramificazioni, diviso e ramificato fin dalla base o in alto; il tronco snello, diritto poi sinuoso e nodoso, presenta una scorza liscia nei giovani esemplari, ruvida e solcata in quelli adulti e di colore brunastro.
    La chioma ha un colore da verde tenero fino a rosso-violaceo scuro
    I fiori compaiono all’inizio della primavera, sono piccoli con petali di colore bianco o rosato, singoli o riuniti in piccoli grappoli.
    Le foglie, piccole (5-7 cm) semplici, dalla forma ellittica, compaiono dopo la fioritura. Tipicamente sono di colore verde intenso ma sono state selezionate varietà ornamentali a foglia rossa ( Prunus cerasifera ‘Pissardi’). Il frutto è simile ad una susina ma più piccolo, di colore rosso o giallo, dal sapore acidulo, più dolce a piena maturità.
     
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  13. ZIALAILA
     
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    MALUS SIEVERSII




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    Questo é il nome latino della " mela di Eva " .

    Antenata di tutte le mele, la Malus sieversii cresce in Kazakistan , nella regione di Almaty e nella Valle dell ' Ily della Cina nord-occidentale.

    Dolcissima, resiste a tutte le insidie del progresso, ma non alla deforestazione.

    E' una mela selvatica tanto forte da poter resistere alle malattie facendo a meno dei 35 pesticidi che “proteggono” le normali mele .

    Antenata di tutte le mele esistenti, la Malus sieversii cresce su alberi particolarmente belli , alti fino a 12-15 metri .

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    I semi di questa mela sono contenuti in un involucro e da se non possono germogliare. Sono gli orsi, che mangiano i semi e, nell'intestino rompono gli involucri, a innescare il meccanismo naturale. Tornati alla terra, i semi germogliano e crescono a migliaia .

    Il problema è quello della deforestazione, conseguente purtroppo alla urbanizzazione e alla conquista a colture diverse degli spazi selvatici .

    La mela di Eva rischia di scomparire : solo un cambiamento nel comportamento dell’uomo, denuncia l’associazione ambientalista Almaa (nata proprio per la sopravvivenza della Malus sieversii), potrebbe permetterne la sopravvivenza .

    Edited by gheagabry1 - 19/4/2020, 16:17
     
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  14. gheagabry
     
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    ZAPOTE BIANCO


    Casimiroa edulis è un albero originario del Messico e dell'America centrale, in genere coltivato nei paesi a clima subtropicale per via dei frutti, commestibili e dal sapore variabile a seconda delle cultivar. Il nome scientifico di questo "misterioso" albero è Casimiroa edulis, ed appartiene alla famiglia delle Rutacee. Alla stessa famiglia appartengono piante a noi più familiari come gli agrumi (Citrus aurantium, Citrus lemon, Citrus nobilis, ...).è una specie arborea: l'albero è alto dai 6 ai 10 metri, e presenta foglie palmate lungamente picciolate, di colore verde brillante, a loro volta costituite da 5 foglie, ma anche 3 o 7, da ellittiche a ovali, di 10-15 centimetri di lunghezza.
    I frutti sono affini alle drupe, più o meno tondeggianti e di circa 10 centimetri di diametro: ne esistono varietà con buccia verde, molto simili alle mele cotogne, che presentano una polpa chiara; una varietà con buccia giallo-arancio ha una polpa più tendente al giallo. Pur non avendole mai assaggiati personalmente, mi risulta che il sapore sia simile a quello della pesca o della banana, con un leggero retrogusto amarognolo.I frutti racchiudono da 5 a 7 semi, molto simili a quelli delle arance
    In Italia questa specie è soprattutto conosciuta con il nome di Zapote, che riprende il nome volgare usato attualmente in Messico ("Zapote blanco", ma anche "pera mexicana"), e che, a sua volta, deriva dall'originario nome usato dagli indigeni prima della colonizzazione europea (Cochit-zapotl, Iztact-zapot). Con la stessa etimologia, evidentemente, anche il nome volgare americano di "white sapote". Non è una pianta molto comune in Italia, dove è stata introdotta più come "curiosità" botanica che per altri scopi.
     
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  15. gheagabry
     
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    La Pianta dell'ANANAS



    Nome di un genere di piante perenni alte da 50 fino a 100 cm, appartenenti alla famiglia delle bromeliaceae, e dell’infruttescenza carnosa commestibile prodotta dalla specie Ananas comosus.Si pensa sia originaria del brasile meridionale e del Paraguay, ma era presente ai tropici americani ( probabilmente gli indigeni la diffusero ) quando Cristoforo Colombo sbarcò a Guadalupa nel 1493 nel suo secondo viaggio. Veniva chiamato “anana” dai nativi che lo coltivavano, pigna delle indie dagli esploratori spagnoli e pigna reale dagli europei che potevano permettersi questo esclusivo frutto.Gli spagnoli in seguito lo esportarono nelle Filippine e nel 16° secolo raggiunse le Hawaii e Guam.L’ananas sbarcò in Inghilterra nel 1660 e iniziò ad essere coltivato nelle serre all’incirca nel 1720.Oggi l’ ananas è uno dei frutti tropicali più conosciuti al mondo.
    La pianta di ananas, è una pianta che trova le ottimali condizioni ambientali nelle regioni tropicali e subtropicali.E’ una pianta, che allo stato naturale risulta perenne propagandosi principalmente per via agamica e raramente via seme.Nelle coltivazioni di solito produce un solo frutto,ma se la pianta è sana e robusta, può un anno dopo la raccolta del frutto principale, produrre un frutto secondario, più piccolo ma meno acido, che si sviluppa da un succhione. Si possono sviluppare anche un terzo ed un quarto frutto ,ma raramente. Le foglie della pianta di ananas sono dure e coriacee, spesso aculeate sulla punta e marginate da spine pungenti; ognuna di esse è ricoperta da strutture simili a squame, bene adattate ad assorbire l'acqua dall’ambiente. Nel complesso, le foglie formano una rosetta alla base della pianta, al centro della quale è localizzata l'infiorescenza. Quest’ultima è costituita da fiori che, come nella maggior parte delle monocotiledoni, hanno elementi in numero di tre o di multipli di tre.I singoli fiori sono di in colore violaceo-porpora. Il frutto è un’infruttescenza del genere sorosio (tipo di falso frutto); lungo fino a 35 cm, è rivestito da un tegumento coriaceo e legnoso sormontato da un ciuffo apicale di foglie che prende il nome di corona. I singoli frutti che costituiscono l’infruttescenza sono bacche alternate alle brattee carnose. Il frutto è particolarmente apprezzato per il gusto dolce-acidulo e per l’alto contenuto vitaminico.
    Esistono numerose varietà di ananas.Queste possono essere raggruppate in quattro gruppi principali: Cayenne,Spanish, Quenn,e Pernambuco.La principale, che raggiunge l’Europa e gli Stati Uniti è la Smooth Cayenne coltivata in tutto il mondo da due colossi di questo settore, quali Del Monte e Dole e chiamata in questo modo perché non presenta spine sui bordi delle foglie..La Del Monte ha inoltre un nuovo ibrido coltivato sia alle Hawaii che in Costa Rica.
    (disi.unige.it)
     
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118 replies since 13/2/2011, 11:34   75777 views
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