ALBERI e ARBUSTI DA FRUTTO e a volte ....

PESCO, CILIEGIO,PERO, ALBICOCCO ECC

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. gheagabry
     
    .

    User deleted


    ALBERI DA FRUTTO






    Tutti gli alberi producono frutti in senso botanico, ma il termine albero da frutto è riservato a quegli alberi che producono frutti utilizzati dall'uomo per l'alimentazione (frutta) o per altre finalità economiche.
    Sono esempi di alberi da frutto il melo, il noce, il castagno, il susino, il mango, il caffè.
    D'altra parte, la frutta non è prodotta esclusivamente da alberi: cocomeri, meloni, fragole e mirtilli, per esempio, sono prodotti da piante erbacee. Esistono anche rampicanti e arbusti che producono frutta: per esempio, la vite e il lampone.

    La disciplina che si occupa delle tecniche per coltivare alberi da frutto (e altre piante con frutti economicamente utili) si chiama frutticoltura.



    Frutticoltura è una tipica parola moderna, che esprime un concetto praticamente sconosciuto al pensiero agronomico antico. Nelle civiltà mediterranee, infatti, non si parla mai di frutteto, ma di hortus, uno spazio cintato da un muro entro il quale si coltivano alberi fruttiferi, olivi e viti, ai cui piedi il terreno è lavorato a beneficio degli alberi, ma anche degli ortaggi, sistematicamente coltivati tra gli alberi. Il concetto vale per il mondo ebraico e per quello greco, alle cui origini l’Odissea propone l’immagine più precisa dell’hortus nel giardino del principe dei Feaci.
    Nel mondo latino il vigneto e l’oliveto divengono impianti specializzati indipendenti, l’hortus continua a unire frutta e ortaggi, e l’hortus, si noti è un giardino, non un orto, come provano “orti” famosi, come quelli di Sallustio e quelli di Nerone.
    La tradizione dell’hortus della cultura mediterranea viene perfezionato nel mondo arabo. L'’andaluso Ibn al-Awwam, esponente della Spagna ancora islamizzata, dedica lunghissime pagine al tema dello della “simpatia” delle piante, stabilendo quali ortaggi vegetino più vigorosamente ai piedi di un cedro, quali ai piedi di una palma, quali ai piedi di un fico .
    Nel Cinquecento gli alberi fruttiferi sono ancora parte del giardino, come risulta dalla descrizione della proprietà di campagna dell'agronomo italiano, il bresciano Agostino Gallo Gli elementi diversi del giardino mediterraneo si separano, pure continuando a fare parte della medesima unità, nel giardino dello château francese, la villa del grande patrizio, attorno alla quale il complesso insieme del jardin si scinde in parti funzionali diverse, il jardin potager, che è un vero orto, il jardin fruitier, che è già un frutteto, il jardin médicinal, che è un orto per le piante medicinali, in tempi in cui tutta la farmacopea si fonda sulle erbe elemento indispensabile nella vita della famiglia patrizia. È quanto appare, nitidissimo, dal magistrale trattato del maggiore agronomo francese della fine del Cinquecento, Olivier de Serres, signore di Pradel



    Il jardin fruitier di Olivier de Serres diviene autentico frutteto quando il parco del signore di campagna si converte nel parco di un sovrano. Creando i giardini di Versailles Luigi XIV affida a uno specialista il compito di presiedere al frutteto, che deve provvedere l’immensa quantità di frutta che onora le mense nei pranzi reali. L’incarico viene affidato a Jean de la Quintinye, un avvocato che si dedica alla botanica, che per il grande frutteto di cui è sovrintendente immagina le prime forme di allevamento razionale, predisponendo il primo degli strumenti della frutticoltura industriale
    La cultura inglese continua, intanto a considerare il termine horticulture come sinonimo di gardening, e ad usare entrambi per la coltura degli alberi fruttiferi. Quando si imporrà la necessità di un nuovo vocabolo sarà, senza termini intermedi la fruit industry.
    In effetti la frutticoltura moderna, quella in cui le piante da frutto non sono più incluse in un hortus ma sono una coltura specializzata, si sviluppa, sull’esempio di Versailles, nei villaggi intorno a Parigi per il rifornimento delle Halles, il grande mercato cittadino. Il successore di La Quintinye è, nell’Ottocento, il signor Lepère, coltivatore, a Montreuil, di un frutteto di peschi a spalliera per la vendita a Parigi
    La frutticoltura francese si sta sviluppando, lentamente, verso moduli industriali quando la sopravanza, quella californiana, che inizia la moderna frutticoltura “industriale”. per la quantità di frutta che un coltivatore è in grado, assumendo avventizi per la raccolta, di produrre in un anno, la frutticoltura californiana costituisce, all’alba del Novecento il fenomeno che induce il pomologo italiano, Girolamo Molon, a un’autentica esplorazione sul campo, matrice di una relazione
    Nella propria relazione Molon avverte economisti e agricoltori che la frutticoltura italiana è assolutamente arretrata, per la molteplicità di varietà prive di autentiche qualità, per le forme di allevamento irrazionali, per i circuiti commerciali primordiali. Sul finire degli anni cinquanta, lo sviluppo della frutticoltura diventa notevole soprattutto in Romagna (Ferrara, Ravenna e Forlì) Ferrara, si può rilevare, mostrerà una frutticoltura strutturata in grandi aziende, con decine di ettari ciascuna, e decine di operai, Ravenna e Forlì presenteranno una frutticoltura piuttosto basata sulla piccola azienda familiare, che troverà la propria efficienza riunendosi in grandi cooperative. In questa fase la frutticoltura italiana, sarà settore di punta dell’agricoltura europea per tre decenni.



    Secondo alcuni studiosi, la sua crisi inizierà proprio dal tramonto della frutticoltura ferrarese, un tramonto dovuto all’accesa conflittualità sindacale, la crisi si estenderà, lentamente, a province e settori diversi, coinvolgendo, oggi, le pesche romagnole, gli agrumi siciliani, l’uva pugliese, in un quadro che se consente all’Italia di proporsi ancora come primo produttore di frutta europeo, mostra quel primato cedere, ogni ano, sui mercati interni o su quelli esteri, il numero delle aziende frutticole contrarsi, le cooperative confrontarsi con difficoltà sempre maggiori con le concorrenti spagnole, con i produttori del Sudamerica, dell’Asia e dell’Africa.


    Le principali piante da frutto


    Actinidia chinensis Planch. Actinidia
    Agrumi
    Prunus armeniaca L. Albicocco
    Prunus avium L. Ciliegio
    Cydonia oblonga Miller Cotogno
    Prunus dulcis (Miller) D.A.Webb Mandorlo
    Malus domestica Borkh. Melo
    Olea europaea L. Olivo
    Pyrus Pero
    Prunus persica (L.) Batsch Pesco
    Prunus domestica L. Susino
    Vitis vinifera L. Vite



    Frutti minori




    Castanea sativa Miller Castagno
    Ficus carica L. Fico
    Diospyros kaki Kaki o diospiro
    Rubus idæus L. Lampone
    Vaccinium Mirtillo
    Juglans Noce
    Corylus avellana L. Nocciolo
    Pistacia vera L. Pistacchio
    Ribes L.
    Rubus ulmifolius Schott Rovo


    Frutti tropicali e subtropicali


    Annona cherimola Miller Anona
    Persea americana Avocado
    Carica pentagona Heilborn Babaco
    Acca O. Berg Feijoa
    Opuntia ficus-indica (L.) Miller Ficodindia
    Psidium guajava L. Guava
    Litchi chinensis Sonn. Litchi
    Macadamia
    Eriobotrya japonica (Thunb.) Lindl. Nespolo del Giappone
    Carica papaya L. Papaya
    Passiflora edulis Sims Passiflora (maracuya)
    Carya illinoensis (Wangenh.) K.Koch Pecan
    Solanum betaceum Cav. Tamarillo en:Tamarillo




    dal web
     
    Top
    .
  2. gheagabry
     
    .

    User deleted


    da giuliascardone


    ALBERI DA FRUTTO:MANDARINO



    Con il termine Mandarini viene designato un gruppo eterogeneo di agrumi di grande importanza economica (a livello mondiale, seconda solo all'arancio). Diverse sono le scuole di pensiero riguardo alla loro classificazione botanica.



    Mandarino King (Citrus nobilis - Citrus deliciosa)

    Il Mandarino King (Citrus nobilis - Citrus deliciosa), di origine cinese, è stato portato in Europa all'inizio dell'Ottocento. sembra sia un ibrido tra Citrus reticulata (mandarancio) e Citrus sinensis (arancio dolce).
    e' una pianta robusta con chioma espansa, alta fino a 4,5 m. Le spine sono presenti soltanto sui succhioni. Le foglie, da ovato-oblunghe a ovato-lanceolate, hanno picciolo con alette sottili. I fiori sono piccoli, bianchi, profumati e singoli. I frutti sono di taglia media, globosi e depressi ai poli, con buccia sottile non aderente alla polpa; quest'ultima è color arancio, aromatica e succosa e ricca di semi (anche se sono state selezionate varietà apirene).
    Molto diffusa è la varietà "Avana" da cui sono state ottenute numerose selezioni come l'Avana apirena e il Tardivo di Ciaculli. Molte varietà sono usate a scopo ornamentale per la lunga permanenza dei frutti sulla pianta.



    Mandarino Cleopatra (Citrus reshni)

    Il Mandarino Cleopatra (Citrus reshni), originario dell'India, forma piante a portamento compatto e arrotondato. Le foglie sono piccole, strette, verde scuro. I fiori sono piccoli e bianchi e i frutti, globosi e depressi ai poli, sono simili alle clementine; la buccia è di color arancio, poco aderente alla polpa, che ha un sapore gradevole ed è ricca di semi.. Resiste bene al freddo e viene usata come portinnesto. Utilizzata anche come pianta ornamentale per la lunga persistenza dei frutti.


    Mandarancio (Citrus reticulata - Citrus clementina)

    Le origini del Mandarancio sono incerte: secondo alcuni studiosi è una specie molto antica originaria della Cina e più in generale dell'Estremo Oriente; altri la ritengono un ibrido tra il mandarino e l'arancio (dolce o amaro), altri ancora un ibrido tra mandarino e chinotto.
    Piccolo albero, a volte con rami spinosi, con chioma arrotondata, simmetrica e aperta. Le foglie sono lanceolate, verde vivo, con picciolo leggermente alato. I fiori sono singoli o riuniti in piccole infiorescenze, molto profumati. I frutti arancioni, hanno una buccia arancione facile da togliere e una polpa dolce, ricca di succo, con semi piccoli e appuntiti (oggi sono molte le varietà apirene). Numerose le varietà, dal gruppo delle classiche clementine (nome che deriva da quello del frate missionario, Clemente Rodier, che le coltivò in Algeria) a quello delle Satsuma, ottenute in Giappone più di quattro secoli fa.
    La loro maturazione è più precoce rispetto ai mandarini e sono più resistenti al freddo.
    Le varietà più note di clementine sono la Monreal, Di Nules, Oroval e Tardivo.
    Si innesta su franco della stessa specie o di specie simili, ma si utilizza anche il Mandarino Cleopatra (Citrus reshni). Non maturando dopo la raccolta, devono essere colti allo stadio di maturazione desiderato.




    Mandarino Satsuma (Citrus unshiu)


    Come detto, il Mandarino Satsuma è originario del Giappone (più di quattro secoli fa). In Italia è stato portato verso la fine dell'Ottocento.
    Pianta medio piccola, in genere dal portamento espanso. Foglie grandi, verde scuro, ellittiche e con apice appuntito. I fiori, singoli o in gruppi, bianchi, appaiono in primavera. I frutti sono medi, globosi e depressi ai poli, color arancio, hanno buccia sottile, facile da togliere; la polpa è succosa e in genere priva di semi. I frutti sono maturi quando ancora non hanno raggiunto la completa colorazione della buccia. Resiste abbastanza bene al freddo e sono apprezzate come pianta ornamentale per la lunga persistenza dei frutti. Si innestano su arancio trifogliato.


    Mandarino tangerine (Citrus tangerina) e Tangor

    Il Mandarino tangerine appartiene al gruppo molto eterogeneo dei Tangerini. Tanaka lo considera una specie a sé stante, altri una cultivar ("Dancy") dei tangerini.




    .


    da gina


    mandarino cinese



    da tappi

    ARANCIO O CITRUS X SINENSIS







    L'arancio (Citrus × sinensis) è un albero da frutto appartenente al genere Citrus (famiglia Rutaceae), il cui frutto è detto arancia. È un antico ibrido, probabilmente tra il pomelo ed il mandarino, ma da secoli cresce come specie autonoma e si propaga per innesto e talea








    Cenni storici [modifica]
    L'arancia dolce è l'apprezzato frutto invernale che tutti conosciamo. La sua patria è la Cina e sembra che sia stata importata in Europa appena nel secolo XIV dai marinai portoghesi. Ma alcuni testi antico-romani ne parlano già nel I secolo; veniva coltivata in Sicilia e la chiamavano melarancia, il che potrebbe significare che il frutto avesse raggiunto l'Europa via terra. Potrebbero essere corrette entrambe le teorie. Probabilmente l'arancio giunse davvero in Europa per la via della seta, ma la coltivazione prese piede solo nella calda Sicilia, dove la propagazione si arenò. Solo dopo secoli venne riscoperto dai marinai portoghesi.

    Da notare che a Roma, nel chiostro del convento di Santa Sabina all'Aventino è presente una pianta di arancio dolce che secondo la tradizione domenicana è stata portata e piantata da San Domenico nel 1220 circa. La leggenda non specifica se il santo avesse portato la pianta dal Portogallo o dalla Sicilia, dove essa era giunta al seguito della conquista arabo-berbera


    Altri nomi dell'arancia [modifica]
    Nella letteratura del secolo XIX a volte l'arancia viene chiamata portogallo. In greco l'arancio si chiama "πορτοκάλι" (pronuncia: portocâli); in rumeno "portocală", ancora oggi in arabo la parola usata per parlare delle arance è برتقال, burtuqāl, che ha soppiantato del tutto la parola persiana نارنج, nāranğ – che letteralmente significa "(frutto) favorito degli elefanti" – da cui deriva "arancia". Non si deve però dimenticare che in arabo il burtuqāl indica l'arancia dolce, mentre nāranğ (d'origine persiana) indica l'arancia amara.

    In Basilicata e in alcune zone della Calabria, della Campania e della Puglia ancor oggi le arance sono chiamate "purtualli" o "partajalli", "partuàlli" in Sicilia. Così pure nella maggior parte dei dialetti della Pianura Padana: nella lingua piemontese sono detti portugaj, nel dialetto bergamasco "portügàl", nel Lodigiano "purtügàl", in dialetto ferrarese "portogàl", in dialetto parmigiano partucàl e in quello di Rimini partugàli. In Veneto l'arancia viene chiamata "naransa", caso unico nei dialetti del nord, e che sembrerebbe essere una derivazione diretta dal persiano, forse grazie ai contatti culturali e commerciali veneziani con il Medio Oriente. In alcune zone dell'Abruzzo (Valle Peligna) l'arancia viene chiamata partaall, mentre nel Salento viene indicato col termine portacallu e sul Gargano purtiall. Nel dialetto riomaggiorese della lingua ligure l'arancia è chiamata sitrón. In dialetto romanesco, come attestato da Pascarella, il nome dell'arancia è, né più, né meno, portogallo:

    « Nonsignora, maestà. Lei si consija
    Co' qualunque sia ar caso de spiegallo,
    E lei vedrà ch'er monno arissomija,
    Come lei me l'insegna, a un portogallo. »
    (La scoperta dell'America. Alla memoria de mi' madre di Cesare Pascarella, III:5-8)

    Nelle lingue germaniche, la parola che indica l'arancio di solito significa letteralmente mela cinese (es. tedesco Apfelsine). Parole derivate da Apfelsine si trovano anche nelle lingue slave (es. russo Апельсин, apel'sin) e baltiche (es. lituano apelsinas).

    Altra variante è "melarancia", diffusa anche in altre lingue (es. polacco pomarańcza, ceco pomeranč, slovacco pomaranč, sloveno pomaranča).



    Descrizione [modifica]
    Aranceto vicino Rosarno nella Piana di Gioia Tauro Arance gialle da spremuta Citrus sinensis: A. Risso e A. Poiteau (1872)L'arancio è un albero alto fino a 12 metri, dalle foglie allungate e carnose e dai fiori candidi. I germogli sono sempre verdi, mai rossastri. I frutti sono rotondi e sia la buccia che la polpa sono del tipico colore arancio. La buccia è caratterizzata da una leggera ruvidezza che è diventata termine di paragone anche in campi totalmente diversi: parliamo ad esempio di pelle a buccia di arancia in cosmesi, o di superfici a buccia di arancia in edilizia.

    Il periodo di riposo dell'arancio è di soli tre mesi, per cui succede che l'albero fiorisca e fruttifichi contemporaneamente. I primi frutti si possono raccogliere in novembre (navelina), e gli ultimi a maggio - giugno (valencia late). Un albero adulto produce circa 500 frutti all'anno.







    Sottospecie e varietà [modifica]
    Oggi l'arancio è l'agrume più diffuso nel mondo e se ne coltivano centinaia di varietà. Alcuni frutti sono a polpa bionda (ovale, biondo comune, navelina, washington navel, ecc.), altri a polpa rossa per via dei pigmenti antocianici in essi contenuti (moro, tarocco, sanguinello), alcuni più grandi e più belli, altri di aspetto più modesto e dalla buccia più sottile, ma più succosi e dunque adatti per spremute. Solo in Italia più di venti varietà vengono coltivate come frutta da tavola ed altrettante per spremuta. Comunque, le arance dolci non vengono consumate solo come frutta fresca ma, soprattutto nel caso di quelle a polpa bionda, vengono utilizzate per la produzione di succhi (durante la lavorazione delle quali la buccia, preventivamente separata dal resto del frutto, viene sfruttata per estrarne l'olio essenziale in essa contenuto) e, in misura minore, per la produzione di canditi e frutta essiccata.

    La definizione Arancia rossa di Sicilia è usata per individuare le varietà di arance polpa rossa (moro, tarocco e sanguinello) che rispettano quanto previsto nel relativo disciplinare "Arancia rossa di Sicilia IGP" (Indicazione Geografica Protetta), ma in realtà si coltiva anche in altre regioni, soprattutto in Calabria, dove la produzione delle arance supera di 1,7 volte quella della Sicilia.

    A Ribera in provincia di Agrigento si coltiva l'arancia bionda della cultivar "Washington Navel"; in realtà le arance coltivate appartengono tutte al gruppo "Navel" cioè arance ombelicate e a questo gruppo, oltre all'arancia suddetta, sono coltivate il "Brasiliano di Ribera", la cv. W.N. 3033 Frost, Navelina comune, Navelina VCR (Vecchio Clone Risanato), e piccole superfici impiantate a Navelina ISA 315 (in corso di reinnesto con W.N. per via della pezzatura dei frutti che risulta essere media) però sembra che le sue particolari qualità organolettiche siano molto apprezzate dagli intenditori, tanto che l'Arancia di Ribera è un marchio D.O.P..




    Essenze [modifica]
    La buccia dell'arancia è una preziosissima fonte di essenze.

    L'olio essenziale dell'arancia dolce o essenza di Portogallo è un liquido che va dal giallo-arancio al rosso scuro (varietà Tarocco e Sanguinello) che ravvisa l'odore della scorza fresca del frutto, parzialmente solubile in alcool etilico a 96° (da infatti delle soluzioni torbide). Costituito quasi esclusivamente da limonene, viene usato nella produzione di liquori e per aromatizzare molti detersivi. Viene spesso utilizzato per sofisticare molti altri oli essenziali agrumari. La presenza del delta-3-carene, un monoterpene naturalmente presente nell'essenza di arancia dolce, spesso è rivelatrice di questa sofisticazione.
    Il terpene d'arancia è un liquido incolore ottenuto dalla distillazione dell'essenza di arancia, largamente usato quale solvente naturale dall'industria delle vernici.
    L'essenza deterpenata è ottenuta dalla rettifica dell'olio tal quale, a seconda del grado di deterpenazione può presentarsi da rosso scurissimo a marrone ed è molto aromatica; esiste anche l'essenza "desesquideterpenata" che appare di colore giallo pallido ed ha una nota olfattiva meno potente.
    L'essenza di zagara o neroli è ottenuta da soli fiori dell'arancio amaro (la parola zagara deriva infatti dall'arabo zahra (arabo: زهرة, zahra), che per l'appunto significa "fiore" e mai dai fiori dell'arancio dolce.
    Anatra all'arancia Cucina [modifica]
    Le arance, oltre al consueto consumo come frutto o sotto forma di spremuta d'arancia, vengono utilizzate anche in alcune ricette agrodolci come la famosa anatra all'arancia.




    Decorazione [modifica]
    Con i fiori d'arancio vengono costruite composizioni floreali per la decorazione di chiese in occasione di matrimoni, per significare la castità della sposa. I frutti invece possono essere utilizzati ad esempio per i pot pourri.

    L'arancia in Italia [modifica]
    La Conca d'Oro di Palermo costituì, per le grandi coltivazioni di arancio, una delle meraviglie dell'agricoltura araba di tutto il bacino del Mediterraneo. Nei secoli successivi registriamo gli splendori della coltivazione nelle serre del Garda, che rifornivano le tavole dei grandi signori di Venezia e Milano, e sulla costa genovese, dove i frutti erano destinati alla produzione di canditi, ricco sottoprodotto della raffinazione dello zucchero, di cui Genova è tra i primi importatori. In entrambi i casi gli aranci coltivati sono aranci amari[1].

    Più di tre secoli fa, introdotti da saraceni e schiavoni, si diffondono sulle coste pugliesi coltivazioni di agrumi le cui caratteristiche si differenziano ben presto dalle altre specie italiane, come nel caso del Gargano. Grazie alla natura carsica del suo terreno ed alle condizioni climatiche il Promontorio offrì allora le condizioni per il massimo sviluppo del Limone Femminiello del Gargano e dell'Arancia del Gargano che nei secoli successivi trainarono l'economia della zona grazie alla produzione dell'oasi agrumaia di Rodi Garganico e di San Menaio.

    Alla metà dell'Ottocento arancio e limone iniziano una repentina diffusione anche sulle coste sicule e su quelle calabresi. Sono colture relativamente limitate, ma i loro prodotti alimentano un commercio fiorentissimo, che si dirige ai mercati di Londra, e soprattutto New York, che consuma aranci siciliani fino al trionfo della frutticoltura californiana[2]. L'agrumicoltura si sviluppa lentamente, in Sicilia e in Calabria, assicurando redditi alquanto elevati, fino ai primi anni del secondo dopoguerra, quando la sua espansione diviene tumultuosa, e si protrae nonostante i produttori non riescano a imporsi forme di organizzazione in grado di affrontare i grandi mercati di consumo, in specie quello tedesco, dove dal 1980 le importazioni divengono sempre più difficili, incalzate da quelle spagnole, di qualità non superiore, ma ordinate secondo formule commerciali molto più funzionali ed efficaci. Le difficoltà si aggravano in proporzione all'ampliamento della coltura, immensamente dilatatasi, da Lentini, dalle aree etnee del Catanese e dai rilievi siracusani di Francofonte all'interno della Sicilia, nelle province di Ragusa e Agrigento, in Calabria e insediatasi nel Metaponto, che deve la propria sopravvivenza, sempre più, alle sovvenzioni comunitarie, che non si sa quanto potranno protrarsi nel futuro[3]







    .

    Arancio






    Da sempre è considerato alberello bene augurante. Il suo Paese d’origine è la Cina; sembra che, fin dal dodicesimo secolo, un carico di frutti partisse all’inizio di ogni anno da Pechino diretto ad uno dei templi di Foochow per celebrare sacrifici agli dei. L’offerta di arance
    il primo giorno dell’anno significava augurio di felicità, prosperità e abbondanza.




    Nei paesi di religione cattolica, l’arancio detto anche zagara assume un duplice valore: i frutti e i fiori da un lato sono considerati simbolo di purezza e generosità, dall’altro se associati alla Madonna diventano l’emblema del peccato originale. Le streghe di tutta l’Europa indicavano l’arancio come il cuore delle loro vittime. Risale ai tempi delle crociate l’usanza di impiegare i fiori d’arancio per addobbare gli abiti delle spose. I cavalieri orientali li regalavano il giorno delle nozze alla propria sposa; le tradizioni saracene attribuiscono ai fiori d’arancio valore di fecondità.




    .

    Edited by gheagabry - 16/8/2011, 01:31
     
    Top
    .
  3. gheagabry
     
    .

    User deleted


    DA GIULIASCARDONE


    Bergamotto - Citrus bergamia Risso


    Generalità

    La presenza del Bergamotto in Calabria sarebbe stata accertata tra il XIV ed il XVI sec., ed il primo "bergamotteto" sarebbe stato impiantato intorno al 1750. Deriva probabilmente da un incrocio fra arancio amaro e limetta acida anche se non manca chi lo ritiene una specie vera e propria denominandola Citrus bergamia Risso (di origine cinese).
    La Calabria è il maggior Frutti di Bergamotto

    produttore mondiale di bergamotto. Il 90% della produzione totale arriva, infatti, da questa regione. Gli oli essenziali di bergamotto, in virtù della loro straordinaria fragranza, sono impiegati nella produzione industriale di profumi, dolci e liquori.
    Questa essenza, grazie alla sua freschezza, rappresenta l'elemento di base per la produzione di numerose acque di colonia e cosmetici.
    Si presenta come un albero di modesto vigore, con habitus vegetativo variabile e con rami nei quali raramente si riscontrano spine rudimentali all'ascella della foglia.
    I fiori, numerosi e bianchi, odoratissimi, con cinque petali, possono essere sia ascellari che terminali, per lo piu' riuniti in gruppi e sono ermafroditi. Il frutto e' simile a un’arancia, ma di colore dal verde al giallo, secondo la maturazione, ha buccia sottile e liscia e un peso che va dagli 80 ai 200 grammi. La buccia risulta molto ricca di olii essenziali. La polpa, suddivisa in 12-15 spicchi, fornisce un succo molto acido e amarognolo. I semi, in numero limitato, sono monoembrionici.



    Frutti di Bergamotto


    Varietà

    Si coltivano tre varietà: Femminello, a rami esili e frutti lisci, Castagnaro, più vigoroso, con frutti meno sferici, un po’ rugosi, e Fantastico (circa il 75% della produzione riguarda questa varietà).



    fiori di bergamotto

    Produzioni

    Il bergamotto è coltivato nella zona di Roccella Jonica e Gioiosa Jonica e nei dintorni di Brancaleone, Bruzzano Zeffirio, Capo Spartivento (Bova e Melito Porto Salvo) e in gran parte delle località del Basso Ionio-Reggino.
    L'olio essenziale di bergamotto è indispensabile nell'industria profumiera dove viene utilizzato non solo per fissare il bouquet aromatico dei profumi, ma anche per armonizzare le altre essenze contenute esaltando le note di freschezza e fragranza. L'essenza è anche usata nell'industria farmaceutica (per il suo potere antisettico e antibatterico, in odontoiatria, ginecologia, ecc.) e nell'industria alimentare e dolciaria come aromatizzante di liquori, dolci e bevande. Nel 2001 ha ottenuto il riconoscimento DOP (vedere scheda)
    Il Consorzio del bergamotto di Reggio Calabria riunisce oggi la maggior parte dei produttori: si occupa di promozione, tutela e valorizzazione del bergamotto di Calabria.



    frutto di bergamotto aperto
     
    Top
    .
  4. gheagabry
     
    .

    User deleted



    DA GIULIA SCARDONE


    Cedro - Citrus medica


    Generalità

    Il Cedro (Citrus medica) sembra sia originario dell'India e della Birmania.
    Di questo agrume si hanno antichissime testimonianze. Dalla Persia è arrivato nei Paesi Mediterranei e, probabilmente nel III secolo a.C., in Italia.
    Forma arbusti o piccoli alberi, alti fino a 8 metri, con rami spinosi e portamento irregolare.
    Le foglie, ovali-oblunghe, con margine dentato, medio-grandi, sono rossicce appena emesse e poi verde scuro.


    I fiori sono grandi e in boccio rosso-violacei. Quando si aprono hanno interno bianco ed esterno soffuso di viola. Riuniti in racemi all'apice dei rami, possono essere ermafroditi o maschili per aborto del gineceo. Ha fioritura continua, con flussi principali in primavera e autunno.
    I frutti sono grandi, oblunghi od ovali, a superficie liscia o rugosa e piena di protuberanze. con epicarpo spesso e polpa suddivisa in 5-12 segmenti che contengono numerosi semi monoembrionici.
    La maggiore importanza economica del cedro deriva dalla scorza che viene utilizzata per la preparazione di canditi, acqua e sciroppo di cedro e per l'estrazione di olii essenziali. Con il succo si preparano bibite. In medicina si utilizza per la preparazione di infusi.
    Non molto resistente alle basse temperature, d'inverno il cedro si può defogliare per poi riprendere l'attività vegetativa in primavera.


    Varietà

    Le cultivar sono divise in due gruppi: cedri acidi e cedri dolci. Le prime, come la specie tipica, hanno fiori e germogli rosso-violocei e polpa acida; le seconde hanno fiori bianchi e polpa più dolce. Tra i cedri acidi ricordiamo la Diamante (o Liscia), la Etrog e la Mano di Budda (con frutti ornamentali privi di polpa); tra le cultivar dei cedri dolci ricordiamo la Corsican e la Salò.
    Una certa importanza hanno assunto i cosiddetti limoni cedrati, che possono essere considerati come degli ibridi fra limoni e cedri, producenti frutti che ricordano il cedro per la pezzatura e lo spessore della buccia, abbastanza idonea alla candidatura, mentre simile al limone è l'aspetto della pianta, che risulta meno esigente del cedro per quanto riguarda la temperatura.




    .
     
    Top
    .
  5. gheagabry
     
    .

    User deleted


    DA GIULIA SCARDONE

    Limone - Citrus limon (L.) Burm.



    Generalità


    Il Limone (Citrus limon (L.) Burm.) è originario dell'India e dell'Indocina.
    Secondo alcuni studiosi è un ibrido naturale tra il cedro (Citrus medica) e il lime (Citrus aurantifolia).
    L'albero del limone (alto fino a 6 metri) ha un portamento aperto ed i rami a frutto sono procombenti; i rami sono normalmente spinosi.
    Le foglie sono alterne, rossastre da giovani e poi verde scuro sopra e più chiare sotto, generalmente ellittiche.; il picciolo è leggermente alato.
    I fiori, dolcemente profumati, possono essere solitari o in coppie, all'ascella delle foglie; in condizioni climatiche favorevoli sono prodotti praticamente tutto l'anno. Il bordo dei petali è violetto. I frutti sono ovali oppure oblunghi, con apici appuntiti: Normalmente la buccia è gialla, ma ci sono varietà variegate di verde o di bianco: ricca di olii essenziali, può essere più o meno sottile: la polpa è divisa in otto-dieci spicchi; generalmente è molto aspra e succosa: molte varietà sono prive di semi.
    Il limone è una specie rifiorente. I flussi principali di fioritura sono in primavera, con la produzione dei limoni invernali, e in settembre, da cui derivano i cosiddetti verdelli (che maturano nell'estate seguente). Per favorire la produzione di questi ultimi, che ottengono prezzi migliori sul mercato, si utilizzano tecniche particolari come l'interruzione delle irrigazioni per un certo periodo.
    Il limone è piuttosto sensibile al freddo e si defoglia completamente con temperature di -4/-5°C, mentre temperature inferiori possono danneggare anche il legno; i fiori e i frutti, invece, sopportano valori fino a -2°C. D'altra parte, non ha invece bisogno di temperature estive molto elevate per la maturazione dei frutti. Le piante sono sensibili anche al vento (frangivento). In periodi prolungati di siccità è necessaria l'irrigazione. Cresce bene anche in terreni poveri e il pH ottimale è intorno a 5,5-6,5°C.
    Si innesta su diversi portinnesti, dal franco al limone volkameriano fino all'alemow, al mandarino cleopatra e all'arancio amaro, incompatibile però con alcune varietà come la "Monachello".
    A differenza di altri agrumi, i limoni possono maturare anche una volta staccati dalla pianta. Spesso vengono staccati, manipolati e spediti ancora verdi - protetti da un trattamento fungicida e da un'inceratura - quindi trattati in seguito per farli maturare: per questo motivo non è consigliabile utilizzare le bucce dei frutti, a meno che non provengano da colture biologiche.




    Varietà


    Le cultivar di limone di maggior interesse sono sia italiane che straniere:
    - cultivar italiane: Femminello Comune, Monachello, Interdonato, Femminello Zagara Bianca, Femminello Siracusano, Femminello Apireno Continella;
    - cultivar straniere: Eureka, Lisbon, Verna o Berna, Mesero, Gallego, Genoa, Karystini.


    Limone Volkameriano (Citrus volkameriana)

    Il Limone Volkameriano (Citrus volkameriana) è probabilmente un ibrido tra limone (Citrus limon) e arancio amaro (Citrus aurantium).
    Ha foglie di colore verde intenso, ellittiche e medio-piccole. I nuovo germogli e i fiori hanno sfumature viola. I frutti sono tondeggianti, di medie dimensioni, con buccia arancio e polpa acida simile a quella del limone.
    Più rustico del limone, viene utilizzato come portinnesto per altre specie.




    limoni di Sorrento



    Limone Meyer (Citrus meyeri)


    Il Limone Meyer (Citrus meyeri) è originario della Cina. E' probabilmente un ibrido naturale tra limone (Citrus limon) e arancio dolce (Citrus sinensis). Le infiorescenze, di colore violaceo, vengono prodotte per tutto l'anno. I frutti sono simili a quelli del limone, ma un po' meno aspri e molto ricchi di succo. Si propaga facilmente per talea. E' molto apprezzato per la sua resistenza alle basse temperature e il suo valore ornamentale.

     
    Top
    .
  6. gheagabry
     
    .

    User deleted




    DA GIULIASCARDONE

    Nespolo del Giappone - Eriobotrya japonica Lindl.



    Generalità

    Il Nespolo del Giappone (Eriobotrya japonica Lindl.) è una pianta originario della Cina orientale, dove è ancora coltivato, così come in Giappone, in zone temperato-calde; diffuso negli Stati Uniti e nell'areale mediterraneo soprattutto per ornamentale, mentre la coltivazione avviene in Spagna, nella Valencia, in Italia, nella provincia di Palermo e un po' in Calabria.
    Appartiene alla Famiglia delle Rosaceae, sottofamiglia Pomoidee, ma il genere è Eriobotrya, specie japonica.
    E' una pianta sempreverde, con foglie grandi tormentose nella pagine inferiore, apparato radicale superficiale.
    La fioritura va da novembre a febbraio, con fiori pentameri e con 20 stami e 5 pistilli, il cui numero varia dai 200 fino a 600, con la selezione, fiori che sono riuniti in pannocchie.
    I frutti sono pomi, con 1-5 semi riuniti al centro, in genere piccoli (peso medio 30-55 g, sono rare le varietà con peso più elevato), rotondi, ellittici, a forma di uovo o di pera; il colore della buccia va dal giallo pallido all'arancio brillante; il colore della polpa va dal bianco all'arancio, includendo diverse gradazioni di giallo. I semi sono grossi con tegumento bruno.
    Limiti pedoclimatici: resiste a temperature sotto lo zero anche se si presenta qualche problema con il prolungamento a tele esposizione; a causa di questa sensibilità e della fioritura e formazione del frutto in inverno preferisce l'ambiente meridionale a clima più temperato, non in ambienti freddi. L'apparato radicale è sensibile ad asfissia e salinità.




    Varietà e portinnesti

    Si distinguono due tipi: il tipo cinese con frutto grosso, piriforme e polpa gialla ed il tipo giapponese con frutto piccolo, rotondo e polpa giallo pallida. In Italia le cv utilizzate sono: Nespolo di Ferdinando, Precoce di Palermo, Nespolone di Palermo, Grosso Lungo e Grosso Tondo. All'estero: Golden Nugget, Cardona, Tanaka.
    I portinnesti utilizzati sono il franco, che induce vigore, lenta fruttificazione e resistenza al calcare attivo, mentre con il cotogno, MA e BA29, torna la sensibilità al calcare.
    La propagazione avviene quasi esclusivamente per seme. Si esegue poi l'innesto


    Tecniche colturali


    La forma di allevamento consigliata e' il globo impalcato basso con sesti di 5,5 x 5,5 m o 4 x 4 m su cotogno.
    L'irrigazione e' praticata soprattutto dopo la raccolta, poiche' da' maggior induzione a fiore, e prima della fioritura; il volume è di 3000 m3/ha. La concimazione di produzione apporta 150-180 kg/ha di N, 100-120 di P2O5, 180-200 di K2O, distribuiti a fine inverno ma metà N in pre-fioritura.
    La potatura viene fatta subito dopo la raccolta, in estate, e in post-allegagione, in inverno.




    Produzioni


    Ogni pianta fornisce 30 kg, per un produzione complessiva di 200 qli/ha. Il momento migliore per la raccolta è quando il frutto assume la colorazione tipica della cultivar (giallo, giallo-oro, giallo-arancione) che varia in funzione degli ambienti da fine aprile ai primi di giugno. Il frutto è molto delicato, pertanto è necessario utilizzare cesti imbottiti o confezionare i frutti direttamente in campo. Fin dalla sua introduzione in Europa, avvenuta nel XVIII secolo dal lontano Giappone, questa specie è stata e viene ancora oggi impiegata a scopo ornamentale e paesaggistico; a partire dal XIX secolo, grazie alla selezione realizzata dagli agricoltori, le varietà con frutti più grossi, sono state utilizzate anche per l'alimentazione. I frutti, che generalmente vengono consumati freschi, risultano caratterizzati da polpa fondente, agro-dolce, profumata e rinfrescante. Possono essere inoltre utilizzati per la produzione di prodotti trasformati quali marmellate, succhi, sciroppate, bevande alcoliche. Le foglie in diversi Paesi vengono utilizzate per curare malattie della pelle ed il diabete. Il miele di nespolo del Giappone è particolarmente apprezzato in Sicilia e ad Alicante (Spagna).

    Avversità

    Il nespolo del Giappone e' molto sensibile alla "ticchiolatura" e all' "antracnosi"; è attaccato dalle cocciniglie e dagli afidi.





    DA GIULIA SCARDONE

    Diospyros kaki





    Il Diospyros Kaki (comunemente caco o kaki, anche diospero o diospiro) è un albero da frutto del genere Ebenacee, una famiglia di angiosperme dicotiledoni, originario dell'Asia orientale.

    È anche noto come loto del Giappone, sebbene con questo nome si debba intendere più correttamente il Diospyros lotus.

    Storia

    Il Diospyros Kaki è una delle più antiche piante da frutta coltivate dall'uomo, conosciuta per il suo uso in Cina da più di 2.000 anni. La sua prima descrizione botanica pubblicata risale al 1780 È originario della zona centro-meridionale della Cina, ma comunque mai al di sotto dei 20° di latitudine Nord, e nelle zone più meridionali spesso in zone collinari o montane e quindi più fredde; sopporta male i climi caldo-umidi, soprattutto se con suolo mal drenato.

    Detto Mela d'Oriente, fu definito dai cinesi l'Albero delle sette virtù: vive a lungo; dà una grande ombra; dà agli uccelli la possibilità di nidificare fra i suoi rami; non è attaccabile da parte dei parassiti; le sue foglie giallo-rosse in autunno sono decorative fino ai geli; il legno dà un bel fuoco; e la settima virtù consiste della ricchezza in sostanze concimanti il terreno per la caduta dell'abbondante fogliame. Dalla Cina si è esteso nei paesi limitrofi, come la Corea, ed ha trovato larga diffusione nel vicino Giappone.


    Kaki coltivati a Misilmeri, in SiciliaIntorno alla metà del 1800 viene diffuso in America e Europa. I primi impianti specializzati in Italia sono sorti nel Salernitano a partire dal 1916, estendendosi poi in particolare in Emilia. In Italia la produzione si è stabilizzata intorno ale 65.000 tonnellate, la coltura è sporadicamente diffusa su tutto il territorio nazionale, ma riveste una certa importanza economica solo in Emilia e Campania con produzioni rispettive di 22.000 tonnellate e 35.000 tonnellate. Questo frutto ha un'importanza particolare anche in Sicilia dove è più diffuso il kaki di Misilmeri.

    L'albero del kaki è infatti oggi considerato "l'albero della pace", perché al devastante bombardamento atomico di Nagasaki, dell'agosto 1945, sopravvissero soltanto alcuni alberi di Kaki.

    Biologia

    Gli alberi di D. kaki sono a foglia caduca, con altezza fino a 15-18 m ma di norma mantenuti con potature a più modeste dimensioni. Le foglie sono grandi, ovali allargate, glabre e lucenti. Nelle forme allevate per il frutto si riscontrano solo fiori femminili essendo gli stami abortiti, e la fruttificazione avviene spesso per via partenocarpica o in seguito ad impollinazione da parte di alberi della stessa specie provvisti di fiori maschili.

    I frutti sono costituiti da una grossa bacca tendenzialmente sferoidale, talora appiattita e appuntita di colore giallo-aranciato, normalmente eduli solo dopo che hanno raggiunto la sovramaturazione e sono detti ammezziti (con polpa molle e bruna).

    La preponderante consuetudine di coltivare piante fruttificanti in maniera partenocarpica non esclude la possibilità della esistenza di cultivar che hanno completamente o parzialmente la proprietà di produrre frutti ottenuti da fecondazione, spesso già eduli alla raccolta; questi frutti, ovviamente provvisti di semi, hanno polpa bruna, soda. Esistono anche kaki che producono frutti partenocarpici non astringenti, quindi già pronti per il consumo fresco al momento della raccolta allo stato apparente di frutto immaturo (duro). I frutti commestibili alla raccolta sono detti kaki mela.



    Esigenze colturali, allevamento, propagazione


    È ritenuto una specie subtropicale, ma pur essendo una pianta idonea al clima mediterraneo, con la scelta di opportuni portinnesti riesce a sopportare nella pianura Padana e nel Trentino temperature inferiori ai 10 °C sotto zero. Si adatta bene a qualsiasi tipo di terreno, compresi quelli argillosi, purché ben drenati, profondi e di scarso contenuto in sodio e boro; quindi non ama terreni ed atmosfere saline. Per le sue caratteristiche il kaki viene perfettamente coltivato nel territorio siciliano e specialmente nelle località della Conca d'Oro o limitrofe alla cittadina di Misilmeri, in provincia di Palermo, nella quale ogni anno vengono organizzate sagre e manifestazioni nei mesi autunnali.

    La propagazione per seme ha il fine di ottenere dei semenzali da utilizzare come portinnesti, mentre per la propagazione delle cultivar si ricorre all'innesto. I semi estratti dai frutti possono essere conservati in sabbia o in apposite celle con temperatura e umidità controllate, per essere posti in semenzaio e le piantine ottenute sono trapiantate dopo un anno in vivaio, dove vengono innestate nella seguente annata vegetativa. Gli innesti a gemma mostrano scarso attecchimento e allora si opera con le marze (spacco diametrale, corona).

    Parallelamente si sta sviluppando anche la tecnica della micropropagazione e della talea per l'ottenimento di piantine autoradicate. Il portinnesto più usato è il D. lotus che è dotato di buona resistenza a freddo e siccità; risulta disaffine con le cultivar non astringenti, mentre presenta buona affinità con quelle astringenti. L'innesto su franco (D. kaki) è poco diffuso perché non molto resistente al freddo ed a eccessi d'acqua, ma è adottato negli ambienti meridionali per le cultivar non astringenti (sempre eduli).


    Kaki coltivati a Cantarana regione PreglioL'impianto si fa tenendo conto delle minime termiche invernali e l'adattabilità della specie ai diversi tipi di clima. La preparazione del terreno è come quella che serve per gli altri fruttiferi ma bisogna fare attenzione al drenaggio e alla presenza di nematodi (la pianta è molto sensibile). Non tollera il reimpianto. La messa a dimora avviene in autunno-inverno usando astoni, che poi sono allevati a vaso, piramide, palmetta (quest'ultima forma avvantaggia l'ingresso in campo di carri a piattaforme laterali per la raccolta e la potatura). Sesti di 5,5 m per il vaso e di 4,5 X 4 m per la palmetta.

    La presenza di impollinatori è consigliata non solo per ottenere i kaki-mela (non astringenti) dalle cultivar che producono frutti fecondati eduli al momento della raccolta, ma anche, in generale, per aumentare l'allegagione. È doverosa un'adeguata potatura di allevamento, mentre quella di produzione è inutile dato che le piante mantengono una buona attività vegetativa. Il diospiro si avvale di concimazioni azotate in autunno, (per favorire l'accumulo di sostanze di riserva necessarie per il completamento della differenziazione delle gemme riproduttive alla ripresa vegetativa). La raccolta rappresenta l'operazione più onerosa nella coltivazione; i frutti staccati manualmente sono posti in plateaux o cassette dove vengono mantenuti sia per la conservazione che per la commercializzazione.

    Non sono in uso degli indici di maturazione in grado di indicare il momento migliore per la raccolta. L'unica indicazione viene dalla valutazione colorimetrica del contenuto in tannini attraverso l'immersione del frutto, sezionato trasversalmente, per 30 secondi in una soluzione di cloruro ferrico; altri parametri sono la completa scomparsa della clorofilla (colore verde) nel frutto, e la consistenza della polpa. Con la tecnica del freddo può anche essere conservato per 2 mesi. È finalizzato al consumo fresco. Una tecnica per accelerare la maturazione consiste nel conservare i kaki in celle frigorifere insieme a frutti che producono etilene (mele) con atmosfera ricca di ossigeno e temperatura intorno ai 30 °C.

    Coltivazione


    Si distinguono oltre che per le caratteristiche vegetative (vigoria, produttività, forma dei frutti) anche per il loro comportamento a seguito della impollinazione. La classificazione pomologica dei frutti di diospiro è determinata dagli effetti dell'impollinazione sulle caratteristiche organolettiche dei frutti al momento della raccolta e, su tale base, le cultivar possono essere suddivise in due gruppi principali:

    1.Costanti alla fecondazione(CF): Coltivazione con frutti che mantengono la stessa colorazione della polpa (costantemente chiara) sia nei frutti fecondati sia in quelli partenocarpici.
    2.Variabili alla fecondazione(VF): Coltivazione con frutti che modificano le caratteristiche della polpa che risulta chiara e astringente nei frutti partenocarpici, mentre diviene più o meno scura e non astringente in quelli fecondati.
    Sulla base di questa classificazione ci sono cultivar che producono frutti costantemente astringenti, non eduli alla raccolta (Yokono, Sajo); altre costantemente non astringenti con frutti eduli alla raccolta (Hana fuyu, Jiro, Izu, Suruga); cultivar variabili all'impollinazione, con frutti gamici (da fecondazione e con semi) eduli alla raccolta (kaki-mela) e frutti partenocarpici non eduli alla raccolta (Wase, Triumph).

    Coltivazioni diffuse in Italia:

    Loto di Romagna
    Vaniglia della Campania
    Fuyu
    Kawabata
    Suruga



    Proprietà nutrizionali

    Il kaki apporta circa 272 kJ (65 kcal) per 100 g. È composto da circa 18% di zuccheri, il 78,20% di acqua; lo 0,80% di proteine; lo 0,40% di grassi oltre ad una ragionevole quantità di vitamina C, è inoltre ricco di beta-carotene e di potassio.

    Ha proprietà lassative e diuretiche ed è sconsigliato a chi soffre di diabete o ha problemi di obesità. è molto indicato per depurare il fegato e per l'apparato nervoso.

    Se gustato ancora in stato acerbo, può provocare la classica sensazione da "bocca legata". È una sensazione gustativa (tattile) di asprezza e ruvidità che si avverte principalmente sul dorso della lingua.

    Conservazione

    Il kaki non ancora completamente maturo si presta ad essere essiccato e conservato per diversi mesi e consumato saltuariamente. Il frutto sbucciato deve essere tagliato in 8 spicchi, denocciolato e messo ad essiccare al sole o in un essiccatore ad aria calda sino a quando la sua consistenza diventa gommosa e in superficie si forma un leggero strato bianco zuccherino, mantiene così tutte le sue proprietà organolettiche.



    .
     
    Top
    .
  7. gheagabry
     
    .

    User deleted



    DA TAPPI

    IL MELOGRANO OVVERO PUNICA GRANATUM



    image

    [/URL]




    di Marisa Paolucci

    Ha dato il nome alla citta' di Granada ed e' da sempre considerato il frutto della fertilita'. Il melograno e' un albero leggendario di antica tradizione, sinonimo da millenni della fertilita' per tutte le culture che si sono lasciate sedurre dai suoi frutti, ricchi di semi di accattivante colore rosso, espressione dell'esuberanza della vita. Non a caso i pittori dei secoli XV e XVI mettevano spesso una melagrana nella mano di Gesu' Bambino, alludendo alla nuova vita donataci da Cristo.
    Nell'arte copta si incontra l'albero del melograno come simbolo di resurrezione. Le sue radici affondano fin nell'antica Grecia dove questa pianta era sacra a Giunone (moglie di Giove) e a Venere (dea dell'amore). Le spose romane usavano intrecciare tra i capelli rami di melograno. Nella tradizione asiatica il frutto aperto rappresenta abbondanza e buon augurio. Il notevole numero dei suoi grani ha ispirato numerose leggende:in Vietnam la melagrana si apre in due e lascia venire cento bambini, le spose turche la lanciano a terra perche' si dice che avranno tanti figli quanti sono i chicchi usciti dal frutto spaccato.
    In Dalmazia invece la tradizione vuole che lo sposo trasferisca dal giardino del suocero al suo una pianta di melograno. Di origine indiana e' la credenza che il succo di questo frutto combatta la sterilita'. Nel linguaggio floreale non poteva che esprimere amore ardente.
    Il melograno e' una pianta originaria della Persia e dell'Afghanistan, cresce spontaneo dal sud del Caucaso al Punjab ed e' diffuso fino in Estremo Oriente, oltre che nei Paesi del Mediterraneo.
    Ricchissimo di vitamine e' da millenni fonte di salvezza per i popoli degli aridi territori dell'Asia, considerato il re dei frutti anche per il suo particolare picciuolo a forma di corona. "Punica granatum" e' il suo nome scientifico, il suo fusto che puo' arrivare anche ai 5 metri d'altezza, e' molto ramoso, contorto con una corteccia rosso-grigiastra e rami spinosi. Le foglie sono decidue, oblunghe, per lo piu' opposte, rigide e lucide. I fiori scarlatti, sbocciano all'estremita' dei rami, da maggio a luglio. Il frutto e' una grossa bacca coriacea, tondeggiante di colore giallo-arancio, diviso al suo interno in 7-15 cavita' nelle quali sono posti i semi, avvolti da una polpa acida o dolce, succosa e trasparente.
    La maturazione dei frutti avviene in autunno. Il melograno viene coltivato spesso a scopo ornamentale nei giardini e sui terrazzi nelle regioni piu' calde, i suoi frutti e i suoi fiori vengono usati per decorare le tavole e le pietanze. Eppure il melograno avrebbe tutti i motivi per meritarsi maggiore considerazione: i suoi frutti sono ricchi di vitamina A e B. Nell'antichita' era tenuto in grande considerazione per le sue proprieta' terapeutiche. Gia' 4000 anni fa gli egizi conoscevano le proprieta' vermifughe della radice del melograno. In Europa, all'inizio del XIX secolo la scorza di questa radice era molto usata nella lotta contro la tenia; infatti l'analisi moderna ha confermato la presenza di alcaloidi antielmintici, che sono molto efficaci contro le tenie. Recentemente e' stato preso in considerazione il succo di melograno per i suoi benefici cardiovascolari. Il frutto contiene in abbondanza tannino che hanno proprieta' astringenti. Oltre che vermifugo il melograno e' rinfrescante diuretico e tonico. La corteccia del frutto, ricca di tannino e' ancora usata in Africa del nord e in Oriente per conciare il cuoio. Con la buccia essiccata si ottiene un ottimo colorante: un caratteristico giallo tendente al verde che e' stato ritrovato perfino in alcune tombe egizie. In presenza di ferro essa da' una tinta nera adatta per farne inchiostro, anche i fiori possono servire per preparare un inchiostro rosso. Il frutto oltre a essere un insolito dessert, e' il protagonista di golose gelatine, bevande dissetanti, granite, marmellate. Il succo di melagrana e' adoperato in cucina nella preparazione dei dolci ma anche della carne. Decozione contro la tenia Far bollire 750 ml di acqua con 70 grammi di corteccia di radici finche' l'acqua non si riduce di un terzo. Dopo un giorno di dieta, la decozione va somministrata in tre volte a digiuno con tre ore d'intervallo. Due ore dopo l'ultima dose si fa seguire un purgante.



    IL SIMBOLISMO DEL MELOGRANO






    Ebraismo [modifica]
    Il libro dell'Esodo (Esodo; 28:33 – 34) prescrive che le immagini delle melagrane siano applicate sugli abiti rituali dei Grandi Sacerdoti. Il libro dei Re (Re; 7:13 – 22) descrive i melograni rappresentati sui capitelli che erano sul fronte del Tempio di Salomone in Gerusalemme. La corona, che nella simbolistica ebraica indica la santità, sarebbe rappresentata anche dalla "corona", residuo del calice fiorale che permane nella parte apicale del frutto.

    Il melograno è inoltre nella simbologia ebraica, simbolo di onestà e correttezza, dato che il suo frutto conterrebbe 613 semi, che come altrettante perle sono le 613 prescrizioni scritte nella Torah, (365 divieti e 248 obblighi) osservando le quali si ha certezza di tenere un comportamento saggio ed equo.

    In realtà i semi della melagrana sono in numero variabile, (di certo circa 600), ma il frutto con i suoi semi ricorda quel numero, che come tanti altri, ha riferimenti precisi nella numerologia ebraica.

    Il melograno per i suoi numerosi semi è simbolo di produttività, ricchezza e fertilità.

    Quella della melagrana è una delle poche immagini che appaiono nelle vecchie monete della Giudea come simbolo santo. Attualmente molti rotoli della Torah quando non sono in lettura, e quindi sono avvolti, sono protetti da gusci in argento a forma di melagrane (rimmonim) .

    Alcuni studiosi di teologia ebraica hanno supposto che il frutto dell'Albero della vita del “Giardino dell'Eden” fosse da intendersi in realtà come una melagrana.

    La melagrana è uno dei sette frutti elencati nella Bibbia (Deu. 8:8), come speciali prodotti della “Terra Promessa”.





    Antica Grecia [modifica]
    Il melograno del mito non è originario della Grecia, vi giunge dall'oriente, valorizzato come oggetto culturale e mitico da divinità anatoliche (Cibele), o mesopotamiche (Ishtar).

    La mitologia importata confluisce in Grecia con numerosi riferimenti alle divinità greche al frutto ed ai semi del melograno, fra gli altri il mito di Persefone e qello di Era.

    Frutto di melograno aperto Particolare da Madonna della melagrana di Sandro Botticelli, ca. 1487 (Galleria degli Uffizi, Firenze).Un giorno importante della Chiesa ortodossa greca è la Presentazione di Maria, in tale ricorrenza è tradizionale in alcune regioni della Grecia la preparazione della tavola della "polysporia", anche nota con l'antico nome di "panspermia", con offerte di cibi e frutti della terra fertile, con evidenti richiami pagani a Dioniso.

    Quando è acquistata una nuova casa è uso in Grecia mettere quale primo dono presso l'Iconostasi (altare domestico) della casa un frutto di melograno come simbolo di abbondanza, fertilità e buona fortuna.

    Cristianesimo [modifica]
    Il melograno è anche presente nella decorazione religiosa cristiana, soprattutto per gli abiti e paramenti dei sacerdoti per le funzioni religiose.

    Alcuni dipinti a tema religioso di Sandro Botticelli e Leonardo da Vinci, riprendono il tema del melograno o del suo frutto - si veda ad esempio la Madonna della melagrana del Botticelli. In molti dipinti è un Gesù bambino a tenere in mano un melograno. In questi casi è un simbolo anticipatore della passione. Per il colore del suo succo il melograno richiama infatti il sangue. Nell'iconografia cristiana diventerà quindi simbolo di martirio. Un martirio però fecondo, come il frutto pieno di semi.

    Islam [modifica]
    In accordo col Corano, il melograno è citato per crescere nel giardino del paradiso (55:068). È anche menzionato in (6:99, 6:141) dove i melograni sono descritti tra le buone cose create da Dio.



    COLTIVAZIONE ED USI




    La coltivazione e consumo del frutto del melograno nella fascia che va dall'Azerbaijan all'Iran, Armenia, Palestina ed Egitto è documentata per il ritrovamento risalente a diversi millenni fa di reperti archeologici di residui di semi e bucce in focolari.

    La coltivazione non pone difficoltà di rilievo. La pianta ha una forte tendenza a produrre polloni radicali a costituire una boscaglia fitta, il portamento ad albero isolato è favorito dalla asportazione dei getti accessori che si dipartono dalla base del fusto e dalle radici. Una limitazione della propagazione vegetativa migliora la produzione dei frutti.

    Il melograno è una pianta resistente all'arido estivo ed alle temperature invernali tipiche del Mediterraneo; in tali condizioni è straordinariamente resistente ad ogni tipo di malattia. In ambiente inadatto, eccessivamente umido o piovoso, in estate è soggetto a marciumi radicali. In ambiente ben drenato resiste agevolmente a -10°C, (14°F).

    La sola condizione richiesta è la coltivazione in ambiente secco e ben drenato, con elevata insolazione; non esistono esigenze particolari di suolo, anche se ovviamente per produzioni fruttifere di rilievo è necessaria una adeguata profondità, moderatamente concimato. Irrigazioni di soccorso sono utili solo in caso di estrema siccità o con suoli desertici o poco profondi.

    Si propaga per semina, ma in tal caso non sono assicurate le caratteristiche della pianta madre, si moltiplica più frequentemente in primavera per talea semilegnosa o per margotta, con una certa difficoltà per innesto. Nelle moltiplicazioni vegetative le caratteristiche varietali sono conservate.

    Foglie di melograno Albero di melogranoInsetti dannosi al melograno sono la farfalla Virachola isocrates ed il Leptoglossus zonatus.

    Il melograno viene utilizzato come pianta ornamentale nei giardini, le varietà nane in vaso sui terrazzi; industrialmente si coltiva per la produzione dei frutti eduli, le melagrane. Questo tipo di frutto, botanicamente, è definito balausta.

    Si usano per le proprietà medicinali la corteccia delle radici prelevata in primavera o in autunno, e la scorza dei frutti raccolta in autunno, ricche di tannino, tagliate a pezzetti e fatte essiccare all'aria. La polvere ottenuta, utilizzata come decotto, ha proprietà tenifughe, astringenti, e sedativo nelle dissenterie; per uso esterno il decotto ha proprietà astringenti, per clisteri o irrigazioni vaginali.

    I preparati a base di corteccia di radici sono estremamente pericolosi, provocando fenomeni di idiosincrasia.

    L'infuso dei petali viene utilizzato come rinfrescante delle gengive. I semi eduli ricchi di vitamina C, hanno proprietà blandamente diuretiche, si usano anche per la preparazione di sciroppi e della Granatina.

    Le scorze dei frutti hanno anche proprietà aromatiche e vengono utilizzate per dare il gusto amarognolo a Vermouth e aperitivi.


    <p align="center">USI CULINARI


    Dopo avere aperto il frutto con un coltello è necessario spaccarlo in più parti ed estrarre i semi staccandoli dalle membrane a cui sono fissati. In caso di quantità rilevanti la separazione è favorita dal fatto che immersi nell'acqua i semi affondano mentre le membrane galleggiano.

    I semi sono spesso consumati direttamente, ma dato che la parte commestibile è la polpa traslucida che aderisce e circonda il seme, per poter inghiottire la polpa occorre inghiottire anche il seme, legnoso. Questo spiega il fatto che il maggior consumo si ha dopo la estrazione del succo dalla polpa. Il sapore del succo è molto variabile, secondo le varietà. Alcuni succhi possono essere molto dolci, altri più acidi. Di norma il sapore è intermedio, con una base di dolce, un fondo acidulo, ed un tono leggermente amaro ed astringente dato dalla componente tannica dell'arillo.

    Il succo di melograno è detto “granatina” ed è ottenuto dalla spremitura dei semi, spesso diluito e zuccherato, è usato come bevanda.

    La produzione di succo ("granatina") è praticamente l'unica definibile come "industriale" per le melagrane; occorre dire, ad onor del vero, che pressoché la totalità dei succhi di produzione industriale definiti "granatine" sono in realtà miscele di succhi di agrumi, lamponi, ribes ed aromi naturali, con poco, o spesso nulla, di succo di melagrana. La produzione del vero succo di melagrana è molto costosa, dato che prevede molta mano d'opera per un prodotto esiguo. La produzione dei frutti per il consumo fresco ha valore solo in mercati di nicchia.

    Il succo è spesso usato, nelle cucine tradizionali dei paesi di origine, per preparare salse, dolci o piccanti, per cibi tradizionali, per guarnire la carne o il riso.

    I semi di alcune varietà selvatiche sono essiccati e macinati, e sono usati come componenti, a volte acidificanti in altre salse.



    NUTRIZIONALI E FITOCHIMICI




    Il succo di melograno è un'eccellente sorgente di vitamina C e del gruppo B, di potassio e di notevoli quantità di Polifenoli antiossidanti.




    IL FIORE DEL MELOGRANO





    IL FRUTTO DEL MELOGRANO







    POESIE RELATIVE AL MELOGRANO




    PIANTO ANTICO DI GIOSUE' CARDUCCI


    Pianto antico
    L'albero a cui tendevi
    la pargoletta mano,
    il verde melograno
    da' bei vermigli fior,
    nel muto orto solingo
    rinverdì tutto or ora
    e giugno lo ristora
    di luce e di calor.
    Tu fior della mia pianta
    percossa e inaridita,
    tu dell'inutil vita
    estremo unico fior,
    sei ne la terra fredda,


    adesso un'altra di Roberto Alessandrini dal titolo " il melograno "



    Quando il respiro staglia sul muro
    L'ombra obliqua del melograno
    Richiama la sera
    Ceneri viola di tante stagioni



    Cosi' quel giorno
    Crociati sul nostro salterio
    Disordinato
    Discutevamo ragioni d'orizzonti
    Tarli di un'impossibile equazione



    Chinava allora la sua rosa
    Il melograno
    Rapporto di celeste geometria
    Che pareva miracolo esistente



    Per qualche ignota ragione
    Tornano sempre le cose
    Nei giorni
    Di straordinaria salita



    E il melograno ci insegnava altro
    Il nostro Dio di cartapesta

    Il sasso
    Il seme
    Il tuo fardello



    ...nel riflesso del tramonto
    Diluiva il verde del giardino
    Oltre il cancello



    .
     
    Top
    .
  8. gheagabry
     
    .

    User deleted



    DA LUSSY


    image
    Melo - Malus pumila Mill.


    Generalità
    Originario di una zona sud caucasica, il melo è oggi coltivato intensivamente in Cina, Stati Uniti, Russia, Europa (soprattutto in Italia e Francia).
    In Italia la produzione è concentrata nel settentrione: l'80% del raccolto nazionale, infatti, proviene da tre regioni del Nord: Trentino-Alto Adige (46%), Emilia-Romagna (17%) e Veneto (14%). Altre aree di una certa importanza sono Piemonte, Lombardia e Campania.
    Appartiene alla grande famiglia delle Rosaceae, sottofamiglia Pomoideae, genere Malus.
    Il melo è una pianta di dimensioni medio-elevate che può raggiungere un'altezza anche di 8-10 metri.
    Il melo presenta gemme a legno e miste portate da diversi rami fruttiferi, cioè da dardi, lamburde, brindilli e rami misti. Il frutto è un pomo o melonide (falso frutto); la corteccia è tipicamente liscia rispetto altre specie e la foglia si distingue per il margine seghettato. Esiste autoincompatibilità gametofitica nel gruppo della cultivar (cv), ma i gruppi pomologici sono tra loro intercompatibili, perciò sono necessarie più cv per un impianto.
    Limiti pedoclimatici: è resistente al freddo (fino a -25°C, con qualche eccezione), per la sensibilità alle gelate tardive dipende dall’epoca di fioritura, e sopporta bene il calcare se il terreno è ben drenato, si adatta a vari terreni.


    image

    Varietà e portainnesti

    Il panorama varietale è molto ampio e per la scelta ci si riferisce alle Liste di orientamento varietale - Progetto finalizzato MiPAF.
    - Gruppo Gala: Sansa, Gala schnizer, Prime red, Summerfree
    - Guppo Red Delicius: Early red one, Red chief, Scarlet spur
    - Guppo Golden: Golden delicious cl b, Smoothee, Tentation
    - Guppo Jonagold: Novajo, Renetta del Canada, Querina
    - Guppo Stayman: Staymared, Superstayman, Stayman winesap Lb 781
    - Guppo Fuji: Fuji kiku 8, Fuji naga-fu 12
    - Altre: Imperatore Dallago, Granny Smith, Annurca, Pink Lady.
    I portinnesti utilizzati sono:
    - M9, per impianti ad alta densità
    - M9 cloni: EMLA, meno pollonifero, T3377, T338, T339 (Nakb) produttivi
    - M9 simili: Pajam1 e 2, il primo è meno vigoroso
    - M26, per terreni fertili e non asfittici
    - Cover 2, dà qualità.
    La propagazione avviene: per seme, margotta di ceppaia e propaggine di trincea per l’ottenimento di portinnesti, anche se vi è una diminuzione dei franchi da seme, mentre si usa l’innesto per la parte superiore.


    image

    Tecnica colturale

    Le forme di allevamento prevalenti oggi sono la palmetta e il fusetto con sesti di impianto che partono da un minimo di 3 m per 1 m e 5 m per 4 m, rispettivamente; la densità d’impianto varia da 500 fino a 3000 piante/ha.
    L’irrigazione è sempre necessaria per la produzione, 6000 m3/ha. La concimazione ci rimanda alle metodiche agronomiche del calcolo delle asportazioni e dell’analisi fogliare; si tenga conto che gli elementi primari richiesti sono N (80-90 kg/ha/anno) e K (50-80 kg/ha/anno), il P in quantità inferiore alla metà dei precedenti (100-120 kg/ha biennale o triennale). Sono importanti anche Ca, Mg, Bo, Fe,Zn, S.
    Circa la potatura è possibile attuare quella di tipo meccanico, puntando perciò a produrre su lamburde; è necessario dunque considerare l’habitus di fruttificazione. Specie su piante giovani si opera la potatura verde che consiste in una scacchiatura (eliminazione dei rami mal posti). Si ricorda che nell’operazione di diradamento dei frutti il melo è l’unica specie che risponde al diradamento chimico. Per gli impianti intensivi si utilizza soprattutto bioregolatori per controllare l’equilibrio vegeto-produttivo nelle varie fasi, secondario risulta il contenimento dell’apparato radicale.

    Produzioni

    La produzione si aggira sulle 40 t/ha. Per quanto concerne la raccolta ci si basa su indici quali il colore, la resistenza della polpa (penetrometro) ed il contenuto in amido della polpa. - La conservazione si avvale oggi dell’idrocooling, sistema che permette una maggiore conservazione del frutto per effetto di bagnatura in ambiente freddo. Metodi di conservazione possibili sono: l’atmosfera normale, con temperatura intorno a 0°C, UR di 85-90%, che mantiene le mele per 2-3 mesi, l’atmosfera controllata, con temperatura poco sopra lo 0°C e concentrazione di O2 e CO2 inferiore a 10%, oppure il sistema Ultra Low Oxygen a bassissima concentrazione di O2 ; è possibile anche la conservazione subatmosferica, con pressione di 0,13 atm, ed anche la rimozione di etilene durante la conservazione, con KMnO2 .
    Oltre che per il tradizionale consumo fresco, la mela può essere utilizzata per la produzione di succhi, marmellate, sciroppi, dolci, sidro oppure essiccata. In cucina trova largo impiego come ingrediente per pietanze, dolci e macedonie.
    image
    Avversità

    Carenze e fisiopatie possono comportare spaccature dei frutti, cascola dei frutti e rugginosità suberosa. Fitopatie si manifestano in conservazione: disfacimento interno e sugoso, riscaldo molle. Altre ancora le alterazione fisiologiche. Importante malattia batterica è il colpo di fuoco batterico (Erwinia Amilovora), tra le crittogame sono da ricorda la ticchiolatura (per la quale esistono cv reistenti), mal bianco. Degli insetti si ricordano lepidotteri, quali carpocapsa (Cydia pomonella), rodilegno rosso (Cossus cossus) e giallo (Zeuzera Pyrina), afidi, quali grigio, lanoso, verde, mentre tra altri c’è la cocciniglia di San Josè (Quadrapsidiotus pernicosus).



    Mela Red Love


    image

    La Mela rossa. Fuori e dentro.

    Vi ricordate quando vi raccontavano la favola di Biancaneve e volevate essere voi a dare un morso alla mela incantata ed aspettare anche per un secolo il vostro vero amore??Ci si immaginava che dando un morso ad una mela sarebbe arrivato il principe azzurro sul suo cavallo bianco pronto a ridarvi la vita con un bacio e farvi vivere felici e contenti senza preoccupazioni senza problemi per sempre..

    Non so voi ma tutte le volte che mia mamma mi raccontava questa storia andavo a dare un morso ad una mela ed aspettavo pazientemente il mio principe.. però non è arrivato con un cavallo bianco ma con una seat ibiza nera, non è vero che i problemi spariscono grazie al frutto magico ma è bello pensare che esista questa possibilità no??

    Vi ho fatto questa premessa forse un po’ assurda perchè mia madre è tornata a casa con un sacchetto di mele chiamandole mele fragoline.

    Ho scoperto poi che si chiamano mele RED LOVE hanno la buccia rosso fuoco esternamente ed internamente sono striate di rosso, appena l’ho aperta mi sono domandata se il rosso dentro fosse normale o se si trattassero dei soliti Organismi Geneticamente Modificati. Quindi ho fatto un pò di ricerche e…….

    la mela RED LOVE è stata creata in Inghilterra dal agronomo Svizzero Markus Kobertis ha passato gli ultimi 20 ANNI ha incrociato vari tipi di melo fino ad ottenere la mela RED LOVE.

    Dicono che questa nuova mela sia ricca di antiossidanti e che non annerisca a contatto con l’aria..

    sinceramente l’ho mangiata ed è buona non sono una patita delle mele perchè da settembre in poi ce le portiamo dietro per tutto l’inverno però se le troverò in commercio ancora le comprerò sicuramente.

    La prossima volta non voglio mangiarla così ma voglio provare a creare delle torte vi immaginate le fette di mela rossa in mezzo alla vostra crostata di frutta o alla vostra classica torta di mele??Secondo me farà un gran contrasto senza usare coloranti.

    image
    Se la provate ditemi cosa ne pensate mi raccomando.

     
    Top
    .
  9. gheagabry
     
    .

    User deleted


    DA TAPPI





    Pesco - Persica vulgaris Mill.
    Atlante delle coltivazioni arboree - Alberi da frutto




    Generalità
    Il pesco è probabilmente originario della Cina (secondo alcuni del Medio Oriente - Persia), dove lo si può ancora rinvenire allo stato selvatico. L'introduzione del pesco in Europa viene da alcuni attribuita ad Alessandro Magno a seguito delle sue spedizioni contro i Persiani, secondo altri i Greci lo avrebbero introdotto dall'Egitto.
    Viene coltivato in molti Stati nelle zone con clima temperato mite. A livello mondiale i maggiori produttori sono gli Stati Uniti, seguiti dall'Italia, Spagna, Grecia, Cina, Francia e Argentina.
    In Italia le regioni maggiori produttrici sono l'Emilia-Romagna (circa 1/3 della produzione), Campania (1/4), Veneto e Lazio. I primi pescheti specializzati in Italia risalgono alla fine dell'800 e sono stati realizzati in provincia di Ravenna.
    Il pesco appartiene alla famiglia delle Rosaceae, tribù delle Amigdaleae, sezione delle Prunoidee , genere Persica, specie vulgaris. Secondo altri studiosi apparterrebbe al genere Prunus (specie persica), come l'albicocco, il ciliegio, il mandorlo e il susino.
    Il genere Persica comprende varie specie, tra cui diverse ornamentali. Tra quelle coltivate ricordiamo:
    - Persica vulgaris Mill. (= Prunus persica (L.) Batsch.): produce frutti con buccia tomentosa; da consumo fresco o da industria;
    - Persica laevis DC (= Prunus persica var. necturina Maxim., Prunus persica var. laevis Gray): pesco noce o nettarina, che produce frutti glabri da consumo fresco.
    Il pesco comune è un albero di modeste dimensioni, alto fino a ca. 8 m, con apparato radicale molto superficiale, corteccia bruno-cenerina e rami radi, divaricati, rosso-bruni.
    Le foglie sono lanceolate, strette, seghettate.
    I fiori, che sbocciano prima della comparsa delle foglie, sono ermafroditi, ascellari, pentameri, colorati in rosa più o meno intenso. I petali sono cinque, il calice è gamosepalo, con cinque sepali; gli stami sono numerosi, fino a 20-30. Il pesco è, in genere, una specie autoincompatibile. Gli ovuli, generalmente due, non giungono tutti a maturazione, ma solo uno di essi viene fecondato e giunge a maturità. Il nocciolo di pesco contiene perciò un solo seme (o mandorla) solcato profondamente, che è di sapore amaro per l'elevato contenuto di amigdalina, un glucoside cianogenetico caratteristico di alcune drupacee. I frutti (le pesche) sono drupe carnose, tondeggianti, solcate longitudinalmente da un lato, coperte da una buccia tomentosa (pesche propriamente dette) o glabra (pesche-noci o nettarine) di vario colore. La polpa è succulenta, di sapore zuccherino più o meno acidulo, di color bianco, giallo o verdastro. La pesca ha una tipica consistenza polposa e succosa che è dovuta all'elevato contenuto in acqua ed alla presenza di pectina.
    La maturazione dei frutti avviene tra la prima e la seconda decade di maggio nelle zone meridionali, fino alla fine di settembre per le cultivar più tardive.
    In linea di massima le condizioni climatiche italiane e degli altri Paesi mediterranei sono ideali per la coltivazione del pesco che può sopportare limiti assai ampi, da minime invernali di anche -15 -18°C fino ad ambienti subtropicali dove il riposo invernale è alquanto limitato.





    Varietà e portinnesti
    La scelta del portinnesto dipende da numerosi fattori: il tipo di terreno, le colture che hanno preceduto, la possibilità o meno di irrigare, la reperibilità sul mercato vivaistico, la varietà, ecc. Numerosi sono i possibili portinnesti utilizzabili anche se, nella pratica, quelli più diffusi sono pochi. Ricordiamo: Franco Slavo, Selezioni del franco, Serie P.S., GF 677, Sirio, Hansen, Barrier 1, Susino, M.r.S 2/5, Penta e Tetra.
    Le cultivar di pesco, in relazione alla specie di appartenenza e al tipo di prodotto fornito, vengono distinte in:
    - cultivar da consumo fresco;
    - nettarine;
    - percoche.
    Nell'ambito delle specie fruttifere maggiormente diffuse nel nostro paese, il pesco da sempre registra la più ampia "creatività" intesa come numero di nuove cultivar che annualmente vengono poste all'attenzione dei frutticoltori. Tale situazione pone problematiche sia al mondo della ricerca, per le difficoltà che si incontrano nel tentativo di valutare preventivamente le "novità varietali" prima che siano rese note sui cataloghi vivaistici; sia a quello produttivo, per il disorientamento che provoca tra i frutticoltori al momento della scelta delle cultivar che dovrebbero rispondere alle esigenze programmatiche dei nuovi impianti da realizzare. Questo intenso dinamismo ha modificato sostanzialmente il "vecchio assortimento varietale", cosa non avvenuta per molte altre specie fruttifere.
    Soprattutto nell'ultimo decennio si è assistito ad importanti mutamenti dei caratteri pomologici e commerciali delle nuove cultivar di pesco che interessano sostanzialmente:
    a) il colore dell'epidermide, che si è evoluto dal rosso più o meno soffuso e spesso striato su fondo difficilmente privo di verde, seppure chiaro, ad un rosso molto intenso ed estremamente unito, che compare spesso assai prima dell'epoca di raccolta commerciale dei frutti;
    b) il sapore della polpa, che tende ad "appiattirsi" rispetto a quello tipico delle "vecchie cultivar", tanto a polpa gialla (generalmente più acide), quanto a polpa bianca (quasi sempre più sapide, perché maggiormente ricche di zuccheri);
    c) la consistenza del frutto, tanto sull'albero che post-raccolta, che nelle "nuove cultivar" si presenta elevata o molto elevata, rispetto a quella media o medio-scarsa delle "vecchie cultivar".
    Queste modificazioni hanno interessato le cultivar per il consumo fresco, tanto di pesco che di nettarine, ma non quelle per l'industria, più legate a specifiche esigenze tecnologiche dei mezzi meccanici e chimici utilizzati per la trasformazione dei frutti.
    Le cultivar da consumo fresco vengono distinte in:
    - cultivar a polpa gialla consigliate: Earrly Maycrest, Queencrest, Maycrest, Springcrest, Spring Lady, Springbelle, Royal Glory, Flavorcrest, Redhaven, Rich Lady, Lizbeth, Red Moon, Red Topo, Summer Rich, Maria Marta, Glohaven, Pontina, Romestar, Elegant Lady, Suncrest, Red Coast, Symphonie, Franca, Sibelle, Cresthaven, Roberta Barolo, Bolero, Fayette, Promesse, Sunprice, Aurelia, Early O'Henry, Padana, Calred, O'Henry, Guglielmina, Parade, Flaminia, Fairtime;
    - cultivar a polpa bianca consigliate: Primerose, Springtime, Alexandra, Felicia, Anita, Iris Rosso, Maria Grazia, Daisy, Alba, Bea, Redhaven Bianca, Maria Bianca, Fidelia, White Lady, Rosa del West, Maria Rosa, Rossa San Carlo, Maria Angela, Tendresse, Toro, Dolores, K2, Regina Bianca, Duchessa d'Este, Maria Delizia, Tardivo Giuliani, Michelini, Regina di Londa.
    Le nettarine possono essere distinte in:
    - a polpa gialla consigliate: May Glo, Lavinia, Armking, Rita Star, Maria Emilia, Supercrimson, May

    Diamond, Red Delight, Weinberger, Gioia, Early Sungrand, Big Top, Spring Red, Firebrite, Maria Laura, Independence, Flavor Gold, Pegaso, Maria Carla, Red Diamond, Antares, Summer Grand, Flavortop, Stark Redgold, Nectaross, Maria Aurelia, Venus, Maria Dolce, Orion, Sweet Red, Caldesi 84, Royal Giant, Sirio, Scarlet Red, Fairlane, Tastyfree, Caldesi 85, California;
    - a polpa bianca: Silver King, Caldesi 2000, Caldesi 2010, Silver Star, Silver Moon, Caldesi 2020.
    Tra le pesche da industria (o percoche) consigliate ricordiamo: Federica, Tirrenia, Loadel, Villa Giulia, Romea, Villa Adriana, Tebana, Adriatica, Lamone, Villa Ada, Babygold 6, Villa Doria, Carson, Vivian, Andross, Jungerman, Babygold 9, Merriam.



    .

    DA LUSSY

    silvana.complimenti.....sei stata brava...


    image


    DA DAMIK




    DA TAPPI

    TECNICA COLTURALE





    Il pescheto può essere eseguito con astoni innestati da vivaio, piante innestate a gemma dormiente (1-2 gemme), con portinnesti di un anno da innestare in campo e anche con piante in vaso innestate e in vegetazione.
    I sistemi di allevamento del pesco si possono classificare in: forme in volume, forme a parete verticale e a pareti inclinate. Tutte le forme si possono ottenere più o meno rapidamente a seconda che si privilegi una potatura che si preoccupi soprattutto della forma voluta oppure la precoce entrata in produzione, limitando quanto più possibile interventi di taglio nei primi anni arrivando alla forma voluta più tardi. La moderna frutticoltura tende sempre più al secondo metodo per ammortizzare i costi nel minor tempo possibile. In generale, si può affermare che l’attuale tecnica tende a contenere lo sviluppo delle piante al fine di ridurre i tempi di lavoro.
    Le forme di allevamento utilizzate nelle diverse realtà persicole sono: vaso, vasetto ritardato, vaso veronese, Palbidone, Palmetta, Pal-spindel, Fusetto, Ipsilon trasversale.
    La scelta del sesto d'impianto deve tenere conto di molti elementi: il portinnesto, la fertilità del terreno, la forma di allevamento, la disponibilità di acqua, la varietà , ecc.
    La potatura di produzione ha lo scopo di regolare la produzione e migliorare la qualità dei frutti. Nel pesco inizia molto presto: già al secondo anno compaiono diversi frutti e al quarto o al quinto anno si passa alla piena produzione; l’intensità del diradamento dei rami misti deve anch’essa essere man mano maggiore fino a raggiungere il 50-70 % nella fase adulta. Al raggiungimento della piena fruttificazione si deve porre la massima attenzione per mantenere il giusto equilibrio fra vegetazione e produzione, distribuendo quest’ultima sulle branche primarie e secondarie in modo razionale mediante l’asportazione dei rami che hanno prodotto e tagli di ritorno sopra uno o più rami misti di giusto vigore, eliminando i rami troppo vigorosi o male inseriti così da mantenere i rami a frutto il più possibile vicino alla struttura scheletrica della pianta.
    Le varietà di pesche da industria (percoche), in generale, producono meglio sui dardi (mazzetti di maggio) e sui brindilli inseriti sui rami che hanno già fruttificato (grondacci), pertanto questi non vanno asportati completamente ma accorciati o diradati in quanto per queste varietà l’industria richiede frutti di pezzatura uniforme e non grossa.
    Durante la piena fruttificazione è necessario eseguire uno o due interventi in verde per asportare i succhioni, diradare o piegare i germogli onde favorire una buona lignificazione e mantenere rivestita la parte basale della chioma.
    Il diradamento dei frutti è la più importante operazione per ottenere frutti di pezzatura commerciale a complemento della potatura sia di allevamento che di produzione. Va eseguita alla quarta-sesta settimana (25-35 giorni) dopo la piena fioritura: iniziata precocemente assicura una miglior pezzatura dei frutti, un anticipo della maturazione, miglior colore e maggiore differenziazione di gemme per l’anno successivo ma, nelle varietà soggette a spaccatura del nocciolo, ne accentua il difetto. Nelle varietà molto precoci e sotto tunnel di forzatura, può essere utile eseguire il diradamento in due volte, una prima volta energica e una seconda di rifinitura.
    La corretta nutrizione è un elemento fondamentale per assicurare elevati livelli produttivi e qualitativi del pescheto; essa deve tenere conto di tutte le tecniche colturali applicate e delle reali condizioni del terreno opportunamente analizzato. L’estrema diversità di tipi di terreno e di ambienti in cui il pesco viene coltivato rende impossibile una generalizzazione della concimazione; questa deve sempre essere fatta sulla base di informazioni relative alle caratteristiche fisico-chimiche risultanti dalle analisi del terreno. Durante la preparazione del terreno è sempre consigliabile un’abbondante concimazione organica sia generalizzata che localizzata sulla fila o nella buca; nei terreni sciolti, grossolani, è

    opportuno frazionare gli apporti organici distribuendone parte prima dell’impianto e parte alla fine della prima vegetazione, calcolando che per ogni 100 quintali di letame si apportano circa 50 unità di azoto, 30 unità di fosforo, 40 unità di potassio, microelementi, e si migliora la struttura del terreno nonché l’assorbimento degli elementi nutritivi. La concimazione minerale deve tenere conto delle dotazioni di fosforo e potassio rilevate. Con le nuove tecniche il periodo di allevamento è ridotto quasi ad una sola vegetazione, pertanto fin dal primo anno si deve intervenire con la concimazione in funzione della produzione; questa dovrebbe essere guidata dalla diagnostica fogliare stante la diversità di condizioni che caratterizza le aree peschicole e gli stessi frutteti. L’inerbimento favorisce l’assorbimento sia del potassio che del fosforo. I microelementi vanno considerati con attenzione ricorrendo alla diagnostica fogliare per valutarne la necessità di apporti durante la fase produttiva.
    I fabbisogni idrici del pesco variano a seconda di diversi fattori: terreno, piovosità, portinnesto, varietà, gestione del suolo, ecc.. E’ stato calcolato che un ettaro di pescheto in produzione consuma da 2500 a 4000 mc d’acqua pari a 250-400 mm di pioggia; considerando però che le piante utilizzano solo una parte dell’acqua che arriva loro per le precipitazioni o per l’irrigazione, l’apporto deve essere sensibilmente superiore.
    La distribuzione del totale volume di adacquamento deve differenziarsi in funzione delle diverse situazioni: più frequente nei terreni sciolti che in quelli compatti; più concentrata in primavera-inizio estate per le varietà precoci; abbondante nella fase di fioritura, scarsa fino all’indurimento del nocciolo, più forte durante l’accrescimento del frutto, ancora limitata dopo la raccolta seppur continua, per favorire la differenziazione delle gemme e l’accumulo di sostanze di riserva.
    L’inerbimento anche parziale del pescheto comporta la necessità di abbondare con le concimazioni e l’irrigazione a causa della competizione nutrizionale ed idrica che può compromettere l’attività vegetativa e la quantità dei frutti. L’inerbimento migliora le caratteristiche di porosità e permeabilità del terreno, inoltre incrementa il contenuto di sostanza organica e l’attività biologica del terreno.
    Nei pescheti condotti in coltura asciutta non è possibile l’inerbimento ed è necessario ricorrere alla lavorazione del suolo con la precauzione di eseguirla in modo molto superficiale, evitando l’esecuzione in periodi troppo umidi per non compattare e creare problemi di asfissia alle radici del pescheto


    PRODUZIONI





    Per determinare il momento ottimale per eseguire la raccolta si può ricorrere all'uso di penetrometri, strumenti che consentono di determinare la resistenza alla penetrazione di puntali di superficie nota, anche se per il pesco si ricorre spesso ad altri parametri, tra cui il controllo della colorazione dell'epidermide, in particolare modo del colore di fondo.
    La raccolta viene effettuata generalmente in più volte; sono escluse le percoche qualora si pratichi la raccolta meccanica. questa operazione può essere fatta ricorrendo ai sistemi tradizionali, cioè alle scale oppure ad appositi carri raccolta opportunamente attrezzati per l'utilizzazione dei pallets.
    La produttività degli impianti peschicoli può variare notevolmente: risulta minore per le cultivar precoci mentre tende ad aumentare per quelle tardive; nelle cultivar più produttive può giungere fino a 400 q/ha.
    Dalle aziende le pesche passano, normalmente, ai magazzini di lavorazione dove si provvede alla cernita, alla spazzolatura, e al confezionamento in imballaggi standardizzati e per le varietà intermedie o tardive alla conservazione.
    La pesca oltre che essere consumata allo stato fresco in numerose preparazioni è largamente utilizzata nella produzione di marmellate, succhi e pesche sciroppate, pesche essiccate, mostarda e canditi, frutti al brandy, alcool.. In Italia l'industria conserviera di pesche occupa un posto di primo piano.




    AVVERSITA'





    Avversità non parassitarie
    Sono rappresentate dalle difficili condizioni climatiche, dalle alterazioni dovute a carenze o eccessi nutrizionali e idrici, da un errato uso di fitofarmaci o dagli inquinanti atmosferici. Le principali avversità meteoriche sono le basse temperature, la grandine, la neve, e il vento. I freddi precoci risultano dannosi in alberi di pesco abbondantemente e tardivamente concimati con azoto e/o oggetto di irrigazioni eccessive eseguite tardivamente e in tutti i casi in cui l'attività vegetativa delle piante sia protratta oltremisura nel tempo. I forti freddi invernali possono causare danni anche gravi. I freddi tardivi risultano particolarmente dannosi in prossimità della fioritura. La grandine è in grado di provocare gravi danni non solo alla produzione ma anche alla vegetazione. Il vento risulta molto dannoso durante la fioritura perché impedisce il volo dei pronubi, oltre che in prossimità della maturazione in quanto determina un distacco anticipato dei frutti.
    Virosi, micoplasmosi e batteriosi
    La tecnica della micropropagazione ha reso possibile la commercializzazione di materiale esente da virosi.
    Ciononostante nei pescheti adulti è possibile riscontrare ancora diverse virosi o micoplasmosi quali: accartocciamento clorotico, calico o mosaico giallo, nanismo, maculatura anulare, maculatura clorotica, mosaico, rosetta a mosaico, rosetta a foglie saliciformi, pesca verrucosa, butteratura del legno, giallume, rosetta, malattia X.
    Le batteriosi che si possono riscontrare sul pesco sono rappresentate essenzialmente dal tumore radicale, dal cancro batterico e dalla maculatura batterica.
    Micosi
    Molte sono le crittogame parassite del pesco; tra le tante risultano più dannose la bolla, l'oidio, il corineo, la monilia, il cancro, il mal del piombo, il marciume del colletto.
    Parassiti animali
    Tra gli insetti ricordiamo: gli afidi (afide nero del pesco, afide bruno del pesco, afide farinoso del pesco, afide verde del pesco), le cocciniglie (cocciniglia a barchetta del pesco, parlatoria dei fruttiferi, cocciniglia bianca del pesco, cocciniglia di S. Josè), l'anarsia, la tignola orientale, la mosca della frutta; danni occasionali possono essere provocati dal taglia gemme dei fruttiferi, dal taglia gemme dorato, dallo scolitide dei fruttiferi e dallo xileboro dei fruttiferi.
    Gli acari presenti sul pesco sono essenzialmente il ragno rosso, il ragnetto rosso, il ragnetto bruno dei fruttiferi.
    I nematodi che attaccano il pesco sono molti e fra questi alcuni del genere Meloidogyne.





    POESIA CINESE




    LA STORIA DELLA SORGENTE DEI FIORI DI PESCO

    All'epoca in cui regnò la dinastia Jin , e precisamente durante l'era Taiyuan , c'era un pescatore di Wuling , che, un giorno, risalendo con la sua barchetta il corso di un torrente, si allontanò, senza rendersene conto, dai posti conosciuti. Improvvisamente, si ritrovò in mezzo ad un boschetto di peschi fioriti. Sulle due rive, per molte centinaia di passi, c'erano soltanto alberi di pesco, dai cui rami cadevano, in un turbinio incessante, splendidi petali profumati.

    Il pescatore fu molto sorpreso da questo spettacolo, ma andò avanti, perché voleva vedere fin dove giungesse quel boschetto.

    Il pescheto finiva proprio accanto alla sorgente del corso d'acqua, dietro la quale si ergeva una montagna.Nella parete rocciosa si scorgeva una fenditura dalla quale sembrava filtrare un po' di luce. Il pescatore scese dalla sua barca e penetrò nella fessura della roccia che, all'inizio, era così stretta da lasciar passare una sola persona.
    Dopo qualche decina di passi, però, la galleria sbucava inaspettatamente all'aperto in un'ampia pianura, tutta circondata dalle montagne, ed apparivano d'un tratto alla vista numerose e magnifiche case. C'erano bei campi, deliziosi laghetti, filari di gelsi, boschetti di bambù, ed altre cose dello stesso genere. Sui sentieri che si intersecavano tra i campi si sentivano abbaiare i cani, chiocciare le galline. Uomini e donne indossavano abiti di foggia mai vista, come gli stranieri. Vecchi e giovani avevano un aspetto lieto e sereno.

    Coloro che scorsero per primi il pescatore furono grandemente sorpresi della sua presenza e gli chiesero da dove venisse. Il pescatore glielo disse. Allora lo invitarono a casa loro, gli offrirono un bicchiere di vino, tirarono il collo ad una gallina e prepararono da mangiare. Nel villaggio si sparse la voce che era arrivato un forestiero e tutti vennero a fargli domande.

    Gli raccontarono poi che, per sfuggire ai disordini che si erano verificati ai tempi della dinastia Qin , i loro antenati avevano preso con sé mogli, figli e compaesani e si erano rifugiati in quell'angolo remoto, da cui non erano più usciti. Così erano vissuti per generazioni separati dal mondo esterno.


    Gli domandarono come andassero le cose ora. Non sapevano nemmeno che fosse esistita la dinastia degli Han , per non parlare dei Wei e dei Jin.

    Il pescatore spiegò loro minuziosamente ciò che era accaduto nei secoli precedenti e tutti lo ascoltarono pieni di stupore, sospirando.

    Tutti gli altri abitanti del villaggio lo invitarono poi nelle loro case, offrendogli da mangiare e da bere.

    Dopo essersi trattenuto alcuni giorni nel paese, il pescatore prese congedo. Al momento di salutarlo, gli abitanti del villaggio lo pregarono di non riferire alla gente di fuori della loro esistenza.

    Il pescatore uscì, risalì sulla sua barchetta e, rifacendo il percorso a ritroso, lasciò dappertutto dei segnali per potere, in seguito, ritrovare la via.

    Appena giunto in città, si presentò al prefetto e gli riferì ciò che aveva scoperto. Il prefetto mandò subito alcuni uomini ad accompagnarlo nella ricerca delle tracce che egli aveva sparso lungo il cammino, ma la spedizione si smarrì e non riuscì più a ritrovare la strada che conduceva al villaggio nascosto.

    Liu Ziji di Nanyang era un uomo di valore. Quando sentì raccontare questa storia si rallegrò e progettò di andare in cerca del villaggio, ma non poté farlo perché si ammalò e morì.

    Dopo di lui, nessuno s'è più curato di cercare il paese della felicità.



    NOTE

    La dinastia dei Jin governò la Cina dal 265 d.C. al 420 d.C ( Jin Occidentali 265-316, Jin Orientali 316-420).





    DA GIULIA SCARDONE


    DELLE BELLE IMMAGINI DI ALBERI DI PESCO








     
    Top
    .
  10. gheagabry
     
    .

    User deleted


    IL NOCCIOLO


    Corylus avellana





    Il nocciòlo (Corylus avellana L., 1753) è una pianta appartenente alla famiglia delle Betulaceae.
    Il nome del genere deriva dal greco κορις = elmo, mentre l'epiteto specifico deriva da Avella, paese in cui è presente in quantità massicce.
    La pianta ha portamento a cespuglio o ad albero e raggiunge l'altezza di 5-7 m.
    Ha foglie decidue, semplici, obovate a margine dentato.
    E'una specie monoica dicline. Le infiorescenze sono unisessuali. Le maschili in amenti penduli che si formano in autunno, le femminili somigliano ad una gemma di piccole dimensioni.
    Ogni cultivar di Nocciolo è autosterile ed ha bisogno di essere impollinata da un'altra cultivar.
    Il frutto (detto nocciola o nocciolina) è avvolto da brattee da cui si libera a maturazione. Esso è commestibile ed è ricco di un olio, usato sia nell'alimentazione che nell'industria dei colori e in profumeria.

    Il suo areale spazia dall'area mediterranea a quella montana, spingendosi sino a quote intorno ai 1500 metri. Preferisce terreni calcarei, fertili, profondi.

    Vengono coltivate numerose varietà da frutto e ornamentali: tra queste ultime sono notevoli la varietà pendula, la varietà contorta, a portamento tortuoso, e la varietà fusco-rubra, a foglie porporine. È una pianta colonizzatrice che, avendo esigenze modeste in fatto di terreno e di clima, si adatta a svariate condizioni ambientali.


    Le più importanti malattie da funghi che colpiscono il nocciolo sono il mal dello stacco (causato da Cytospora corylicola), il cimiciato dei semi (causato da Nematospora coryli) e l'oidio o mal bianco (causato da Phyllactinia guttata). Gli insetti parassiti più importanti sono la cimice angolosa (Gonocerus acuteangulatus), la cimice verde (Palomena prasina), le farfalle tortrice del nocciolo (Gypsonoma dealbana) e gemmaiola del nocciolo(Epinotia tenerana ), i coleotteri aplidia del nocciolo (Haplidia etrusca), agrilo del nocciolo (Agrilus viridis) e balanino delle nocciole (Curculio nucum).

    Le sue foglie contengono i fenoli e i flavonoidi che agiscono sia sul gonfiore sia come tonici delle vene e anche come antiinfiammatori



    Il nocciolo è una pianta resistente, facile da coltivare e anche decorativa, che può costituire folte barriere e che dona bacche rosse molto gustose. Per le sue caratteristiche può facilmente entrare a pieno titolo fra le piante da giardino e da vaso più affascinanti, a discapito del pensiero comune a riguardo...... è utilizzato per consolidare i terreni soggetti a franare, per colonizzare i terreni nudi ed è quindi presente in tutta Italia sia in pianura che fino a 1.600 metri di altitudine. Si tratta di una pianta che accompagna la vita dell’uomo da tempi immemorabili, i cui frutti entrarono a far parte dell’alimentazione molto prima di noci e castagne. Inoltre ha sempre dominato il panorama del nostro Paese, perché facile a diffondersi, resistente e tenace. Infine il nocciolo è una delle piante più resistenti a tutti i tipi di malattie che si possono manifestare in altre specie.

    Se coltivato come fusto unico, come accade ancora in campagna, il nocciolo assume subito l’aspetto di un arbusto di piccole dimensioni, con una chioma densa e globosa, che può andare da 1,5 metri a 4 metri di diametro, molto ricca di foglie. Crescendo il nocciolo a fusto unico diventa un piccolo albero, che può raggiungere i 7 metri di altezza, il quale può donare un’ombra fresca ma anche luminosa. Normalmente però viene coltivato con l’intera ceppaia, e forma cespugli con diversi fusti a portamento eretto.

    La corteccia è tipica e riconoscibile: sulla sua superficie infatti sono presenti numerose cellule dalla forma di lenti, attraversate da una fessura, molto evidenti al tatto. Il suo colore è il grigio, che può tendere al bruno o al rosso.

    Le foglie sono disposte sui rami in modo alterno e hanno una forma quasi rotonda, con apice appuntito e margine dentato. Tale dentatura è sinuosa alla base della foglia, mentre diventa regolare verso l’apice.

    Il nocciolo possiede fiori femminili e fiori maschili. Quelli maschili sono lunghi amenti penduli, dal colore bruno, mossi dal vento. Quando a inizio primavera iniziano a liberare il polline, i fiori maschili diventano giallastri. I fiori femminili sono meno evidenti: si tratta di gemme con stimmi rossi, fecondate per via anemofila, cioè con il polline portato dal vento.

    I frutti del nocciolo sono naturalmente le nocciole: queste si trovano sull’albero già piene alla fine di luglio, ma maturano soltanto per la fine di agosto. Le nocciole non vanno raccolte prima che cadano dall’albero, perché sono buone solo a maturazione completa; la nocciola acerba perde le sue qualità organolettiche. Una volta raccolta, la nocciola deve essere privata dell’involucro fibroso in cui è racchiusa e deve essere messa in un luogo ventilato ad asciugare, al riparo dal sole. Le nocciole si formano in gruppi di 2 o 4 frutti, è molto raro che si presentino in forma singola. La forma della nocciola distingue le varie specie: il nocciolo italiano ha un frutto tondeggiante, quello orientale invece ha un frutto allungato. Inoltre esistono varità ornamentali con altri frutti sempre buoni; ma esistono anche qurlli penduli con i rami contorti e con le foglie rosso purpureo, come il Corylus maxima atropurpurea.

    Le radici formano un apparato molto rigoglioso ed espanso, anche se non tanto profondo, una sorta di maglia di radici piuttosto grande. Le radici del nocciolo hanno una grande capacità di produrre polloni: i polloni se riescono a svilupparsi, possono arricchire il ceppo della pianta dandogli a lungo andare un aspetto sferico. I polloni possono poi essere separati dalla pianta madre per dare vita a nuovi alberi.



    Il nocciolo cresce molto rapidamente e verso i 40 anni finisce la sua espansione. Anche gli esemplari più longevi e rari non superano i 70 anni di vita.

    Il nocciolo necessita di terreni esposti al sole oppure in semiombra, meglio se con la luce filtrata dai rami di altre piante. L’esposizione al vento una volta cresciuto non lo spaventa, in quanto il suo legno è resistente ed elastico per natura. Occorre però fare attenzione al fatto che questa è sì una pianta resistente a gelate, freddo e nebbia, ma che le gelate tardive possono danneggiarne la produzione, causando anche la perdita dei frutti. Dall’altra la siccità può creare uno sviluppo alquanto modesto della pianta.

    Il nocciolo si adatta solitamente a diversi tipi di terreno, ma preferisce suoli freschi, profondi e sciolti, ben drenati, come quelli che caratterizzano normalmente la collina. Il nocciolo però può crescere anche in terreni compatti e ricchi di argilla. Per aiutare la pianta, ogni due mesi occorrerebbe effettuare una erpicatura leggera nel terreno, a mezzo metro almeno intorno alla ceppaia del nocciolo; questo serve per arieggiare il terreno, controllare le erbe infestanti e favorire lo sviluppo delle radici.

    Il nocciolo è una pianta molto gradita alla fauna selvatica: se si lasciano alcuni frutti a terra, essi attireranno roditori come ghiri, scoiattoli, arvicole, moscardini e topi di campagna. Non solo: anche grandi uccelli come loa gazza, il picchio o la ghiandaia si nutrono volentieri di nocciole.

    l nocciolo si diffonde facilmente e velocemente. Le nocciole mature, integre e sane si seminano in autunno. Prima però occorre tenerle immerse 2 giorni in acqua fredda, con sabbia, terriccio di bosco e torba. Di regola 3 nocciole vanno seminate per ogni vaso da 20 cm di diametro. Al secondo anno di coltivazione le nocciole vengono poi trapiantate direttamente nel terreno, durante la primavera. Altrimenti si può procedere alla semina primaverile dopo aver stratificato i frutti nella sabbia. La semina in ogni caso non darà mai esemplari identici alla pianta madre.

    La cippatura può essere totale, per rinnovare interamente la vegetazione, e avviene ogni 7 o 10 anni; oppure può essere parziale, semplicemente per ringiovanire i cespugli, e avviene ogni 3 o 4 anni. Con la potatura invece si eliminano i rami secchi, i succhioni troppo vigorosi e i rami troncati. I germogli dell’anno precedente possono essere tagliati a metà per stimolare la produzione di una nuova vegetazione. Quando la fioritura è terminata, prima della caduta degli amenti, si eliminano i rami sterili e quelli vecchi, in modo da favorire una fruttificazione abbondante.

    I polloni radicali, cioè quei cespugli attaccati alla base e numerosi in una pianta sana, si possono scalzare in autunno, per poi essere rincalzati con terra fertile a ricoprire l’apparato radicale. La tecnica della margotta si può applicare a rami flessibili e giovani, periferici rispetto alla pianta, da interrare in primavera: essi si separano dalla pianta centrale a fine autunno o a inizio primavera. La riproduzione per talea avviene per i rami di un anno lignificati già in parte, che devono essere posti in agosto in un composto di sabbia e torba in parti uguali, da mantenere umido ma non inzuppato.

    Il nocciolo si usa per realizzare le sottili strisce di vimini della gerla di montagna



    Le voci del bosco


    Il nocciolo già quando lo vedi sottile, dritto, alto e ben vestito, ti dà l’idea del furbetto che non vuole fare nulla: quello che, per evitare qualsiasi seccatura, mette in banca la sua vita con la speranza di proteggerla e farla fruttare senza sforzi. E’ talmente refrattario a qualsiasi rischio, che neanche si sogna di osare qualcosa di suo. La fatica lo spaventa a tal punto che si rifiuta persino di crescere e diventare grosso. Ma non è stupido e cerca i posti a “solivo” ossia dove batte il sole, come diceva mio nonno. Difficilmente lo trovi a “pusterno”, dove il sole del nord a malapena lo sfiora. Molte volte si nasconde e, per vederlo, devi sbatterci contro.
    Al pari di tutti i vili e fannulloni cerca la forza nel branco, perciò cresce assieme agli altri noccioli in numerose combriccole.
    Queste si piazzano sempre all’inizio del bosco, in modo da poter infastidire e intralciare il passo del viandante. A vederle sembrano quelle bande di giovani bulletti, padroni dei quartieri, il cui unico coraggio sta nell’importunare i vecchi o picchiare i barboni. Basterebbe solo il rumore della motosega per vederli cambiare colore e tremare di paura. Altro che la forza e il carattere del carpino che ho conosciuto seguendo mio nonno nei boschi!


    (Brano tratto dal libro “Le voci del bosco” di Mauro Corona





    Nocciole


    Le nocciole sono frutti oleosi che presentano un’elevata concentrazione energetica, con circa 600 calorie per ogni 100 grammi di nocciole. Ha un gusto molto burroso, dovuto alla percentuale di grassi molto alta, pari al 58%, e alla presenza massiccia di zuccheri e proteine, per il 5 e il 15%, che ne garantiscono le ottime proprietà nutrizionali. Le nocciole apportano potassio, fosforo e magnesio, che combattono sindromi di stanchezza e stress e aiutano a mantenere un metabolismo veloce. Consumate a fine pasto o come aperitivo, le nocciole aiutano a mantenere il peso o a recuperarlo. Se tostate hanno un gusto molto esaltato e risultano più digeribili. La cuticola amara interna al guscio si può eliminare facilmente mettendo le nocciole in forno a 200°C per un minuto, per poi passarle tra le mani o in un canovaccio.

    Perché il sapore delle nocciole si mantenga buono, esse devono essere conservate in cantina, sul balcone o in frigorifero, quindi in un luogo fresco. Le nocciole però vanno servite a temperatura ambiente, poiché se fredde risultano meno saporite. Stratificare le nocciole in sabbia umida è un metodo sempre valido, anche se tradizionale, per conservarle; tuttavia è preferibile consumare tutte le nocciole prima della fine di febbraio. Altrimenti si possono anche surgelare una volta sgusciate.

    Le nocciole migliori da acquistare sono quelle delle Langhe e le avellinesi; cerchiamo sempre di scegliere nocciole di provenienza certificata. Possono essere felicemente utilizzate per creare creme, gelati, torroni, torte, croccanti e semifreddi: con le nocciole si cucinano la maggior parte delle ricette di dolci più conosciute, anche la Nutella è a base di nocciole ad esempio.

    In Italia, secondo produttore mondiale dopo la Turchia, il nocciolo è coltivato in modo intensivo principalmente in poche zone (in parentesi sono indicate le cultivar):
    Piemonte, nelle Langhe (Tonda Gentile delle Langhe).
    Lazio, in provincia di Viterbo (Tonda Gentile Romana).
    Campania, nelle province di Caserta principalmente nell'Alto Casertano (Tonda di Giffoni, Camponica, Mortarella, S.Giovanni), Napoli e Avellino (Mortarella, S.Giovanni, Camponica) e Salerno (Tonda di Giffoni).
    Sicilia, principalmente nella provincia di Messina, ma anche sull'Etna, sulle Madonie e nei dintorni di Piazza Armerina.
    Le cultivar di riferimento sono: Tonda Gentile delle Langhe, piemontese, molto richiesta dall'industria dolciaria. Si ambienta con difficoltà fuori dalla sua area classica di coltivazione. Tonda di Giffoni, originaria della provincia di Salerno, è coltivata in varie zone della Campania e del Lazio essendo una cultivar che presenta un buonissimo ambientamento anche in zone diverse dall'area tipica di coltivazione. Molto richiesta dall'industria dolciaria. Tonda Gentile Romana, della provincia di Viterbo. Mortarella e S.Giovanni, campane a frutto allungato. Camponica, campana a frutto grosso, ottima per il consumo da tavola. In Sicilia la varietà più diffusa è la "Nostrale" o "Siciliana", ottima per la tostatura perché esalta il suo aroma intenso.




    OROSCOPO CELTICO



    Nocciolo

    dal 22 al 31 marzo dal 24 settembre al 3 ottobre

    I nati sotto questo segno, presentano fattezze lineari, sottili, tanto nel volto quanto nel corpo, sono dall'apparenza delicata; spesso il Nocciolo non si nota nel gruppo. Quest'aspetto mite mimetizza molto bene la realtà prepotentemente coinvolgente delle sue energie. I Noccioli si possono assumere come esempio di pazienza e testardaggine, sanno usano fino al limite del mistero la loro abile discrezione.

    Si lasciano spesso avvicinare dalle altre persone (soprattutto da Salici e Tigli) chiedendo amore e dolcezza, sfruttando anche le loro doti telepatiche, per poi in modo sconcertante dissuaderli con energia. Può risultare una esperienza pericolosa collaborare o innamorarsi di un Nocciolo. I nati sotto il segno del Nocciolo tendono a fantasticare, soprattutto mitizzando gli anni passati, in particolare dopo i quarant'anni. Rischiano di rinchiudersi in un universo fatto di storie, sentimenti, "cose passate", viste solo da un punto estetico, con emozioni sbiadite dal tempo.

    Si consiglia, per evitare un rinchiudersi in eremitaggio del Nocciolo la rassicurante compagnia nella sua vita di un Melo che può aiutarlo a ristabilire il contatto con gli altri.



    Nocciolo, tra favola e magia




    Si narra nelle favole che furono i poteri di un alberello di nocciolo cresciuto sulla tomba della mamma di Cenerentola a salvarla dalla cattiveria della matrigna e delle sorellastre e a propiziare l'incontro con il principe azzurro. Il legame del nocciolo con le forze divine è ricorrente nella tradizione di ogni paese e in ogni epoca. Dai tempi più antichi arriva la leggenda che i rami del nocciolo fossero la difesa più sicura contro tutto ciò che striscia per terra. E il riferimento alle vipere e alle serpi è ben preciso tanto che è ancora una consuetudine per i pastori d'Abruzzo scegliere un robusto ramo di nocciolo per farsi l'inseparabile bastone. Per i Celti, al nocciolo chiamato Coll, era dedicato il mese lunare in cui maturano i frutti, considerati simbolo della saggezza: un seme dolce e compatto, racchiuso in un guscio impenetrabile alle stoltezze del popolo. Le storie più curiose e vicine a noi riguardano le streghe di Otranto che, solo un paio di secoli fa, pare andassero alla ricerca di tesori sepolti accompagnate da un rametto del magico legno del nocciolo. Invece, nel Medioevo, il nocciolo veniva utilizzato per invocare il demonio e per stringere patti interessanti con le forze del male. Leggiamo in un vecchio libro: << un ramo di nocciolo, reciso con un coltello mai usato, serviva ai maghi per evocare una persona scomparsa e a far parlare un morto >>. I rami del nocciolo, nelle mani degli addetti all'occultismo, sono ritenuti un mezzo infallibile per scoprire i tesori nascosti nelle viscere della terra

    Sin dall'antichità il nocciolo è stato eletto a simbolo di "eternità" e quindi di "giovinezza", di "salute" e di "gioia".
    Questa simbologia è particolarmente "sentita" nei Paesi dell'Estremo Oriente e soprattutto in Cina e in Giappone, dove il nocciolo è molto diffuso perché, con il suo strano portamento, si inserisce armonicamente nello stile di quei giardini.

    Questo frutto chiamato in Celtico Coll, era considerato il simbolo della saggezza .I Druidi usavano per ispirarsi, tavolozze divinatorie fatte con legno di Nocciolo, dove erano incisi gli ogam, le lettere magiche.

    Coll rappresentava per i Bardi il nove, numero sacro alle Muse e collegato al nocciolo perché si diceva che l’albero fruttificasse dopo nove anni. Dal Nocciolo prendeva anche nome un dio , Mac Coll, “figlio di Coll” che fu uno dei primi tre sovrani d’Irlanda “sposati” con la Triplice Dea, colei che concedeva saggezza e ispirazione poetica.

    Un mito irlandese narrava che Fionn, nipote di un capo druido, ebbe l’ordine da un druido suo omonimo di cucinargli del salmone pescato nel fiume Boyne, ma di astenersi dall’assaggiarlo. Nel voltare il pesce nel tegame Fionn si scottò il pollice. Per alleviare il dolore portò il dito alla bocca per inumidirlo con la saliva e fu così che ricevette il dono dell’ispirazione. Quel pesce era infatti uno dei salmoni che viveva nella fontana prodigiosa chiamata Pozzo di Connla e che si era cibato dei frutti caduti dai nove noccioli dell’Arte poetica le cui fronde lambivano la fontana. Le nocciole che cadevano nel pozzo, nutrivano i salmoni, e quanti erano i frutti che essi mangiavano, tante erano le macchie brillanti che apparivano sul loro corpo.

    In Germania si raccontava che, adoperando delle bacchette di nocciolo, era possibile obbligare le streghe a restituire la fecondità ad animali e piante ai quali l’avevano tolta con i loro sortilegi. Presso i Germani, il Nocciolo era la pianta consacrata al dio dei tuoni Thor, poiché essi credevano che sotto al Nocciolo si fosse protetti dal fulmine.

    I Romani donavano piante di nocciolo come augurio di pace e prosperità, distribuendo nocciole e noci in occasione delle nozze per augurare fecondità agli sposi. E credevano anche che un ramo di nocciolo, è la difesa più sicura contro le serpi che se toccate con una verga di nocciolo sarebbero morte.

    Il ramo del Nocciolo con attorcigliati due serpenti è il simbolo della Medicina. Nel Medio Evo il Nocciolo era utilizzato per invocare il Demonio e stringere patti con le forze del male. Un ramo di Nocciolo, reciso da un coltello mai usato, serviva ai maghi per far parlare i morti o per evocare una persona scomparsa.Chi credeva nelle virtù della bacchetta divinatoria asserivano che la verga aveva anche proprietà di scoprire miniere, tesori nascosti, ladri e assassini fuggiaschi. Ancora adesso i rabdomanti lo usano per individuare vene d’acqua.

    In Romeo e Giulietta, Mercuzio così descrive la carrozza della regina Mab, la levatrice delle fate: “Il suo cocchio è un guscio di nocciola, lavorato dal falegname scoiattolo o dal vecchio verme, da tempo immemorabile carrozzieri delle fate. In questo aggeggio ella galoppa da una notte all’altra attraverso i cervelli degli amanti, e allora essi sognano d’amore”.

    Fonte: Cattabiani. Miti, leggende e simboli di fiori e piante. Ed. Mondadori.



    La leggenda del nocciolo

    Tanto tempo fa, su una collina, cresceva un nocciolo che
    non aveva frutti ed era triste.
    Un giorno un uccellino magico vide che il nocciolo era triste,
    tanto triste; allora gli chiese perchè era così giù di corda e
    l’albero gli raccontò tutto.
    L’uccellino, che era tanto generoso, chiese al nocciolo cosa
    potesse fare per aiutarlo e l’albero rispose che se gli fossero
    cresciuti dei frutti, sarebbe stato molto felice.
    L’uccellino pensò a come poter esaudire il suo desiderio.
    Si stava facendo notte e l’albero, che era molto stanco, si
    addormentò subito così l’uccellino fece quella magia.
    La mattina seguente, quando il nocciolo si risvegliò vide sui
    suoi rami i frutti che chiamò nocciole.
    Siccome gli altri noccioli erano invidiosi, allora quell’albero
    chiese all’uccellino se accontentava anche i suoi amici e
    lui li accontentò.
    Da allora tutti i noccioli hanno i frutti che si chiamano nocciole




    MODI DI DIRE

    nocciolo della questione

    • Il punto principale di una questione, l'argomento fondamentale, la sua sostanza.

    non esser mica noccioline

    • Non essere cose da poco, riferito in genere a grosse somme di denaro.
    Deriva dai tanti giochi dei bambini in cui la posta è costituita da beni di poco valore, come oggi i tappi o le biglie, e un tempo le nocciole, le castagne e così via.





    dal web
     
    Top
    .
  11.  
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    moderatori
    Posts
    43,236

    Status
    Offline

    Chinotto


    Citrus myrtifolia Raf.



    Frutti e fiori di Chinotto


    Generalità

    Il Chinotto (Citrus myrtifolia Raf.) è un agrume originario della Cina meridionale (da cui deriva il nome comune).
    E' presente in Europa da molti secoli. Secondo alcuni studiosi è considerato una mutazione gemmaria del Citrus aurantium.
    In Italia viene coltivato esclusivamente nella Riviera Ligure di Ponente.
    E' un piccolo albero (fino a tre metri di altezza), compatto, con lenta crescita e privo di spine.
    Le foglie ricordano quelle del Mirto (da cui il nome scientifico) e sono piccole, ellittiche, appuntite, cuoiose e color verde lucente.
    I fiori sono piccoli, bianchi, molto profumati, solitari o riuniti in gruppi e in posizione ascellare o terminale.
    I frutti hanno modeste dimensioni, schiacciati alle due estremità e, maturi, sono di color arancio intenso. La polpa è amara e acida e suddivisa in 8-10 segmenti.
    I frutti sono utilizzati per produrre canditi, liquori, marmellate, mostarde e la classica bibita.
    Viene innestato soprattutto su arancio amaro.. si presta molto bene alla coltivazione in vaso.



    frutti acerbi di chinotto


    Varietà

    La cultivar più conosciuta è il Chinotto Piccolo, usata anche a scopo ornamentale. Altre varietà sono il Chinotto Grande, il Chinotto Crispifolia e il Chinotto a foglie di bosso.


    Pianta di Chinotto


    Il Chinotto di Savona


    Dai suoi frutti non si ricava solo l’omonima bevanda, gassata e amarognola. Il chinotto, agrume molto profumato, serve anche per preparare canditi e marmellate. E di recente, nel savonese, è diventato una coltivazione protetta.


    Chissà da che cosa fu spinto il navigatore savonese che, secondo la tradizione, importò dalla Cina il chinotto, agrume simile all’arancio amaro. Di certo non fu conquistato dalla dolcezza dei suoi frutti: infatti, provandone ad assaggiare uno, si rimane delusi per l’asprezza del sapore e l’acidità che rende amara la bocca. Ma è innegabile la bellezza ornamentale della pianta, un alberello alto circa un metro e mezzo con foglie di un verde molto scuro e di dimensioni simili a quelle del mirto – non a caso il suo nome scientifico è Cytrus Myrtifolia. Per non parlare del profumo intenso e caratteristico che sprigiona. Che sia stato trapiantato nella Riviera Ligure di Ponente per scopi decorativi o per altro, una cosa è certa: l’antico agrume di origine orientale trovò terreno fertile proprio in Liguria, soprattutto nel territorio che va da Varazze a Finale, in Provincia di Savona. Fu qui che nel 1877 si trasferì il laboratorio di canditura Silvestre-Allemand, il primo a impiegare il chinotto a scopi industriali per la produzione dei canditi e dolciumi d’alta qualità. E presto si svilupparono vari stabilimenti che, affinando la tecnica francese, posero le basi per un’importante tradizione pasticciera. Ma ad un periodo così florido seguì presto un rapido declino: negli anni Venti, infatti, la crisi dovuta alla povertà del primo dopoguerra e a varie gelate invernali compromise lo sviluppo del chinotto.

    A tutt’oggi solo poche piante continuano ad essere coltivate in orti botanici e vivai, vere e proprie oasi protette riservate alle rinomate pasticcerie Balzola (Alassio) e Besio (Savona). Quest’ultima utilizza i frutti raccolti ancora acerbi per realizzare le “mignonnettes”, come vengono chiamate in Francia e in Austria, dove sono molto ricercate e impiegate nella produzione dei golosi boeri di cioccolato. Con gli agrumi di dimensioni maggiori, invece, i cosiddetti “balloni”, si preparano marmellate deliziose e con gli estratti del chinotto si confezionano caramelle, mentre la sua scorza e i fiori della pianta possono essere usati in fitoterapia per combattere l’insonnia, per favorire la digestione e stimolare l’appetito (si vedano le ricette riportate di seguito).

    Tra i vari usi del chinotto non si può certo dimenticare l’omonima bevanda, gassata e analcolica, di colore scuro. Neanche l’aggiunta di zucchero riesce a mitigarne il gusto amarognolo e asprigno, anche se l’alto contenuto di caffeina che essa riporta la rende addirittura migliore della Coca-Cola, se si vuole bere qualcosa che sia efficace per tenersi svegli.

    Dal settembre 2004 il chinotto di Savona è entrato a far parte dei Presidi Slow Food, con l’obiettivo di recuperarne la coltivazione e di rilanciare l’arte della canditura. A tal scopo è stato firmato un atto disciplinare molto rigoroso affinché nella lavorazione artigianale si utilizzino materie di prima qualità e solo chinotti genuini e autentici nati e sviluppatesi “in loco”.



    marmellata di chinotto


    ALCUNE RICETTE

    A causa del suo gusto aspro è consigliabile assaggiare il chinotto solo dopo la bollitura
    PER L’INSONNIA
    Far bollire per dieci minuti due grammi di fiori secchi in un litro d’acqua, lasciar raffreddare, filtrare e dolcificare con miele. Questo decotto si beve prima di dormire e rende più sereno il riposo.

    PER DIGERIRE
    Versare un litro d’acqua calda su due grammi di foglie secche. Lasciare riposare l’infuso per qualche minuto, zuccherare e bere dopo i pasti.

    PER STIMOLARE L’APPETITO
    Lasciare macerare per dieci giorni tre grammi di scorza essiccata dei frutti in cento grammi di vino bianco. Servire come aperitivo e in ogni caso è da bere prima dei pasti.

    una vecchia etichetta di chinotto

    una vecchia locandina della San Pellegrino



    alcuni prodotti a base di chinotto



    rotelleliquirizia di chinotto




    mostarda di chinotto




    frutti sparsi di chinotto



    Edited by giuliascardone - 16/2/2011, 15:30
     
    Top
    .
  12. tappi
     
    .

    User deleted


    GRAZIE GIULIA
     
    Top
    .
  13. tappi
     
    .

    User deleted


    L'ALBERO DEL PERO











    PERO - PYRUS COMMUNIS L.






    GENERALITA'


    Il pero appartiene alla famiglia delle Rosaceae, sottofamiglia delle Pomoideae, genere Pyrus.Origine discussa: si distinguono specie occidentali, Pyrus Communis principale, e specie orientali in cui si riscontrano maggiori resistenze, anche al colpo di fuoco batterico; in Cina si usa il Pyrus pyrifolia appartenente a queste ultime. Circa la biologia nel pero si riscontra spesso l'auto-incompatibilità, causata da sterilità sia fattoriale che morfologica e citologica; come nel melo esistono cv triploidi che possono dare anomalie. Peculiarità del pero è la produzione via partenocarpica presente in numerose cv, tuttavia è sempre preferibile ricorrere a buone cv impollinatici.
    L'impollinazione è ovviamente entomofila tuttavia il fiore è poco attrattivo e si preferisce mettere più arnie.
    Limiti pedoclimatici: principale è la resistenza al calcare, soprattutto con il portinnesto di cotogno; altri limiti sono costituiti dalla resistenza al freddo principalmente ed alla siccità (sempre col cotogno che ha apparato radicale superficiale), qualche problema sorge in casi di carenze nutrizionali.
    Il pero è un albero vigoroso, di forma piramidale nei primi anni e tendenzialmente globosa a muturità, che può raggiungere un'altezza anche di 15-18 m.
    Il pero presenta gemme a legno e miste portate da diversi rami fruttiferi, cioè da dardi, lamburde, brindilli e rami misti. Il frutto è un falso frutto detto pomo.








    VARIETA' E PORTINNESTI



    Fra le cv, per le quali si rimanda alle Liste di orientamento varietale per una attenta scelta, si ricordano:
    Etrusca, Coscia, Santa Maria, William, Highland, Conference, Abate fetel, Harrow sweet, resistente al colpo di fuoco batterico, Decana del comizio, Kaiser e Passacrassana. Tra le citate ci sono le più utilizzate cui si aggiungono anche la Butirra precoce Morettini, la William Rossa, abbastanza diffuse.
    Per i portinnesti si distinguono i franchi, quali Franco comune, Fox e Farrold, resistenti all'OHF, e le selezioni di cotogno, quali Ba29, EMC, EMA, Sydo e Adams; queste ultime sono poco adatte a terreni siccitosi e calcarei, eccetto il primo.
    Propagazione: seme, margotta, propaggine, danno i portinnesti e l'innesto è una pratica diffusissima ma con qualche caso di disaffinità; poco usata la micropropagazione








    TECNICA COLTURALE



    È una pianta piuttosto plastica nelle forme di allevamento sebbene si tenga presente che la produzione passi dai brindelli e rami misti i primi anni, alle lamburde. L'evoluzione delle forme di allevamento nel pero è passata da forme in volume come il vaso alla palmetta (sesto 3,5 x 2 m), anticipata e irregolare, al fusetto (sesto 4 x 1 m) quindi un asse principale con branchette di sfruttamento; col cordone verticale e la forma a V si raggiungono densità di 4.000-5.000 piante/ha.
    L'irrigazione nel pero è fondamentale, ma è bene evitare elevate disponibilità idriche durante l'intensa crescita vegetativa e in post-raccoltà, mentre attenzione alla carenza in pre e post fioritura cui seguono fenomeni di stress idrico. È preferibile sempre il sistema a microportata.
    Concimazione: come di norma è obbligo eseguire l'analisi del terreno e fogliare per evidenziare le carenze. Elementi fondamentali sono N, K, Ca, in secondo luogo P e Mg; qualche volta anche Bo e Fe sono da tener conto.
    Per quanto riguarda la potatura bisogna sempre considerare dove vogliamo la produzione; in generale è bene diradare e sfoltire i rami ma non raccorciarli in quanto siamo su una pomacea, inoltreranno eliminati parte di quelli che hanno già fruttificato; si preferisce sempre eseguire piegature anziché tagliare. La potatura verde è importante specie nell'allevamento. Il pero è la specie che si adatta molto bene alla potatura meccanica. Il diradamento è da eseguirsi dopo la cascola di giugno.




    PRODUZIONI


    La raccolta va da giugno ad ottobre. Il momento opportuno è scelto mediante indici di raccolta quali il colore di buccia o polpa, la durezza della polpa, la resistenza al distacco ed altri. Il rendimento ad operaio si aggira sui 50-80 kg per forme in volume rispetto ai 60-180 kg per la forme appiattite. Per quanto riguarda la conservazione le tecniche sono Atmosfera normale oppure Atmosfera controllata; la conservazione avviene a basse temperature appena sotto lo 0°C, è simile a quella per mele anche se le pere sono più sensibili alla CO2 e perciò è buono il metodo ULO (ultra low oxygen).





    AVVERSITA'


    Bisogna tener conto di danni di origine abiotica quali agenti metereologici, carenze (Bo ed Fe), fitopatie post-raccolta tra cui il riscaldo. Importanti sono micoplasmosi, fitoplasmosi con accartocciamento, batteriosi come il colpo di fuoco batterico (OHF); tra le micosi ricordiamo il cancro delle drupacee e la ticchiolatura. Negli insetti troviamo lepidotteri quali carpocapsa (Cydia pomonella), rodilegno, tignola, molti afidi e tra altri vi è la cocciniglia di San Josè (Quadrapsidiotus pernicosus).





    COMPOSIZIONE DI FIORI DI PERO


    CESTO DI PERE

    Edited by tappi - 17/2/2011, 15:51
     
    Top
    .
  14. gheagabry
     
    .

    User deleted




    Il bambino amava l'albero con tutto il suo piccolo cuore. E l'albero era felice.
    Ma il tempo passò e il bambino crebbe.

    Ora che il bambino era grande, l'albero rimaneva spesso solo.
    Un giorno il bambino venne a vedere l'albero e l'albero gli disse:

    "Avvicinati, bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l'altalena con i miei rami
    mangia i miei frutti, gioca alla mia ombra e sii felice".



     
    Top
    .
  15. tappi
     
    .

    User deleted


    GRAZIE
     
    Top
    .
118 replies since 13/2/2011, 11:34   75777 views
  Share  
.