QUADRI D'AUTORE..arte moderna e contemporanea

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    ANTONIO DONGHI




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    (Roma, 16 marzo 1897 – Roma, 16 luglio 1963) Pur essendo considerato uno fra i più singolari pittori italiani del Novecento, Antonio Donghi rimane tuttora un artista poco noto . Fu tra i principali esponenti del Realismo magico .


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    Lo stile preciso nei dettagli e ossessivamente lucido, messo a punto fin dai primi anni '20, in parallelo con Cagnaccio di San Pietro, costituisce la poetica di base del 'Realismo magico'. Nel 1925, Franz Roh in 'Nach Expressionismus Magischer Realismus' pone Donghi in primo piano tra i protagonisti di tale movimento europeo

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    L'estrema precisione del dettaglio, di sapore fotografico, convive con una riduzione ai dati essenziali della forma e da questa opposizione apparente promana la sensazione di straniamento che le immagini di Donghi suscitano. Inconfondibile e brillante l'uso del colore.


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    le sue tematiche preferite, i paesaggi italiani sono senza dubbio i soggetti più frequenti. Sebbene li abbia ammirati da vicino durante alcuni viaggi, egli non li rappresenta come sono davvero. Non vengono, ad esempio, mai inclusi nell’ambiente persone o animali; i luoghi inoltre non si possono ricondurre a una precisa zona o regione, come non è facile nemmeno individuarvi dei riferimenti temporali.

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    Ancora più fantastica è l’atmosfera che si respira attraverso la raffigurazione di cantanti, saltimbanchi e soubrette dell’ avanspettacolo; ma anche di ragazze e giovani qualsiasi. Tutti loro sono calati in una dimensione solo in apparenza banale e definita, poiché, con la propria fissità irreale, lasciano un senso di malinconia e di mistero.

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    Edited by gheagabry - 8/1/2014, 01:31
     
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    Ottone Rosai




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    Ottone Rosai ( 1895 - 1957 ) grande pittore ed incisore, nasce a Firenze , terzo di quattro figli di un intagliatore, con una spiccata attitudine per l’arte, viene iscritto all’Istituto di Arti Decorative di Piazza Santa Croce per studiare disegno ornato.

    Di temperamento impulsivo ed irrequieto, Ottone Rosai viene presto espulso dalla scuola, ma continua da autodidatta la sua preparazione artistica senza trascurare la letteratura.


    Nel 1913, a soli diciotto anni, Ottone Rosai si avvicina al Movimento Futurista,

    Dopo la guerra, Ottone Rosai continua nella elaborazione di un proprio linguaggio pittorico, costruito sulle precedenti esperienze futuriste, cubiste e metafisiche
    I soggetti dei quadri del pittore fanno riferimenti alla realtà ed all’uomo, sono nature morte, paesaggi e composizioni con figure.

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    Ottone Rosai ama riprendere i quartiere popolari di una Firenze minore, dimessa ed angusta, le viuzze ed i suoi omini nelle osterie, dove il pittore sa catturare elementi metafisici.


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    Nel 1933, Ottone Rosai firma il "Manifesto Realista" , in contrapposizione all’idealismo di Gentile, manifesto che esalta la cultura e l'arte fascista, ma dipinge ritratti antiretorici di un'umanità di "vinti".


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    a partire dal 1950 si fa conoscere in ambito internazionale, partecipando a rassegne artistiche a Zurigo, Parigi, Londra, Monaco di Baviera.

    Il 13 maggio del 1957, a Ivrea per curare l’allestimento di una sua personale, Rosai viene colto da infarto e muore a 62 anni.


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    Diceva il grande maestro che del popolo e della terra di Toscana è stato inimitabile "cantore" :

    "Voglio scoprire l’anima della mia creatura, il suo viso interno, voglio trovare il suo dramma (…). La mia vita e la mia arte sono corse avanti con me, io credo alla strada, ai fatti della strada, alla vita vivente e mutevole, all’umanità cui piace stare in piedi e mordere il vento e l’azzurro delle salite".

    Edited by gheagabry - 18/8/2013, 14:56
     
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    RENATO PARESCE



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    Artista nato in Svizzera nel 1886 (figlio di un matematico siciliano), laureato in Fisica e partito dall'Italia nel 1912 per lavorare come fisico a Parigi. Qui inizia a dipingere, da autodidatta, sotto l'influsso di Picasso, Modigliani , Soutine, focalizzando sin dal principio la propria attenzione sulla natura morta e sul paesaggio.


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    Dipinge bellissime nature morte concepite come un solenne sistema architettonico


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    Paresce alterna la produzione di vedute parigine e paesaggi a quella di nature morte d'ispirazione postcubista, ma è sensibile anche alla classicità dei primitivi toscani del Quattrocento.


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    Evidenti i molteplici ascendenti pittorici: in particolare la plastica scomposizione dei piani di Cezanne e dei cubisti e la sintesi delle superfici "a plat", con l'accostamento di colori timbrici, di Matisse e dei "fauves", animata da un dinamismo memore dei "mosaici" lucenti del Severini futurista.

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    La figura e l'opera di Renato Paresce costituiscono un tassello importante, sebbene ancora non pienamente riconosciuto, dell'arte italiana ed europea tra le due guerre.
     
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  9. gheagabry
     
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    CIRO PALUMBO





    MARE DI PAROLE OCEANI DI COLORI
    di Chiara Manganelli

    “Ecco, tu sai che la poesia è creazione e ha un significato quanto mai vasto; tutto ciò, infatti, per cui qualcosa passa dal non essere all'essere è poesia, e quindi ogni attività creativa è poesia, e tutti i creatori sono poeti” Platone, Simposio “Il mare è un antico idioma che non riesco a decifrare” Jorges Luis Borges Un mare. Mare che si muove articolando sussurri e si intreccia alle sferzate del vento di libeccio. Mare che nella notte inghiotte e intrappola tra reti di fioche lampare i sogni sospesi nel cielo, e li rigurgita all'alba sull'orlo iridescente della battigia, accoccolati tra le insenature eburnee delle conchiglie. Sulla sua superficie irrequieta si increspano e incespicano orde di desideri che si accartocciano e si avviluppano tra loro, precipitano affondando tra gli abissi, per poi risalire coperti di salsedine e fradici di azzurro. Le voci mute dei pesci guardano i pionieri temerari che si avventurano nell'imprevedibile languore del suo mistero come fossero schivi schiavi di romitaggi paradossali senza fine. Le parole sono come sassi piatti che spezzano la quiete immobile, disegnando anelli concentrici dentro i quali si insinuano gli sguardi obliqui e audaci di segreti che sgranano tra le pupille lapilli di bellezza suadente e silente. Una mano raccoglie le conchiglie sparse sulla sabbia, le ausculta, le strofina ripulendole dai detriti, le nutre di sole e le ripone dentro uno scrigno sommerso. Lì il tempo le consuma, ne divora l'involucro calcareo, fino a lasciarne intravvedere la loro anima nascosta. Quando la mano apre lo scrigno si sprigionano spirali di colori cangianti e fiumi di parole incandescenti. Fiumi che portano al mare. Spirali che si arrampicano fino al cielo. VOYELLES A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali! Un giorno dirò le vostre segrete origini: A, nero vello sul corpo di mosche splendenti Che ronzano intorno a crudeli fetori, Golfi d'ombra; E, candori di vapori e tende, Lance di fieri ghiacciai, bianchi re, brividi d'umbelle; I, porpora, rigurgito di sangue, labbra belle Che ridono di collera, di ebbrezze penitenti; U, cicli, vibrazioni divine dei verdi mari, Pace di pascoli d'animali, pace di rughe Che l'alchimia imprime sulle ampie fronti studiose; O, suprema Tromba piena di strani stridori, Silenzi attraversati da Angeli e Mondi: O, l'Omega, raggio viola dei suoi Occhi! Arthur Rimbaud "Mare di parole” è l'ultimo progetto artistico di Ciro Palumbo. Un progetto che mescola risonanze letterarie e metafisica pittorica, creando interessanti e suggestive commistioni concettuali, stilistiche e tecniche. Le parole, nelle opere di Palumbo, diventano supporto su cui distendere e dipanare la fantasia. Un mare placido e accogliente di segni impalpabili, ricolmi di significati e ammiccamenti. Palumbo prende le parole e le ri-racconta, le ri-combina, rifacendosi a una lunga tradizione artistica che vede nel Novecento il secolo della “poesia visiva”, in cui le parole diventano anche immagini, slittando verso nuovi orizzonti semantici, e vengono arricchite e impreziosite attraverso la pittura, la cinematografia e le arti visive. Una tradizione che vede il proprio geniale antesignano in Arthur Rimbaud, nella sua poesia veggente, struggente e ruggente, nelle sue vocali che acquistano valenze emozionali e cromatiche. Perchè la letteratura non interessa solo il senso della vista, ma solletica e risveglia anche gli altri sensi.



    Il legame tra immagine e parola è atavico e affonda le proprie radici nella culla della civiltà: i geroglifici egizi sono un esempio di come, in molte società antiche, immagine e scrittura fossero intrinsecamente connesse. Il nostro alfabeto occidentale moderno, invece, contiene grafismi che non hanno nessun nesso con le immagini mentali, e il segno è una pura convenzione concettuale e autoreferenziale, che non rimanda a nessun codice visivo noto. Un astrattismo estremo, dunque, che ha creato, nella nostra cultura, un divario enorme tra linguaggio e rappresentazione. Palumbo prosegue un cammino intrapreso dai futuristi e ricalcato poi dai surrealisti, dai dadaisti e dalla pop art. Riprende l'affascinante tradizione del calligramma, un genere di poesia che risale all'antichità classica (il tecnopegnio di Simmia di Rodi, IV sec. a.C), che si sviluppa nei secoli XV e XVI, con la poesia figurativa umanista, fino ad essere ripreso dalle avanguardie artistiche del novecento, e che trova in G. Apollinaire uno dei suoi più celebri esponenti. Questo genere letterario coniuga esigenze dialogiche e risonanze figurative, assemblando i significanti in modo da creare architetture grafiche bizzare e bizzose, dando vita a un “versilibrisme” affascinante e paradossale. Nelle tele di Palumbo non ci sono cannoni che sputano lettere, come in G. Severini, nè vortici di parole, come in F. Depero; la sua poetica si differenzia dal movimento futurista, sia dal punto di vista concettuale, sia dal punto di vista formale, perlustrando diverse sfaccettature del binomio pittura-letteratura. “Cara immaginazione, quello che più amo in te è che non perdoni. La sola parola libertà è tutto ciò che ancora mi esalta. La credo atta ad alimentare, indefinitamente, l'antico fanatismo umano. Risponde senza dubbio alla mia sola aspirazione legittima. Tra le tante disgrazie di cui siamo eredi, bisogna riconoscere che ci è lasciata la massima libertà dello spirito. Sta a noi non farne cattivo uso. Ridurre l'immaginazione in schiavitù, fosse anche a costo di ciò che viene sommariamente chiamato felicità, è sottrarsi a quel tanto di giustizia suprema che possiamo trovare in fondo a noi stessi.” André Breton, Manifesto del Surrealismo Nelle opere dell'artista torinese la letteratura si veste di un senso mistico e onirico, è un ordito che intesse ancestrali memorie, miti e leggende, è una chiave per aprire le porte socchiuse dell'inconscio e del Sogno.



    La parola non è esplosione fragorosa, gioco dinamico e concitato, ma diventa simbolo lieve che si affaccia sulla realtà interiore piuttosto che sulla realtà esteriore, è forza centripeta anziché centrifuga, e rappresenta universi metafisici e surreali, che affondano le proprie radici nell'intimità dell'individuo, nel suo mondo segreto e nascosto, in bilico tra inconscio soggettivo e inconscio collettivo. Letteratura e pittura si intersecano e attingono l'una dall'altra, giocano a rincorrersi, a specchiarsi reciprocamente, a scambiarsi stilemi e paradigmi, e l'intreccio che ne sortisce è un'alchimia suggestiva, evanescente, delicata. La parola possiede anche una sua estetica visiva e formale, così come l'immagine racchiude in sé sprazzi di poesia e lirismo. ll viaggio finisce qui: nelle cure meschine che dividono l’anima che non sa più dare un grido. Ora i minuti sono eguali e fissi come i giri di ruota della pompa. Un giro: un salir d’acqua che rimbomba. Un altro, altr’acqua, a tratti un cigolio. Il viaggio finisce a questa spiaggia che tentano gli assidui e lenti flussi. Nulla disvela se non pigri fumi la marina che tramano di conche i soffi leni: ed è raro che appaia nella bonaccia muta tra l’isole dell’aria migrabonde la Corsica dorsuta o la Capraia. Tu chiedi se così tutto vanisce in questa poca nebbia di memorie; se nell’ora che torpe o nel sospiro del frangente si compie ogni destino. Vorrei dirti che no, che ti s’appressa l’ora che passerai di là dal tempo; forse solo chi vuole s’infinita, e questo tu potrai, chissà, non io. Penso che per i più non sia salvezza, ma taluno sovverta ogni disegno, passi il varco, qual volle si ritrovi. Vorrei prima di cedere segnarti codesta via di fuga labile come nei sommossi campi del mare spuma o ruga. Ti dono anche l'avara mia speranza. A nuovi giorni, stanco, non so crescerla: l'offro in pegno al tuo fato, che ti scampi. Il cammino finisce a queste prode che rode la marea col moto alterno. Il tuo cuore vicino che non m’ode salpa già forse per l’eterno. Eugenio Montale, Ossi di seppia, Meriggi e ombre, Casa sul mare Il connubio crea equilibrismi arditi, logiche dialogiche, contaminazioni che fondando un linguaggio nuovo, che non è solo sintesi degli elementi, ma qualcosa di più.




    Il potenziale espressivo non aumenta solo in termini quantitativi, ma anche, e soprattutto, sotto un profilo qualitativo. L'impiego di collage di pagine di libri sulla tela crea un effetto visivo di stratificazione e sovrapposizione di pensieri, sogni, storie e immagini, che, concettualmente, rimanda a una radice originaria che restituisce senso al presente. E' un modo di raccontare, attraverso il potere evocativo della pittura, ciò che a volte sfugge all'affabulazione pura, di ampliarne l'effetto catartico e proiettivo e di incrementarne la forza narrativa. Un mare di parole dipinte dove fluttuano i sogni, zattere salvifiche che dispensano riparo dalle tempeste; un mare dove si recupera il filo rosso dell'esistenza, dove lo spettatore può voltarsi e guardare da dove viene e al contempo, proprio in virtù di ciò, può immergersi negli abissi del proprio essere, nel proprio tumultuoso e magmatico oceano, intraprendendo un viaggio infinito e incessante, un'odissea epica, misteriosa e incalzante. E se si riesce a oltrepassare Scilla e Cariddi significa che l'isola è vicina, che il tempo può essere ingannato, che il canto delle sirene non ha mistificato i desideri e offuscato la rotta. “[...] Sul mare salato si posa la luce e sui campi d'ogni parte fioriti, e la bella rugiada discende e le rose fioriscono e i cerfogli delicati e il meliloto spruzzato di bianco. [...] Saffo, poesie d'amore, 96. V. “Più di quanto sia lecito, più di quanto sia possibile, come un delirio di poeta incombe nel sogno, enorme si fece il groppo del cuore, enorme l'amore, enorme l'odio.” [...] Vladimir Vladimirovic Majakovskij “Chi può capire qualcosa della dolcezza se non ha mai chinato la propria vita, tutta quanta, sulla prima riga della prima pagina di un libro?” Alessandro Baricco, Castelli di Rabbia “I nostri sogni e desideri cambiano il mondo” Karl Popper “Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare” Seneca La notte impone a noi la sua fatica magica. Disfare l'universo, le ramificazioni senza fine di effetti e di cause ch si perdono in quell'abisso senza fondo, il tempo. La notte vuole che stanotte oblii il tuo nome, i tuoi avi e il tuo sangue, ogni parola umana e ogni lacrima, ciò che potè insegnarti la tua veglia, l'illusorio punto dei geometri, la linea, il piano, il cubo, la piramide, il cilindro, la sfera, il mare, le onde, la guancia sul cuscino, la freschezza del lenzuolo nuovo... Gli imperi, i Cesari e Shakespeare e, ancora più difficile, ciò che ami. Curiosamente, una pastiglia può svanire il cosmo e costruire il caos. Jorges Luis Borges, Il sogno.








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  10. ZIALAILA
     
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    ENRICO BAJ




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    nato a Milano il 31 ottobre 1924 , attivo rappresentante delle avanguardie degli anni Cinquanta, fonda, con Dangelo e Gianni Dova, il "Movimento Nucleare", movimento innovativo dal punto di vista formale .


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    L'opera di Enrico Baj si snoda nel tempo, utilizzando varie tecniche, ma con la presenza continua dell’ironia dissacratoria ed il piacere di fare pittura con ogni sorta di materiale.


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    Per Enrico Baj, molto spesso, dipingere è un gioco e pertanto anche i soggetti risentono dello sguardo divertito dell'artista che si permette anche rifacimenti grotteschi di opere di Picasso ed altri mostri sacri della pittura.

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    Enrico Baj esprime il suo impegno civile contro ogni tipo di aggressività e, attraverso "generali" e "parate militari", icone dell'antiautoritarismo e della denuncia sarcastica del potere, mette alla berlina personaggi, cinici e arroganti, resi maggiormente anacronistici e ridicoli dalle decorazioni che ostentano: medaglie, coccarde e altre preziosità del genere.


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    Il pittore Enrico Baj muore nella sua casa di Vergiate nel varesotto, il 16 giugno 2003, ultimo testimone delle avanguardie del dopoguerra.
     
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  13. ZIALAILA
     
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    Vittorio Matteo Corcos



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    Nasce a Livorno il 4 ottobre 1859
    Nel 1880 approda a Parigi dove sottoscrive un contratto di 15 anni di collaborazione con la casa d'arte Goupil frequentando anche saltuariamente lo studio di Léon Bonnat, ritrattista della "Parigi bene" .

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    Al suo rientro in Italia, tra il 1881 ed il 1886 espone al Salon e stabilitosi a Firenze, nel 1887 sposa Emma Ciabatti , inserita in prestigiosi circoli letterari , grazie ai quali entra in contatto con Giosuè Carducci e Gabriele D'Annunzio .

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    La sua pittura brillante e piacevole, in particolare la ritrattistica, riscuote notevole successo presso il mondo culturale e aristocratico fiorentino, dal quale riceve numerose commissioni.


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    Ad inizio Novecento l'abilità di ritrattista di Corcos è ormai rinomata : è il pittore amato dall'alta societa' del primo Novecento .

    Sono ritratti insieme descrittivi e allegorici, condotti con sapienza di mestiere ma percorsi da una volonta' sublimante o, meglio ancora, densi di un'ambiguita' criptica : un filone di cui Vittorio Corcos e' campione eletto .


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    Pittore di successo, ma anche scrittore e animatore culturale della Firenze del primo trentennio del Novecento, Vittorio Matteo Corcos si spegne nella sua casa di Firenze l’8 novembre 1933 e molte sue opere sono esposte alla Galleria degli Uffizi, alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna a Roma ed in numerosi musei del mondo.


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