FIORI E PIANTE VELENOSE o NOCIVE

TUTTO QUELLO CHE C'E DA SAPERE..

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  1. gheagabry
     
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    Gigaro, Pan di serpe - Arum italicum


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    Il Gigaro è pianta erbacea perenne dei sottoboschi, appartenente alla famiglia delle Araceae, di origine Europea. Ha radice tuberosa, produce un piccolo cespuglio di foglie di colore verde, con la pagina superiore lucida, trilobate, portate da un lungo picciolo, che spuntano direttamente dal tubero nel periodo autunnale. In aprile-maggio produce lunghi spatici carnosi, alti fino a 30-50 cm, con apice giallastro, su cui sbocciano piccoli fiorellini bianchi, lo spadice è racchiuso in una larga spata bianco-verdastra.
    L'infiorescenza degli Arum, allo scopo attirare mosche e moscerini, emette un forte odore di sostanza organica in decomposizione: una sorta di spray favorito nella sua diffusione dal lieve calore emanato .
    Appena entrati nella spata gli insetti rimangono intrappolati dai peli riflessi e, nel tentativo di recuperare la libertà, si spostano incessantemente raccogliendo e distribuendo il polline dappertutto; molti muoiono nell’impresa mentre gli ultimi, i più fortunati e resistenti, riescono a liberarsi quando la spata avvizzisce per l'avvenuta fecondazione.

    Durante i mesi estivi il fogliame dissecca e sullo spatice si sviluppano piccoli frutti sferici, simili a piselli, lucidi, che a maturazione divengono di colore arancio-rosso. Questa pianta è diffusa allo stato selvatico anche in Italia; tutte le parti della pianta sono velenose, anche se il pericolo di ingestione da parte degli animali e dei bambini è minimo a causa del sapore disgustoso.
    La principale componente tossica di Arum italicum è l'ossalato di calcio (soprattutto i cristalli), sono presenti saponine e un glicoside dell'acido cianidrico. A contatto con la pelle i cristalli provocano dermatiti, se ingeriti infiammano tutto il tratto gastrico con vomito e dolori addominali. L'Arum si usa come fitorimedio, la pianta è in grado di assorbire una grande quantità di sostanze inquinanti.

    Il nome scientifico del genere (Arum) deriva dal greco Aron, ma anche, secondo altre etimologie, dall'ebraico “ar”; in entrambi i casi questi due termini significano “calore” e si riferiscono al fatto che queste piante quando sono in piena fioritura emettono calore. Il nome specifico (italicum) si riferisce alle località dei primi ritrovamenti.
    Il binomio scientifico, Arum italicum, è stato proposto dal botanico scozzese Philip Miller nella pubblicazione ”The Gardeners dictionary – Ottava edizione” del 1768.

    ...storia, miti e leggende...

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    La fantasia popolare ha fatto nascere nomi singolari per questa pianta come "Serpentaria", "Erba saetta", "Pan di serpente o di vipera", "Bacche veleno". Nell'antichità, i frutti maturi di Arum italicum si credeva, erroneamente, fossero il cibo del biacco (Hierophis viridiflavus) un serpente carnivoro che vive nelle campagne, da qui l'appellativo "Pan di serpe". Alla pianta venivano attribuite numerose proprietà curative associate ad un uso alimentare del rizoma essiccato, abitudine ancora presente in alcune zone italiane. Gli venivano riconosciuti poteri magici, parti essiccate si portavano appese al collo all'interno di un sacchetto per sconfiggere il malocchio.
    In molti paesi europei veniva raccolto dopo la fioritura, essiccato e conservato nelle farmacie domestiche, a disposizione dei malati di asma e di insufficienza respiratoria per farli espettorare. Gli Arabi lo usavano contro i calcoli alla vescica.
    Dioscoride, mescolando il succo di "Gigaro" assieme a sterco di bue, ne aveva ottenuto un impiastro da applicare sulle deformazioni gottose.

    Nel passato, le radici di Arum maculatum venivano raccolte e torrefatte per ricavare di un amido di prima qualità molto fine e dal colore candido, dotato di proprietà simili a quello prodotto dal Riso, ma caratterizzato da piccoli granuli tondeggianti. Presso molti popoli europei e per molti secoli l'amido di Aro fu considerato un ottimo succedaneo della fecola; in particolare in Sicilia, nella pasticceria casalinga e non, serviva per la preparazione dei confetti, per infarinare dolci, biscotti ed i fichi seccati. Nel libro III° di De Bello Civili Cesare parla di una radice chiamata "Chara" molto abbondante nei dintorni del Castrum che: "admixtum lacte, multum inopiam levabat". Il rizoma fu usato dall'esercito di Giulia Cesare in sostituzione del rancio che molte volte scarseggiava per le lunghe campagne militari. In Inghilterra l'amido prodotto industrialmente dal "Gigaro" veniva commerciato sotto l'etichetta di "Arrowroot of Portland", venduto in concorrenza con quello ricavato in Oriente. Era particolarmente indicato per inamidare i tessuti di Lino più delicati, irrigidire i colletti alti a piegoline allora di gran moda. Le popolazioni contadine raccoglievano le foglie e facendole bollire le usavano come sgrassante e candeggiante della biancheria.

    ... le Interviste impossibili...

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    "Il sentiero si snoda lungo la sponda ombrosa di un fossato che scorre pigro. Ai piedi di una siepe tra Verbo, umida, la giornalista scorge una pianticella che non ha mai visto. Ha belle foglie a forma di punta di freccia, lucide, macchiettate qua e là di scuro, dal centro delle quali spinta uno strano fiore: un involucro verde giallognolo si avvolge a imbuto attorno a una colonnina porpora, da cui emano un odoro sgradevole, come carne marcia. La giornalista è combattuta tra la curiosità e il disgusto, sta per andarsene, ma il fiore comincia a parlare…..

    Gigaro Non faccia la schizzinosa, si avvicini, ne vale la pena. Perché io non sono una pianta qualunque, e ho alcune cose interessanti da raccontarle. Però non mi tocchi se non vuole trovarsi con una dermatite alle mani.
    Giornalista – Ma lei chi è? Come si chiama? Ed è anche un tipo pericoloso….
    GAltroché, sono tutto velenoso, io non a cosa mi chiamano pan di serpe….
    Gior – Devo chiamarla signor Pan di serpe? E’ questo il suo nome?
    G No, quello è un soprannome. Mi chiamo Gigaro.
    Gior – Con l’accento sull’i, come il sigaro. Però, mi scusi se glielo dico, ma i sigari puzzano molto, molto meno. Mi ricordo il mezzo toscano di mio nonno, era un profumo al confronto. E poi lei sa di carne marcia, è quasi insopportabile. Per me che sono vegetariana, poi!
    GFa bene a mangiare solo vegetali, ma eviti con cura di mangiare me.
    Gior – Stia tranquillo, con quel profumino. Peccato però, ha un bel fiore.
    G Non cominci con le inesattezze. Quell’involucro che lei scambia per una corolla in realtà è la spata, cioè una foglia che la cambiato funzione. Prima di tutto non serve a compiere la fotosintesi, perché a quello ci pensano le vere foglie. La spata ha solo il compito di attirare gli insetti, e precisamente certi moscerini chiamati “psicodi”, non so se li conosce, sono grigi e pelosetti. I miei impollinatori sono loro. Quanto ai fiori, li trova tutti ammassati su quella colonnina al centro che si chiama spadice: in basso quelli femminili e sopra quelli maschili.
    Gior - E i moscerini non si avvelenano? Quel puzzo trementdo, mi scusu ma “puzzo” è proprio il nome giusto, non si allontana? Di soliti gli impollinatori vengono attirati dal colore dei fiori, ma anche dal profumo, o sbaglio?
    GBeh, la mia è una storia un po’ più complicata, se ha pazienza gliela racconto. Si turi il naso col fazzoletto e ascolti. Quando arriva il momento di riprodursi, è come se allo spadice venisse la febbre: alcune sue cellule “bruciano” zuccheri, facendo alzare la temperatura. Il calore volatizza lo scatolo, la putrescina, l’ammoniaca, tutte sostanza dall’odore di carne putrefatta, o sterco di vacca, che per ivostri nasi e solo sgradevole puzza, ma per quei moscerini significa cibo. Loro infatti sono abituati a trovarsi da mangiare in ambienti, diciamo un po’ particolari, fogne, latrine, depositi di spazzatura…Così, irretiti da quel “profumo”, si infilano dentro la spata, e li si incastrano: proprio all’imbocco dell’imbuto, infatti, c’è una specie di trappola, una raggiera di peli disposti in modo tale da consentire l’ngresso e impedire l’uscita.

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    Gior – Ma questo è un vero e proprio sequestro di persona, lei è un sadico…
    GBeh non è che li lascio li per sempre, a che servirebbe. Intanto gli passo qualche genere di conforto, come un liquido zuccherino secreto dallo spadice. A un certo punto, però quando i fiori maschili hanno raggiunto la piena maturità, i peli della trappola appassiscono e i moscerini possono finalmente volar fuori; intanto però sfiorano gli stami e si coprono di polline. A quel punto il mio gioco è fatto. Comunque, mi creda, meglio sadici che masochisti…
    Gior – Si riferisce a qualcuno in particolare?
    G Certo. Ha presente la ginestrella? Voi la chiamate Genista tinctoria, è un arbusto dai fiori gialli e profumati che vive nelle radure dei boschi mediterranei. Lei si fa impollinare dai bombi, senza tenere conto che sono coleotteroni rozzi e grossolani, Non appena uno di loro si infila in un fiore alla ricerca di nettore, con il suo peso finisce per provocare un disastro: il fiore si lacera con una tale violenza che spara addosso al bombo un getto di polline. D’accordo, la ginestrella ha centrato l’obiettivo, ma nell’esplosione il fiore si è stupidamente distrutto per sempre.
    Gior – Lei è proprio una simpatica canaglia e tutto sommato, se non fosse per la puzza, la troverei anche grazioso….
    G Non per vantarmi ma sa che ero uno dei fiori prediletti da Ippolito Pizzetti, il famoso paesaggista e scrittore? Dovrebbe poi vedere i miei frutti: certe bacche rosse che sembrano lucidate a cera, invitanti … ma velenose. Non so se lei ha dei nipotini, se li ha faccia attenzione: potrebbero mettersele in bocca, e sarebbero guai seri.
    Gior – Ma avrà pure un lato buono?
    G Le racconto una storia…però credo che sia una leggenda. Quando Giosuè arrivò nella terra promessa piantò a terra lo scettro di Aronne – era il primo sommo sacerdote del popolo ebraico – che aveva portato con sé. E subito il bastone cominciò a germogliare dando vita a una pianta si aro, cioè Arum, che è il mio nome latino, e da quel momento Yarum passò alla storia come simbolo di fertilità."
    (Mirella Delfini, Oasis n°212 /2015 – testo tratto da “Vegetale sarai tu!”)

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    Edited by gheagabry1 - 7/2/2022, 16:50
     
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