FIORI E PIANTE VELENOSE o NOCIVE

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  1. Lussy60
     
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    L’insidia delle piante velenose

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    Fin dalla sua comparsa sulla terra, che si perde nella notte dei tempi, l'uomo ha dovuto fare i conti con gli altri esseri che popolavano le foreste e le savane dove egli si accingeva a muovere i primi passi.

    Tra i vari pericoli che dovette affrontare, uno dei più insidiosi fu quello dei veleni presenti in natura e ampiamente diffusi sia nel mondo animale (scorpioni, ragni, serpenti) che in quello vegetale (funghi soprattutto, ma anche erbe e frutti).

    Col tempo l'uomo ha imparato a conoscerli, ma il pericolo è sempre in agguato e anche ai giorni nostri e nei nostri ambienti i casi di avvelenamento dovuti a punture di insetti o a funghi incautamente raccolti e mangiati sono abbastanza comuni.

    Non passa anno che i giornali non riferiscano di gravi avvelenamenti, se non di morti, dovuti alla tignosa verdognola, la ben nota Amanita phalloides, o non scrivano di api assassine o di ricoveri in ospedale per morsi di vipera. Casi, questi ultimi, ben più rari per la scarsa diffusione della vipera nel nostro territorio, anche se, dopo una fase di regressione, la sua presenza nelle nostre campagne sembra essere nuovamente in aumento.

    D'altra parte i serpenti velenosi, come i ragni velenosi e gli scorpioni, sono particolarmente attivi nelle zone tropicali, Asia, Africa e Sud America.

    Sembra invece essersi perso nel tempo il ricordo di avvelenamenti da piante: le piante vere con radici, fusto e foglie, escludendo quindi i funghi.

    Il fatto che non si senta parlare ai giorni nostri di avvelenamento da cicuta o da stramonio non è però dovuto alla scomparsa delle piante velenose, ma piuttosto al fatto che in questa nostra epoca opulenta si è persa l'abitudine, ma sarebbe meglio dire la necessità, di alimentarsi con erbe spontanee.

    In altri periodi, più sfortunati degli attuali, la sopravvivenza delle persone più povere è stata assicurata, stentatamente assicurata, da un'alimentazione basata su foglie, frutti e radici di moltissime piante spontanee. La ricerca accanita, sotto la spinta della fame, aumentava di pari passo la probabilità di errore e quindi la possibilità di raccogliere e mangiare anche specie velenose: più o meno quello che oggi avviene con i funghi, anche se la loro raccolta non è certo dettata dalla necessità. Allo stesso modo c'è ancora chi raccoglie nei prati il soffione o lungo le siepi i germogli del luppolo, ma le poche specie interessate dalla raccolta e soprattutto lo scarso numero dei raccoglitori rende molto improbabile l'errore con specie velenose.

    Eppure le piante velenose esistenti in Italia sono molte.

    Aspetti ingannevoli

    Spesso il loro aspetto sembra volerci trarre in inganno. Chi non si è estasiato di fronte alle splendide fioriture del colchico (Colchicum autumnale) nei prati montani? 1 suoi fiori di color rosa-lilacino compaiono in autunno e spuntano dal suolo, completamente privi di foglie, così numerosi che i prati ne sono spesso tappezzati. Le foglie compariranno nella primavera successiva con i frutti. Tutta la pianta è velenosa, in particolare bulbi e semi, sia per l'uomo che per gli animali, per la presenza di due alcaloidi: la colchicina e la colchiceina. Per questo il colchico, tanto piacevole ai nostri occhi, è inviso agli allevatori.

    Pare impossibile che piante così belle per forma e colore, tanto da sembrare l'essenza della leggiadria e della gentilezza, possano essere così pericolose. Eppure moltissime altre piante velenose recano fiori bellissimi: tra le più conosciute ricordiamo l'aconito, la digitale, il gigaro, l'elleboro e il mughetto.

    L'aconito (Aconitum napellus) è una pianta vigorosa, alta più di un metro, con una spiga terminale color viola-cupo; i fiori sono schiacciati sui lati e ricoperti dal petalo superiore, arrotondato come un elmo. Cresce nei prati e nei boschi alpini. Tutta la pianta è velenosa per la presenza di aconitina ed altri alcaloidi. Altrettanto comuni sono in montagna l'Aconitum vulparia e l'Aconitum lamarckii, dai fiori giallo-zolfini, anch'essi tossici.

    La digitale purpurea (Digitalis purpurea) cresce spontanea solo in Sardegna e in Corsica, ma è coltivata a scopo ornamentale in molti orti e giardini della penisola. Alta più di un metro, ha fiori tubolari rosso-violacei, pendenti, riuniti in un'infiorescenza .unilaterale. È velenosissima in ogni sua parte per la presenza di digitalina ed altri glicosidi. In Italia settentrionale crescono le specie affini Digitalis grandiflora e Digitalis lutea, anch'esse velenose, che hanno fiori gialli.

    Il mughetto (Convallaria majalis), notissimo perché ampiamente diffuso nei giardini, cresce spontaneo nei boschi ombrosi delle zone submontane. È formato da due ,ampie foglie lanceolate e, al momento della fioritura, da un fusto, spesso più basso delle foglie, recante un grappolo di fiori bianchi campanulati. Tutta la pianta è velenosa per la presenza di convallina e altri glicosidi velenosi.

    Velenoso in ogni sua parte è anche il gigaro (Arum maculatum), per la presenza di aroina, una sostanza non ancora ben conosciuta: la cottura e l'essiccazione riduce la tossicità della pianta, ma non l'elimina completamente.

    Il gigaro è una pianta erbacea dall'aspetto inconfondibile. I fiori formano un'infiorescenza violacea a forma di clava, avvolta da una brattea bianco-verdognola. Le foglie sono ampie, spesso macchiate di scuro, sagittate: hanno cioè la caratteristica forma delle punte di freccia. L'infruttescenza è una spiga, densa e compatta, di bacche rosse, velenosissime, che le valgono il nome di "pan delle bisce". Simile è l'Arum italicum coltivato nei giardini.

    Coltivato nei giardini è anche l'elleboro (Helleborus niger), che di norma cresce spontaneo nei boschi collinari e montani delle Alpi e degli Appennini. Contiene sostanze tossiche con azione cardiaca simile ai glicosidi presenti nella digitale.

    Molto nota, tra le piante velenose, è anche la cicuta.

    La sua notorietà è piuttosto legata a ricordi scolastici che alla conoscenza diretta della pianta: con un suo infuso fu infatti ucciso, nel 399 a.C., il filosofo greco Socrate.

    In realtà le cicute presenti nei nostri ambienti sono tre: la Cicuta virosa, il Conium maculatum e l'Aethusa cynapium. I loro fiori non sono belli come quelli delle piante descritte prima, né così vistosi. La loro tossicità è dovuta ad alcuni alcaloidi velenosi quali la cicutina e la y-coniceina.

    La cicuta d'acqua (Cicuta virosa) cresce di preferenza nelle acque basse dei fossati e degli acquitrini, mentre la cicuta maggiore (Conium maculatum) e l'erba aglina (Aethusa cynapium) preferiscono gli ambienti ruderali e gli orti.

    Tutte tre le specie appartengono alle Ombrellifere, famiglia che comprende moltissime delle erbe commestibili più usate. Sono ad esempio Ombrellifere il prezzemolo, il sedano, la carota e il finocchio. La presenza comune di foglie finemente suddivise e della infiorescenza a ombrella, assieme ai profumi invitanti che caratterizzano anche le specie velenose, possono trarre in inganno uomo e animali domestici.

    Un'altra famiglia di piante che raggruppa, assieme a specie commestibili di largo consumo, specie velenose è quella delle Solanacce. Sono Solanacee infatti la patata, il pomodoro, il peperone e la melanzana, come lo sono la belladonna (Atropa belladonna), lo stramonio (Datura stramonium), l'erba morella (Solanum nigrum), il giusquiamo (Hyoscyamus niger) e l'alchechengi (Physalis alkekengi), tutte più o meno velenose.

    Non si deve dimenticare tuttavia che anche le parti verdi (fusti e foglie) del pomodoro e della patata sono velenose.

    Una pianta che può essere causa di avvelenamento, se confusa con altre simili di uso comune, è il veratro (Veratrum album) che cresce nei prati e pascoli alpini. Ha fiori bianco verdognoli riuniti in ampie pannocchie. Le foglie sono molto grandi, ellitticolanceolate. Può essere confuso, quando non sia in fiore, con la genziana maggiore (Gentiana lutea), le cui radici vengono raccolte e usate per dare sapore amaro a grappe e altri liquori. Le due piante si distinguono per i fiori, che nella genziana sono gialli e vistosi, e per le foglie che, pur essendo simili, sono alterne nel veratro ma opposte nella genziana.

    Anche tra gli alberi e gli arbusti, sia spontanei che ornamentali, si possono trovare specie velenose: basti citare tra tutti il bellissimo oleandro (Nerium oleander), sempreverde della macchia mediterranea, coltivato in molti giardini a scopo ornamentale. Tutta la pianta, compresi i semi e i fiori, è velenosissima per la presenza di glicosidi con azione simile a quelli della digitale.

    Velenosi sono anche il tasso (Taxus baccata), coltivato nei giardini, di cui le uniche parti non tossiche sono i frutti rosso-laccati (la polpa carnosa dei frutti, perché il seme è velenosissimo come tutta la pianta), il lauroceraso (Prunus laurocerasus) e il sabina (Juniperus sabina) che cresce spontaneo sulle Alpi e sugli Appennini, velenosi in ogni loro parte.

    Nei querceti planiziari e nei castagneti montani, come nelle siepi, possiamo trovare la fusaggine (Euonimus europaeus), detta anche berretta da prete per la forma caratteristica dei suoi frutti rossi che, assieme alla corteccia, sono le uniche parti velenose della pianta.

    Quelle descritte sono solo una parte delle piante tossiche riportate dai libri specifici e non sempre le più velenose: ci basti accennare al Chondrodendrum tomentosum e alla Strycnos toxifera dalla cui corteccia gli indiani che vivono nelle foreste tropicali dell'America Meridionale traggono il veleno per le loro frecce, il famoso curaro, o alla Strycnos nux-vomica, delle foreste indiane, da cui si ricava la stricnina.

    Natura infida e crudele quindi, o solo indifferente? Difficile rispondere a un simile quesito. Di certo sappiamo che l'uomo, fin dall'antichità, ha imparato a sfruttare le caratteristiche dei diversi veleni e usandoli in dosi piccolissime ne ha fatto farmaci insostituibili per i suoi malanni.




    Helleborus viridis Pianta velenosa
    DSCN4595




    noto anche con il nome di Elleboro verde o Elleboro falso, velenosa, emana un odore fetido, spontanea dei luoghi cespugliosi ed erbosi dalle zone collinari fino a quella alpina al martgine dei boschi, pianta erbacea perenne rizomatosa alta 20-50 cm, ha grandi foglie basali, presenti fino alla cima degli scapi florali come brattee, pedate divise cioè in 3 segmenti principali, di cui il mediano libero e intero mentre i 2 laterali sono al loro volta divisi in segmenti lanceolati, i fiori odorosi, sono grandi di colore verde o rossiccio, con sepali patenticon fioritura invernale-primaverile i frutti sono follicoli oblunghi, uniti alla base in gruppi di 3-8 e muniti di rostri, contengono numerosi semi di forma allungata. Il suo decotto è un potente veleno.




    Edited by gheagabry1 - 7/2/2022, 17:27
     
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