METAMORFOSI di APULEIO...AMORE E PSICHE

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  1. sognatrice09
     
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    iL MITO DI Amore e Psiche
    dalle Metamorfosi di Apuleio ( II secolo d.C )

    In principio furono un re e una regina che avevano tre belle figlie, le due maggiori erano andate in spose a due principi di altri regni mentre la più piccola di nome Psiche era bellissima, di una bellezza così rara e sorprendente che nessun uomo si sentiva all’altezza di corteggiarla.
    Psiche era aggraziata e brillava come una stella tanto era bella, molti pensavano fosse l’incarnazione di Venere, dea della bellezza, così tutti la adoravano come se fosse una dea e addirittura le rendevano omaggio trascurando gli altari della vera dea Venere.

    Venere era gelosa e invidiosa della bellezza di questa semplice mortale e offesa decise di vendicarsi di Psiche, decise perciò di chiedere aiuto al suo figlio prediletto Amore, meglio conosciuto da tutti come Cupido.
    La vendetta ordita da Venere consisteva nel far innamorare Psiche (tramite le infallibili frecce d’amore del figlio) dell’uomo più brutto e sfortunato della terra affinché vivessero insieme una vita povera e triste, e lei fosse così coperta di vergogna a causa di questa relazione.

    Ma il piano di Venere perché suo figlio Amore appena vide Psiche rimase letteralmente incantato della sua bellezza e rapito da quella meravigliosa visione. Preso alla sprovvista da questa visione celestiale fece erroneamente cadere la freccia preparata per Psiche sul suo stesso piede, iniziando così ad amarla perdutamente.

    Amore non poteva stare lontano dalla sua amata mortale e così con l’aiuto di Zefiro che la trasportò in volo su un letto di fiori profumati, la bella Psiche fu portata nel meraviglioso palazzo di Amore.
    Ogni notte Amore andava dalla sua amata senza mai farsi vedere in volto, e i due vivevano momenti di travolgente passione che mai nessun mortale aveva conosciuto.
    I loro incontri avvenivano di notte perché Amore voleva nascondersi ed evitare le ire della madre Venere, così aveva detto alla sua amata che lui era il suo sposo ma che lei non doveva chiedere chi fosse e doveva accontentarsi solo del suo amore senza mai vederlo. Psiche aveva accettato il compromesso ammaliata dalle carezze e dalla passione di Amore e così, giorno per giorno aspettava con ansia che facesse sera per incontrare il suo amato.

    Un giorno le sorelle di Psiche la istigarono a scoprire il volto del suo amante così Psiche la notte stessa decisa finalmente di vedere per la prima volta il viso dell’uomo che le travolgeva i sensi. Prese una lampada a olio e una spada, per paura che fosse un orribile mostro pronto a farle del male, era disposta a tutto pur di conoscere finalmente Amore.
    Quando Amore la raggiunse, Psiche avvicinò la lampada al suo viso e restò folgorata dalla bellezza eterea di quel bellissimo uomo dalle gote rosee e dai riccioli biondi che aveva un paio di meravigliose ali dolcemente ripiegate sulle sue spalle. Incantata e ancor più innamorata Psiche mentre stava per baciarlo fece accidentalmente cadere una goccia d’olio della lampada su Amore, costui dopo aver capito quello che era successo, si allontanò da lei e scomparve lasciando Psiche nello sconforto più totale.

    Appena Venere seppe dell’accaduto s’infuriò e scatenò la sua ira sulla povera Psiche, per punirla la sottopose a diverse e difficili prove che lei superò brillantemente. Sempre più infuriata Venere pose Psiche di fronte alla prova più difficile: la ragazza avrebbe dovuto discendere negli inferi e chiedere alla dea Proserpina un pò della sua bellezza. Psiche scese negli inferi come ordinato da Venere e ricevette un’ampolla dalla dea Proserpina.
    Durante la via del ritorno nel mondo reale, Pscihe fu incuriosita dal contenuto dell’ampolla donatale da Proserpina e con sua grande sorpresa scoprì che la bottiglietta non conteneva bellezza bensì il sonno più profondo. La nuvola che uscì dall’ampolla fece cadere addormentare profondamente Psiche che venne risvegliata dal suo adorato Amore .
    Infine Giove, il padre degli dei, mosso da compassione per le vicissitudini della ragazza fece in modo che i due amanti potessero stare insieme.
    Psiche ad Amore si sposarono e dalla loro unione nacque un figlio di nome Piacere.

    La leggenda di Amore e Psiche ha un significato allegorico: Amore (che sarebbe Cupido, o secondo la mitologia greca Eros) è identificato come il signore dell’amore e del desiderio, e Psiche sarebbe raffigura l’anima: Amore unendosi misticamente a Psiche le dona l’immortalità. Dall’unione dell’anima e dell’amore nasce il piacere.

    Edited by gheagabry - 3/10/2010, 00:49
     
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    grazie sognatrice..e stato un piacere..aaahhhaaa
     
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    (Apuleio, Le metamorfosi, I)



    Le metamorfosi (dal latino Metamorphoseon libri), o L'asino d'oro (Asinus aureus), è un'opera della letteratura latina di Lucio Apuleio (II secolo d.C.). Il secondo titolo deriva dal De civitate Dei (XVlll, 18) di sant'Agostino. È l'unico romanzo antico in latino pervenuto interamente ad oggi; e insieme al Satyricon di Petronio costituisce l'unica testimonianza del romanzo antico in lingua latina. Essendo centrale a tutta l'opera il tema della magia e non essendo citata questa nell'Apologia, che riporta il discorso difensivo dell'autore coinvolto nel 158 in un processo per magia, si desume che la stesura del romanzo sia posteriore a quella data.
    Il testo, tuttavia, potrebbe costituire una rielaborazione di un'opera spuria di Luciano di Samosata (pseudolucianea), Lucio o l'asino. Inoltre, secondo il patriarca Fozio, la storia di Lucio potrebbe derivare da un romanzo a noi perduto, attribuito da Fozio a Lucio di Patre.[1] Il patriarca, infatti, fa intendere dell'esistenza di tre romanzi, l'uno di Lucio di Patre, di cui dice aver letto diversi λόγοι, un altro di Luciano di Samosata e l'ultimo di Apuleio. Il dibattito tra gli studiosi verte attorno alla possibilità che l'opera di Apuleio possa essere derivata da questa fonte comune, costituita dal romanzo dello sconosciuto Lucio di Patre (il cui nome potrebbe essere anche il frutto di un malinteso dello stesso Fozio, che avrebbe confuso il nome del protagonista con quello dell'autore), oppure dal rimaneggiamento, pseudolucianeo, rappresentato dal Lucio ovvero l'asino.

    Il libro è costituito da un soggetto principale, Lucio, e della sua metamorfosi in un asino a seguito di un esperimento non andato a buon fine. È questo l'episodio-chiave del romanzo, che muove il resto dell'intreccio: il secondo livello narrativo è costituito dalle peripezie dell'asino che, nell'attesa di riassumere le sembianze umane, si vede passare di mano in mano, però mantenendo però raziocinio umano e riportando le sue molteplici disavventure.
    La narrazione è inoltre spesso interrotta da digressioni di varia lunghezza, che riferiscono vicende degne di nota o di curiosità, relative alle vicende del protagonista o raccontate da altri personaggi.
    Una di queste, la favola di Amore e Psiche, occupa più libri tanto da costituire un piano narrativo a sé e da essere la chiave di lettura del romanzo. Le altre digressioni inserite nell'intreccio principale sono costituite da vicende di vario tipo, ove il magico (primi tre libri) si alterna con l'epico (storie dei briganti), col tragico, col comico, in una sperimentazione di generi diversi che trova corrispondenza nello sperimentalismo linguistico, con la sola eccezione del libro XI, dove la componente mistica ha il sopravvento e la forma animale di Lucio ha perduto quasi totalmente importanza, mentre nel corso del romanzo proprio la presenza costante delle riflessioni dell'asino crea un effetto di continuità che forma i due livelli di lettura, e scandisce il senso complessivo della vicenda come iter progressivo verso la sapienza.

    Degli undici libri, i primi tre sono occupati dalle avventure del protagonista, il giovane Lucio (omonimo dell'autore, a cui forse proprio dal protagonista venne attribuito tale nome) prima e dopo il suo arrivo a Hypata in Tessaglia (tradizionalmente terra di maghi). Coinvolto già durante il viaggio nell'atmosfera carica di mistero che circonda il luogo, il giovane manifesta subito il tratto distintivo fondamentale del suo carattere, la curiosità, che lo conduce ad incappare nelle trame sempre più fitte di sortilegi che animano la vita della città.
    Ospite del ricco Milone e di sua moglie Pànfile, esperta di magia, riesce a conquistarsi i favori della servetta Fotide e la convince a farlo assistere di nascosto a una delle trasformazioni cui si sottopone la padrona. Alla vista di Pànfile che, grazie a un unguento, si muta in gufo, Lucio prega Fotide che lo aiuti a sperimentare su di sé tale metamorfosi. Fotide accetta, ma sbaglia unguento, e Lucio diventa asino, pur mantenendo facoltà raziocinanti umane.

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    Lucio apprende da Fotide che, per riacquistare sembianze umane, dovrà cibarsi di rose: via di scampo che, subito cercata, è rimandata sino alla fine del romanzo da una lunga serie di peripezie che l'asino incontra. Infine, giunto a Corinto Lucio apprende in sogno che l'indomani ci sarebbe stata una solenne festa in onore di Iside; nel corso della cerimonia mangia le rose che adornavano il sistro di un sacerdote, riprendendo così forma umana. In segno di riconoscenza si consacra devotamente alla dea, entrando nel ristretto numero di adepti al culto dei misteri isiaci.

    Una seconda sezione del romanzo comprende le vicende dell'asino in rapporto a un gruppo di briganti che lo hanno rapito, il suo trasferimento nella caverna montana che essi abitano, un tentativo di fuga insieme a una fanciulla loro prigioniera, Càrite, e la liberazione finale dei due ad opera del fidanzato di lei che, fingendosi brigante, riesce a ingannare la banda.
    Il racconto principale diviene cornice di un secondo racconto, ossia della celebre favola di Amore e Psiche narrata a Càrite dalla vecchia sorvegliante. Nei libri successivi, ad esclusione dell'ultimo, riprendono le tragicomiche peripezie dell'asino, che passa dalle mani di sedicenti sacerdoti della dea Siria, dediti a pratiche lascive, a quelle di un mugnaio che è ucciso dalla moglie, a quelle di un ortolano poverissimo, di un soldato romano, di due fratelli, l'uno cuoco e l'altro pasticciere.
    Ovunque l'asino osserva e registra azioni e intenzioni con la sua mente di uomo, spinto sia dalla curiosità, sia dal desiderio di trovare le rose che lo liberino dal sortilegio. Della sua natura ambivalente si avvedono per primi il cuoco e il pasticciere, scoperta che mette in moto la peripezia finale. Informato della stranezza, il padrone dei due artigiani, divertito, compra l'asino per farne mostra agli amici. In un crescendo di esibizioni, Lucio riesce a sfuggire, a Corinto, dall'arena in cui è stato destinato a congiungersi con una condannata a morte, e nella fuga raggiunge una spiaggia deserta dove si addormenta.
    Il brusco risveglio di Lucio nel cuore della notte apre l'ultimo libro. La purificazione rituale che segue e la preghiera alla Luna preparano il clima mistico che domina la parte conclusiva: Lucio riprende forma umana il giorno seguente, mangiando le rose di una corona recata da un sacerdote alla sacra processione in onore di Iside, secondo quanto la stessa dea gli aveva prescritto, apparendogli sulla spiaggia. Grato alla dea, Lucio si fa iniziare al culto di Iside a Corinto, stabilitosi a Roma, per volere di Osiride, si dedica a patrocinare le cause nel foro.

    Le Metamorfosi sono caratterizzate da uno stile narrativo che nell’antichità mancava di una fisionomia definita; appaiono quindi come una contaminazione di generi diversi (epica, biografia, satira menippea, racconto mitologico, ecc.). Nel caso specifico è problematico il rapporto con le fabulae Milesiae (racconti licenziosi che ispirarono anche Petronio), a cui lo stesso autore riconduce l'opera, ma la perdita pressoché totale della traduzione che Cornelio Sisenna (120–67 a.C.) fece delle originali fabulae Milesiae di Aristide di Mileto (II secolo a.C.) ne rende oscure le origini.
    Un romanzo pervenuto nel corpus delle opere di Luciano di Samosata, un testo oggi totalmente perduto, sviluppa lo stesso intreccio del romanzo latino, col titolo di Lucio o l'asino, in lingua greca e in forma nettamente più concisa rispetto a quella di Apuleio; ma non sono chiari i rapporti relativi e la priorità dell'uno o dell'altro dei due scritti e se abbiano avuto una fonte comune, inoltre quest'opera è una ripresa in chiave burlesca di un romanzo di Lucio di Patre a noi giunto frammentario.
    È certo che il finale, con l'apparizione di Iside e le successive iniziazioni ai misteri di Iside e di Osiride, appartiene ad Apuleio; anche perché il protagonista, un giovane che si definisce greco in tutto il romanzo, in questo libro, inopinatamente, diventa Madauriensis, sovrapponendo l'io–scrivente all'io-narrante.
    Sono comunque differenti il significato complessivo e il tono del racconto: infatti, il testo pseudolucianeo, rivela l'intenzione di una narrativa di puro intrattenimento, priva di qualsiasi proposito moralistico, mentre le Metamorfosi di Apuleio - sotto l'apparenza di una lettura di puro svago, intessuta di episodi umoristici e licenziosi - assume in realtà i caratteri del romanzo di formazione.
    Lucio il protagonista è caratterizzato dalla "curiositas", la quale risulta un elemento positivo entro determinati limiti, che egli non rispetta facendo scattare così la punizione: metamorfosi in asino, animale considerato stupido ed utile solo nel trasporto di grandi carichi. Lucio però mantiene l'intelletto umano, e per questa ragione nel titolo è definito l'asino d'oro, e possiede comunque un punto di vista privilegiato perché osserva gli uomini nei lori gesti quotidiani.
    Il romanzo rappresenta anche una denuncia alla società perché corrotta, ed infatti nel libro sono rappresentati: imbroglioni, prostitute ed adulteri. Il percorso che dunque Lucio si trova ad affrontare è di espiazione, in quanto passa dalla mani di briganti e mugnai alle esibizioni circensi. Il protagonista rappresenta l'uomo che pecca, e che solo dopo l'espiazione dei suoi peccati si può salvare, sino ad arrivare alla conversione al culto di Iside diventandone sacerdote.
     
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    Apuleio






    Lucio Apuleio o Apuleio da Madaura (Madaura, 125 – 170 circa) fu uno scrittore, filosofo, retore, mago e alchimista romano di scuola platonica.
    È noto in particolare per la composizione del romanzo Le metamorfosi (o Asino d'oro). Il prenome Lucio, come tradotto dai codici, risulta sospetto, a causa dell'omonimia con il protagonista-narratore di quest'opera.

    Apuleio nasce intorno al 125 e.v. a Madaura (attuale Mdaurusch, Algeria), piccolo ma importante avamposto romano. La famiglia è benestante ed influente: il padre fu console, la più alta magistratura municipale in Roma, e lasciò ai suoi due figli una consistente eredità di quasi 2 milioni di sesterzi. I primi studi grammaticali e retorici li segue a Cartagine. Qui Apuleio approfondisce poesia, geometria, musica, e soprattutto filosofia, i cui studi sono terminati successivamente ad Atene. S'interessa anche dei riti misterici: a Cartagine dei misteri di Esculapio, il corrispettivo romano del dio greco della medicina e della guarigione Asclepio, e ad Atene dei Misteri Eleusini.



    Apuleio è un grande amante dei viaggi: brillante conferenziere e curioso d'ogni scienza, filosofia o culto, è a lungo una specie di clericus vagans del suo tempo. Alcune tappe del suo pellegrinaggio segnano particolarmente il suo vissuto e la sua sensibilità. Recatosi a Roma, è iniziato al culto di Osiride e di Iside e intraprende con successo la carriera dell'avvocato. Prosegue poi per l'Egitto, Samo (isola natale di Pitagora), Gerapoli e l'Oriente. Qui approndisce la sua cultura filosofica e religiosa.

    Sulla via di Alessandria, Apuleio sosta a Oea (l'odierna Tripoli), dove si imbatte in un vecchio compagno di studi, Ponziano, che lo trattiene offrendogli ospitalità. La madre di Ponziano, Emilia Pudentilla è vedova, non bella, ma particolarmente benestante. Pudentilla vuole sposarsi con Apuleio, perché fidato amico e, in quanto filosofo, indifferente alla ricchezza. Apuleio, inizialmente ritroso, cede alle insistenze della donna e si uniscono in matrimonio. Dì lì a breve, Ponziano muore e i parenti di Pudentilla, per timore di perdere la ricca eredità, accusano Apuleio di aver sedotto la vedova con incantesimi e magie per estorcerle il lascito.
    È avviato un processo a suo carico, che viene celebrato a Sabratha, in Tripolitania, di fronte al proconsole romano Claudio Massimo, si suppone tra la fine del 158 e gli inizi del 159 e.v.. Questa bega legale espone Apuleio addirittura alla pena capitale, in osservanza della lex Cornelia de sicariis et veneficis emanata dal dittatore Silla nell'81 a.C. Anche grazie all'orazione difensiva, poi pubblicata col titolo di Apologia o "Pro se de magia", Apuleio viene assolto, o almeno così si può dedurre dal tono trionfale nella stessa.

    Per merito delle sue pubblicazioni, Apuleio riscuote grande fama di filosofo platonico. Ritornato a Cartagine, la sua gloria viene riconosciuta con la sua investitura a sacerdos provinciae ("sacerdote della provincia"), una carica di grande prestigio religioso e civile: gli è affidato il culto dell'imperatore e di Roma, ma anche funzioni di governo e di rappresentanza. Muore nel 170 d.C., anno a cui risalgono le ultime notizie a suo riguardo. Le cause della morte sono, allo stesso modo, ignote.

    Apuleio usa uno stile prosaico ibrido. Da un lato, manieristico: è imitazione dello stile dell'età repubblicana (da qui, l'uso di termini, che si rifanno alla poetica di Catullo), e di arcaismi; dall'altro, innovativo: ricorre a termini del dialetto latino africano e neologismi, ai quali si aggiunge l'uso di espressioni colloquiali e gergali. Ne Le metamorfosi, si fa più marcata la distanza dal modello ciceroniano di concinnitas e l'avvicinamento ad una maggiore suggestività, realizzata attraverso la musicalità, il ritmo e le figure sonore.
    Apuleio è, inoltre, seguace della Seconda sofistica (conosciuta anche come Nuova sofistica e Neosofistica), un movimento culturale sviluppatosi in Grecia tra il II secolo e il VI secolo che riprende l'uso della dialettica e della retorica sofistica, della forma; ma abbandonandone i temi filosofici ed etici, il contenuto. Apuleio si distingue, infatti, per la sua abilità retorica. Ne dà prova nelle sue conferenze, verbalizzate nei Florida, di quand'è viaggiatore, come nel discorso difensivo, rivisto e trascritto nell'Apologia, di quando è più maturo.

    Il II secolo d.C., età in cui visse Apuleio, è segnato da una profonda crisi spirituale. Il cosmopolitismo si afferma nell'Impero Romano e decade il valore della cittadinanza romana, che stringeva il civis romanus alla res pubblica. Questa tendenza centrifuga favorisce un conseguente riflusso nel privato, concentrando l'attenzione sulle problematiche e sugli affanni che più interessano l'individuo, come la paura della morte e della perdita dell'«io». Per trovar conforto da queste angosce, l'uomo del II secolo d.C. adotta un atteggiamento irrazionale e mistico, che interessa tutti i campi culturali.
    All'interno di questo contesto, Apuleio aderì al medioplatonismo, che ben incorpora tutte le tendenze della sua epoca. Il medioplatonismo è una corrente filosofica sviluppatasi tra il I secolo p.e.v e il II secolo d.C., che riprende le dottrine non scritte di Platone. Questo, talvolta, si rivolge ad altre tradizioni di pensiero, come il pitagorismo e l'orfismo, che vertono su un forte misticismo piuttosto che su un'indagine razionale della realtà.




    La componente mistica è fondamentale nella visione medioplatonica: essa è la via di separazione dal proprio corpo che costringe l'anima come in una prigione e ad una conseguente ascensione verso il divino. Apuleio dimostra la sua adesione a questa corrente filosofica in più modi. I primi riscontri si trovano nel trattato filosofico De deo Socratis, che espone la sua visione filosofica in relazione a quella socratica, quindi nella dottrina demonologica esposta da Apuleio. Allo stesso modo, manifestazione dell'affiliazione dell'autore col medioplatonismo è anche il suo forte interesse per la magia, i rituali e i culti misterici. Gran parte della sua formazione è sicuramente dedicata, infatti, ai misteri di Esculapio e ai misteri Eleusini. La stessa vicenda di Lucio, il protagonista de Le metamorfosi, riconosciuta come fortemente autobiografica, conferma la sua dedizione alla magia.

    Apuleio scrisse moltissimo, in versi e in prosa, in greco e in latino. Molti dei suoi scritti sono, tuttavia, andati perduti; quelli pervenuti sono Le metamorfosi e alcune opere minori.

    Apuleio godette di un'eccezionale fama già da vivo: sappiamo di due statue erettegli dai Cartaginesi e di altre anche altrove (ne parla lui stesso in Florida 16), e disponiamo della lapide del basamento di una statua a lui dedicata dai suoi concittadini di Madaura. L'Africa dell'ultimo paganesimo esaltò Apuleio per il profondo afflato religioso del libro X delle Metamorfosi e per le sue virtù di mago e taumaturgo, contrapponendo i suoi miracoli, e quelli di Apollonio di Tiana, ai miracoli di Cristo. All'inizi del 400 d.C. Apuleio diventa bersaglio dell'apologetica cristiana. La voce meno ostile è quella dell'africano Agostino, che proprio a Madaura studia fino ai sedici anni (Confessiones). Agostino non mostra di credere ad Apuleio mago, né ai suoi miracoli (Epistulae 138), rispetta e combatte l'Apuleio filosofo neoplatonico e la sua teoria dei demoni, apprezza molto però lo scrittore e il retore e soprattutto battezza le Metamorfosi L'Asino d'oro, titolo con cui il romanzo è conosciuto nel medioevo. Per secoli, di Apuleio si lessero solo le opere filosofiche, finché con l'Umanesimo l'interesse si spostò sulle Metamorfosi. Il vero riscopritore delle Metamorfosi è Boccaccio, che copia il romanzo già intorno al 1338. La prima traduzione in volgare del romanzo apuleiano fu del Boiardo (nel Quattrocento), seguita dalla rielaborazione dei primi dieci libri dal Firenzuola col titolo di L'Asino d'oro (1525). Ma non solo in Italia, in tutta l'Europa le Metamorfosi si diffusero in ottime e numerosissime traduzioni, esercitando un influsso che non ha confronti per vastità, consistenza e continuità sulle singole narrative nazionali: oltre alla novellistica, da ricordare anche i romanzi picareschi e, in età romantica, quelli di magia e quelli visionari.
     
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    AMORE E PSICHE


    (Dalle “Metamorfosi di Lucio Apuleio – Libro IV)


    PERSONAGGI:

    Eros (dio dell’amore)
    Psiche (principessa)
    Persefone


    Trama
    C'erano una volta, in una città, un re e una regina, i quali avevano tre figlie. L'ultima, Psiche, era stupenda, tanto da suscitare la gelosia di Venere la dea dell’amore , la quale prega Eros di ispirare alla fanciulla una passione disonore-vole per l'uomo più vile della terra. Tuttavia, è stesso Amore ad invaghirsi della fanciulla, la trasporta nel suo palazzo, dov'ella è servita ed onorata‚ come una principessa‚ da ancelle invisibili e dove, ogni notte, il dio le concede indimenticabili visite. Unica condizione è che Psiche non deve vedere il viso del misterioso amante, altrimenti si rompe l'incantesimo. Per confortare la sua solitudine, la fanciulla ottiene di far venire nel castello le sue due sorelle. Queste, invidiose, le suggeriscono che il suo amante è in effetti un mostruoso serpente: allora, Psiche, curiosa e delusa, armata di pugnale, si avvi-cina al suo amante per ucciderlo. Ma a lei il dio Amore, che dorme, si rivela nel suo fulgore, coi capelli profumati di ambrosia‚ le ali rugiadose di luce‚ il candido collo e le guance di porpora. Dalla faretra del dio, Psiche trae una freccia, con la quale si punge, innamorandosi perdutamente di Eros. Dalla lucerna di Psiche una goccia d'olio cade sul corpo di Amore che si sveglia e fugge lontano dalla fanciulla, che ha violato il patto. L'incantesimo è rotto, e Psiche, disperata, si mette alla ricerca del suo amore. Deve affrontare l'ira di Venere, che sfoga la sua gelosia imponendole di superare quattro prove, l'ultima delle quali comporta la discesa nell’Ade‚ per farsi dare un vasetto da Persefone.Psiche avrebbe dovuto consegnarlo a Venere senza aprirlo, ma la curiosità la perde ancora una volta. La fanciulla allora viene avvolta in un sonno mortale. Alla fine‚ interviene a salvarla Amore‚ il quale otterrà per lei da Giove l'immortalità e la farà sua sposa. Dalla loro unione nascerà una figlia: "Voluttà".
    [L.Apuleio(2)- Metamorphoseon libri XI (3) – libro IV]

    IL TRIONFO DELL’AMORE




    (PROLOGO)
    L’amore
    è il più bel fiore
    della giovinezza
    e lo coglie ancor di più
    chi di vaghezza è adorno
    e di bellezza.
    Psiche era infin talmente bella
    che Venere ne avea gran gelosia
    e pregò Amore‚ il primo tra gli dei‚
    di maltrattarla‚ compiendo la magia:
    legarla ad uomo indegno di sua beltade
    e della sua grande nobiltà.
    Ma Eros‚ dio d’amore e di saggezza‚
    solo a guardarla se ne innamorò
    ed in palazzo‚ per lui‚ la riservò.
    Di servi invisibili era regina‚
    mentre‚ di notte‚

    Amore la prendeva‚
    baciandola col corpo che splendeva.
    E lei‚ rispondendo a quell’ amplesso‚
    donava‚ con il cuore‚
    tutta se stessa:

    schiudeva i suoi scrigni
    al dio supremo
    gridava al mondo
    il suo piacere estremo.
    La luna arrossiva su nel cielo
    e Notte rinfrescava con un velo
    le carni di fuoco della fanciulla‚
    che Eros stringeva nella culla
    delle sua braccia divine‚
    che d’ambrosia odoravano
    e di forza‚
    con una gran passione‚
    Che mai si smorza.


    Le sorelle‚
    invidiose di cotanto amante‚
    spingono la fanciulla a verificare
    se trattasi di Eros o di serpente‚
    che ne carpisce amor continuamente.
    Psiche‚ allor‚Guardando
    rompe il patto
    di non scrutare il dio dell’amore‚
    che fugge lontano da quel fiore‚
    lasciando nel giaciglio solo dolore.
    La dolce fanciulla lo inseguì:
    la freccia del nume l’avea punta.
    Pur di riconquistare il ben perduto‚
    affrontò l’ira di Venere‚ pallida e smunta.
    Concluse le tre prove
    ma‚ alla terza‚ curiosità la vinse
    e da sonno mortale fu avvolta‚
    come morte nell’Ade
    l’avesse colta.


    (EPILOGO)

    E corse Amore
    a salvar l’amante‚
    rendendole la vita
    e poi l’amore.
    La rese dea immortal
    e sull’olimpo
    l’accolsero felici gli altri dei‚
    regalandole un letto d’ambrosia‚
    ove ancor giace‚ con Eros‚
    per l’eternità.

    Se ascolti‚ d’estate‚
    tra le stelle
    puoi udire una musica
    Divina:
    le note gravi sono
    dell’Amore;
    i gemiti di Psiche
    sono violini.

     
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