METAMORFOSI

Ovidio

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    IL MITO DI ALCIONE




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    Secondo un’antica leggenda Alcione era la figlia di Egiale (colei che tiene a bada l’uragano ) e di Eolo (il custode dei venti) e aveva sposato Ceice (gabbiano), figlio della Stella del Mattino.
    Erano talmente felici assieme che decisero di paragonarsi a Zeus ed Era suscitando così l’ira delle due divinità le quali si vendicarono scagliando una folgore che scateno' una tempesta contro la nave di Ceice, partito per consultare un oracolo , che così annegò.
    Il suo corpo fu portato a riva dalle onde.
    La sua ombra apparve in sogno ad Alcione che, intuita la sua morte, corse alla spiaggia , lo trovo' , si gettò nelle acque e per disperazione si trasformò in un uccello dal grido lamentoso, mentre una metamorfosi simile fu concessa a suo marito.

    Gli dei, commossi, ne ebbero pietà e li trasformarono in alcioni (un tipo di uccello, probabilmente un martin pescatore o una specie di gabbiano)......

    " e, proprio mentre Alcione si lanciava nel vuoto, le donò due ali che le permisero di librarsi dolcemente nell'aria. Come per incanto spuntarono due ali anche sul corpo galleggiante di Ceice, che fu visto sollevarsi dalle acque e andare incontro alla sua sposa "

    Questi facevano il nido vicino al mare ma venivano continuamente distrutti dalle onde.
    Zeus ebbe nuovamente pietà e ordinò ai venti di acquietarsi nei sette giorni che precedono e seguono il solstizio d'inverno, in modo da consentire il compimento della cova. Sono appunto "i giorni dell'alcione", che non conoscono tempesta.


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    IL MITO DI BAUCI E FILEMONE



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    Ambientata in epoca schiavistica, nella Frigia ellenica, una regione dell’odierna Turchia, detta allora Asia Minore, è narrata da Ovidio nel libro VIII delle Metamorfosi, opera letta e amata da pagani e cristiani .
    La storia di Bauci e Filemone ha influenzato la letteratura cristiana per l’amore coniugale dei due anziani contadini ed il valore dell’ospitalità di cui si racconta .



    In questa storia, due poverissimi contadini danno ospitalità a Zeus e a Hermes, scesi sulla terra sotto mentite spoglie :
    si presentarono a mille case cercando un posto per riposarsi ma mille spranghe sbarrarono loro le porte. Una sola li accolse, piccola davvero, misera , coperta di paglia e di canne palustri dove , uniti sin dalla loro giovinezza, vivevano Bauci, una pia vecchietta, e Filemone, della stessa età, che in quella capanna erano invecchiati insieme alleviando la povertà con l'animo sereno di chi non si vergogna di sopportarla.
    Quando dunque gli abitanti del cielo arrivarono alla piccola casa e varcarono col capo chino la bassa porta, il vecchio, accostata una panca, li invitò a ristorare le membra.
    Su questa la premurosa Bauci stese un rozzo telo e smosse la cenere tiepida nel focolare e riattizzò il fuoco del giorno precedente e preparò un pasto frugale servito con gentilezza .
    Allora avvenne un miracolo : il recipiente del vino si riempì da solo e fu allora che Bauci e Filemone riconobbero nei loro ospiti gli dei del cielo e per essi si apprestarono a sacrificare la loro unica oca .
    Gli Dei lo impedirono e rivelarono loro il destino al quale erano condannate tutte le terre lì intorno........

    “Numi del cielo noi siamo e gli empi vicini avranno le punizioni che si meritano; a voi sarà dato di restare immuni da questo male; lasciate la vostra casa e seguite soltanto i nostri passi e venite in cima al monte!”.

    I due obbediscono e, appoggiandosi ai bastoni, si sforzano di salire su per il lungo pendio e raggiunta la vetta vedono le campagne sommerse dalle acque paludose e solo la loro capanna risparmiata e trasformata in un tempio: ai puntelli si sostituiscono colonne, vedono la paglia del tetto assumere riflessi d'oro, le porte si ornano di fregi e il suolo si riveste di marmo.
    E Zeus chiede a Filemone di esprimere un desiderio : " Dite, buon vecchio e tu, donna degna di un giusto marito , che cosa desiderate?”.
    Dopo aver scambiato poche parole con Bauci, Filemone espone agli dèi la scelta comune: “Chiediamo di essere sacerdoti e custodire il vostro tempio, e poiché in dolce armonia abbiamo trascorso i nostri anni, vorremmo andarcene nello stesso istante, ch'io mai non veda la tomba di mia moglie e mai lei debba seppellirmi".

    Il desiderio fu esaudito: finché ebbero vita, custodirono il tempio e quando consunti dagli anni e dall’età, mentre stavano davanti alla sacra gradinata, narrando la storia del luogo,arrivo' il momento Bauci vide Filemone coprirsi di fronde, e il vecchio Filemone vide Bauci fare la stessa cosa.
    E mentre sui due volti cresceva la cima, si rivolgevano parole, finché fu loro possibile , di amore e dedizione :
    "Addio, amore mio", dissero insieme e insieme la corteccia come un velo suggellò la loro bocca.


    Dunque, Bauci fu trasformata in tiglio ,pianta molto longeva , allegoria della fecondita' e dell'amore e Filemone in quercia, simbolo della potenza e della fermezza maschile e dell'immortalità.


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    IL MITO DI PIRAMO E TISBE


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    Questa leggenda ci viene raccontata da Ovidio nelle Metamorfosi e da essa William Shakespeare trasse ispirazione per il suo capolavoro " Romeo e Giulietta "


    Nel libro IV delle Metamorfosi compare l’amore tra gli esseri umani : quello tragico tra Piramo e Tisbe che si amano profondamente, ma la loro unione è osteggiata dalle famiglie.

    I due innamorati non potevano vedersi a causa di una lite ma ogni giorno riuscivano a comunicare segretamente tramite una fessura nella parete che univa le loro stanze confinanti.
    Così, a ogni ora si scambiavano parole d'amore e pensieri sulla loro triste condizione.


    Piramo e Tisbe, l’uno il più bello fra i giovani,l’altra superiore a tutte le fanciulle che ebbe l’Oriente , quando si trovavano l'una da una parte e l' altro dall’altra della parete e a vicenda avevano colto il respiro reciproco dicevano: «O muro invidioso, perché ostacoli gli innamorati?
    Gran cosa sarebbe stata permettere di unirci con tutto il corpo
    O, se questo è troppo, almeno aprirti perché ci diamo baci?
    Ma non siamo ingrati: a te riconosciamo di dovere,
    poiché è dato alle parole di giungere alle orecchie dell’amato».

    Una sera salutandosi e dando alla parete dei baci che non arrivavano di là stabiliscono di , eludendo la vigilanza , tentar di uscire di casa nel silenzio della notte, e una volta fuori, di lasciare l’abitato per incontrarsi al sepolcro del re Nino e lì nascondersi al buio sotto un albero tutto carico di bacche bianche come neve, un alto gelso sull’orlo di una freschissima fonte.
    Infatti la notte seguente , aperta con cautela la porta, Tisbe , di soppiatto, esce nelle tenebre senza farsi sentire dai suoi, e col volto velato arriva al sepolcro e si siede sotto l’albero prestabilito. Quand’ecco che una leonessa, che aveva appena fatto strage di buoi, giunge con il muso intriso di sangue a dissetarsi alla fonte lì accanto. Tisbe di Babilonia la vede al chiarore della luna, e con piede trepidante corre a rifugiarsi in una grotta oscura, ma mentre fugge il velo le scivola dalle spalle. La leonessa, sedata la sete, tornando nel bosco, trova il delicato velo abbandonato, e lo straccia con le fauci insanguinate.

    Piramo, uscito più tardi, scorge nella polvere le orme inconfondibili di una belva e impallidisce dalla paura. Quando poi trova il velo macchiato di sangue piange la morte della sua amata Tisbe e invoca anche per se stesso la morte .
    Raccolti i brandelli del velo di Tisbe, li porta ai piedi dell’albero convenuto e si conficca il pugnale nel ventre. Morente, lo ritrae dalla ferita e cade a terra .
    Il sangue schizza in alto e i frutti della pianta, spruzzati di sangue, divengono scuri; la radice inzuppata continua a tingere di rosso cupo i grappoli di bacche.
    Nel frattempo Tisbe ritorna al luogo stabilito e cerca il giovane innamorato. Ritrova e riconosce la forma della pianta, ma il colore dei frutti la fa restare incerta. Mentre è in dubbio, vede un corpo agonizzante a terra, in una pozza di sangue, e rabbrividisce.

    Riconosciuto il suo amore, abbraccia il corpo amato e bacia il suo gelido volto : Piramo alza per un attimo gli occhi e li richiude. Tisbe riconosciuto il suo velo prende il pugnale di Piramo e si uccide.
    Prima di morire però rivolge ai genitori di entrambi una preghiera: di lasciarli uniti nella morte in un unico sepolcro e all’albero di serbare il ricordo di questa tragedia conservando il colore rosso scuro nei suoi frutti .





    Per questo il colore delle bacche del gelso da quel giorno da bianche diventarono rosse .


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    GIOVE E LICAONE






    La tradizione letteraria con Ovidio racconta che Giove sceso sulla terra sotto forma umana per rendersi conto della malvagità degli uomini si reca alla reggia di Licaone, tiranno d' Arcadia , e dei suoi 50 figli tutti di indole malvagia .
    Giove fa in modo che gli uomini lo riconoscano, ma Licaone e i suoi figli ,volendo provarne la divinità ,imbandiscono un banchetto a base di carne umana , di quel nipote - Arcade - nato dalla relazione di Giove con sua figlia Callisto .
    Giove, allora adiratosi scaglia un fulmine contro la sua reggia incendiandola e uccidendo tutti i figli di Licaone tranne Nittimo e grazie ai suoi poteri divini, resuscita Arcade e trasforma Licaone in un feroce lupo destinato a cibarsi di carne umana , da cui il nome licantropo
    La metamorfosi, come dice Ovidio, avvenne nel bosco dove Licaone si era rifugiato per sfuggire l’ira di Giove .


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    Dalle Metamorfosi :
    Licaone , l'empio ,decide di uccidere Giove mentre questi è addormentato ma “ come se non fosse abbastanza, sgozza con una spada un ostaggio mandatogli dal popolo dei Molossi, e quelle membra ancora messe vive , in parte le lessa in acqua bollente, in parte le arrossisce alla fiamma.
    Non ha tempo pero' ad imbandirle, che Giove con fuoco vendicatore fa crollare su se stessa quella casa degna del suo padrone.
    Licaone allora fugge, atterrito, e raggiunti i silenzi della campagna si mette a ululare..”.


    "comincia ad ululare e invano tenta di parlare; la bocca raccoglie da lui stesso la rabbia e sfoga la brama della strage, per lui abituale, sugli armenti, e ancora oggi gode del sangue. La veste si muta in un vello, le braccia in zampe; diventa lupo e mantiene le tracce dell'antico aspetto; identico il colore grigiastro, identica la ferocia del volto; guizzano minacciosi gli stessi occhi, immutata l'aria di crudeltà".



    Questa versione viene messa in rapporto con i sacrifici umani che si svolgevano in Arcadia in onore di Zeus Liceo ; con questo mito si e' voluto rappresentare il rito del cannibalismo, legato a Zeus Liceo. Si credeva infatti che chiunque avesse mangiato carne umana veniva trasformato in un lupo e costretto poi a girovagare senza meta per 8 anni prima di riacquistare le sembianze di un uomo.
    Secondo alcuni autori, Licaone è da considerarsi il primo esempio di licantropo della storia.

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    APOLLO E CORONIDE




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    Coronide, figlia di Flegia, re dei Lapìti, viveva in Tessaglia, sulle rive del lago Beobi, ove soleva immergersi.
    Apollo, attratto dalla sua bellezza, ne divenne l'amante. Dovendo andare un giorno a Delfi, affidò Coronide alle cure di un corvo bellissimo dalle immacolate piume.
    Ma Coronide che nutriva da tempo una forte passione per Ischi ne divenne l'amante, benchè attendesse un figlio da Apollo.
    Avvenne che il corvo, credendo di far cosa gradita, si recasse a Delfi, raccontando ad Apollo dell'infedeltà di Coronide anche se lungo la strada s’imbatté nella cornacchia, che cercò di dissuaderlo dal suo proposito raccontandogli di come lei stessa fosse stata punita da Minerva per averle rivelato il tradimento di una sua protetta. L’uccello, ignorando il consiglio della cornacchia, rivelò ad Apollo l’infedeltà dell’amata, scatenando l’ira del dio .
    Intervenne allora Artemide, sorella di Apollo, a vendicare l'offesa fatta al fratello scagliando contro Coronide un intero turcasso di dardi , trafiggendola .
    La donna prima di morire rivelò ad Apollo di essere incinta di suo figlio, che, per colpa del suo gesto di collera, sarebbe morto insieme a lei.
    Apollo alla vista dell'amante ferita a morte fu preso da rimorso e chiamò in aiuto Hermes che liberò dal ventre di Coronide , il figlio di Apollo , che chiamò Asclepio .
    Questi fu affidato alle cure del centauro Chirone che gli insegnò l'arte della Medicina ed ereditando le doti curative paterne divenne il dio della medicina
    Ischi fu invece colpito dalla collera di Giove, che lo folgorò.

    Apollo pentitosi, punì il corvo che gli aveva rivelato il tradimento della donna amata : l’animale, infatti, tramuta le sue piume bianche con piume nere , colpito dalla punizione divina.

    La favola di Apollo e Coronide contiene dunque il mito che narra la vicenda che porta il corvo ad avere il suo attuale aspetto, nonché il motivo per cui vengono solitamente associati al volatile significato di cattivo presagio ed esagerata loquacità.
    In origine, infatti, il corvo aveva il piumaggio bianco ed era un uccello caro e al servizio di Apollo, ma a causa della solerzia da parte del corvo nel rivelargli il tradimento di Coronide, Apollo lo punisce trasformando le sue penne da bianche in nere e trasformandolo così nell’animale la cui comparsa presagisce mali.

    Il mito della nascita di Asclepio , tratto dal ventre di Coronide , serve anche ad illustrare una pratica medica, il parto cesareo, già in uso sotto Giulio Cesare


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    IL MITO DI PAN E SIRINGA




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    Narra Ovidio (Metamorfosi): ......... come Pan, quando credeva d'aver ghermito ormai Siringa, stringesse, in luogo del suo corpo, un ciuffo di canne palustri e si sciogliesse in sospiri: allora il vento, vibrando nelle canne, produsse un suono delicato, simile a un lamento e il dio incantato dalla dolcezza tutta nuova di quella musica: «Così, così continuerò a parlarti», disse e, saldate fra loro con la cera alcune canne diseguali, mantenne allo strumento il nome della sua fanciulla.”



    Pan non viveva sull'Olimpo: era un dio terrestre amante delle selve, dei prati e delle montagne. Preferiva vagare per i monti d'Arcadia, dove pascolava le greggi e allevava le api.
    Pan era un dio perennemente allegro, venerato ma anche temuto. Legato in modo viscerale alla natura ed ai piaceri della carne , dio dei boschi, del pascolo, del bestiame e degli animali selvatici, estendeva la propria tutela anche sui pastori e sui cacciatori ; alcune leggende affermano che fosse figlio di Zeus e di Callisto , altre di Ermes e della ninfa Driope (o Penelope) che, subito dopo averlo messo al mondo, lo abbandonò tanto era rimasta inorridita dalla sua bruttezza.
    Infatti Pan assomigliava più ad un animale che ad un uomo avendo il corpo coperto da ispido pelo , il mento ricoperto da una folta barba , in fronte due corna ed al posto dei piedi due zoccoli caprini.

    Ermes, impietosito da questo bambino al quale la natura non aveva certo fatto dono di alcuna grazia, decise di portarlo nell'Olimpo al cospetto degli altri dei, dove, nonostante il suo aspetto, fu accolto con benevolenza.
    Pan infatti aveva un carattere gioviale e cortese e tutti gli dei si rallegravano alla sua presenza
    In particolare Dioniso lo accolse con entusiasmo tanto che ne divenne uno dei compagni prediletti ed insieme facevano scorribande attraverso i boschi e le campagne rallegrandosi della reciproca compagnia.

    Pan era un dio silvestre che amava la natura, amava ridere e giocare.
    Amò e sedusse molte donne tra le quali le Ninfe Eco, Eufemie, Pitis : con Eco che poi fu tramutata in voce, con Pitis che invece divenne un pino. Con Eufeme, nutrice delle muse generò Croto, il sagittario .Tuttavia il suo amore più grande fu per la Naiade Siringa , figlia della divinità fluviale Ladone .
    La fanciulla però non solo non condivideva il suo amore ma quando lo vide fuggì inorridita, terrorizzata dal suo aspetto .
    Corse e corse Siringa inseguita da Pan e resasi conto che non poteva sfuggirgli iniziò a pregare il proprio padre perchè le mutasse l'aspetto in modo che Pan non potesse riconoscerla. Ladone, straziato dalle preghiere della figlia, la trasformò in una canna nei pressi di una grande palude.
    Siringa diventò una canna, che in mezzo ad altre in una palude era indistinguibile. Pan, invano cercò di afferrarla ma la trasformazione avvenne sotto i suoi occhi. Afflitto, abbracciò le canne ma più nulla poteva fare per Siringa.
    Il vento sibilava attraverso il canneto, e Pan fu incantato da quel suono, pertanto tagliò una canna in setto pezzi di lunghezze diverse che unì tra loro con cera e spago, a formare quello strumento che tutt’oggi si chiama Flauto di Pan o Siringa.
    Fabbricò così uno strumento musicale al quale diede il nome di "Siringa" (che ai posteri è anche noto come il "flauto di pan") dalla sventurata fanciulla che pur di non sottostare al suo amore, scelse di vivere per sempre come una canna.
    Pan creò così lo strumento musicale che portò il nome della sua amata Siringa e da allora Pan fu visto raramente senza di esso.




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    ........con la sua voce spaventosa incute in chi ode una grande paura, che da Pan prende appunto il nome di timor panico.

     
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