METAMORFOSI

Ovidio

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  1. gheagabry
     
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    LA TRADIZIONE DELLE METAMORFOSI
    DI OVIDIO NELLA CULTURA OCCIDENTALE


    di A. Perutelli




    Le Metamorfosi possono essere considerate rappresentazioni di miracoli laici senza provvidenza o guida trascendente. Anche per questo motivo sono giunte fino a noi e costituiscono dei modelli che hanno segnato profondamente l’esperienza dell’uomo occidentale e rappresentano l’angoscia del ventesimo secolo.
    Ovidio aveva concepito la cosiddetta enargeia, tecnica diffusa soprattutto nell’ ekfrasis che si può tradurre con chiarezza visiva.
    L’intento di questo artificio retorico era quello di rendere le immagini con le parole, di tradurre una figura o un’opera d’arte in linguaggio verbale nel modo più evidente possibile.
    In sostanza queste descrizioni, anche se non fanno riferimento ad una dottrina religiosa, sono miracoli spiegati in tutti i particolari, come se il poeta mostrasse esitazione nel presentarli al lettore e cercasse con la sua arte dell’evidenza di tranquillizzare il lettore e persuaderlo del reale accadimento di questi miracoli.
    L’intento persuasivo e didascalico è particolarmente evidente nella prima parte del poema, come se Ovidio esitasse e affrontasse il miracolo con la massima cautela preoccupandosi di renderlo verosimile attraverso il massimo della chiarezza

    Met. I, 550 e segg.

    In frondem crines, in ramos bracchia crescunt;
    pes modo tam velox pigris radicibus haeret,
    ora cacumen habet: remanet nitor unus in illa.

    Non viene detto semplicemente che la ninfa si trasforma in lauro, ma come ciascuna parte del corpo è trasformata in una singola parte dell’albero quasi corrispondente I grandi pittori del Rinascimento hanno colto questa tensione di Ovidio verso l’immagine e hanno riprodotto i miti in tutti i modi possibili.
    Nell’arte figurativa fino all’età contemporanea la metamorfosi è uno dei temi più frequentati da Tiziano, i fiamminghi, Poussain e S. Dalì.
    Il poeta sottolinea che alcuni caratteri sono costanti prima e dopo la metamorfosi, per esempio la lucentezza delle foglie dell’alloro è una qualità persistente…Nitor unus in illa….Ovidio segue anche il criterio dell’economia che consiste nella narrazione delle trasformazioni dei particolari in particolari più simili possibile.
    I capelli sono la parte del corpo di Dafne più simile alle foglie e si trasformano nella parte dell’albero più corrispondente a quella della ninfa. Quando si arriva a precisare che i rami si trasformano in bracchia , Ovidio fa un gioco comprensibile solo al lettore esperto: nella lingua poetica latina i rami degli alberi spesso sono designati con il termine bracchia.
    Questa trasformazione delle bracchia in rami, dunque, non solo è la trasformazione più economica possibile ma si avvale della designazione metaforica "bracchia" per arrivare alla definizione propria"ramos".
    Per inseguire questo suo criterio usa due termini che nella lingua poetica latina sono sinonimici, perché indicano lo stesso referente. Tutti e due designano i rami dell’albero.
    È un messaggio tranquillizzante per il lettore, in quanto pone l’accento non sul mutamento ma sulla persistenza o somiglianza.
    Pianezzola ha precisato che nelle Metamorfosi il prima e il dopo si configurano come una similitudine, perché il mutamento non collega due esseri molto differenti uno dall’altro, ma il più possibile simili uno all’altro.
    Il testo di Ovidio si potrebbe parafrasare con una similitudine. Dafne nella sua corsa è simile ad un albero.

    Petrarca, Canzone 23

    E i duo mi trasformaro in quel ch’io sono,
    facendomi d’uom vivo in lauro verde,
    che per freddda stagion foglia non perde.
    Qual mi fec’io quando primer m’accorsi
    de la trasfigurata mia persona,
    e i capei vidi far di quella fronde
    di che sperato aveva già lor corona,
    e i piedi in ch’io mi stetti, et mossi, et corsi,
    com’ogni membro a l’anima risponde,
    diventar duo radici sovra l’onde
    non di Peneo, ma d’un più altero fiume,
    e n’ duo rami mutarsi ambe le braccia!

    Petrarca era innamorato soprattutto di una metamorfosi, quella in cui Dafne si trasforma in lauro. Egli amava Laura e voleva trasformarsi in lauro. In questa canzone descrive il suo innamoramento.
    Sono evidentissimi i riferimenti ad Ovidio.
    È tuttavia necessaria la comprensione delle differenze: il testo di Ovidio giunge alla descrizione complessiva della trasformazione di un essere in un altro con molta cautela, indicando le singole parti. Petrarca, invece, parla della trasformazione dell’intera sua persona, che precede la descrizione dei singoli particolari; si può capire, quindi, il diverso significato che il poeta vuole attribuire alla stessa immagine di Dafne. La usa con un intento opposto e segue il criterio dell’accentuazione della trasformazione dell’intera sua persona nel momento in cui ha incontrato l’amore e la sua donna. Nell’enfasi con la quale descrive il suo amore sottolinea la diversità rispetto al suo stato precedente e specifica la trasfigurazione con tutte le connotazioni che questo termine assume nella cultura del tempo.

    Garcilaso de la Vega, Sonetto 13

    A Dafne ya los brazos le crecían
    Y en luengos ramos vueltos se mostraban;
    en verdes hojas vi que se tornaban
    los cabellos qu’el oro escurecian;

    de aspera corteza se cubrian
    los tiernos miembros que aun bullendo ‘staban;
    los blancos pies en tierra se hincaban
    y en torcidas raíces se volvían.

    Aquel que fue la causa de tal daño,
    a fuerza de llorar, crecer hacía
    este arbol, que con lagrimas regaba.

    Oh miserable estado, oh mal tamaño,
    que con llorarla crezca cada día
    la causa y la razón por que lloraba!

    Garcilaso fu un cavaliere spagnolo, uno spadaccino alla corte di CarloV nel periodo di massimo splendore; nel 1526 la sua vita subì una svolta allorquando giunse alla corte di Castiglia Isabella, sposa di Carlo V, seguita da una dama di compagnia che conquistò il cuore del guerriero e letterato. Fu un grande amore infelice mai ricambiato.
    Nel sonetto c’è un gioco coloristico che manca nel modello; ci sono dei contrasti di colore che presuppongono un’ influenza dall’arte figurativa, in particolare forse del quadro di Pollaiolo.
    Garcilaso vuole descrivere soprattutto un amore infelice, una sofferenza, un dolore. Diverso è l’intento di Ovidio, evidente ai versi 556-557: qui Febo tacque e l’alloro annuì con rami appena formati e agitò la cima quasi assentisse col capo. Il poeta ricerca la composizione del contrasto doloroso che si era determinato fra Apollo che desiderava conquistare Dafne e la ninfa che voleva fuggire. Il conflitto viene, invece, enfatizzato da Garcilaso; la metamorfosi perde la sua funzione conciliatrice e diventa un dolore ancora più lacerante.
    Piramo e Tisbe, i protagonisti di una metamorfosi del IV libro, sono due giovani cresciuti insieme e uniti da un amore contrastato dalle famiglie.
    Costretti a vedersi di nascosto, i due comunicano attraverso una fessura del muro delle rispettive case, finché decidono di fuggire insieme e darsi appuntamento sotto un albero. Tisbe, giunta per prima, viene assalita da una leonessa che aveva appena consumato un pasto feroce ed era sporca di sangue. Tisbe fuggendo lascia cadere un indumento che viene macchiato del sangue della vittima della leonessa. Quando Piramo giunge sul luogo vede la fiera e scorge le macchie di sangue sull’abito di Tisbe; ritiene, dunque, che la sua amata sia stata sbranata e senza esitazione si uccide.
    Tisbe, ritornata al luogo dell’appuntamento, trova Piramo agonizzante e anche lei decide di morire. Il racconto si conclude con un aition dell’arbusto che cambia il colore dei suoi frutti.
    Il "Sogno di una notte di mezza estate" di Shakespeare è caratterizzato da una vicenda tumultuosa popolata da figure misteriose o magiche e da un inseguimento tra amati e amanti che ricorda molto l’Orlando Furioso.
    Questa commedia ha, nell’ultima sua parte, un finale sorprendente perché proprio nel mezzo della soluzione che si svolge davanti al re Teseo, con un gesto metateatrale frequente in Shakespeare, viene rappresentata un’altra commedia che s’intitola Piramo e Tisbe : c’è un personaggio che cerca di recitarla ma viene dileggiato e interrotto dagli altri. Gli interpreti dicono che tale conclusione alluda all’introduzione iniziale secondo una struttura circolare.
    La commedia è databile intorno al 1593-1595. Sono questi gli anni in cui Shakespeare compone "Romeo e Giulietta" , tragedia molto simile a Piramo e Tisbe, il cui modello è presente nella novellistica italiana ma risale ad Ovidio; Shakespeare, che conosceva alla perfezione le Metamorfosi , nel Sogno di una notte di mezza estate ha voluto sciogliere nello stile comico il modello di una delle sue tragedie più riuscite.

     
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67 replies since 8/7/2010, 20:59   9194 views
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