ANIMALI MITOLOGICI

minotauro, draghi.........

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    IL FIERO ANIMALE FENICIAURO



    Il fiero animale detto feniciauro, ha le orecchie bu, becco d’oca, collo di serpente, ventre di rana, ali di fenice, zampe d’aquila e cresta di coccodrillo. I suoi colori sono blu, giallo, rosso, grigio. Quest’animale è carnivoro. Egli è nato da una fenice, è un animale detto “bosarfe” perchè le sue parti sono formate da diversi animali.
    Inoltre il feniciauro, pur vivendo a lungo è unico ed irripetibile.

    IL LONG-FENG.

    Il long-feng ovvero drago-fenice è un animale più somigliante ad un uccello che ad un animale di terra come il drago. E’ lungo 4 metri circa afferma Cludy Mesoon la famosa zoologa. Possiede la testa di drago azzurro, il collo di fenicottero rosa, la sua pelle è a strisce di vari colori e sfumature, ha corna di cervo, il ventre di gatto rosso, le ali blu sono di pegaso e una coda di anguilla arancione che luccica.
    Questo animale vive sul sole, si nutre di erbe aromatiche o di eucalipto. Squarta vari animali quando è arrabiato.
    Quando lascia la vita si trasforma in acqua e le sue ossa divengono smeraldi.


    IL FIERO ANIMALE UVAEG

    Il fiero animale si chiama Uvaeg. Quest’animale vive nei sogni più remoti del pensiero, è praticamente impossibile trovarlo. Si nutre di qualsiasi cosa, ma nel suo strano habitat, di solito, si nutre di cadaveri uccisi da altri animali, perchè lui non vuole sporcarsi le sue dorate unghie; quando passa lascia come una scia maleodorante (dato che non si lava mai). Non ha famiglia e non muore mai.


    MOONSAURUS


    E’ un animale dalla testa di cammello, la coda di pavone, ali d’aquila, zampe di tigre, collo di serpente orecchie di elefante, occhi di coniglio.
    Egli vive sulla luna, per poter volare usa le ali d’aquila e le zampe di tigre. I suoi colori sono blu, azzurro, bianco.
    Il moonsaurus di mattino va in città per nutrirsi e poi ritorna di notte.
    Egli si nutre di cose vegetali, beve l’acqua, la coca cola e la birra. Per poter crescere deve bere e mangiare per cinque mesi.
    Se lo toccano muore, spezzandosi in mille cristallini.

    IL SWEETDAY

    Il sweetday ha la testa di volpe rossa, la cresta lunga e i contorni sono di un giallo panna, invece all’interno è di un nero scuro, le sue ali sono rosse da diavolo, il suo collo è ricoperto di squame verdi acqua che secondo la scienziata Cinzia Marticoni sono lunghe sino alle spalle.
    Le orecchie sono di bufalo,le zampe sono di tigre con unghie affilate.
    Egli vive nel deserto del Sahara è stato scoperto da Lorenzo Barelli uno scienziato dell’accademia militare nel sedici luglio 1996.


    IL FIERO ANIMALE GIRONZONE

    Il fiero animale è lungo quattromila metri è detto anche detto gironzone ha due ali di fenice,un becco d’aquila e due occhi che t’ incantano per la loro bellezza, ha la cresta di drago e ha il ventre di rana.
    E’ un animale bello e aggraziato, però quando vede un villaggio divora tutto ciò che trova sulla sua strada.
    Ha il carattere di un carnivoro, con il speciale potere di trasformare le persone in pietra.

    CASTRELLOS MOSTRELLOS

    Castrellos Mostrellos, il notissimo uccello, vive nei posti più remoti dei pensieri filosofici.
    E' l'assemblaggio di molti animali, infatti nasce dal liquido, risultato dalla fusione di anime di questi ultimi.
    La sua vita dura circa quattro giorni, afferma il famoso scienziato Peter Bensar.
    Dovunque passa porta giustizia e onestà, e questo è sotto gli occhi di tutti.
    Quando muore ridiventa liquido. Roberto Ferri ha affermato che l'urina della creatura porta grandi benefici, ma ancora tutt'oggi non c'è la certezza di questa affermazione.
    Si nutre di pensieri ingiusti.
    La specie dei Catrellos Motrellos speriamo non si estingua ancora, perchè sulla terra c'è ancora bisogno della sua presenza
    Tom Vreise, Londra, 1941


    IL MOSTRO DEL CAUCASO

    Il mostro del Caucaso fu scoperto da Luis Marcus di Spagna, uno scienziato pazzo che visse ne X secolo e che amava viaggiare.
    Durante uno dei suoi viaggi andò nel Caucaso, dove vide una “cosa” , che subito raccolse.
    Quando la cosa si aprì, ne uscì un mostro che aveva la testa ed il muso di volpe, il ventre di rana, il collo di serpente, le zampe di grifone, gli occhi di lupo, le ali e la cresta di drago, la coda di maialino e le orecchie di bue.
    Il mostro, dalle dimensioni della “cosa”, cominciò a crescere e crebbe, crebbe,crebbe...finchè non riuscì più a stare nel laboratori, quindi uscì.
    Crebbe ancora, fino a toccare il cielo.
    Da quel giorno venne nominato sorrettore del cielo e separava il cielo dalla terra.


    IL CIGNANO PENNUTO

    Il cignano è un uccello molto raro che si può notare quando c'é la luna piena.
    Questo animale pennuto è simile al cigno, ma molto più bello e affascinante: quando si alza in volo lascia della polverina azzurrina che incanta ogni persona che la vede.
    Il pennuto è nato da un cratere del satellite Luna e l'ha scoperta la famosa Valentina Tereshova, prima donna dello Spazio.
    La sua stranezza è dovuta alla testa simile al cammello, ha collo di serpente, ali di aquila....ma la cosa che colpisce di più è il suo corpo di cigno.
    Quando il cignano viene sulla terra ci impiega 27,3 ore invece di 27,3 giorni.
    Questo animale è davvero speciale per noi, oppure solo per me.

    IL DIAVOLO DEL GUBAI

    Si muove scattante tra le dune del deserto, il deserto più caldo di tutti: il Gubai.
    Il diavolo del Gubai si chiama questo animale, che possiede ali per volare, un ventre di rana per strisciare e zampe di Grifone per camminare.
    E' molto astuto, per questo ha la testa di volpe e ha due teneri occhi da lupo che vedono ovunque, anche al buio.
    Possiede una bellissima cresta gialla che gli serve ad attirare le prede per poi mangiarsele; proprio sotto la cresta ci sono morbidissime piume variopinte e quando gliene cade un a, si dice, che in quel luogo sorgerà una sorgente d'acqua pura.
    Le sue ali da diavolo sono gigantesche e lo fanno volare altissimo.
    La sua coda di maialino è una parte del suo corpo molto sensibile, infatti quando qualcuno la tocca, o addirittura la sfiora il magnifico Diavolo di Gubai muore.

    LONG FENG

    Il long feng vive sul sole, con animo nobile si muove sinuosamente tra I crateri incadenscenti. Il Il long feng ha il collo di fenicottero di color rosa chiaro, la testa di drago di color azzurro, becco di uccello di color giallo canarino, le corna marroni di cervo, il ventre di gatto color rosso, giallo e blu; le ali di Pegaso blù acceso, le zampe di tigre nera e la coda di pesce color arancione brillante. Il Il long feng trasforma tutto quello che vuole in acqua.
    In tempi remoti viveva nelle paludi, ma per qualche strano caso a noi sconosciuto nel 1784 è emigrato sul sole, sulla terra sono rimaste solo dieci specie.



    dal web

    Edited by gheagabry1 - 24/1/2023, 22:32
     
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    SCILLA E CARIDDI




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    Scilla, leggendaria creatura figlia di Forbante e della ninfa Crateide , o per altri del calabro dio Forco e di Ecate, prima di assumere le sembianze di mostro era stata una bellissima fanciulla, amata dallo stesso Giove.
    Di Scilla si era invaghito anche il dio marino Glauco che, per lei, aveva rifiutato l’amore di Circe, provocandone la gelosia.
    In tal modo quando il nume, più volte rifiutato dalla giovane, si rivolse alla potente maga per ottenere un sortilegio capace di rendere Scilla disponibile alle sue voglie, la perfida maga, avendo maturato un odio implacabile nei confronti della ninfa, offesa ed indispettita decise di vendicarsi dell’affronto subito.
    Avvalendosi delle proprie arti magiche, Circe organizzò un piano atroce per sbarazzarsi della pericolosa rivale, preparando un filtro avvelenato a base di erbe misteriose, con il quale avvelenò le acque della sorgente dove Scilla era solita bagnarsi.

    La povera giovane, ignara della terribile sorte cui era destinata,
    entrando nelle acque avvelenate subì un’orrenda trasformazione: mentre la parte
    superiore del suo splendido corpo rimase immutata, la parte inferiore dello stesso
    degenerò e dal suo inguine nacquero sei spaventose teste di feroci cani latranti,
    dalle bocche dotate di tre fila di denti appuntiti, di cui non poté più liberarsi.
    La leggenda vuole che Scilla, in preda alla disperazione, non avendo più il coraggio
    di mostrarsi agli occhi degli uomini, si rifugiasse in un antro naturale posto sotto
    la scogliera presso lo stretto, là dove la costa tirrenica si protende verso la Sicilia,
    a fronte del famigerato gorgo di Cariddi.
    La mostruosa creatura, nascondendosi nella grotta e cibandosi di pesce,
    seminava terrore tra gli incauti naviganti che passavano questo tratto di
    mare afferrandoli, con i lunghi colli a forma di serpente di cui erano dotati
    i suoi mostruosi cani, e divorandoli
    con le possenti mascelle, mentre distruggeva le loro imbarcazioni.
    La leggenda vuole che l’unica creatura incapace di provare orrore per la
    mostruosità di Scilla fosse lo “Xiphias gladius”, meglio conosciuto come pesce-spada,
    che durante la stagione degli amori raggiungeva in grossi branchi questo tratto di mare
    proprio per corteggiarla.
    Da qui l’abbondanza di pesce-spada lungo lo Stretto, che è motivo di
    una pesca tradizionale

    Di fronte a Scilla, al di là dello Stretto, sul versante siciliano, secondo la leggenda,
    fu posto un altro terribile mostro, Cariddi.
    Cariddi era una fanciulla che viveva sulla sponda siciliana dello Stretto.
    Era una creatura particolare, generata dagli strani amori di Nettuno e della Terra,
    che viveva un'esistenza selvaggia, fra rapine e uccisioni di uomini e bestie.
    Ella era afflitta da una grande voracità ed osò attaccare anche Ercole,
    di ritorno da una delle sue fatiche, con i buoi di Gerione. Cariddi li rubò
    e ne divorò alcuni.Giove la puni' per aver osato tanto,
    colpendola con un fulmine e scagliandola in mare, dove si trasformò
    in un famelico mostro che dimorava in una grotta sottomarina
    sovrastata da un enorme albero di fichi. Anche come mostro mantenne la sua voracità:
    tre volte al giorno ingoiava enormi quantità d'acqua e tutto ciò che in essa si trovava,
    ma tre volte al giorno rigurgitava tutto, creando vortici giganteschi,
    mentre Scilla sbranava i naufraghi con le sue orrende fauci.
    Memore degli ammonimenti della maga Circe, Ulisse regolò la rotta della nave
    in modo da evitare le rocce abitate dai due mostri.
    Ma quando si levò il vento del Sud, fu inesorabilmente spinto verso i gorghi di Cariddi!
    Quando il mostro ingoiava i flutti, la rupe opposta, invece, rintronava terribilmente,
    e la terra si apriva, rivelando il fondo del mare con le sue sabbie.


    “ Guardavamo Cariddi, paventando la fine”

    dice Odisseo.
    Ma Scilla era in agguato dalla parte opposta, e sei dei compagni di Ulisse
    furono afferrati improvvisamente, sollevati in aria e voracemente divorati
    mentre, inutilmente, invocavano l’aiuto del loro eroe.
    Aggrappato ai rami del fico, Ulisse attese che il mostro, ingoiata la zattera,
    la rigettasse di nuovo; poi vi risalì e si allontanò remando con le mani
    verso l’isola di Ogigia, dove viveva Calipso.




    Scilla e Cariddi, al di là delle leggende, hanno, comunque, rappresentato
    la personificazione di due pericoli simultanei e inevitabili,
    affrontati nello Stretto dai naviganti, da qui' la locuzione "essere tra Scilla e Cariddi"
    che si dice a proposito di chi, volendo evitare un pericolo, rischia di cadere in un altro.

     
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    IPPOCAMPO




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    Un Ippocampo è una creatura leggendaria della mitologia greca. Gli Ippocampi figurano nel corteo di Poseidone. Insieme a draghi e le altre creature marine gli Ippocampo trainavano il mitologico carro di Poseidone. Scylla e Sthenos sono i nomi di due Ippocampo preferiti dal Dio del mare.

    Sono cavalli sino alla pancia, e il loro corpo si conclude con una coda di pesce. Possono avere zoccoli o zampe palmate, e al posto della criniera possono esserci una cresta di membrana o delle alghe. Sarebbe nato dalle creste delle onde marine ed è in grado di controllare il meteo.

    La creatura secondo la mitologia interveniva a salvare le persone dopo cadute in mare e difendeva le imbarcazioni da mostri marini molto pericolosi.

    Il Cavalluccio Marino già ai tempi dei greci era considerato un’animale magico molto potente e benevolo. Il suo nome scientifico è Hippocampus.

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    Edited by gheagabry1 - 24/1/2023, 22:41
     
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    MEDUSA


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    Testo di Barbara Coffani*

    Una breve, scandalosa vicenda
    Medusa non fu sempre un’orribile megera. Lo divenne per merito di Atena, per scontare una “colpa” che a ben guardare non era neppure tale. Un tempo, la “sovrana” e la “più illustre” delle tre sorelle gorgoni, secondo alcune fonti nipote di Gaia e figlia delle divinità oceaniche Ceto e Forco (o Forcide), era bellissima. Particolarmente belli erano i suoi capelli, addirittura più di quelli di Atena.

    Un giorno di Primavera, quando tutta la natura si risveglia alla passione e al desiderio di accoppiarsi, il dio azzurro Poseidone signore del mare, affascinato dalla sua avvenenza la attira a sé e la prende all’interno di un tempio dedicato alla figlia di Zeus. Atena, forse già piccata dalle insinuazioni sui capelli, si offende per l’oltraggio: è lo scontro di due forze agli antipodi, la passione tumultuosa ed irrefrenabile fra due creature di origine acquatica, sensuali ed istintive, contro la castità fredda e cerebrale di Atena, che esige una vendetta feroce ma fredda e precisa. Tramuta dunque la mortale Medusa in una megera dai denti lunghissimi ed affilati come quelli di un cinghiale, rendendo immonda la sua bocca. Gli splendidi capelli si trasformano in un groviglio di serpenti ripugnanti, dalle mani spuntano artigli di bronzo, e gli occhi diventano strumento di morte: chiunque guardi in volto Medusa, verrà trasformato in pietra. La vendetta di Atena è fulminea e categorica, e trasmette i suoi caratteri a Medusa, che a sua volta colpirà le proprie vittime con la stessa fulmineità e categoricità. Ma non basta ancora, Atena vuole andare avanti: ed ecco che si propone di aiutare Perseo ad ucciderla, per andarsene alfine sazia in giro per il mondo a fare la guerra, secondo alcune fonti con lo scudo ornato della testa della nemica, secondo altre con la pelle intera di Medusa, con cui si era costruita l’egida.


    Io sono ciò che tu non sei, tu sei ciò che io sono


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    La Medusa dl Bernini ai Musei Capitolini
    Ciò che mi colpisce è il carattere della vendetta di Atena, che oserei definire “seminale”: perché trasmette a chi la riceve la stessa proprietà che la costituisce, quasi una pietra filosofale al negativo, contagiosa, viva, germinante: Atena non si accontenta di fare del male a Medusa rendendola orribile, ma la condanna a far del male a sua volta, a generare a sua volta dolore e morte.

    Il comportamento di Atena è agli antipodi rispetto a quello di Medusa: Atena agisce, si muove, propone, fa: scaglia la maledizione, si ferma strategicamente come un cacciatore ma solo per aspettare l’occasione giusta, che giunge sotto le spoglie di Perseo, e di nuovo ricomincia proponendosi di aiutare il giovane ad uccidere il mostro, insegnandogli, suggerendogli come agire, fornendogli “il talismano”.

    Medusa, al contrario, non agisce mai. Non è lei a scegliere il luogo dell’incontro amoroso con Poseidone, ma “è attirata” dal dio, “subisce” un’azione. “Subisce” una trasformazione che la rende un mostro, ciò che prima non era; perfino nel momento della morte è “passiva”, perché “subisce” una decapitazione mentre giace profondamente addormentata. E’ facile ucciderla, liberarsi di lei: basta evitarne lo sguardo. Non c’è un racconto dove ella “agisca”; perfino nel far vittime Medusa non fa nulla, perché non va in cerca di vittime. Lei non ha sete di sangue, voglia di carne umana, desiderio di uccidere. Se ne sta tranquilla in fondo a qualche oceano buio o a qualche antro scuro e spaventoso. Sono gli “altri” che incappano nei guai, se la guardano. Sono gli “altri” che si pietrificano, se fissano quel volto un tempo tanto bello. La salvezza o la morte non è nelle mani di Medusa, ma nelle mani di chi decide se guardarla o meno.

    Quanto a Perseo, l’”eroe” che libera il mondo dalla nefanda strega, in questo gioco di specchi fra dee sembra piuttosto il burattino nelle mani di Atena.

    Perseo era figlio di Danae, resa feconda con l’inganno da Zeus disceso su di lei sotto forma di pioggia d’oro, e nipote del re Acrisio..

    A causa di una profezia per cui sarebbe stato ucciso dal nipote, Acrisio mise Danae e Perseo in una cassa di legno e poi in mare. L’arca, spinta nelle onde fino all’isola di Serifo, fu ripescata dal fratello del re dell’isola, Polidette, che accolse i naufraghi alla propria corte. Dopo parecchi anni, Polidette volle sposare Danae ma Perseo era contrario. Di fronte alla resistenza di Perseo Polidette finse di voler sposare un’altra donna, e chiese ai suoi amici, compreso Perseo, di contribuire al suo dono nuziale con un cavallo a testa. Poiché non aveva nulla, Perseo disse che avrebbe procurato qualunque dono il re avesse chiesto, fosse anche la testa della gorgone Medusa. Ecco il giuramento. Per poterlo portare a compimento e preservare così la castità della madre, il giovane ha però bisogno di un grande aiuto divino e di una serie di talismani, ed è a questo punto che interviene la non ancora sazia Atena.

    Personalmente ho sempre sentito Atena come una dea piatta, senza spessore, senza profondità, ed è infatti con uno stratagemma legato all’ “apparenza” che aiuta Perseo a uccidere la gorgone: con un lucidissimo scudo, in pratica con uno specchio. Atena consiglia a Perseo di non guardare mai direttamente in faccia Medusa, ma la sua immagine RIFLESSA nello scudo. E’ come se gli avesse detto: Non guardare ciò che vedi, ma il suo riflesso. Per traslato, non guardare l’interezza delle cose, non considerarle - e non considerarti - nella totalità, perché potresti morire per quello che vedi, specie per quello che vedi dentro di te, e finchè non ti addentri oltre al tuo riflesso ti proteggerai da te stesso.

    Atena è all’apparenza quanto di più lontano ci sia da Medusa: è ordinata quanto Medusa è scomposta, impeccabile quanto Medusa è selvaggia, serena ed apollinea quanto Medusa è dionisiaca. Come poteva non odiare qualcuno così diverso, così lontano da lei? Eppure un paio di elementi accomunano le due Signore, elementi dal valore simbolico molto pregnante.

    In primo luogo la “testa”. Si dice che all’origine dell’inimicizia ci fosse un paragone fra i capelli delle due. I capelli oltre che una decorativa parte del corpo, sono simbolo di forza vitale, sensualità e sessualità. Pensiamo all’episodio di Sansone e Dalila, dove il famoso superman biblico perde la forza quando la bella Dalila gli taglia i capelli. Pensiamo al significato seduttivo dei capelli nel linguaggio del corpo, all’invito al gioco d’amore che esprime una donna che si accarezza o gioca con le ciocche. Pensiamo al legame con la situazione ormonale, con lo stato di buona o cattiva salute, o alle splendide chiome di molte donne gravide.

    La testa è l’origine di Atena, che non fu partorita da una femmina ma nacque da Zeus, e neppure dalle di lui parti tradizionalmente deputate a certe cose bensì dalla sua “testa”. E’ altrettanto importante in Medusa: nell’intera sua vicenda non si parla d’altro, e credo non ci siano rappresentazioni iconografiche al di fuori della testa tagliata o degli occhi vuoti. Le due dee sono l’una l’opposto dell’altra, come Giano bifronte, - e come Giano non si guardano in faccia, non possono farlo - perché l’una rappresenta la parte oscura dell’altra, perché Medusa è tutto ciò che manca ad Atena, e viceversa. Forse, ancor più profondamente, Medusa è non tanto ciò che manca ad Atena, ma ciò che Atena non può guardare, non vuole avere dentro. Non a caso la vicenda nasce dal rifiuto di Atena di avere “dentro” al suo tempio Medusa e ciò che Medusa suscita in un rappresentante del sesso maschile, fosse anche il dio del mare.

    Ma Medusa è una dea che ha il potere di “trasformare”, e in qualche modo riesce a trasformare pure Atena. Ho accennato alle due versioni del dopo-decapitazione: la prima, della testa mozza, è già di per sé significativa. Appropriarsi di una parte del corpo del nemico era consuetudine presso le popolazioni antiche: si conservava la testa del nemico, o ci si cibava del suo cuore o del suo fegato per onorarlo ed assumerne le doti. Più forte è la seconda versione, dove Atena scuoia Medusa e fa della pelle la sua egida. Perché mai la bella e fredda figlia non partorita di Zeus dovrebbe volere sul suo scudo o addosso a sé una tale nefandezza, che nulla ha da spartire con ciò che lei ha sempre mostrato di essere? Perché il contatto con Medusa ha trasformato Atena.

    Lo scudo è uno strumento di guerra con funzione “protettiva”, nasce come barriera per difendere, non per attaccare. Ma la testa della gorgone lo trasforma in un’arma offensiva e ne rafforza l’originale funzione profilattica, perchè qualunque avversario fuggirebbe a gambe levate piuttosto di mettersi a “discutere” con Medusa, seppure con la sua testa mozza. Quanto all’egida, il simbolismo è pure più pregnante: è come se Atena si volesse ricoprire della pelle di Medusa, come se fosse entrata nella sua pelle. Portandola su di sé, Atena si lascia possedere da Medusa, e consapevole di essere “anche un po’ Medusa”, la mostra. Potrebbe dire al mondo, ”Ecco, voi non lo sapevate ancora, ma io sono anche questa”. Facendola uccidere, Atena non l’ha eliminata né soppressa, ma si è impadronita della sua potenza e della sua forza di dea oscura. Potere che, una volta conosciuto, diventa della stessa Atena. Ecco perché la testa di Medusa conserva il suo potere e rimane attiva, nonostante sia morta. Così, Atena rende onore a Medusa perché ormai Medusa fa parte di lei. Conoscendo la nostra parte oscura, vivendola, essendone consapevoli ed essendole presenti in ogni momento, essa diventa parte di noi e perde ogni connotazione pericolosa. La potenza oscura allo stato originario – Medusa - ti fa agire per impulso senza considerarne gli esiti; ma se riesci a vincerla nel senso di farla tua, se ne diventi consapevole, dopo averla vissuta arriverai alla saggezza. Non alla saggezza di Atena: ad un gradino superiore, alla saggezza dell’Atena che ha incontrato Medusa.

    L’altro legame fra le due signore è il serpente. E chi può esimersi dal pensare al serpente biblico ed alle sue connotazioni? La tentazione della conoscenza, il peccato di superbia, il voler superare sé stessi diventando più di quel che si è, osando chiedere di sapere di più…E il sesso, naturalmente, perché il serpente è un antico simbolo di fecondità collegato alla luna e che viene con la pioggia, ingravida le spose portando loro la conoscenza di almeno due misteri femminili – quello dell’accoppiamento e quello della gravidanza – e perché è un simbolo fallico. Il serpente è legato alla donna ed ai suoi misteri e quindi alla conoscenza perché cambia pelle, muta, così come la donna muta ogni mese mestruando e cambia la propria pelle con lo sfaldamento dell’utero.

    Medusa ha serpenti al posto dei capelli, ma anche Atena ha un serpente fra i suoi attributi. Tra i molti significati del serpente ce n’è uno particolarmente interessante alla luce del confronto fra le due, ed è la sua valenza salvifica come spirito dell’arte di guarire e padre della medicina. A tutt’oggi il serpente è il logo di medici e farmacisti, ma nello specifico della vicenda di Medusa, la “guarigione” portata dal serpente potrebbe nascere dalla “trasformazione” di sé.


    Il guardiano della soglia


    Medusa-Caravaggio




    Assieme allo scudo ed al falcetto taglientissimo donatogli da Ermete per decapitare Medusa, Perseo aveva bisogno di altri talismani: un paio di sandali alati – come quelli di Mercurio – per fuggire dalle altre due gorgoni una volta compiuto il misfatto - una sacca magica per riporvi la testa recisa, e l’oscuro elmo di Ade che rende invisibili. Tutti oggetti conservati dalle ninfe stigie.

    Mi soffermo un momento per sottolineare il legame fra Medusa e la dea Stige. Le ninfe stigie sono praticamente invisibili perché nessuno sapeva dove vivessero. Segreto, silenzio ed invisibile sono la stessa cosa. Ciò di cui non si parla, non viene percepito, non viene notato, non viene visto. Ciò che non viene visto non può essere descritto, è taciuto, e rimane in silenzio. Nessuno sapeva dove fossero al di fuori delle Graie dal corpo di cigno, con un solo occhio e un solo dente in comune. Perseo riesce a sorprenderle, ruba loro l’occhio e il dente, unica risorsa di vita per le tre disgraziate, e non li restituisce prima di aver strappato loro il segreto sulle ninfe stigie. Dopo di che raggiunge le ninfe, ottiene ciò di cui ha bisogno e uccide vittoriosamente Medusa, come da accordi con Atena. Medusa è legata a Stige perché la dea del silenzio protegge i segreti tacendo, mentre Medusa allontana i curiosi, distogliendoli dal curiosare prima ancora che inizino, in modo che un segreto rimanga tale. C’è un richiamo anche fisico fra le due perché i serpenti in luogo di capelli rimandano alle vipere della colonna di Stige. Inoltre il legame con il volto di Giano bifronte. Questi dà il nome al mese di gennaio, il primo mese dell’anno. La dea romana del silenzio, Angerona, era venerata nel giorno del solstizio d’inverno, quando la dea partorisce il figlio che simboleggia il nuovo anno. L’idolo dalle due facce simboleggia sia il tradimento, la mancanza di fedeltà alla parola data, il giuramento non mantenuto, motivo che ritorna con il tradimento delle Graie, ma anche i due volti dello stesso essere, di cui Medusa ed Atena sono le facce. Stige è rappresentata con un dito sulle labbra chiuse, mentre Medusa è rappresentata con la bocca aperta: apparentemente distanti, in realtà si susseguono: Medusa allontana dal Segreto prima che vi si arrivi, Stige lo sigilla una volta che vi si è attinto.

    Medusa per me è la dea del “tanto va la gatta al lardo”: una volta l’ho sognata, precisamente dopo aver iniziato a praticare reiki. Ho sognato che ero con un’amica molto più vecchia di me, e che intrappolate con la macchina in panne sotto un sottopassaggio dell’autostrada, improvvisamente abbiamo visto uscire quel volto terribile dal fumo di un’altra macchina in fiamme davanti a noi. Riferendosi al mio primo livello reiki la mia amica mi indicò Medusa e mi sgridò dicendomi: “ecco, hai visto? Hai visto adesso cos’hai evocato? Come pensi di cavartela ora?” Come a dire: hai voluto sapere di più, hai voluto curiosare dove non dovevi, ed ora?

    Mi sono sempre chiesta il motivo di tanto terrore per questo sguardo, anche perché nelle descrizioni che riguardano Medusa non si dice granchè dei suoi occhi ma si dà più evidenza al resto del viso: a meno che con “sguardo” non si intenda lo sguardo dell’osservatore. Forse non è lo sguardo di Medusa a pietrificare, ma è l’osservatore di Medusa che resta pietrificato vedendola, però non a causa dello sguardo ma per qualcos’altro, così come nel mio sogno io ero intrappolata sull’autostrada. Questo sogno mi ha rivelato il carattere di Custode di Medusa: Medusa è un guardiano, il custode di un limite che non si può valicare senza subire una metamorfosi irreversibile. Oltrepassare la soglia di Medusa significa subire un mutamento sostanziale, un cambiamento categorico e pesantissimo che riguarda la forma e la stessa sostanza di cui siamo fatti perché da fatti di “carne” diventiamo fatti di “pietra”: ossia, da deperibili e di durata limitata, diventiamo resistentissimi ed eterni. Cambiamo regno: da animale a minerale. Se il passaggio oltre il cancello di Medusa è volontario, se sono io a viverlo sulla mia stessa pelle, diventerò di pietra, sarò in grado di mutare me stessa, la mia stessa sostanza: dunque avrò accesso ad un nuovo livello di coscienza proprio di una dimensione diversa dall’abituale. Se invece il passaggio è subito ed involontario e vissuto da qualcuno che mi “incontra” mentre io “sono “ Medusa, allora la metafora della pietrificazione acquisirà un altro valore: chi mi incontra sarà “vittima” della mia trasformazione, non saprà capacitarsene, e rimarrà come di pietra, incapace non solo di agire ma neppure di reagire.

    Anche l’uso tradizionale della maschera della gorgone ci conferma che è un guardiano. I greci solevano appendere una maschera di Medusa ai forni durante la cottura dei pani, per evitare che qualche incauto curioso li aprisse e ne rovinasse la lievitazione e la cottura. Al di là dell’utilità materiale delle maschere, sembra la metafora di una custode dei segreti del grano e dell’alimentazione, e per traslato dei segreti di Demetra o della Madre Terra.

    Medusa allontana lo sguardo illecito per proteggere un segreto. Considerati i legami con i forni del pane e le tecniche legate all’alimentazione, la medicina e il serpente, e tenuto pure conto del legame con Stige che è a capo dell’anno, che viene venerata nel giorno del solstizio di inverno dove la dea partorisce suo figlio, diventa ovvio pensare che Medusa protegga i misteri femminili.

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    Perseo e Medusa del Cellini


    In primo luogo una domanda sulla sacca magica: com’è possibile che Medusa possa uccidere anche dopo morta? Ho pensato a questo: una volta che un pensiero esiste, esiste anche se tu distruggi ciò che l’ha creato. Allo stesso modo, tu puoi negare ciò che di te non vuoi, non ami, non accetti; puoi anche vivere facendo finta che queste parti non esistano, e nasconderle in una sacca magica per non vederle. Ma dentro a quella sacca oscura quelle cose ci sono e sono potenti, e continuano a lavorare come la testa di Medusa. Del resto nel mito si parla di togliere la vita, non il potere: mi sembrava logico tagliare la testa ad Atena, che da una testa era nata, ma quanto a Medusa, per fermarla Perseo avrebbe dovuto quanto meno cavarle gli occhi, e quant’altro.

    Perché sarebbe stato un dono così ambito quella testa? Cosa contiene di simbolicamente così potente da essere esibita come un dono? Oltretutto per un re che non voleva altro che copulare con la madre di Perseo? E ancora, perché Polidette non mette fine alla faccenda in modo spiccio, come usavano fare in questi casi i colti e raffinati greci, liquidando il giovane rompiscatole e prendendo Danae con la violenza, che tanto ci era abituata come probabilmente tutte le donne greche? Perché mai un giovane praticamente senza famiglia non avrebbe dovuto aver piacere che la madre divenisse sposa del re, che oltretutto li aveva accolti in casa propria salvando loro la vita?

    Più che lo sguardo, è il dettaglio della lingua sporgente che mi dice qualcosa: non credo che la dea voglia fare uno sberleffo; sono più dell’idea di Vicki Noble che ipotizza uno stato di sforzo straordinario, per esempio il travaglio; ma potrebbe anche indicare un momento di incontenibile, estremo piacere: le espressioni scomposte, disordinate, primitive e selvagge di una donna al culmine dell’estasi. Forse è in realtà questo che non si può guardare senza esserne travolti fino a morirne. Medusa non può essere guardata senza rimanere pietrificati: per la paura, la vergogna, la sacralità di ciò che sta esprimendo, di qualunque natura sia. E’ vero che la donna durante l’estasi sessuale è sempre rappresentata ad occhi chiusi: indice di abbandono all’uomo e a ciò che egli suscita. E’ anche vero che il linguaggio comune – e il pensiero comune - attribuiscono all’uomo il potere di provocare l’estasi nella donna. E se Medusa invece fosse una che l’estasi, anziché “subirla”, la “controlla”, la “padroneggia”, “la evoca”, e la potenza del suo sguardo nascesse proprio da questa sua capacità? A mio avviso, ciò che diviene il dono degno di un re è il potere selvaggio e terribile contenuto negli occhi di una dea, potere per arrivare al quale è necessaria una prova di iniziazione difficile quanto foriera di conoscenze straordinarie per un maschio. Ma qui si delineano due diversi percorsi.

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    Secondo il linguaggio, il ragionamento e la modalità d’azione di un giovane maschio – forse simbolo della nuova religione che soppiantò brutalmente l’Antica Via – questo potere femminile va in qualche modo limitato, addomesticato, indebolito perché gli uomini vi abbiano accesso senza esserne travolti e distrutti. Nell’ottica di un giovane maschio quale Perseo, è necessario “vincere” il sacro potere selvaggio femminile, cosa che egli farà in parte con l’inganno, in parte con la violenza. Ecco perché è necessario non solo decapitare Medusa ma addirittura conservare il trofeo in una sacca magica.( Sacca che, fra l’altro, mi fa venire in mente il sacco contenente i venti che fu dato ad Ulisse: anche lì infatti, all’interno di un sacco come dentro ad un utero è racchiuso un potere straordinario.) Pare che le dee, o le donne in generale, custodiscano un segreto, una capacità, un potere che gli uomini non capiscono, non intendono, come se fosse espresso in un’altra lingua o addirittura con altre modalità comunicative; poiché non sanno usarlo nè gestirlo, utilizzano le armi, la violenza o nel migliore dei casi la frode per sconfiggerlo definitivamente, anziché allearvisi.

    Diversa era la strategia di Polidette, re e quindi uomo anziano e di esperienza, forse simbolo delle antiche generazioni che ancora veneravano la dea madre: egli vuole “sposare” Danae, e non le usa violenza; non uccide il figliastro seccatore, ma lo invita alla prova di iniziazione sorridendo sornione, dandogli la possibilità di scoprire cos’è la dea. “Vai, vai pure incontro alla tua Medusa, caro Perseo. Resto io qui con tua madre.” Come mai a Perseo non è venuto il dubbio, non ha pensato che una volta tornato, Polidette avrebbe potuto comunque fare ciò che voleva di lui e di Danae? Perché Polidette non è come Perseo, è di un’altra pasta. Appartiene alle genti antiche, conosce e riconosce il valore sacro della dea e della donna. Ecco perché vuole sposare Danae e non violentarla. La vuole come compagna, non come sottoposta. Vuole averla con gioia, con piacere reciproco, e in alleanza.

    Perseo desidera preservare la castità della madre, evitare l’atto sessuale con un re, ciò che renderebbe magari di nuovo madre sua madre. E qui l’equivoco: Perseo non ha capito, o forse, peggio, ha proprio capito che ciò che rende potente una donna è la sua sessualità, la capacità di dare la vita e la morte, la connessione con i cicli della natura. Non vuole riconoscere questo potere in sua madre, e se lo ha fatto lo sopprime in Medusa.

    Medusa con i suoi serpenti simbolo del male e della conoscenza, Medusa con la sua bellezza che amoreggia col dio del mare nel tempio della castità: Medusa è legata al sesso, ai suoi misteri ed al potere che questi comportano.

    Ecco perchè Perseo le taglia la testa e la porta in dono al re: “hai questo, non ti serve più lo stesso sguardo, la stessa potenza che libererebbe mia madre se facesse l’amore con te”. Ecco perché il falcetto, il gesto del tagliare, azione legata al mondo maschile perché simboleggia la castrazione. Non si può castrare una donna, ma è come se Perseo l’avesse fatto: castra la dea Medusa tagliando la parte più istintuale, primitiva e selvaggia di lei, insubordinata a qualunque controllo.


    Figlie di Medusa

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    Testa di Medsa, artista fiammingo, Uffizi


    Quando Medusa viene decapitata escono da lei due creature, Pegaso e Crisaore. Nel trasportarne la testa, Perseo la adagia delicatamente su alcuni rametti secchi provenienti dal mare, su cui cadono alcune gocce di sangue: seduta stante i rametti si tramutano (di nuovo la trasformazione ed il passaggio da un regno all’altro) in coralli. Ora, il corallo era considerato un potentissimo amuleto contro il malocchio (cioè contro il “cattivo sguardo”) ma soprattutto aveva una spiccata valenza salvifica perché si riteneva potesse coagulare il sangue e fermare le emorragie. Euripide in “Ione” riferisce del duplice potere del sangue di Medusa: una goccia di sangue delle sue vene guarisce dalle malattie, mentre il veleno dei suoi serpenti può uccidere. Secondo altre fonti Asclepio, padre dei medici imparò l’arte di guarire da un serpente e ricevette in dono da Atena due fiale contenenti il sangue di Medusa: il sangue estratto dal lato sinistro faceva risuscitare i morti; il sangue estratto dal lato destro dava morte istantanea. Per altre fonti ancora, Atena e Asclepio si divisero quel sangue, che Atena conservò per scatenare le guerre.

    Edited by gheagabry1 - 24/1/2023, 22:57
     
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    CETO


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    Ceto (in greco Κήτος, ovvero grande pesce, balena) è una divinità della mitologia greca, figlia di Ponto e di Gea, avente sembianze di mostro marino.
    È sorella di Nereo, di Taumante, di Forco ed altri dei marini. Sposò il proprio fratello Forco e gli dette numerosi figli: Echidna, Scilla, le Graie, le Gorgoni, il drago Ladone che custodiva i pomi delle Esperidi e le stesse Esperidi.
    Aspetto
    Come indica lo stesso nome, Ceto era raffigurata spesso come un mostro marino dalla foggia di grande pesce o balena.

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    Il dio Poseidone inviò Ceto a devastare il paese di Cefeo, re d'Etiopia, reo di avere una moglie vanitosa, Cassiopea, che aveva osato paragonare la bellezza della propria figlia Andromeda a quella delle ninfe dei mari, le Nereidi, scatenando così la sua ira.
    L'eroe Perseo lo uccise, liberando così Andromeda che era stata offerta dal padre stesso come pasto per il mostro.

    Viene spesso confusa o identificata col Kraken, una creatura simile della mitologia norrena.



    ECHIDNA





    Abominevole creatura della mitologia greca, Echidna (il cui nome significa "vipera") era un gigantesco mostro per metà donna(testa e busto) e per metà serpente.
    Riguardo alle sue origini le fonti sono piuttosto discordanti: per Esiodo discenderebbe da Forco e Ceto, due antiche divinità marine.Altri autori,invece, sostengono che fosse figlia di Gea (la Terra) e di Tartaro (la parte più profonda degli inferi), entrambi sono 2 elementi primordiali del mondo.
    Infine, una terza versione del mito vuole che fosse stata generata dal gigante Crisaore e dalla ninfa Calliroe.

    A parte la questione delle origini, le varie versioni del mito di Echidna concordano nella descrizione del mostro.
    La creatura possedeva spaventosi denti velenosi: si diceva fossero a tal punto letali che il solo soffio bastasse ad uccidere un uomo nel pieno delle sue forze.
    Persa dimora in una grotta nel cuore del Peloponneso, alcune fonti riferiscono però che sarebbe vissuta in Cilicia, questa donna-serpente seminava il terrore in tutta la regione, nutrendosi di viandanti che avessero avuta la sventura di imbattersi in lei.
    Molto temuta persino dagli dei, Echidna era stata confinata nel suo antro proprio dagli abitanti dell'Olimpo.
    Nonostante l'esilio, Echidna riusci a trovare un compagno: Tifone, divinità malvagia che incarnava gli uragani.
    Essi generarono numerose creature fantastiche, considerate fra i più celebri mostri mitologici: Cerbero, la Chimera, il Leone di Nemea, Fice(un mostro della Beozia), l'aquila di Prometeo, il cane bicefalo Ortro e anche 2 draghi Ladone e l'idra di Lerna.

    Secondo alcune versioni del mito, la Grecia venne liberata dalla terribile Echidna grazie l'intervento di Argo.
    Caratterizzato da una forza prodigiosa e da 100 occhi sparsi su tutto il capo, questo gigante riusci a sorprendere il mostro nel sonno, uccidendolo prima che avesse la possibilità di difendersi.
    Compiuta la missione, in punto di morte, Argo, venne ricompensato per la sua straordinaria impresa da Era, che trasferì i suoi 100 occhi sulla coda dell'animale a lei sacro: il pavone.

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    Edited by gheagabry1 - 24/1/2023, 23:12
     
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  10. gheagabry
     
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    LEVIATANO

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    Leviatano (לִוְיָתָן "contorto; avvolto", lingua ebraica Livyatan, ebraico tiberiense Liwyāṯān) è il nome di una creatura biblica. Si tratta di un terribile mostro marino dalla leggendaria forza presentato nell'Antico Testamento. Tale essere viene considerato come nato dal volere di Dio.
    La citazione più importante la possiamo trovare nei seguenti passi:

    « Fa ribollire come pentola il gorgo, fa del mare come un vaso di unguenti. Nessuno sulla terra è pari a lui, fatto per non aver paura. Lo teme ogni essere più altero; egli è il re su tutte le bestie più superbe. » (Giobbe 41)



    Dal punto di vista allegorico, il Leviatano rappresenta spesso il caos primordiale, la potenza priva di controllo, benché biblicamente sia più spesso espressione della volontà divina e "simbolo della potenza del Creatore".

    Alcuni storici delle religioni identificano Leviatano come un prestito derivante dalla religione babilonese e, più in particolare, dalla mostruosa dea Tiāmat, destinata ad essere vinta dagli "dèi nuovi", fra cui Marduk.
    Alcuni etnologi hanno avanzato l'ipotesi che possa trattarsi del Coccodrillo del Nilo.

    Il libro di Giobbe lo descrive con denti spaventevoli e scaglie come di una corazza (Gb 41,14-17). Il libro di Giobbe menziona che dalle sue narici esce fumo (Gb 41,20). Giobbe lo descrive anche come un animale estremamente forte e senza terrore, il "re su tutte le maestose bestie selvagge" (Gb 41,33-34).
    Il rischio di confondere il pesce Leviatano con un coccodrillo o un drago, che è un altro elemento della Qabbalah ebraica, sembra sia dovuto all'accostamento di questa figura con il serpente primordiale, metafora del serpente che tentò Adamo ed Eva, accostamento presente anche nel testo dello Zohar: il Leviatano, il drago, il serpente ed il coccodrillo restano però figure distinte il cui confronto è presente nell'esegesi ebraica secondo la loro simbologia.
    Lo Zohar riporta che nell'era messianica il Leviatano combatterà con lo Shor Habar, animale terrestre simile al toro selvatico, definito anche toro puro: al volgere dello scontro lo Shor Habar trafiggerà il Leviatano con le proprie corna mentre il Levitano compirà la Shekhità di quello con una sua pinna: i giusti si ciberanno così della carne del Leviatano, animale puro secondo la Casherut. Dio decise di far scomparire e morire la femmina del Leviatano perché altrimenti avrebbero invaso il Mondo.

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    La figura del mostro portò il filosofo inglese Thomas Hobbes a paragonare la sua forza con il potere assoluto dello Stato. Infatti nel suo celebre trattato di filosofia politica omonimo egli paragona il potere dello Stato alla devastante forza della creatura del mare, necessaria al mantenimento della pace e dell'ordine.
    Herman Melville nel celebre romanzo Moby Dick (o The Whale - la balena - 1851) cita più e più volte la figura del Leviatano incarnandola nel capodoglio, animale che secondo lui, per le sue immense proporzioni e la sua spaventosa potenza, più rappresenta questa figura mitologica. In ebraico moderno, la parola livyatan significa infatti "balena".

    E' stato chiamato Leviathan un genere di cetacei estinti, il cui primo esemplare è stato scoperto nel 2008 in Perù. La specie è denominata Leviathan melvillei.

    Leviatan è il titolo del romanzo forse più famoso di Julien Green. Un romanzo dalle passioni devastanti, passioni che catturano e imprigionano i personaggi fino a seppellirli. È la rappresentazione a tinte fosche e allucinate del carcere in cui ogni singolo viene rinchiuso dal proprio vizio. Per evadere dall'amarezza, dal turbamento, dal dolore, il protagonista arriverà a risoluzioni tanto tragiche quanto illusorie. "Come nella tragedia antica, Leviatan è dominato da una forza alla quale siamo costretti a dare il nome di destino", come ha detto Pietro Citati. Leviatano è anche il titolo di uno dei più importanti romanzi dello scrittore americano Paul Auster. Questo romanzo, scritto nel 1992, come molti scritti di Auster tratta della vita, delle casualità che l'accompagnano e dei bizzarri misteri che governano la logica del caos. La figura del Leviatano compare, inoltre, in un romanzo di Terry Brooks, "Il Druido di Shannara".
    "Leviatano" è intitolato il quarto capitolo della quinta parte del libro "Città di Stelle" di Gregory Benford, dove il Leviatano è una astronave stellare abitata da forme organiche astratte di altre dimensioni. Riedito da Urania n. 1512, merita la lettura per gli amanti del fantascentifico.

    Nel film di animazione Atlantis - L'impero perduto viene citato il Leviatano come una macchina sottomarina con sembianze simili ad un'enorme astice, posto a difesa dell'entrata della citta di Atlantide.
    Nel film Pirati dei Caraibi - La maledizione del forziere fantasma il Kraken di Davy Jones viene paragonato per stazza e pericolosità al Leviatano.
    Nel film Leviathan, diretto da George Pan Costmatos, il relitto della nave russa in cui viene ritrovata una bottiglia infetta da un gene mutageno, si chiama "Leviathan". Questo gene trasformerà parte dell'equipaggio in mostri: una sorta di leviatani.


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    Edited by gheagabry1 - 24/1/2023, 23:19
     
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  11. tappi
     
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    grazie Gabry
     
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  12. gheagabry
     
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    IL GARGOYLE


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    Il vocabolo gargoyle italianizzato anche in Gargolla deriva dal latino gurgulium, termine onomatopeico collegato al gorgoglio dell'acqua che passa attraverso un doccione.
    Quest'ultimo venne in seguito trasformato nel francese gargouille con lo stesso significato per poi diventare l'odierno gargoyle. Dal punto di vista architettonico un gargoyle (o doccione) è un sistema di scarico per l'acqua che si protende da un cornicione o da un tetto, con lo scopo di tener lontano l'acqua dai muri. A partire dal X-XI secolo iniziò a diffondersi in Europa l'utilizzo della pietra per il doccione.
    La spiritualità visionaria medioevale creò gargoyle di ogni sorta, da figure demoniache a facce gioconde, fino a creature metà uomini e metà bestie. La simbologia dei gargoyle è complessa e attinge dalle Scritture e dall'universo pagano.
    Il retaggio delle creature ibride greche e egiziane si mischiò nel medioevo all'universo mitico dei bestiari come il Physiologus, libri illustrati con descrizioni di animali fantastici di terre lontane.
    Gli architetti influenzati da tali testi crearono dei doccioni bestiali e affascinanti. Le caratteristiche degli animali immaginari furono reinterpretate in chiave cristiana. Alcuni studiosi hanno teorizzato che i gargoyle siano stati utilizzati come guardiani delle chiese per tenere lontano i demoni.
    Altri pensano che questi doccioni simboleggiassero demoni, da cui i passanti avrebbero trovato scampo in chiesa...

    ....è quella creatura mostruosa di pietra che si sporge dalla sommità delle cattedrali gotiche, in folta e minacciosa compagnia dei suoi simili.
    La leggenda vuole che i gargoyle possano animarsi per difendere la loro chiesa allorché qualche malintenzionato vi si avvicini, ma in realtà essi svolgono di norma una mansione assai più umile: servono infatti a dirigere il deflusso dell'acqua piovana dalle grondaie fino al suolo, impedendo che la facciata e le pareti della cattedrale siano bagnate di continuo e dunque si logorino.
    All'interno dei gargoyle sono nascosti tubi di ferro che fungono da canali di scolo e collegano la grondaia all'apertura della bocca dell'animale: in tal modo, in caso di pioggia, copiosi fiotti d'acqua vengono riversati a terra proprio dalle sue fauci spalancate.

    Il drago Gargouille

    Una leggenda francese parla di un drago chiamato Gargouille, che possedeva ali e corpo da rettile; viveva in una caverna nei pressi della Senna e si placava soltanto con offerte sacrificali annuali. Intorno al 600 giunse a Rouen un sacerdote di nome Romanus (futuro arcivescovo di Rouen), che promise di liberare il paese dal drago in cambio della conversione di tutti i cittadini e la costruzione di una chiesa. Romanus sottomise il mostro con il segno della croce ed esorcizzandolo, e lo portò fuori dal paese legato a un guinzaglio fatto con la sua tonaca. Gargouille fu bruciato su un rogo, ma il collo e la testa non bruciarono e vennero perciò staccati dal corpo e posti sulle mura di Rouen, divenendo così il modello per i gargoyle.


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    Edited by gheagabry1 - 24/1/2023, 23:21
     
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  13. gheagabry
     
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    IL CANE NERO



    Grande circa come un vitello, il cane nero (tradotto da "Black Dog") è una mostruosa creatura originaria del folclore britannico.
    Secondo diverse leggende, questo maleficio animale avrebbe posseduto un pellame nero scuro, occhi color rosso e affilatissime zanne gialle.
    Si dice che chiunque l'avesse incontrato avrebbe prima avvertito una teribile sensazione di freddo, poi sarebbe stato assalito da una tremenda disperazione.
    Altre leggende lo indicherebbero come un presagio di morte per un parente o un'amico.
    Il fantomatico cane nero sarebbe stato l'incarnazione di un'anima dannata, ma alcuni racconti sostengono che fosse addirittura un emissario del Maligno.

    Questa creatura è conosciuta fin dal XVI secolo, da allora la sua popolarità è cresciuta, fin da avere diversi nomi a seconda delle zone della sua apparizione:nel Lancashire viene chiamato "Gytrash"; nell'Hertfordshire, "lean Dog"; nella città di Wakefield (Yorkshire), "Padfoot"; ecc...

    Perfino la prigione di Newgate (rimasta in uso dal 1188 al 1902), aveva il suo cane nero, che la leggenda vuole che sarebbe stato il fantasma diun detenuto che, prima di poter essere giudicato, venne ucciso e divorato dagli altri carcerati, resi folli dalla mancanza di cibo.

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    Secondo la tradizione popolare, il più temuto fra tutti i cani neri è quello dello Yorkshire chiamato "Barghest": contrariamente hai suoi affini, questo animale si avventava sui viaggiatori solitari,dilaniandoli senza pietà.

    I cani neri, però, non sono solo nelle tradizioni britanniche, per esempio nella Grecia antica, l'ingresso degli Inferi, era presidiata da Crebero, mostro canino fornito di 3 teste. Anche nelle leggende nordiche l'ingresso del regno di Hel (simile all'Ade) era custodito da un'enorme cane nero di nome Garm.
    Nel panteon egizio, Anubi, dio dalla testa canina color nero, accompagnava i defunti ad essere giudicati.
    Anche il panteon azteco aveva la sua divinità dei morti e dei lampi con testa canina di color nero.

    Nella letteratura troviamo un cane nero nell'opera di Goethe, il "Faust".

    dal web

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    La paura trasforma gli animali in Dei

    Mitologia, arte letteratura epica e religione di ogni Paese hanno i predatori come protagonisti Ai giorni nostri molte specie di belve feroci vanno difese dal rischio di estinzione

    Quelli che ho chiamato «predatori alfa» - leoni, tigri, coccodrilli, orsi, squali, ecc. - sono entrati nella mitologia, nell' arte, nella letteratura epica e nella religione di ogni Paese. In Egitto c' era Sékhmet, dea in forma di leone, assetata di sangue e connessa alla guerra, alle pestilenze e alla morte. Le sfingi erano creature con corpo leonino e testa umana, talvolta alate, di indole più ambigua di Sékhmet. In India c' era Narasimha, il dio-uomo con la testa di leone, venerato come quarto avatar di Visnu. Nell' Australia del Nord il popolo degli Yolngu riconosceva anticamente - e riconosce tuttora - complicati nessi totemici con animali indigeni, uno dei quali è il coccodrillo marino, chiamato rispettosamente Bäru. Gli Inuit della Groenlandia e del Canada settentrionale hanno le loro leggende sull' orso polare. Presso gli Ainu dell' isola giapponese di Hokkaido l' orso bruno, hiquma, era venerato come Dio della Montagna.L' equivalente in certe isole del Pacifico era il culto dello squalo, almeno fino a quando i missionari cristiani non vennero a contrastarlo. Gli isolani delle Salomone erigevano altari di pietra, e secondo una testimonianza offrivano sacrifici umani a un dio-squalo chiamato takw manacca. I Figiani compivano due volte all' anno la cerimonia del bacio dello squalo, in parte al fine di ottenere sicurezza per le aree dove nuotavano. Tra gli Udege della Russia sudorientale, la cui cultura tradizionale è imperniata sulla caccia, la belva sovrana della foresta è Amba, la tigre siberiana. Di Amba la tigre e di Bäru il coccodrillo ci occuperemo ampiamente, e insieme dell' orso bruno, e anche di una poco nota sottospecie di leone, Panthera leo persica, che oggi sopravvive soltanto in un' unica enclave silvestre dell' India occidentale. Questi quattro casi definiscono l' itinerario geografico che ho percorso durante la mia ricerca: dalla foresta di Gir (con i suoi leoni) nello Stato indiano del Gujiarat all' Australia settentrionale (con i suoi coccodrilli), dai monti Carpazi della Romania post-comunista (con la loro sorprendente abbondanza di orsi bruni), alla catena dei Sichote-Alin' (l' ultima roccaforte delle tigri siberiane) nell' Estremo Oriente russo. India, Australia, Romania, Russia: un circuito eteroclito e vasto. Il mio itinerario attraverso le fonti mitiche e letterarie è stato altrettanto variegato: dal mostro Grendel dell' anglosassone Beowulf ai babilonesi Khumbaba dell' Epopea di Gilgamesh e Tiamat dell' Enuma elish, dall' islandese Saga dei Volsunghi al drago del Sigfrido wagneriano; dal biblico Leviatan, archetipo dei predatori alfa e vero babau di tutti i mostri scritturali, ai predatori extraterrestri immaginati da Hollywood nei film del ciclo Alien. Ma torniamo intanto sulla terra e alle belve in carne e ossa, con grandi denti e lunghi artigli. Nei millenni, leoni, tigri, orsi hanno fatto dell' oscura foresta un luogo pauroso; e per certi versi è stato un bene. Coccodrilli e squali hanno commesso nefandi, orrifici atti di omicidio e di antropofogia; e così facendo ci hanno offerto una certa prospettiva. Noi umani saremo i membri più intelligenti del mondo naturale, ma non ne siamo (almeno a mio parere) i proprietari per nomina divina. In tutto il corso della storia umana, una cosa che ci ha rammentato la nostra condizione terrena è che certe volte, in certi paesaggi, abbiamo funto da anello intermedio nella catena alimentare. Quei tempi e quei paesaggi stanno scomparendo. I predatori alfa sono alle prese con difficoltà particolari nella lotta per la sopravvivenza collettiva. Molti di essi sono scomparsi nell' ultimo paio di secoli - il leone di Barberia, l' orso dell' Atlante, la tigre giavanese, il grizzly della California - e molte altre popolazioni, sottospecie e intere specie sono a rischio. Sei miliardi di esseri umani gravano oggi su questo pianeta. Ogni nato in più accresce la pressione sulla produttività del paesaggio, con trasformazione delle foreste in campi coltivati e dei fiumi in canali di scolo. Il risultato prevedibile è che nel 2150, quando la popolazione umana si aggirerà sugli undici miliardi, i predatori alfa avranno cessato di esistere - salvo dietro recinzioni a maglie, vetri infrangibili e sbarre d' acciaio.
    (Quammen David)


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  15. gheagabry
     
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    IL KRAKEN






    Il Kraken è un mostro marino leggendario dalle dimensioni abnormi; il suo mito ha origini molto antiche, ma si è sviluppato soprattutto fra il Settecento e l'Ottocento, forse anche sulla base dei resoconti di reali avvistamenti di calamari giganti. Viene generalmente rappresentato come una gigantesca piovra, con tentacoli abbastanza grandi da avvolgere un'intera nave.

    In norvegese, krake indica un animale malsano o aberrante (in analogia alle forme inglesi crank e crook). In tedesco, krake significa piovra.

    Sebbene il nome kraken non appaia mai nei testi della mitologia norrena, le sue caratteristiche possono ricondursi a quelle dell'hafgufa, descritto nella Saga di Örvar-Odds e nel Konungs skuggsjá (1250). In questi testi si parla dell'hafgufa come di un mostro marino talmente grande da poter essere scambiato per un'isola quando si trovava in superficie. Questo tema (il mostro che sembra un'isola) è uno degli elementi ricorrenti principali nella tradizione sul Kraken, che si sviluppò principalmente nel Settecento. Questo tema ha avuto anche sviluppi diversi, e in particolare accomuna il Kraken con lo Zaratan, la balena-isola del mito di San Brendano.

    Alcuni elementi della tradizione relativa al Kraken (le bolle e gli spruzzi d'acqua dalle sue narici, le forti correnti e le violente onde provocate dai suoi spostamenti, il suo emergere come un'isola) fanno supporre ad alcuni studiosi che la versione originale del mito norreno possa essere correlata all'attività vulcanica sottomarina in Islanda.

    Nella prima opera di Carl von Linné, Systema Naturae (1735), il Kraken compare fra i cefalopodi, con il nome scientifico Microcosmus (in seguito, Linné rinunciò a menzionare questa ipotetica specie). Il riferimento settecentesco principale sul Kraken è la Storia naturale della Norvegia (1752) del danese Erik Pontoppidan, vescovo di Bergen. Pontoppidan riprende il tema del mostro-isola, sostenendo che alcune isole rappresentate erroneamente sulle mappe fossero in effetti da ricondursi ad avvistamenti del Kraken in emersione. Nella descrizione di Pontoppidan, il principale elemento di pericolosità del Kraken erano le sue stesse dimensioni, e le forti onde e i potenti gorghi che causava emergendo o inabissandosi. Il Kraken non viene quindi descritto come ostile, sebbene Pontoppidan precisò che, volendo, il Kraken avrebbe potuto afferrare e trascinare negli abissi anche la più grande nave da guerra. Sempre Pondoppidan sostiene che un giovane esemplare di Kraken, morto, fosse stato spinto dalle onde sulla spiagga presso Alstahaug.

    Il Kraken di Pontoppidan appare come "pesce-granchio" nell'opera dello svedese Jacob Wallenberg Min son på galejan ("Mio figlio sulla galera", 1781):

    « Il Kraken, anche detto pesce-granchio, che non è (a quanto dicono i piloti norvegesi) così grande, non è più grande della larghezza della nostra Öland [ovvero meno di 16 km] ... Se ne sta sul fondo del mare, sempre circondato da molti piccoli pesci che gli servono come cibo e ricevono cibo da esso; perché il suo pasto, se ricordo bene ciò che scrive Pontoppidan, dura non meno di tre mesi, e altri tre servono per la digestione. In seguito, i suoi escrementi nutrono un'esercito di pesci più piccoli, e per questo motivo i pescatori gettano i piombi dove esso giace ... Gradualmente, il Kraken sale alla superficie, e quando si trova a dodici o dieci braccia è bene che le barche si allontanino, perché di lì a poco esso emerge come un'isola, spruzzando acqua dalle sue terribili narici e creando anelli di onde attorno a sé, fino a distanze di molte miglia. Si può forse dubitare che questo sia proprio il Leviatano del Libro di Giobbe? »


    L'idea che i pescatori si arrischiassero a pescare sopra il Kraken è menzionata da Pontoppidan; pare che i pescatori norvegesi, per complimentarsi per una pesca particolarmente abbondante, fossero soliti dire: "devi aver pescato sul Kraken".

    Il vescovo norvegese non fu il primo a parlare del kraken, precedentemente anche un sacerdote italiano, appassionato di popoli nordici, in alcuni suoi testi si possono trovare dei riferimenti a racconti di pescatori dove si parla di un pesce smisurato chiamato sciu-krak, piatto e munito di numerose corna o braccia alla sua estremità con le quali tenta di affondare le barche dei pescatori. Dopo numerosi appostamenti e cacce al mostro il kraken comincia a essere considerato dai più una sorta di cefalopode gigante. Da allora il mistero viene considerato risolto e il kraken inizia a vivere solo nelle favole mentre i mari si popolano di piovre sempre più enormi di cui esistono alcuni inquietanti campioni ben noti alla scienza che potrebbero appartenere a polpi di 60 metri e di 20 tonnellate di peso. Ma il vero kraken è in realtà un parente dei polpi. Si tratta infatti di un calamaro gigante, anzi del signore di tutti i calamari: l'Architeuthis.

    Nel tardo Settecento iniziò a svilupparsi il mito del Kraken come creatura aggressiva. Alcune varianti del mito prevedevano che il Kraken affondasse le navi degli uomini corrotti (per esempio dei pirati), risparmiando quelle dei giusti. Sempre in questo periodo l'immagine del Kraken venne a coincidere in modo sempre più netto con quella di una piovra gigante, perdendo altre caratterizzazioni menzionate da alcune fonti più antiche (come la forma di granchio o certi altri elementi che potevano accomunare il Kraken alle balene). Secondo alcuni studiosi, questa evoluzione del mito potrebbe essere legata agli avvistamenti di reali calamari giganti.

    Nel 1802, il malacologo francese Pierre Denys de Montfort incluse la descrizione di due specie di piovre giganti nel suo trattato enciclopedico sui molluschi, Histoire Naturelle Générale et Particulière des Mollusques. La prima specie, per cui Montfort riprese il nome "kraken", era quella descritta dai marinai norvegesi (e, secondo Montfort, anche da Plinio il Vecchio). La seconda specie aveva dimensioni ancora più impressionanti; un esemplare aveva causato il naufragio di un vascello al largo dell'Angola.

    Montfort sostenne anche che le dieci navi da guerra inglesi scomparse nel 1782 fossero state affondate da piovre giganti. La sua tesi fu in seguito smentita, e la sua opera perse notevolmente di credibilità agli occhi dei suoi contemporanei.



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