ANIMALI MITOLOGICI

minotauro, draghi.........

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  1. gheagabry
     
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    Se nel periodo Medievale sono state redatte molte copie di bestiari, da persone diverse, in periodi diversi ed in luoghi diversi forse qualcosa di vero c'è!
    Pensate un po' una cosa: bestie tipo il Fauno, la Fenice, la Chimera, il Grifone, la Gorgone ... nel bestiario sono messe insieme a bestie, come dire, più conosciute, come il leopardo, il cane, il lupo, l'elefante. Cioè gli antichi scrittori dei bestiari non creavano la loro opera incentrandola solo su bestie "fantasy", ma cercando di descrivere tutte le bestie che popolavano il pianeta! Ecco perchè i cani che tutti conosciamo sono insieme a bestie che non siamo abituati a vedere. Il loro era un lavoro enciclopedico che cercava di riunire tutte le creature di Dio ... non a caso i bestiari cominciavano con passi della Bibbia, in particolar modo della Genesi.


    Date un po' un'occhiata all'immagine qui a sinistra: è l'AUTENTICA pagina del Bestiario Medievale di Aberdeen... non notate niente?
    Il "mostro" Monocero (che non è l'unicorno!) è messo insieme (addirittura nella stessa pagina) con l'orso... come se trovarli insieme fosse "naturale"!!!

    Provate a pensare voi ad un uomo di quel tempo che voleva descrivere e catalogare gli animali di quel tempo e trasmetterle ai posteri... non aveva a disposizione i mezzi di oggi e quindi non poteva scattare fotografie o fare filmati! L'unico modo che aveva era fare dei disegni delle bestie e descriverle secondo gli avvistamenti. Che doveva fare di più? Perché a priori dobbiamo essere scettici sull'effettiva esistenza di tali bestie?
    Calcolate che alcune fonti storiche sulle quali ci basiamo nello studio degli eventi passati, sono molto più frammentarie e imprecise dei Bestiari!!!
    Secondo voi, cosa se ne faceva l'uomo medievale del corpo di un drago? Sicuramente ogni singola cellula veniva utilizzata, un po' come con il maiale; perciò è inverosimile affermare che tali bestie non siano mai esistite semplicemente perchè non se ne è mai ritrovato lo scheletro. Anche perchè un qualsiasi biologo vi potrà dire che le ossa dei dinosauri che possiamo ammirare oggi si sono salvate dal degrado del tempo solo per una serie di cause fortuite! Solo le ossa di dinosauri morti nel fango sono arrivate fino a noi grazie alla solidificazione dello stesso che ne ha permesso la conservazione. Quante ossa di dinosauro abbiamo oggi? Una miseria se consideriamo che i dinosauri dominarono la Terra per più di 150 milioni di anni. E gli scienziati vorrebbero ritrovare ossa di bestie "fantasy" medioevali? Ma vi rendete conto di che insieme di casualità ci vogliono? Un Grifone non sarebbe MAI morto in una palude, e i suoi resti lasciati alle intemperie ed agli animali non resisterebbero un anno! Tanto più se si considera che queste bestie sarebbero vissute in luoghi impervi per l'uomo in condizioni per la conservazione difficilissime ed in numero davvero esiguo.

    Allora perchè non prendere in considerazione i mostri che si credevano di fantasia e che invece sono stati ritrovati realmente? Proprio così! E' il caso dell'enorme mostro marino conosciuto da secoli col nome di Kraken: la scienza ha sempre rinnegato la sua esistenza, ma quando fu effettivamente ritrovato nel 1995, si è appropriata della scoperta catalogandolo come NUOVA specie animale e ribattezzandolo col nome di "Architeuthis dux". (Bella figura che hanno fatto gli scienziati! Anni a dire che i mostri medioevali erano tutte cavolate e poi quando lo hanno ritrovato sono rimasti a bocca aperta! Ma che hanno fatto i furbini? Se ne sono appropriati chiamandolo Architeuthis dux... KRAKEN è il vero nome!!!... ma che roba! A questo punto sorge il forte dubbio che anche gli altri fossero effettivamente esistiti! NdBD).
    Una cosa è certa: il nostro pianeta ci riserva ancora molte sorprese!



    Fonte Blue Dragon









    L'ARABA FENICE


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    La Fenice, spesso nota anche con l'epiteto di Araba Fenice, era un uccello mitologico noto per il fatto di rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte. Gli antichi egizi furono i primi a parlare del Bennu, che poi nelle leggende greche divenne la Fenice. Uccello sacro favoloso, aveva l'aspetto di un'aquila reale e il piumaggio dal colore splendido, il collo color d'oro, rosse le piume del corpo e azzurra la coda con penne rosee, ali in parte d'oro e in parte di porpora, un lungo becco affusolato, lunghe zampe, due lunghe piume — una rosa e una azzurra — che le scivolano morbidamente giù dal capo (o erette sulla sommità del capo) e tre lunghe piume che pendono dalla coda piumata — una rosea, una azzurra e una color rosso-fuoco —. In Egitto era solitamente raffigurata con la corona Atef o con l'emblema del disco solare.


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    Molti storici si domandano se sia esistita la Fenice, facendo riferimento alle opere dei poeti romani, considerandola nulla di più di un prodotto della fantasia dei seguaci del Dio-Sole. Alcuni, tuttavia, credono che il mito possa essere basato sull'esistenza di un vero uccello che viveva nella regione allora governata dagli Assiri.

    Gli antichi la identificavano col fagiano dorato, tanto che un imperatore romano si vantò di averne catturato uno.

    Nella Bibbia, con l'ibis o col pavone; altri, con l'airone rosato o l'airone cinereo — basandosi sull'abitudine degli antichi egizi di festeggiare il ritorno del primo airone cinereo sopra il salice sacro di Heliopolis, considerato evento di buon auspicio, di gioia e di speranza.

    Il volatile più idoneo a rappresentarla è la Garzetta: uccello simile all'airone, di cui numerosi esemplari vennero sterminati solo poiché i loro ciuffi costituivano le "aigrettes" usate per confezionare i pennacchi coi quali si adornavano le dive. Come l'airone che spiccava il volo sembrava mimare il sorgere del sole dall'acqua, la Fenice venne associata col sole e rappresentava il BA ("l'anima") del dio del sole Ra , di cui era l'emblema — tanto che nel tardo periodo il geroglifico del Bennu veniva impiegato per rappresentare direttamente Ra.

    Quale simbolo del sole che sorge e tramonta, la Fenice presiedeva al giubileo regale. Ed essendo colei che ri-sorge per prima, venne associata al pianeta Venere — che appunto veniva chiamato "la stella della nave del Bennu-Asar", e menzionata quale Stella del Mattino nell'invocazione:

    «Io sono il Bennu, l'anima di Ra, la guida degli Dei nel Duat. Che mi sia concesso entrare come un falco, ch'io possa procedere come il Bennu, la Stella del Mattino.»



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    E come l'airone, che s'ergeva solitario sulla sommità delle piccole isole di roccia che sbucavano dall'acqua dopo la periodica inondazione del Nilo che ogni anno fecondava la terra col suo limo, il ritorno della Fenice annunciava un nuovo periodo di ricchezza e fertilità. Non a caso era considerata la manifestazione dell'Osiride risorto, e veniva spesso raffigurata appollaiata sul Salice, albero sacro ad Osiride. Per questa stessa ragione venne riconosciuta quale personificazione della forza vitale, e — come narra il mito della creazione — fu la prima forma di vita ad apparire sulla collina primordiale che all'origine dei tempi sorse dal Caos acquatico.

    Si dice infatti che il Bennu abbia creato sé stesso dal fuoco che ardeva sulla sommità del sacro salice di Heliopolis. Proprio come il sole, che è sempre lo stesso e risorge solo dopo che il sole "precedente" è tramontato, di Fenice ne esisteva sempre un unico esemplare per volta. Da qui l'appellativo "semper eadem": sempre la medesima.


    Era sempre un maschio, e viveva in prossimità di una sorgente d'acqua fresca all'interno di una piccola oasi nel deserto d'Arabia, un luogo appartato, nascosto ed introvabile. Ogni mattina all'alba faceva il bagno nell'acqua e cantava una canzone così meravigliosa che il dio del sole arrestava la sua barca (o il suo carro, nella mitologia greca) per ascoltarla.

    Talvolta visitava Heliopolis (la città del sole, di cui era l'uccello sacro), e si posava sulla pietra ben-ben: l'obelisco all'interno del santuario della città (nota originariamente col nome di "Innu", che significa "la città dell'obelisco", da cui il nome biblico On).

    Dopo aver vissuto per 500 anni (secondo altri 540, 900, 1000, 1461/ 1468, o addirittura 12955/ 12994), la Fenice sentiva sopraggiungere la sua morte, si ritirava in un luogo appartato e costruiva un nido sulla cima di una quercia o di una palma.

    Qui accatastava ramoscelli di mirto, incenso, sandalo, legno di cedro, cannella, spigonardo, mirra e le più pregiate piante balsamiche, con le quali intrecciava un nido a forma di uovo — grande quanto era in grado di trasportarlo (cosa che stabiliva per prove ed errori). Infine vi si adagiava, lasciava che i raggi del sole l'incendiassero, e si lasciava consumare dalle sue stesse fiamme mentre cantava una canzone di rara bellezza.

    Per via della cannella e della mirra che bruciano, la morte di una fenice è spesso accompagnata da un gradevole profumo. Dal cumulo di cenere emergeva poi una piccola larva (o un uovo), che i raggi solari facevano crescere rapidamente fino a trasformarla nella nuova Fenice nell'arco di tre giorni (Plinio semplifica dicendo "entro la fine del giorno"), dopodiché la nuova Fenice, giovane e potente, volava ad Heliopolis e si posava sopra l'albero sacro.


    «cantando così divinamente da incantare lo stesso Ra»


    - peraltro si dice anche che dalla gola della Fenice giunse il soffio della vita (il Suono divino, la Musica) che animò il dio Shu.

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    Ma nella antica tradizione riportata da Erodoto, la fenice risorge ogni 500 anni, come riportato da Cheremone, filosofo stoico iniziato ai misteri egizi che parla di un <periodo solstiziale>, da Orapollo vissuto sotto Zenone (474-491) che -come sappiamo da Suida- diresse la scuola egizia a Menouthis, presso Alessandria, da Eliano di Preneste; la rinascita della fenice cela per tutti questi autori un periodo astronomico connesso alla resurrezione di Osiride. Già nel Capitolo 125 del Libro dei Morti, Osiride afferma di rinascere come fenice nella città di On (Heliopolis) sede di miti cosmologici, contestualmente infatti, Capitolo 17 del Libro dei Morti, Osiride si identifica con il Duplice Leone nei nomi di Ieri e Domani, ovvero Osiride e Ra, simbolo esoterico preposto alle rinascite dei cicli solari. Orapollo palesa senza veli che la fenice è una delle manifestazioni del sole <dai molti occhi> come interpretato da Sbordone che riporta una grafia tarda del nome di Osiride costituita da un occhio e uno scettro. Da qui l'occhio della fenice inteso come l'illuminazione consapevole di Osiride che rinascendo incarna <il rinnovamento ciclico degli astri> sempre secondo Orapollo, intrinseco alla fiamma del <periodo solstiziale> della fenice riportato in un frammento di Cheremone...

    Storicamente parlando, viene menzionata per la prima volta in un libro nell'esodo (VIII secolo AC). Uno dei primi resoconti dettagliati ce lo fa lo storico greco Erodoto circa due secoli dopo:
    « Un altro uccello sacro era la Fenice. Non l'ho mai vista coi miei occhi, se non in un dipinto, poiché è molto rara e visita questo paese (così dicono ad Heliopolis) soltanto a intervalli di 500 anni: accompagnata da un volo di tortore, giunge dall'Arabia in occasione della morte del suo genitore, portando con sé i resti del corpo del padre imbalsamati in un uovo di mirra, per depositarlo sull'altare del dio del Sole e bruciarli. Parte del suo piumaggio è color oro brillante, e parte rosso-regale (il cremisi: un rosso acceso). E per forma e dimensioni assomiglia più o meno ad un'aquila. »

    Proprio a questo resoconto di Erodoto, dobbiamo l'erronea denominazione di "Araba Fenice". Ovidio, nelle Metamorfosi, ci narra della fenice, uccello che giunto alla veneranda età di 500 anni, termine ultimo della vita concessagli, depone le sua membra in un nido di incenso e cannella costruito in cima ad una palma o a una una quercia, e spira. Dal suo corpo nasce poi un'altra fenice che, divenuta adulta, trasportò il nido nel tempio di Iperione, il Titano padre del dio Sole..

    Ovidio dice:
    « ... si ciba non di frutta o di fiori, ma di incenso e resine odorose. Dopo aver vissuto 500 anni, con le fronde di una quercia si costruisce un nido sulla sommità di una palma, ci ammonticchia cannella, spigonardo e mirra, e ci s'abbandona sopra, morendo, esalando il suo ultimo respiro fra gli aromi. Dal corpo del genitore esce una giovane Fenice, destinata a vivere tanto a lungo quanto il suo predecessore. Una volta cresciuta e divenuta abbastanza forte, solleva dall'albero il nido (la sua propria culla, ed il sepolcro del genitore), e lo porta alla città di Heliopolis in Egitto, dove lo deposita nel tempio del Sole. »


    Eliopoli, dove i sacerdoti di Ra conservavano gli archivi dei tempi passati. In quest'ottica, la Fenice era il nuovo profeta/messia che "distruggeva" gli antichi testi sacri per far risorgere una nuova Religione dai resti della precedente.

    Tacito arricchisce la storia, scrivendo che la giovane fenice solleva il corpo del proprio genitore morto fino a farlo bruciare nell'altare del Sole. Altri scrittori descrivono come la fenice morta si trasformi in un uovo, prima di essere portata verso il Sole.

    Il Fisiologo, primo bestiario cristiano, cita il favoloso uccello:
    « IX) La fenice

    C'è un altro volatile che è detto fenice.
    Nostro Signore Gesù Cristo ha le sua figura, e dice nel Vangelo:

    «Posso deporre la mia anima, per poi riprenderla una seconda volta».


    Per queste parole i Giudei si erano scandalizzati e volevano lapidarlo. C'è dunque un uccello, che vive in alcune zone dell'India, detto fenice. Di lui il Fisiologo ha detto che, trascorsi cinquecento anni della sua vita, si dirige verso gli alberi del Libano, e si profuma nuovamente entrambe le ali con diversi aromi. Con alcuni segni si annuncia al sacerdote di Eliopoli nel mese nuovo, Nisan o Adar, cioè nel mese di Famenòth, o di Farmuthì. Dopo che il sacerdote ha avvertito questo segnale, entra e carica l'altare di sarmenti di legno.

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    Quindi il volatile arriva, entra nella città di Eliopoli, pieno di tutti gli aromi che sprigionano entrambe le sue ali; ed immediatamente vedendo la composizione di sarmenti che è stata fatta sull'altare, si alza e, circondandosi di profumi, un fuoco si accende da solo e da solo si consuma. Poi, un altro giorno, giunse un sacerdote e, dopo aver bruciato la legna che aveva collocato sopra l'altare, trovò qui, osservando, un modesto vermicello, che emanava un buonissimo odore. Poi, al secondo giorno, trovò un uccellino raffigurato. Il terzo il sacerdote tornò a vedere e notò che l'uccellino era divenuto un uccello fenice. Una volta salutato il sacerdote, volò via e si diresse al suo luogo antico. Se invero questo uccello ha il potere di morire e di nuovo di rivivere, nel modo in cui gli uomini stolti si adirano per la parola di Dio, tu hai il potere come vero uomo e vero figlio di Dio, hai il potere di morire e di rivivere.
    Dunque come ho detto prima, l'uccello prende l'aspetto del nostro Salvatore, che scendendo dal cielo, riempì le sue ali dei dolcissimi odori del Nuovo e dell'Antico Testamento, come egli stesso disse: «Non sono venuto ad eliminare la legge, ma ad adempierla». E di nuovo: «Così sarà ogni scrittore dotto nel regno dei cieli, offrendo rose nuove ed antiche dal suo tesoro »


    La lunga vita della Fenice e la sua così drammatica rinascita dalle proprie ceneri, ne fecero il simbolo della rinascita spirituale, nonché del compimento della Trasmutazione Alchemica — processo Misterico equivalente alla rigenerazione umana ("Fenice" era il nome dato dagli alchimisti alla pietra filosofale).


    Già simbolo della Sapienza divina (cfr. Giobbe 38 verso 36), intorno al IV secolo d.C. venne identificata con Cristo presumibilmente per via del fatto che tornava a manifestarsi 3 giorni dopo la morte, e come tale venne adottata quale simbolo paleocristiano di immortalità, resurrezione e vita dopo la morte.

    Dante Alighieri così descrive la Fenice:
    « che la fenice more e poi rinasce,

    quando al cinquecentesimo appressa
    erba né biada in sua vita non pasce,
    ma sol d'incenso lacrima e d'amomo,
    e nardo e mirra son l'ultime fasce. »

    (Inferno XXIV, 107-111)


    Al giorno d'oggi sopravvive il modo di dire "essere una fenice", per indicare qualcosa di cui non si conosce l'uguale, introvabile, un esemplare unico e soprattutto inafferrabile, secondo il ben noto detto di Metastasio ("Demetrio", atto II, scena III):
    « Come l'araba Fenice, che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa. »


    Tale espressione venne ripresa pari pari da Lorenzo Da Ponte nel libretto di Così fan tutte musicato da Mozart, per affermare l'impossibilità di trovare la fedeltà nelle donne:
    « È la fede delle femmine come l'araba Fenice, che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa. »



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    La Fenice (abbreviazione: Phe) è anche una costellazione dell'Emisfero Sud, vicino a Tucana (il Tucano) e Sculptor. Fu così chiamata da Johann Bayer nel 1603, ed è costituita da 11 stelle. Assai curiosamente, questa costellazione è universalmente stata riconosciuta come uccello, ed è stata chiamata Grifone, Aquila, Giovane Struzzo (dagli arabi) e Uccello di Fuoco (dai cinesi).


    Vi sono controparti della Fenice in praticamente tutte le culture: sumera, assira, inca, azteca, russa (l'uccello di fuoco), quella dei nativi americani (Yel), e in particolare nella mitologia cinese (Feng), indù e buddista (Garuda), giapponese (Ho-oo o Karura), ed ebraica (Milcham):

    «Un uccello mitologico, che non muore mai, la fenice vola lontano, avanti a noi, osservando con occhi acuti il paesaggio circostante e lo spazio distante. Rappresenta la nostra capacità visiva, di raccogliere informazioni sensorie sull'ambiente che ci circonda e sugli eventi che si dipanano al suo interno. La fenice, con la sua bellezza assoluta, crea un'incredibile esaltazione unita al sogno dell'immortalità».



    I cinesi hanno un gruppo di quattro creature magiche (detti "I quattro Spiritualmente-dotàti") che presiedono i destini della Cina, e rappresentano le forze primordiali degli animali piumati, corazzati, pelosi e con squame. Questi quattro animali sacri sono: Bai Hu (la tigre) o Ki-Lin (l'unicorno) per l'Ovest; Gui Xian (la tartaruga o il serpente) per il Nord; Long (il drago) per l'Est; e, per il Sud, Feng (la Fenice) — detto anche Fêng-Huang, Fung-hwang o Fum-hwang.

    Rappresentava il potere e la prosperità, ed era un attributo esclusivo dell'imperatore e dell'imperatrice, che erano gli unici in tutta la Cina ad essere autorizzati a portare il simbolo del Feng. Era la personificazione delle forze primordiali dei Cieli, e talvolta veniva rappresentata con la testa e la cresta di fagiano e la coda di pavone (ma siccome i cinesi desideravano dare al Feng i più begli attributi di tutti gli animali, lo raffiguravano con la fronte della gru, il becco dell'uccello selvatico, la gola della rondine, il collo del serpente, il guscio della testuggine, le strisce del drago e la coda di un pesce).

    Nel becco portava due pergamene o una scatola quadrata che conteneva i Testi Sacri, e recava iscritte nel corpo le Cinque Virtù Cardinali. Si dice inoltre che la sua canzone contenesse le cinque note della scala musicale cinese, e che la sua coda includesse i cinque colori fondamentali (blu, rosso, giallo, bianco e nero), e che il suo corpo fosse una mistura dei sei corpi celesti (la testa simboleggiava il cielo; gli occhi, il sole; la schiena, la luna; le ali, il vento; i piedi, la terra; e la coda, i pianeti).

    Il Feng viene a volte dipinto con una sfera di fuoco che rappresenta il sole, ed è chiamato "l'uccello scarlatto": l'imperatore di tutti gli uccelli. Nato dal fuoco nella "Collina del Falò del Sole", vive nel Regno dei Saggi, che sta ad Est della Cina. Beve acqua purissima e si ciba di bambù. Ogni volta che canta, tutti i galli del mondo l'accompagnano nella sua canzone di cinque note. Appare soltanto in tempi di pace e prosperità, e scompare nei tempi bui. Diversamente dal Benu, il Feng può essere maschio o femmina, e vivere in coppia — coppia che rappresenta la felicità della coppia di sposi. Al concepimento, è il Feng a consegnare l'anima del nascituro nel grembo della madre.

    Garuda (sanscrito: गरुड Garuḍa), l'aquila, è una divinità induista minore, il monte (vahanam) di Viṣṇu, e una delle forme della divinità nell'induismo; è rappresentata con piume d'oro, faccia bianca, ali rosse, becco e ali d'aquila, ma un corpo spesso umano. Indossa una corona sulla testa come il suo padrone, Viṣṇu; è antica ed enorme, al punto da oscurare il sole.

    Secondo alcuni studiosi il nome deriverebbe da gara-ud-di, che significa "colui che aspetta il veleno", oppure "colui che porta un gran peso", mentre secondo altri deriverebbe da Garuman, il dio vedico del sole. Un racconto mitico narra che dopo essersi seduto su un ramo, accortosi che stava cedendo per il gran peso, visto che ospitava ben 40.000 asceti, con un gran sforzo è riuscito a sollevarlo.(Valakhilya)

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    La sua importanza nella religione induista può essere compresa dal fatto che un Upaniṣad indipendente, il Garudopanishada, e un Purana, il Garuda Purana, sono dedicati a lei. Garuda è nota con molti altri nomi - Chirada, Gaganeshvara, Kamayusha, Kashyapi, Khageshvara, Nagantaka, Sitanana, Sudhahara, Suparna, Takshya, Vainateya, Viṣṇuratha e altri ancora. Nei Veda è presente il più antico riferimento a Garuda, con il nome Shyena, laddove si dice che questo maestoso uccello avrebbe portato il nettare degli dei (amrit) sulla Terra dal Cielo; i Purana, molto successivi, riferiscono lo stesso di Garuda, indicando che Shyena e Garuda siano la stessa divinità (o lo siano diventate nel tempo). Una delle facce dello Shri Panchamukha ("cinque facce", metamorfosi di Hanuman) è Mahavira Garuda, rivolta ad occidente. Si crede che pregando Garuda sia possibile curare gli effetti del veleno. Nella mitologia buddhista, i garuda sono una razza divina di uomini-uccello, nemici dei naga, cui danno la caccia. Nel Mahasamyatta Sutta, si narra che Buddha abbia ottenuto una pace tra naga e garuda.

    Le raffigurazioni antiche lo rappresentano con sembianze per lo più animali, mentre quelle più recenti le hanno quasi completamente umanizzate.
    Garuda come simbolo nazionale dell'Indonesia.

    In Thailandia è nota come Krut (ครุฑ); in Birmania, ga-lon; in giapponese come Karura(迦楼羅), anche se in molte opere recenti si è recuperata la pronuncia Garuda (ガルダ - vedi sotto). Tutte le varianti sono comunque pronunce locali del nome sanscrito. In Thailandia (come Krut Pha, Krut con le ali aperte, simbolo della famiglia reale) e in Indonesia, Garuda è il simbolo nazionale; la compagnia aerea nazionale indonesiana si chiama inoltre Garuda Indonesia.

    In Giappone la Fenice figura col nome di Ho-ho o Karura (storpiatura del nome sanscrito Garuda): è un'enorme aquila sputa fuoco dalle piume dorate e gemme magiche che ne coronano la testa, ed annuncia l'arrivo di una nuova era.

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    Nelle leggende ebraiche, la Fenice viene chiamata Milcham. Dopo che Eva mangiò il frutto proibito, divenne gelosa dell'immortalità e della purezza delle altre creature del Giardino dell'Eden — così convinse tutti gli animali a mangiare a loro volta il frutto proibito, affinché seguissero la sua stessa sorte. Tutti gli animali cedettero, tranne la Fenice — che Dio ricompensò ponendola in una città fortificata dove avrebbe potuto vivere in pace per 1000 anni. Alla fine di ogni periodo di 1000 anni, l'uccello bruciava e risorgeva da un uovo che veniva trovato nelle sue ceneri.

    La fenice è cantata da numerosi poeti classici, come Ovidio (Metamorfosi XV), che scrisse che ogni 500 anni essa si rigenerava istantaneamente dalla proprie ceneri, in un nido di piante aromatiche che essa stessa costruisce.

    I padri della Chiesa accolsero la tradizione ebraica e fecero della fenice il simbolo della resurrezione della carne. La sua immagine ricorre frequentemente nell'iconografia delle catacombe.

    Dante Alighieri la cita in una similitudine dell'Inferno (XXIV 106-115).



    Quetzalcoatl, dio uccello (o serpente piumato) dell'America del Sud (Messico), aveva il dono di morire e risorgere; grande sovrano e portatore di civiltà. Da un'iscrizione Maya del 987 d.C.: «Arrivò Kukulkán, serpente piumato, a fondare un nuovo stato». I toltechi ne parlano come di un re-sacerdote di Tollan, che morì nello Yucatan, forse arso su un rogo (come la Fenice).

    Wakonda, uccello del tuono degli indiani Dakota. Per i Sioux, "grande potere superiore", fonte di potere e saggezza, divinità generosa che sostiene il mondo e illumina lo sciamano

    Nella narrativa dell'antica Persia è presenta con il nome di Homa o Seemorgh.

    Una interessante spiegazione ornitologica per il mito della Fenice, è che alcuni grandi volatili sbattono le ali sul fuoco per uccidere i parassiti col fumo. La Fenice, nel suo aspetto distruttore, viene a liberare il mondo dal male — i parassiti, appunto — bruciandolo col Fuoco Spirituale.


    Edited by gheagabry1 - 28/2/2020, 17:07
     
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    La Fenice Felice

    E’ fu così che una Nuvola Bianca, che un giorno era stata Panca, un altro una Lumaca Stanca, prese a cantare al cielo la sua lagna. Il cielo che era a forma di lavagna, venne completamente sporcato da quella lagna e l’Universo tutto perse di vista il suo solito armonico verso.

    C’è una lagna che scrive sulla lavagna!

    Dissero le Stelle che da sempre ispiravano le Anime Belle, che nel sentirsi ispirate alla vita cantavan della beltà del creato. Era tutto perfettamente organizzato, se non fosse stato per quella lagna che aveva preso a sporcar la lavagna.

    Stelle che accade, perché per le Anime Belle più non cantate?

    Chiese il Sole.

    C’è una voce che si lagna e sporca del ciel la lavagna!

    Conosco quella voce è della Nuvola Bianca, colei che un giorno fu Panca, e un altro Lumaca Stanca, tranquille la forza non le manca solo in apparenza arranca!

    Lo sappiamo, ma è proprio una lagna!!!

    Continuarono a ripetere le Stelle.

    Stelle non fatevi distrarre, cantate e ispirate le Anime Belle, siete o non siete le loro alte sorelle?

    Ma la voce della Nuvola Bianca non cessò la sua lagna continuando a sporcar la lavagna, e fu allora che il Sole decise che era giunto il momento di parlarle, e allungano due caldi raggi che divennero grandi e accoglienti mani, la raccolse dal cielo:

    Cara lo capisci che la tua lagna sporca del ciel la lavagna?

    E la Nuvola Bianca che dalla vita si sentiva tradita, perché troppe volte l’aveva mutata, disse:

    E’ il creato che ha ammalato il mio fiato, il mio cuore gli è ingrato!

    La Nuvola Bianca tra le mani del Sole divenne incandescente, e sciogliendosi come lava ardente cadde dal cielo interrompendo la sua lagna, era troppo presa nel trovar con quella nuova forma un intesa, e nel cadere giù mutò non riconoscendosi più. Ora nel cielo volava e non solo lo sovrastava.

    In cosa sono mutata?

    Chiese la Nuvola Bianca eccitata, poiché non si era guardata.

    E il Sole felice disse:

    Tu ora sei una Fenice.

    La Nuvola era incredula ora si trovava a volare nei cieli, vestita di una nuova veste, e nel suo cuore ardeva un fuoco che non si sarebbe mai spento, un fuoco che le bruciava dentro senza darle più tormento. Dallo smarrimento raccoglieva nuovo incoraggiamento, dall’errore nasceva un nuovo e più ardente sentore, dalla sconfitta si ergeva sempre più dritta, dal ferimento non riceveva alcun fermento. Lei ora era una Fenice rinasceva sempre più felice. E fu così che il suo canto cambiò, e la Fenice che un giorno era stata una Nuvola Bianca, poi una Panca e poi un…ma che importa chi o cosa era stata, lei ora Era, il suo mutare l’aveva saputa finalmente plasmare in quel qualcosa che realmente la vita sposa.

    La Fenice prese a intonar il suo canto felice, l’armonia nel creato fu ristabilita, le stelle tornarono ad ispirar le anime belle, e la lavagna venne ripulita dalla lagna.

    Sole, ma come hai fatto?

    Chiese una Stella.

    Ho semplicemente fatto vedere a una Nuvola quanto ardore le bruciava nel cuore, il dolore aveva assopito ogni sentore, ma nel lasciarla cadere ha trovato la forza per ricordare.

    Cosa ha ricordato Padre?

    Ha ricordato di saper volare, e che dentro ogni cuore risiede l’ardore! E’ quello il solo Motore.

    Certo che ora è veramente bella, sembra quasi una Stella!

    Figlia mia ma è una Stella, stai guardando una tua nuova sorella, che tanto ha dovuto camminare per meritare.

    La Fenice Felice prese per il cielo a girare, e quando fu il tempo di tornare, il Sole come Stella la mise in cielo a cantare, e le Anime Belle incominciò ad ispirare.
    C’è Armonia nel Creato,
    niente al Caso verrà lasciato,
    le Stelle del Cielo hanno cantato
    usa il tuo fiato per dipingere d’Amore il Creato.







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    La Fenice è uno splendido uccello scarlatto delle dimensioni di un cigno; la lunga coda, il becco e gli artigli sono dorati. Nidifica sui picchi rocciosi e si trova in Egitto, in India e in Cina.Vive fino a un'età molto avanzata poiché è in grado di rigenerarsi: s'incendia quando il suo corpo comincia a cedere e risorge dalle ceneri in forma di pulcino.
    La Fenice è una creatura gentile che a quanto si sa non ha mai ucciso e si nutre solo di vegetali. Come il Diricawl (vedi sopra), può sparire e ricomparire a piacere. Il canto della Fenice è magico: si ritiene che accresca il coraggio dei puri di cuore e che induca terrore nei cuori degli impuri. Le lacrime di Fenice hanno potenti proprietà curative.


    Edited by gheagabry1 - 28/2/2020, 17:11
     
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  3. gheagabry
     
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    Harry Potter e l'Ordine della Fenice

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    Harry Potter e l'Ordine della Fenice è il quinto romanzo fantastico di un ciclo composto da sette volumi scritti da Joanne Kathleen Rowling che ha come protagonista il giovane mago Harry Potter. Della collana è il libro con più pagine (807 nella versione italiana)

    Il libro ha scalato le classifiche dei best seller, anche questo pubblicato dall'Adriano Salani Editore.

    Harry Potter e l'Ordine della Fenice è stato pubblicato nei Paesi anglofoni il 21 giugno 2003 e in Italia il 31 ottobre del medesimo anno.

    Trama

    Come ogni estate il giovane mago Harry Potter torna per le vacanze dai suoi unici parenti: i Dursley. Nel mezzo delle vacanze Harry viene assalito da delle guardie della prigione di Azkaban, i Dissennatori, che attaccano anche il cugino Dudley. Per salvarsi è costretto a usare la magia ovvero a praticare l'Incanto Patronus. Essendo proibito fare magie al di fuori di Hogwarts senza aver compiuto i diciassette anni, momento della maggiore età nel mondo della magia, Harry viene convocato a un'udienza al Ministero della Magia. Prima dell'udienza Harry scopre una società segreta, l'Ordine della Fenice, che ha lo scopo di scoprire e contrastare i piani di Lord Voldemort che è tornato in vita nell'anno (e nel libro) precedente. L'associazione è formata da membri che già operavano prima della caduta di Voldemort, tra i quali il fondatore Albus Silente (preside di Hogwarts), Arthur e Molly Weasley (nuovi acquisti fedeli), Severus Piton (che fa da spia), Minerva McGranitt, Sirius Black (il padrino di Harry), Rubeus Hagrid (custode delle chiavi e dei luoghi a Hogwarts) e Alastor Malocchio Moody (ex professore con occhio girevole). V'è anche Remus Lupin, vecchio amico del padre di Harry ed ex professore di Difesa Contro le Arti Oscure.

    L'Ordine della Fenice si trova a Grimmauld Place numero 12, ovvero la casa dei genitori di Sirius; la casa è segretamente nascosta ai babbani e vi abita anche un elfo domestico scontroso, arrogante e razzista di nome Kreacher, che odia (come tutti i membri della famiglia Black eccetto Sirius) tutti i maghi figli di babbani o figli di unioni miste tra maghi e babbani (i mezzosangue). L'udienza si volge a favore di Harry grazie all'aiuto di Silente. Finite le vacanze estive il nostro protagonista si reca a scuola insieme ai suoi amici: Ron Weasley e Hermione Granger (che sono diventati entrambi prefetti). A portare gli studenti direttamente nel castello ci sono le stesse carrozze degli anni precedenti (vedi Harry Potter e il prigioniero di Azkaban), trainate dai Thestral, sinistre creature magiche visibili solo a Harry e a pochi altri studenti che abbiano visto qualcuno morire, tra i quali Luna Lovegood, nuovo personaggio (appartenente alla casa del Corvonero, una ragazza ambigua e stravagante figlia del direttore del Cavillo, Xenophilius Lovegood) e Neville Paciock (sincero compagno di Harry Potter), che ha i genitori internati in un manicomio per le torture arrecate loro da Bellatrix Lestrange. Durante il banchetto, si scopre che la nuova professoressa di "Difesa contro le Arti Oscure" è Dolores Jane Umbridge, che lavora per il "Ministero della Magia" come sottosegretario anziano del Ministro della Magia.

    Nella prima notte a Hogwarts Harry ha una discussione molto accesa con Seamus Finnigan, un suo compagno di Grifondoro, perché quest'ultimo non crede nel ritorno di Voldemort. Durante la prima lezione di Difesa contro le Arti Oscure, la professoressa Umbridge si rivela antipatica e più teorica che pratica, cioè non fa usare alla classe gli incantesimi. Harry discute con la Umbridge sul ritorno di Voldemort e, per questo, riceve una punizione: per una settimana si deve recare ogni sera nell'ufficio della Umbridge per scrivere e riscrivere la frase "non devo dire bugie"; ma invece di inchiostro e penna ordinari, utilizza per scrivere una piuma stregata che incide sul dorso della sua mano, e come inchiostro usa il suo stesso sangue. All'inizio di settembre Sirius, per rispondere ad una lettera di Harry senza il pericolo che il messaggio venisse intercettato, era apparso nel camino della Sala Comune di Grifondoro, come aveva fatto l'anno precedente. Dopo la prima settimana di scuola, la Umbridge viene nominata "Inquisitore Supremo di Hogwarts" dal Ministero della Magia. L'incarico consiste nel decretare nuove leggi scolastiche. Questa iniziativa non va a genio agli studenti. Nel primo fine settimana libero a Hogsmeade, più precisamente al pub "Testa di Porco", Hermione con il consenso di Harry fonda l'ES (Esercito di Silente), cioè un gruppo con a capo Harry che insegna agli altri membri incantesimi di Difesa contro le Arti Oscure.



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    I membri sono: Harry Potter, Ron Weasley, Hermione Granger, Angelina Johnson, Fred Weasley, George Weasley, Ginny Weasley, Katie Bell, Cho Chang, Zacharias Smith, Justin Finch-Fletchley, Ernie Macmillan, Neville Paciock, Dean Thomas, Lavanda Brown, Calì Patil, Padma Patil, Luna Lovegood, Colin Canon, Denis Canon, Alicia Spinnet, Hannah Abbott, Anthony Goldstein, Michael Corner, Terry Steeval, Lee Jordan, Susan Bones e Marietta Edgecombe, un'amica di Cho e nell'ultimo incontro anche Seamus Finnigan. La prima riunione dell'ES si svolge al pub della Testa di Porco; le successive saranno nella Stanza delle Necessità, e durante la prima di queste si mette in discussione chi dovesse essere il capo, che risulta Harry. Chiunque avesse tradito il segreto sarebbe stato ricoperto di pustole ripugnanti. La prima partita della stagione di Quidditch viene vinta dal Grifondoro contro Serpeverde. Alla fine di una riunione dell'Esercito di Silente, Harry viene baciato da Cho Chang, e la invita ad andare con lui a Hogsmeade per San Valentino. Quella notte Harry mentre dorme viene assalito da un incubo poi rivelatosi reale: Harry incarna Nagini, il serpente di Lord Voldemort intento ad azzannare il Signor Weasley, il padre di Ron. Spaventato, Harry si dirige con Ron e la professoressa McGrannit si dirige verso l'ufficio del preside e gli racconta l'accaduto. Silente, usando una passaporta, lo manda insieme ai Weasley nel quartiere generale dell'Ordine della Fenice, dove trascorre il Natale. Fortunatamente il signor Weasley si riprende. Durante una visita all'ospedale San Mungo per malattie e ferite magiche per visitare il padre di Ron, Harry scopre che Voldemort vuole servirsi di lui per compiere i suoi piani. Al San Mungo Harry e compagnia incontrano i genitori di Neville, ormai diventati pazzi, e il loro ex professore di difesa contro le arti oscure, Gilderoy Allock, che ha perso la memoria e non li riconosce. Quando torna a scuola Silente spiega a Harry che può essere posseduto da Voldemort (per questo ha sognato di essere un serpente la notte in cui il padre di Ron è stato aggredito) e affinché ciò non accada, deve studiare Occlumanzia con il prof. Piton, ma a causa di un suo ricordo che Harry vede nel pensatoio, e che riguarda uno scherzo fattogli dal padre di Harry, James Potter, Piton si infuria e decide di non dargli più lezioni private.

    Durante l'esame di Storia della Magia, Harry sogna che Sirius è stato catturato da Voldemort, allora con Ron, Hermione, Ginny, Luna e Neville parte verso il Ministero della Magia a cavallo dei Thestral. Arrivati al ministero, i ragazzi si dirigono verso il luogo sognato da Harry, la stanza delle profezie, nell'Ufficio Misteri. Qui trovano su uno scaffale una sfera contenente una profezia su Harry e Voldemort predetta dalla Cooman circa sei mesi prima della nascita di Harry e Neville (i due, infatti, sono nati lo stesso giorno), che viene infine accidentalmente distrutta. A un tratto vengono circondati da alcuni Mangiamorte, i sostenitori di Voldemort, dai quali cercano di fuggire senza successo. Proprio quando tutto sembra perduto, nella stanza della Morte, sempre all'interno dell'Ufficio Misteri, vengono loro in aiuto i membri dell'Ordine della Fenice, compreso Sirius, che muore in uno scontro con sua cugina Bellatrix Lestrange, la quale invoca l'Avada Kedavra contro di lui, e finisce dietro uno strano velo. Harry insegue Bellatrix, ma quando arriva all'ingresso compare Lord Voldemort e, nello stesso tempo, Albus Silente. I due maghi duellano, ma alla fine Silente sembra avere la meglio e Voldemort invece di arrendersi si impossessa di Harry; siccome Harry è protetto dall'amore di sua madre che è morta per lui, Voldemort lo può possedere, ma non toccare: «Non conoscerai mai l'amore e l'amicizia». Quindi è costretto a fuggire portando Bellatrix con sé. Dopo una discussione col preside che gli rivela la profezia, ovvero che è egli stesso il prescelto per uccidere Voldemort e che se uno sopravvive l'altro deve per forza morire, Harry torna nella Sala Comune di Grifondoro e, invece di andare al banchetto di fine anno, cerca in tutti i modi di non credere che Sirius sia morto, anche se, alla fine, dovrà arrendersi alla dura realtà. La storia si conclude con il ritorno al mondo dei babbani da parte di lui e dei suoi amici.


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    Edited by gheagabry1 - 28/2/2020, 17:18
     
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    Molto molto bella anche questa sezione ... degli animali ... quelli mitologici ... quelli epici o dei nostri sogni ... GRAZIE MI PIACE DAVVERO TANTO!!!!

     
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  5. gheagabry
     
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    UNICORNO



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    l liocorno è tipicamente raffigurato come un cavallo bianco dotato di attributi magici, con un unico lungo corno avvolto a torciglione sulla fronte. Molte descrizioni attribuiscono all'unicorno anche una barbetta caprina, una coda da leone e zoccoli divisi.

    Simbolo di saggezza, nell'immaginario cristiano poteva essere ammansito solo da una vergine, simbolo della purezza. Si credeva che se il corno fosse stato rimosso, l'animale sarebbe morto.

    Nella tradizione medievale, il corno a spirale è detto alicorno, e gli è attribuita la capacità di neutralizzare i veleni. Questa virtù è desunta dai resoconti di Ctesia sull'unicorno in India, dove sarebbe stato usato dai governanti del luogo per fabbricare coppe in grado di rendere innocui i veleni.

    La pratica dell'uso antivenefico dei corni di unicorno (in realtà probabilmente rari denti di narvalo, corna di orice o falsi costruiti unendo e intagliando ossa di animali diversi) avrà una certa diffusione nell'Europa Medioevale. Nell'inventario del tesoro papale di Papa Bonifacio VIII del 1295, viene riportata menzione, per la prima volta nella documentazione papale (anche se l'uso era già diffuso da tempo presso le corti dei sovrani europei), di quattro corne di unicorni, lunghe e contorte (...) [utilizzati per] fare l'assaggio di tutto ciò che era presentato al papa.

    A partire dal XV secolo e fin quasi all'inizio del XIX secolo, il dente del narvalo (un mammifero marino), in virtù della sua eccezionale lunghezza (fino a 3 metri) e la perfetta struttura elicoidale, viene identificato, anche dalla nascente zoologia scientifica, come il corno di un unicorno e venduto a caro prezzo nelle corti europee. Di conseguenza, l'unicorno comincia a uscire dai Bestiari per entrare nei prime opere di sistematica naturalistica (che conterranno comunque, almeno fino alla metà dell'800, accanto ad animali reali, anche animali fantastici, parzialmente o del tutto mitizzati). Nel 1827 il famoso naturalista francese Georges Cuvier afferma l'impossibilità dell'esistenza di un mammifero perissodattilo con un unico corno frontale. Questa presa di posizione indirizzerà la scienza naturalistica nel corso dell'800 ad escludere definitivamente l'unicorno dalla lista degli animali esistenti.

    Alcuni pensano che questo animale sia stato ispirato ad una antilope africana della specie Orice.

    Persino nel palio delle contrade di Siena, palio di origini medievali e che si corre, come ognun sa, ancor oggi, seppur in un contesto diverso, vi è, tra le 17 contrade, quella del Leocorno (unicorno), rappresentata da un cavallo col corno in testa.
    Nella simbolica medioevale l'Unicorno era descritto come animale piccolo (a rappresentare l'umiltà) ma invincibile. Simile nell'aspetto ad un cavallo bianco, simbolo di nobiltà e purezza, era provvisto di un solo lungo corno in mezzo alla fronte a simboleggiare la penetrazione del divino nella creatura. Unendo la potenza della spada divina alla purezza di un manto immacolato, l'unicorno ( o liocorno )rappresenta la Vergine fecondata dallo Spirito Santo. Nel simbolismo cristiano l'animale mitico simboleggia quindi l'Incarnazione del Verbo di Dio che prepara la strada all'avvento del Vero Re.
    Nella letteratura cortese aveva risonanze più propriamente erotiche: il liocorno cacciatore invincibile poteva essere ammansito solo dall'amore per la fanciulla.




    L'Unicorno è una bella bestia che si può trovare nelle foreste del Nord Europa. È un cavallo dotato di un corno, col manto di un bianco immacolato quando è adulto, anche se i puledri all'inizio sono d'oro e diventano d'argento prima di raggiungere la maturità. Il corno, il sangue e il pelo dell'Unicorno possiedono tutti proprietà altamente magiche. Esso in genere evita il contatto umano,è più probabile che consenta a una strega che a un mago di avvicinarlo, ed è così veloce nella corsa che è molto difficile da catturare.




    dal web

    Edited by gheagabry1 - 28/2/2020, 17:21
     
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  6. gheagabry
     
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    L'unicorno è senza dubbio una delle creature più affascinanti e ricercate. Si tratta di un cavallo bianco, con grandi occhi azzurri o rosa e in mezzo alla fronte un lungo corno affusolato. All'inizio rappresentava la bellezza unita alla forza, l'inafferrabilità del mistero femminile e la sua mobilità, gli istinti sensuali e la seduzione. In un secondo tempo il suo significato fu totalmente ribaltato e divenne simbolo di castità e purezza. Già per gli antichi, l'unicorno racchiudeva in sé misteri insondabili che andavano ben oltre i riferimenti già citati. Si credeva che il mitico animale avesse il potere di spostarsi nello spazio e nel tempo e che esso fosse il contatto fra il mondo visibile e quello invisibile. Questi suoi poteri si traducevano, poi, nella capacità di influenzare lo spazio ed il tempo e si credeva che l'unicorno si rendesse visibile, ma inafferrabile, a tutti solo alla vigilia di radicali cambiamenti epocali capaci di influenzare il destino dell'uomo. Quando gli uomini vivevano in un mondo in cui la Natura aveva ancora tanta parte nella loro esistenza, era possibile che un Unicorno apparisse a un Re o ad un cavaliere, per annunciargli, con la sua sola apparizione, un prossimo accadimento di grande importanza, ma nessuno ha mai potuto catturarlo, poiché l'Unicorno si accosta solo a fanciulle vergini e pure di pensiero e di cuore, e solo da loro si lascia ammansire, al punto di addormentarsi sul loro grembo. Nei secoli passati, sono stati in molti a mettersi alla sua ricerca per ucciderlo e segargli il corno che si credeva avere effetto afrodisiaco. Oltre a questo si credeva fosse anche un potente antidoto contro i veleni. Forest è un forte e possente unicorno. Da sempre è noto all'allevamento per la sua forza incredibile. Si allena spesso correndo e saltando e praticando lunghi e faticosi percorsi. Riesce a spostare e trasportare i pesi più grandi, dando grande aiuto anche a chi è in difficoltà o grave pericolo. I suoi muscoli sono potenti e guizzanti, riesce a galoppare per una buona distanza anche in una ripida salita e resiste ad ogni sforzo. Alcuni allevatori sono riusciti a cavalcarlo, ma riescono in questa impresa solo le persone che sanno prenderlo per il verso giusto: sia con forza che con rispetto, chi non riesce viene disarcionato e scagliato lontano anche facendosi molto male, visto i possenti arti di questo unicorno. Nonostante i suoi muscoli ha una forma slanciata e per niente goffa o tozza, con dei simpatici ciuffetti dietro agli zoccoli, una piccola barbetta e una lunga coda dal pelo rado che finisce un una folta chioma di bianchi crini. Anche il corno rispecchia la sua potenza: discretamente lungo, ha una marcata forma a spirale ed è molto robusto, questi elementi lo avvantaggiano in battaglia. E' molto coraggioso e non ha paura di nulla, nemmeno dei temporali, anzi quando sente dei tuoni o vede un fulmine corre fino alla cima di una collina e si impenna nitrendo e movendo gli arti anteriori in aria, quasi a volerli sfidare. E' abbastanza amichevole verso gli altri,ma mantiene sempre un portamento fiero. E' veramente bello e molto adatto alle battaglie, aiuta sempre il padrone quando può. Se il padrone lo rispetterà anche lui lo farà e si creerà una grande amicizia.


    Edited by gheagabry1 - 28/2/2020, 17:21
     
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  7. gheagabry
     
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    Una primissima rappresentazione può riconoscersi in un animale rappresentato nelle Grotte di Lascaux (Francia, Paleolitico superiore), dotato di un corno lunghissimo sulla testa e pelame sotto il muso e disegnato insieme ad altri animali.

    Sulla Fronte questo enorme cavallo ha un Corno
    Chiamato "ALICORNO" lungo circa 50 centimetri.
    Il CORNO proteggeva dagli avvelenamenti, per cui veniva
    polverizzato e da essi si otteneva una pozione contro i
    veleni. La cosa però che sanno tutti è che mai, mai e poi
    mai , l' ALICORNO va tolto dall' UNICORNO ; questi morirebbe.
    Inoltre chiunque bevesse dalle coppe provenenti dal CORNO
    veniva protetto dalle malattie quali ; l' EPILESSIA, le
    CONVULSIONI etc...
    Il CORNO era in grado anche di rendere poteabile l' Acqua
    purificandola, facendo si che gli altri animali potessero Berla.


    L'Unicorno viene citato dalla BIBBIA ( 200 A.C. ) anche se
    col tempo alcuni hanno tentato di dimostrare che l'animale
    citato era un BUE SELVAGGIO e non un UNICORNO.
    Infatti si ritiene che venne mal tradotta la parola in EBRAICO
    "REEM" che significa appunto "BUE SELVAGGIO" e non
    "UNICORNO".


    Col tempo il mito dell' UNICORNO si diffuse ovunque.
    Anche in Occidente l'unicorno fu confuso con un altro
    Animale, il RINOCERONTE, il cui corno ancora oggi si crede
    in INDIA abbia un potente potere curativo.



    Edited by gheagabry1 - 28/2/2020, 17:27
     
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  8. gheagabry
     
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    La figura dell’unicorno, mitico animale dal corpo di cavallo con uno stupendo corno in mezzo alla fronte, è presente in molte culture di ogni tempo… per esempio anche William Shakespeare nel III atto de “La tempesta”, ne parla come un animale incredibile. Del fatto però che anche in tempi di Shakespeare si parlasse di questo animale non ci si deve meravigliare: da sempre l’unicorno è stato una figura molto importante e di prestigio. Non era raro sentire di sovrani che possedevano nelle loro collezioni privare i corni di unicorno, oppure trovare nelle farmacie delle polveri di corno, tradizionalmente incredibilmente potenti come controveleno!

    Ma l’atteggiamento degli uomini nei confronti di questa creatura mitica è stato nei secoli molto discordante: basti pensare che mentre alcuni lo annoveravano come un flagello della natura, altri usavano raffigurarlo addirittura nei simboli araldici delle loro famiglie, quasi conferisse importanza e prestigio.
    La concezione dell’unicorno nasce fra la Cina e l’India: viene infatti descritto per la prima volta nel Li-Ki come uno dei quattro animali benevoli, insieme al drago, alla fenice e alla tartaruga. Il suo nome originale era K’i-lin, nome che secondo la tradizione cinese riuniva in principio maschile e quello femminile, ed era raffigurato come un grande cervo con coda di bue e zoccoli di cavallo, armato di un solo corno, dai peli dorsali di cinque colori e da quelli del ventre gialli o bruni: non calpestava erba viva ne uccideva animali viventi, e compariva solamente nel momento in cui venivano al mondo dei regnanti perfetti. In occidente si iniziò in seguito a confondere questo animale mitico con il rinoceronte, al corno del quale da sempre erano attribuite della capacità curative, ma nella tradizione cinese i due animali erano nettamente distinti senza nessun dubbio.


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    In seguito la figura dell’unicorno si diffuse verso nuovo paesi e la ritroviamo in culture estremamente differenti da quella cinese: in Persia, ad esempio, si parla di un immenso unicorno a tre zampe, che aveva il potere di purificare l’oceano.
    Come detto in precedenza, il mito dell’unicorno venne in Occidente molto + tardi, ed è interessante scoprire quali erano stati i canali attraverso i quali la sua figura è riuscita ad arrivare fino a noi e con quale concezione.
    Di sicuro molto influente fu la figura di Ctesia, medico, storico e viaggiatore vissuto intorno al VI secolo a.C.: tra le sue opere, egli ne compose una, “Indikà”, dove parlava dell’India: anche se a noi ne sono pervenuti solamente pochi frammenti, abbiamo scoperto delle descrizioni molto interessanti e suggestive, che hanno contribuito a creare intorno a questo paese un alone di mistero: “In India ci sono degli asini selvatici grandi come cavalli e anche di più. Hanno il corpo bianco, la testa rossa e gli occhi blu. Sulla fronte hanno un corno lungo circa un piede e mezzo. La polvere di questo corno macinato si prepara in pozione ed è un antidoto contro i veleni mortali. La base del corno, circa due palmi sopra la fronte, è candida; l'altra estremità è appuntita e di color cremisi; la parte di mezza è nera.

    Coloro che bevono utilizzando questi corni come coppe, non vanno soggetti, si dice, alle convulsioni o agli attacchi di epilessia. Inoltre sono anche immuni da veleni se, prima o dopo averli ingeriti, bevono vino, acqua o qualsiasi altra cosa da queste coppe. Gli altri asini, sia quelli domestici sia quelli selvatici, nonché tutti gli animali con lo zoccolo indiviso, non hanno né astragalo né fiele, ma questi hanno già sia uno che l' altro. Il loro astragalo, il più bello che io abbia mai visto, è simile a quello del bue come aspetto generale e dimensioni, ma è pesante come piombo e completamente color cinabro”.

    I critici della storia antica hanno versato botti di inchiostro nel tentativo di confutare le cose scritte da Ctesia: si sarà fatto condizionare da immagini e dipinti indiani? Si riferiva a un semplice animale molto conosciuto in Persia, l’onagro, una specie di asino al quale aveva dato delle sfumature mitologiche? O magari aveva semplicemente visto un rinoceronte e lo aveva descritto con tanta enfasi da stravolgerlo completamente? O ancora si è confuso con una comunissima antilope tibetana, che ha delle grandi orecchie dritte che viste di profilo potrebbero sembrare un solo corno?


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    Saltiamo direttamente al III secolo d.C., e più precisamente in Grecia, dove Eliano, un naturalista che ben conosceva il rinoceronte, al punto che nei suoi scritti non viene neanche trattato, parla di ”un animale che viveva all' interno dell' India, che era grande come un cavallo, di pelo rossiccio e che gli indigeni lo chiamavano kartazonos. Aveva una corno sulla testa, nero e dotato di anelli; era scontroso, e lottava anche con le femmine della sua specie salvo nel periodo degli amori”.

    Inizia così il mito dell’unicorno, animale fantastico e raro, elegante e forte, dotato di poteri misteriosi… con l’andare del tempo divenne una vera e propria preda da inseguire e catturare!
    Infatti, nel XII secolo, quando le frontiere dell’Asia profonda cominciarono ad aprirsi all’Europa, si aprì anche una caccia all’unicorno spietata: nessuno si chiedeva più se questa bestia esisteva o meno… si pensava solo a cercarne una che si avvicinasse il più possibile alle descrizioni tradizionali per conquistare fortuna e gloria!

    Dopo la scoperta dell' America i sospetti dell'esistenza dell'unicorno si rinvigorirono di nuova forza e specialmente la credenza dell'enorme affinità dell'animale con l'acqua; basti notare che in moltissime rappresentazioni l'unicorno è sempre vicino a questo elemento: sul greto dei fiumi, sulle spiagge, ecc....
    Il fatto è che i coloni americani e soprattutto i canadesi ritrovavano nelle loro spiagge lunghi corni che arrivavano fino a 2metri. Ancora oggi nella baia di Hudson si possono fare tali ritrovamenti, ma ciò che sappiamo in più di allora è che sono il dente di un cetaceo di 6 metri il narvalo!
    Tale animale è simile ad una foca e vive nelle fredde acque dell'Atlantico, raggiunta una certa età come succede per gli uomini anche lui perde i denti.


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    In un documento apocrifo conosciuto come “Lettera del Prete Gianni”, di metà XII secolo, gli unicorni erano annoverati senza dubbio tra le meraviglie dell' Oriente. E l’illusione di trovarne durò a lungo: anche Marco Polo ne parla nei suoi scritti… ma in realtà anche lui cade nel grandissimo errore di scambiare questi eleganti animali con dei rinoceronti: avvertiva che si trattava di brutte e grosse bestiacce, che nulla avevano a che fare con le mitiche descrizioni del passato! Molti decisero di credere ciecamente alle sue parole… ma allora viene da chiedersi: perché fino al Rinascimento si è continuato a cercare l'unicorno? Evidentemente, perché Marco Polo e i bestiari parlavano due lingue diverse, e il rinoceronte visto dal primo non cancellava affatto la creatura mitologica e fantastica proposta dal secondo. Ed è proprio questo il bello, che rafforza la Nostra idea di proporvi questo Bestiario: la loro forza, infatti, non sta affatto nella credibilità "reale" degli animali proposti, ma nella concezione che non è possibile nemmeno oggi spiegare e comprendere tutto ciò che la natura ci presenta, ogni sua rappresentazione, ogni sua parte e potenzialità! D’altra parte, secoli fa anche la semplice idea che l’uomo potesse volare era ridicola, ma qualcuno ci ha creduto… ed eccoci sulla Luna! Questo allora è l’unicorno… ci crediamo?


    Fonte Blue dragon

    Edited by gheagabry1 - 28/2/2020, 17:38
     
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  9. gheagabry
     
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    Nel Medioevo, invece, diventa simbolo del male, la sua ferocia è tale che risulta impossibile a chiunque poterlo catturare, tranne che a una fanciulla vergine, utilizzata per poterlo catturare. L’Unicorno le si avvicinava, s’inginocchiava e le posava la testa in grembo. Solo allora, completamente ammansito dalla purezza della giovane, la seguiva ovunque lei andasse.
    Di quest’aspetto diabolico ne parla san Basilio nel libro Libellus de natura animalium, dicendo: “L’alicornus indica il Diavolo, in quanto così terribile e malvagio da non poter essere catturato se non dalla purezza della vergine, cioè dalle buone opere e dalla virtù”.
    Ma accanto a questa valenza, esso continua a ispirare scrittori, pittori e musicisti, come simbolo di candore, virtù e coraggio, divenendo di particolare importanza anche in Alchimia. Infatti, nel libro Nozze Alchemiche del fondatore dei Rosacroce, Christian Rosenkreutz (1459), si legge di una scena piuttosto cruenta dove dei malvagi vengono eliminati a seconda delle loro colpe; alla fine di tutto questo accanto a una fonte compare l’Unicorno: “Terminate le esecuzioni, vi furono cinque minuti di silenzio, dopo di ché apparve un bellissimo Unicorno, bianco come la neve”. Esso compare quando l’io si è spogliato della parte dolorosa del proprio inconscio, simbolizzata dall’esecuzione iniziale.
    Si può dire, senza paura di esagerare, che chiunque nel Medioevo avesse avanzato dubbi sull’esistenza di tale creatura sarebbe stato tacciato di malafede, ignoranza ed eresia. Le fonti che ne confermavano la presenza erano tante e tali da non poter essere messe in discussione. La diffusione di questa leggenda aveva seguito diverse strade: la prima è quella che parte da Ctesia, passando ad Aristotele e a Plinio; la seconda è quella che fa riferimento al bestiario greco Phisiologus, del II secolo d.C.


    Edited by gheagabry1 - 28/2/2020, 18:16
     
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  10. almamarina
     
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    I DRAGHI


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    Fin dagli albori dei tempi, i miti e le leggende sono state popolate di mostri incantati, dalla forza sovrannaturale. I più potenti erano i draghi: creature con il corpo di serpente, le zampe da lucertola, gli artigli da aquila, le fauci di un coccodrillo, i denti di un leone, le ali di un pipistrello. I draghi avevano incredibili poteri sovrannaturali e, soprattutto, erano malvagi e distruttivi. In ogni mito, in ogni leggenda occidentale, il drago fa la parte del cattivo. L’origine dei draghi si perde nei meandri della storia dell’uomo: infatti compaiono nelle leggende di popoli del passato, sia europei che orientali, ma la loro concezione è notevolmente differente; mentre nelle zone occidentali i draghi erano considerati l’incarnazione del male, portatori di distruzione e morte, in oriente erano visti come potenti creature benefiche.
    I draghi sono sempre stati descritti come delle creature simili a enormi serpenti, con grandi arti anteriori e posteriori, dotati di fauci enormi e artigli taglienti.
    Normalmente venivano descritti con il corpo pieno di squame protettive e capaci nella maggior parte dei casi di sputare fuoco e di volare grazie a grandi e potenti ali.
    Nelle leggende, i draghi sono visti come creature prodigiose: si riteneva che le ossa, così come il loro sangue, potessero avere elevate proprietà curative.
    Il loro sviluppo poteva durare molti secoli prima di raggiungere la piena maturità, si narrava che un uovo di drago impiegasse non meno di un secolo per schiudersi; inoltre solo dopo altre centinaia di anni il drago raggiungerà il suo massimo sviluppo con la crescita sulla testa di lunghe corna ramificate.
    Naturalmente, grazie alla loro grande longevità, queste creature, che è estremamente riduttivo chiamare semplicemente “animali”, acquisivano una conoscenza e una saggezza senza pari… eh già, perché il Drago ha anche un’intelligenza superiore a quella dell’uomo!

    Perché dunque si è giunti all’idea del drago come di incarnazione del caos, come creatura che distrugge e non crea?
    Questo tipo di pensiero risale anch’esso agli albori del tempo.

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    I DRAGHI NELLA STORIA

    Come detto in precedenza, la figura del drago nelle zone occidentali era sinonimo di carestia, distruzione e morte.
    In Europa i draghi erano simbolo di lotta, di violenza e di guerra: infatti la loro immagine veniva spesso utilizzata come araldo in battaglia; sono innumerevoli i riferimenti storici e le leggende legate ai draghi, la maggior parte dei quali risalenti al medioevo.
    Moltissime sono le fonti storiche ed i manoscritti che testimoniano la presenza de "la bestia per eccellenza" nel vecchio continente.
    Nei Bestiari ad esempio, ci sono descrizioni dettagliate sull'aspetto e sulle abitudini dei draghi, i quali erano soliti usare come tana, grotte in cima a montagne o in territori molto impervi da dove uscivano molto raramente; è anche noto che al solo ruggito del drago, tutti gli animali, compresi i leoni, correvano terrorizzati nelle loro tane.
    Notate l'immagine qui a destra, è un drago che solleva da terra un elefante ed è tratta da un autentico Bestiario medievale. dragoelefante


    Secondo la tradizione occidentale, l'estinzione dei draghi, risale proprio al medioevo dove, cavalieri erranti, avventurieri in cerca di gloria e cacciatori di draghi dedicavano la loro vita alla lotta contro queste bestie, decretandone lo sterminio. E' molto celebre la storia di San Giorgio (immagine qui sotto) l'uccisore di draghi.

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    Non ha bisogno di presentazione la ancestrale ed impari lotta dell'uomo contro il drago. Il drago come simbolo del Male in Europa dunque, per capirne il motivo basta ricordare i massacri e le carestie che portavano i draghi medievali al loro passaggio; quale migliore arma contro la manifestazione del male se non la Santità? Si pensi dunque alle leggende di San Marcello vescovo di Parigi, di San Romano e della Gargouille di Rouen, di San Silvestro che libera Roma dal drago dall' alito velenoso, che vive in una grotta profonda per accedere alla quale bisogna scendere centinaia di gradini...

    Importante anche la storia di Santa Marta che sconfisse un drago chiamato Tarasca: la leggenda racconta che nei tempi in cui Santa Marta stava evangelizzando la Provenza, un terribile ed enorme drago chiamato “Tarasca”, devastasse le fertili pianure della valle del Rodano e impedisse agli uomini di vivere tranquilli in quei luoghi. La Santa, venuta a conoscenza del fatto, inseguì la bestia nelle profondità dei boschi e la domò cospargendola di Acqua Benedetta e segnandola con il Segno della Croce. Infine, mansueta e addomesticata, legò alla sua cintura la coda del mostro e lo portò nell’odierna città di Tarascona, che dal drago prese il nome. La popolazione si vendicò dei soprusi e delle barbarie lapidando il drago.
    Da allora ogni 29 giugno la Chiesa ricorda Santa Marta e nella città di Tarascona si tiene una solenne processione aperta dal fantoccio dell’impressionante Tarasca con le fauci spalancate. Nei pressi una ragazza vestita di bianco benedice il mostro, che alla fine viene legato e sopraffatto.

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    Il più famoso Santo uccisore dei draghi è, naturalmente, Giorgio, Santo-soldato protettore dell’Inghilterra. Della sua storia si conosce ben poco: visse, nella zona di Diospolis, in Palestina; fu decapitato a Nicomedia per ordine di Daziano Preside, nell’ambito delle persecuzioni di Diocleziano, intorno all’anno 287. Nel XII secolo, importata dai Crociati, cominciò a circolare la leggenda secondo la quale San Giorgio, giunto a Silene (Libia) dalla Cappadocia, aveva ucciso un drago in procinto di divorare una principessa legata ad uno scoglio. Giorgio diventò l’uccisore di draghi per eccellenza, e fu adottato come patrono dell’Inghilterra da Edoardo III intorno al 1348. Il “Liber Notitiae Sanctorum Mediolanii” racconta che San Giorgio ha vissuto in Brianza, dalle parti di Asso. Un drago imperversava da Erba fino in Valassina, ammorbando l’aria con il suo fiato pestifero e facendo strage di armenti. Quando ebbe divorato tutte le pecore di Crevenna, la gente del paese cominciò a offrirgli come cibo i giovani del villaggio, i quali venivano estratti a sorte; il destino volle che tra le vittime designate vi fosse anche la principessa Cleodolinda di Morchiuso, fu lasciata legata presso una pianta di sambuco. San Giorgio giunse in suo soccorso dalla Valbrona, e, per ammansire la belva, le gettò tra le fauci alcuni dolcetti ricoperti con i petali dei fiori del sambuco. Il drago, docile come un cagnolino, seguì tranquillamente Giorgio fino al villaggio; qui, di fronte al castello, il Santo lo decapitò con un solo colpo di spada, e la testa del mostro rotolò fino al Lago di Pusiano. In ricordo dell’avvenimento, ancora oggi il 24 Aprile, giorno di San Giorgio, in Brianza si preparano i “Pan meitt de San Giorg”, dolci di farina gialla e bianca, latte, burro e fiori essiccati di sambuco. I Pan meitt si gustano tradizionalmente con la panna: per questo l’eroico San Giorgio, patrono dell’Inghilterra, dei militari, dei boy-scout e di Ferrara, è anche il protettore dei lattai lombardi, che un tempo tenevano in negozio un altarino a lui dedicato.

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    C'è anche un'altra leggenda che racconta l'impresa di Sant'Efflem.
    Si narra che un principe avesse individuato la tana di un Drago che terrorizzava i suoi sudditi e in qualità di sovrano aveva il dovere morale di difenderli uccidendo o scacciando la bestia. Nella sua impresa chiese l'aiuto a Efflem, il parroco della sua città che a quel tempo ancora non era Santo, e i due si diressero insieme verso la tana del Drago per porre fine alle sue malefatte. Arrivati davanti la tana però il Principe si fece prendere da un profondo terrore, sentiva il respiro del Drago che da solo bastava a far tremare di paura qualsiasi uomo. A questo punto intervenne il Chierico che disse al Principe di non aver paura, perchè chi era sotto la benedizione di Dio non doveva temere nulla. Il Principe però era immobilizzato, allora Efflem dopo essersi fatto il segno della Croce entrò nella tana del Drago che quando lo vide non solo non riuscì ad attaccarlo, ma si precipitò fuori dalla tana, scappando lontano, fino ad arrivare sulle rive dell'oceano dove si racconta che vomitò sangue.
    Questo mostra come il male (nel caso specifico il Drago) ha paura più dello scudo interiore di fede che non delle spade e delle armature!

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    Altre importanti storie sui draghi riguardano i paesi nordici; come omettere la leggenda di Beowulf?
    Secoli fa, quando ancora gli eroi dominavano le terre del Nord, una figura vestita di stracci avanzava carponi lungo una spiaggia rocciosa della Scandinavia alla ricerca di una via per arrampicarsi sulla scogliera soprastante. Era uno schiavo che fuggiva dal suo padrone, un signore del regno dei Geat e, sebbene di lui non si sappia nemmeno il nome, le sue gesta epiche cambiarono il destino del suo popolo”. Nella prima parte della leggenda, lo schiavo vagando lungo la riva si imbatte in un enorme tumulo di pietre, forse tomba di un antico re. Trova l’entrata e penetra nel tumulo. “Si trovava in una stanza del tesoro, dove erano ammassate le ricchezze di una potente e sconosciuta tribù del passato. Braccialetti d’oro a forma di serpente, spille in filigrana d’argento, spade di ferro dall’impugnatura dorata, coppe in ceramica rossa di Samo, amuleti dell’antico dio Thor, monete luccicanti riempivano l’intera caverna. Stava già per avventarsi su quelle meraviglie, quando qualcosa gli gelò il sangue, bloccando ogni suo movimento”. Ed ecco apparire il drago. “avvolto in grandi spire, era acquattato sulle zampe dai lunghi artigli; i fianchi squamosi luccicavano, le ali membranose erano piegate, la grande testa riposava sul pavimento della caverna e le pesanti palpebre erano chiuse su occhi vecchi di secoli”. A questo punto lo schiavo non vuole altro che tornare dal suo padrone, così prende una coppa d’oro per farsi perdonare e fugge dal tumulo. “Quello schiavo, però, disturbando il guardiano del tesoro, aveva decretato la fine del suo popolo. Infatti il drago poteva vedere e sapere tutto, così, quando si risvegliò si accorse subito del furto commesso e avvertì immediatamente l’odore di carne mortale.
    Lentamente, trascinò le proprie pesanti spire lungo lo stretto passaggio che conduceva fuori dalla sua tana e, alla luce ormai fioca della sera, osservò la landa desolata alla ricerca delle tracce lasciate dai piedi dell’intruso; appena ebbe trovato ciò che cercava, con un grido e un getto di fuoco, s’innalzò in volo, sbattendo le grandi ali verso il regno dei Geat. Sorvolò tutti i villaggi e le sue urla agghiaccianti fecero precipitare gli abitanti fuori dalle case, i volti cinerei levati verso il cielo; sopra di loro, il drago volteggiava in una danza di morte, lanciando il suo grido terrificante mentre iniziava la discesa.
    I suoi colpi furono rapidi e terribili: sputando lingue di fuoco, investì i tetti delle case e scomparve in lontananza. In quella terra, tutte le abitazioni, anche quella del re, erano costruite in legno, canne e paglia, furono perciò facili bersagli per il fuoco del drago. In tutto il regno dei Geat, quella notte il cielo venne rischiarato da alte lingue di fuoco che si levavano dai villaggi, che bruciavano come pire funerarie.
    Niente sfuggì alla furia del drago, e, quando giunse l’alba, le case dei Geat erano ridotte in cenere; dai villaggi si innalzavano sottili fili di fumo accompagnati dagli strazianti lamenti delle donne”. A questo punto il re dei Geat, il mitico Beowulf ma molto più anziano, si arma, si reca al tumulo del drago assieme ai suoi migliori combattenti e affronta il mostro. Solo uno dei compagni del re parteciperà allo scontro, il nobile Wiglaf, e così il re e il drago si uccideranno a vicenda.

    Questo è un classico esempio di leggenda sui draghi, tanto più che in Scandinavia, attorno al 1000 a.C. (l’epoca descritta nella leggenda) ci fu un immane incendio, che sembrerebbe provare l’esistenza del drago. Tuttavia, analizzando la leggenda, si scoprono alcuni dettagli che potrebbero ribaltare la situazione e scambiare i ruoli di protagonista e antagonista.
    Innanzitutto l’evento scatenante della vicenda: il furto della coppa d’oro. Come è chiaro, qui quello che subisce il sopruso è il drago, che, accortosi del furto, esce per riappropriarsi del manufatto e punisce gli uomini con l’incendio devastante, anche se con troppa severità… anche persone estranee al furto vengono coinvolte nella vendetta del Drago.
    Nessuno dice che il leone è crudele perché uccide la gazzella. Può sembrare crudele, ma non lo è. Così è per il drago che, non dobbiamo dimenticarlo, non segue la logica umana. Per il drago della leggenda l’uomo ha commesso un torto, dunque l’uomo va punito. Può sembrarci ingiusto, ma come ci insegna Einstein tutto dipende dal punto di vista.

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    Nelle leggende mesopotamiche, si narra di due esseri primordiali: Apsu, spirito dell’acqua corrente e del vuoto, e Tiamat, spirito dell’acqua salmastra e del caos. L’aspetto di Tiamat era quello di una creatura fatta dall’unione di parti del corpo di tutte le creature che dovevano nascere: possedeva le fauci del coccodrillo, i denti del leone, le ali del pipistrello, le zampe della lucertola, gli artigli dell’aquila, il corpo del pitone e le corna del toro. Se formiamo un’immagine mentale di questa creatura, ci accorgeremo che risponde perfettamente alla nostra idea di drago.
    Secondo la leggenda, dall’unione di Apsu e Tiamat nacquero gli dei, uno dei quali uccise il padre, Apsu. In preda a furia animalesca, Tiamat diede alla luce molti mostri, il cui compito sarebbe stato quello di perseguitare gli dei.
    Per difendersi, gli dei nominarono campione Marduk, uno della loro razza; lo armarono con potenti armi e lo inviarono contro Tiamat. Marduk uccise la madre in un epico scontro, poi catturò i mostri da lei generati e li rinchiuse negli inferi.
    Come si può ben vedere, anche in questa leggenda è il drago a subire un torto: in questo caso Tiamat perde il marito per causa dei suoi figli, e vuole punirli. Gli uomini di quei tempi, però, erano come bambini: ancora capaci di essere terrorizzati dalla furia degli elementi, di cui non concepivano le cause. Gli unici a ergersi tra loro e la potenza devastante della natura, incarnata nei draghi, si ergevano gli dei. E’ chiaro quindi che essi vedevano nel drago, ovvero Tiamat, il nemico e negli dei la salvezza.

    Anche in Egitto, all’epoca dei Faraoni, c’era la credenza che ogni volta che Ra, il dio sole, “tramontava” entrava in realtà negli inferi, combatteva contro Apopi, il drago degli abissi, e usciva vittorioso. Questa è un’evoluzione del mito mesopotamico, e già comincia a delinearsi il pensiero del drago come essere malvagio e caotico.

    Anche gli dei della Grecia combatterono contro un drago: era Tifone, ed aveva mille teste e un’immane bocca che vomitava fuoco e fiamme. Solo Zeus ebbe il coraggio di affrontare il mostro, definito Titano. Lo condusse fino oltre il mar ionio ed infine ebbe la meglio su di lui, scagliandogli contro un enorme macigno. Ma la leggenda vuole che Tifone non morì: continuò infatti a vomitare fuoco e fiamme da sotto il macigno, divenuto isola, e questa è la ragione delle eruzioni dell’Etna secondo i miti greci. Come si può vedere, già al tempo di Achille e Agamennone l’evoluzione del concetto di drago era compiuta: da madre primordiale e incontrollabile, fonte di vita e di morte, come era la Tiamat mesopotamica, si era ormai giunti al concetto odierno: il drago era un mostro terribile e incontrollato, che vomitava fuoco e vapori venefici, che distruggeva ogni cosa al suo passaggio (i tifoni hanno preso il nome proprio dal drago Tifone), che uccideva e terrorizzava le razze del mondo, perfino gli dei.

    I Romani dipingevano sui loro stendardi i Dracones, i vichinghi chiamavano le loro imbarcazioni Drakkar, tutti nomi che indicavano la figura del drago.

    I draghi “comuni”, invece, dovettero fin da subito lottare con grandi eroi. Riemersi dagli inferi al tempo degli antichi greci, dovettero subito battersi con eroi come Giasone, Ercole e addirittura con gli dei. A volte però le divinità li assoldavano come guardie di un particolare posto, o come creature da mandare in battaglia.
    Con la caduta dei greci e l’avvento dell’Impero romano, di loro si perse quasi ogni notizia, salvo alcuni avvistamenti di Plinio il Vecchio. In Europa di loro si tornerà a parlare nel medioevo, specialmente nell’Alto medioevo, dove molti eroi inizieranno a cacciare i draghi, uccidendone la maggior parte e causandone l’estinzione. In tutti quegli anni però i draghi non erano scomparsi: essi si fecero vivi migrati a nord, e per secoli avevano devastato la Scandinavia e la Russia. Fu forse in quegli anni che le loro fila persero il maggior numero di draghi: infatti dal nord si levarono grandissimi eroi, come Beowulf, che ne uccisero moltissimi.
    E proprio nelle lande del nord essi guadagneranno l’appellativo di malvagi e infidi: essi comparivano infatti all’improvviso, magari dopo essere cresciuti all’insaputa di tutti nell’umidità dei pozzi o nei pressi delle paludi.

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    tipologie di draghi

    Le prime leggende sui draghi, quelle mesopotamiche, parlano di grandi mostri alati, nerissimi oppure blu profondo. I draghi della notte e degli abissi. I primi due draghi ad essere concepiti furono uno nero e l’altro blu: essi sono in pratica le due razze più antiche.

    I Draghi Neri sono da sempre sinonimo di malvagità e astuzia. Essi sono la reincarnazione del male astuto, che serpeggia, da contrapporsi al male dirompente, simboleggiato dalla forza dirompente dei draghi rossi, che forse discendono dai essi.
    Il primo drago nero di cui si abbia notizia, la già citata Tiamat, denotava molte delle caratteristiche proprie dei draghi rossi e che invece tendono ad essere assenti in un drago nero. Secondo la leggenda, Tiamat generò un esercito di mostri da scagliare contro i suoi figli, gli dei, e i draghi neri, fatti a sua somiglianza, popolarono il pianeta. Anche se in altre leggende la storia cambia, tuttavia i draghi come oggi li conosciamo, quelli con le ali da pipistrello e gli artigli da aquila, discenderebbero da Tiamat.
    Stando alle fonti dell’epoca, una volta cresciuti, i draghi neri, in preda alla fame, divoravano qualsiasi cosa capitasse loro a tiro: greggi, carne umana e quant’altro. Trattamento speciale era riservato alle vacche: i draghi mordevano i loro capezzoli, golosissimi del latte, e i lamenti strazianti delle mucche erano udibili per chilometri. Molte volte per liberare una terra da questo particolare flagello, giungevano eroi da molto lontano: ne è l’esempio un villaggio nel sud dell’attuale Danimarca che venne salvato da un eroe vichingo, giunto in cerca d’onore, con la sua nave e la sua micidiale ascia a sfidare il mostro. Con il tempo, i draghi rossi e i neri si fecero nuovamente vivi nel nord Europa: i rossi nella zona dell’Inghilterra, i neri nella Scandinavia.
    Nel frattempo, l’Impero romano cadde, scesero i barbari dalle vaste pianure della Russia e della Germania, e con loro scesero anche i draghi. In Europa però giunsero in maggioranza draghi rossi, che diedero luogo a quasi tutte le leggende con i loro scontri titanici. I draghi neri, in minor numero, non amavano affrontare il nemico in duelli, ma preferivano colpire da posizioni sicure. Ben presto, ai draghi neri bastava volare sopra a una città per scatenare grandiosi incendi o carestie. Ma così, mentre molte città presero il nome dal drago che le aveva flagellate (la parola worm, verme-serpente, o orme, dallo stesso significato, si trovano infatti in Worms Head, Great Ormes Head, Ormesleigh, Ormeskirk, Wormelow, Wormeslea e tanti altri), il ricordo dei draghi neri scomparve confondendosi con quello dei grandi cataclismi naturali, ed essi cessarono di popolare le leggende. Di fatto, fu la loro estinzione.
    Le uniche gesta che furono quindi ricordate, furono i grandi massacri e le carestie che questi draghi portarono, ed essi si guadagnarono quindi gli appellativi di malvagi e vili: malvagi per le stragi, vili perché raramente affrontavano faccia a faccia i loro avversari.
    Questa è la storia dei draghi in occidente. In oriente, i draghi nacquero da leggende completamente diverse, come diverso fu il loro ruolo.
    All’origine dunque i draghi erano neri, tuttavia come dice la leggenda Marduk li precipitò nell’inferno, e i draghi, arroventati dalle fiamme, svilupparono due caratteristiche: la loro pelle divenne rossa e guadagnarono l’immunità al fuoco: era la nascita dei draghi rossi, che uscirono dagli inferi nelle leggende greche. Ma non tutti i draghi furono catturati da Marduk: alcuni sfuggirono, e continuarono a popolare il mondo. Essi furono i Grandi Dragoni, e avrebbero trascorso il resto della storia nascosti nelle loro tane, agendo nell’ombra, invincibili. Non tutti i draghi inoltre emersero dagli inferi subito: alcuni, i più potenti, furono rinchiusi per altre ere ancora, e quando emersero la loro pelle coriacea era ormai completamente nera. Essi furono i draghi neri che conosciamo, avversari temibili eppur destinati a scomparire.

    Un discorso a parte lo merita l’Idra. Con molta probabilità è solo una delle tante sottospecie di draghi neri. La loro caratteristica più conosciuta è che quando una testa viene decapitata, al suo posto ne può ricrescere un numero variabile, da esemplare a esemplare, compreso tra due e sette. Pochi invece sanno che le idre possiedono anche la capacità di soffiare acido sui loro bersagli e, soprattutto, quella poco comune tra i draghi neri di respirare sott’acqua. Molte leggende nordiche narrano infatti di idre degli abissi, per non parlare poi di Scylla (o Scilla), uno dei due mostri che causò la fine di tutti i compagni di Ulisse, nella celeberrima Odissea. Il mostro può infatti essere identificato come un’idra, o meglio come una delle tante fanciulle che ebbe la punizione di essere tramutata in mostro.
    Impossibile non citare lo scontro tra Ercole e l’Idra di Lerna, dove il figlio di Zeus dovette ricorrere al fuoco per impedire la continua rinascita delle teste dell’idra.
    Le Idre vengono descritte come le più malvagie di tutti i draghi: mentre un normale drago nero uccide per istinto, un’idra può farlo per puro divertimento, ed è molto raro trovare negli scritti antichi un’idra che non trascorra il suo tempo in questo modo.
    Le idre inoltre, nelle leggende medioevali, sono spesso cavalcate da perfidi stregoni, che trovarono in quel perfido animale un perfetto destriero. Sebbene siano generalmente più grandi e forti di un normale drago, tuttavia non possiedono alcuna forma di magia, infatti tra le rare leggende di scontri tra idra e drago, quest’ultimo ha sempre avuto la meglio.

    Dei Grandi Dragoni, data la loro quasi assoluta permanenza nei meandri della terra, pochi ebbero la sfortuna di incontrarli e di vedere il loro aspetto. Ci sono infatti giunte per certe solo due descrizioni: quella già fatta di Tiamat, modello degli attuali draghi di tutte le specie, e quella di Tifone. Quest’ultimo aveva un corpo massiccio, camminava eretto su due zampe ed era alto quanto una montagna. Era dotato di cento teste, e aveva una grandissima bocca nel petto, dalla quale vomitava fuoco e gas venefici. Anche le sue teste erano dotate di fauci, dai denti affilatissimi, tuttavia esse non avevano la capacità di sputare fuoco, e per di più litigavano tra di loro.
    Le due descrizioni, per la verità, sembrano avere due soli aspetti in comune, il colore nero e le dimensioni colossali.
    I draghi neri “comuni” invece assomigliano tutti a Tiamat, seppure superano raramente la lunghezza di venti metri, esclusa la coda. Essi hanno un’apertura alare grande a volte più della loro lunghezza, e sono di solito muniti anche di corna e di una coda irta di aculei. La loro schiena è percorsa da una linea di scaglie ossee appuntite, utili nel combattimento contro altri draghi. Il loro muso non presenta grandi caratteristiche, tranne forse gli occhi, che a differenza degli altri draghi, che li hanno simili alle lucertole, nei draghi neri ricordano più quelli di una tigre o di un leone. Stando alle fonti, sono in grado di attaccare il nemico con una vasta gamma di soffi: fuoco, acido, gas mortali e bava appiccicosa.
    Alcuni draghi neri differiscono però in forma: sono quei draghi cresciuti nei pozzi, che emergono con sembianze di serpenti immani, ricoperti di scaglie. Questo tipo di drago nero, sebbene non possieda la capacità del soffio, non è meno temibile degli altri draghi: può infatti stritolare il nemico come un boa e i muscoli delle fauci sono così sviluppati da permettergli di troncare una quercia con un sol morso.
    Dei Grandi Dragoni si accenna in poche leggende, e soprattutto non ci è giunta storia in cui uno di loro venga abbattuto: in sostanza l’unico Grande Dragone a perire fu proprio Tiamat.
    I Grandi Dragoni sarebbero generalmente femmine, con rarissime eccezioni: essi vivrebbero in antri profondissimi, molto vicini al nucleo della Terra: anche loro sono infatti immuni al fuoco come i loro cugini tornati dagli inferi, ma i Grandi Dragoni hanno un’arma in più. A differenza dei draghi comuni, hanno ereditato da Tiamat il dono della magia. I Grandi Dragoni si circondano di servitori, arruolati tra le altre creature della natura: essi le usano per difendere gli accessi alla loro tana e per svolgere incarichi nel mondo in superficie. Essi non escono infatti quasi mai in superficie: odiando essi la luce solare e preferendo il caldo tepore del magma incandescente, preferiscono sonnecchiare nelle grotte o, per fortuna raramente, “nuotare” nel magma. Quando lo fanno, scatenano tremende eruzioni vulcaniche e terremoti devastanti. Tifone, anche lui già citato, fu intrappolato da Zeus nel magma con l’isola di Sicilia: il re degli dèi pensava di fermare il drago-titano, ma si sbagliava

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    Concezione orientale dei draghi


    A differenza dei loro “cugini” occidentali, i draghi d’Oriente erano creature esistenti fin dalla creazione del mondo, ma pacifiche e amiche dell’uomo: in Cina, per esempio, il Drago, insieme con la Tartaruga, l’Unicorno e la Fenice, rappresentava uno dei 4 spiriti benevoli.
    I draghi, secondo la cultura cinese, furono la più grande e gloriosa razza che popolò il mondo di migliaia di anni fa, che originò la vita, che per millenni governò le forze della natura, in attesa che l’uomo crescesse, una forza che poi fu accantonata con ingratitudine dallo stesso uomo che, in un certo senso, era nato da loro.
    Inoltre, a sottolineare lo stretto rapporto esistente tra questi e il genere umano, vi sono molte leggende che narrano di grandi e valorosi uomini divenuti dragoni.
    I draghi si dividevano in diverse categorie: Draghi celesti: di colore simile ad un verde molto chiaro, erano a guardia del cielo ed erano gli unici ad avere 5 artigli per zampa;

    Draghi spirituali: di colore azzurro, erano i più venerati in quanto guardiani del vento, delle nuvole e dell’acqua, e quindi da loro dipendeva il raccolto dei contadini;

    Draghi terrestri: di colore verde smeraldo, erano i guardiani dei corsi d’acqua, regolandone il flusso e vivendo nelle profondità dei fiumi;

    Draghi sotterranei: di colore dorato, erano i custodi di grandi ed immensi tesori e dispensatori di felicità eterna;

    Draghi rossi e Draghi neri: creature violente e bellicose, che si scontravano continuamente nell’aria causando con la loro energia violente tempeste

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    E’ mai esistita la “Bestia per eccellenza”? Oppure si tratta solo di leggenda?
    Se i Draghi sono davvero esistiti, perché non sono mai stati ritrovati scheletri o fossili o loro resti come è avvenuto per i dinosauri?
    La risposta sarebbe semplice; innanzitutto perché il drago era un animale estremamente raro, le fonti parlano chiaro su questo punto, e poi, nonostante i dinosauri avessero popolato la Terra per milioni di anni (provate ad immaginare quanti miliardi di individui ne sono esistiti al contrario dei rarissimi draghi), è stato possibile ritrovare solo quegli scheletri di dinosauro che si sono conservati grazie ad una serie incredibile di combinazioni ambientali chiamata “fossilizzazione” ed è, al contrario di quello che si può pensare, molto molto rara! Per esempio: un esemplare morto in un terreno fangoso con speciali proprietà geologiche, il quale fango, per una serie di combinazioni è riuscito a coprire la carcassa prima che altre specie se ne cibassero e che successivamente lo ha indurito (proprio con il processo di fossilizzazione) impedendo la decomposizione della carcassa… anche le ossa, se non si fossilizzano, durano ben poco all’aria aperta o sottoterra!!!
    Infine, stando alle tradizioni, l’uomo ha da sempre cacciato il drago ed una volta sconfitto, smembrato il corpo e utilizzato le sue ossa, scaglie o quant’altro. Questo “smembramento” non è affatto inverosimile per le culture dell’epoca, soprattutto se calcoliamo che anche ai giorni nostri ogni parte del maiale viene utilizzata, persino gli occhi. Per non parlare delle tigri utilizzate dai cinesi come rimedi per moltissime patologie o come afrodisiaci… addirittura se ne usa la bile!

    Come può, il drago, apparire in tutte le culture? Com’è possibile che popoli che non sono mai venuti in contatto tra loro abbiano conoscono il drago?
    Sono domande a cui nessuno è mai riuscito a dare risposta.
    Il drago non è presente solo nella cultura medioevale occidentale, come in genere si crede, ma ci sono molte, moltissime fonti che dimostrano la sua esistenza in tutte le culture, anche in quelle centro-americane precolombiane (Maya, Aztechi, Incas), popoli che non sono mai entrati in contatto con culture europee se non al momento della loro estinzione; in Cina, il drago è popolare ancora oggi, ma risale agli albori della tradizione cinese; notare che anche la Cina non entrò mai in contatto con culture occidentali e non subì alcuna influenza da loro, e la dimostrazione è proprio il drago cinese, il quale ha caratteristiche fisiche leggermente diverse da quello europeo.
    E’ bene precisare che le testimonianze storiche non si limitano a leggende tramandate oralmente, ma sono giunti sino a noi innumerevoli riscontri: testi e cronache dell’epoca, dipinti, nomi di città (come visto in precedenza), per non parlare dei Bestiari, insomma, non solo le segnalazioni sono moltissime, ma anche da parte di illustri scrittori di tutti i tempi: storici, filosofi, cronisti, letterati, studiosi e persino dalla Chiesa dell’epoca tramite i Santi uccisori di draghi.
    Dagli indigeni del centro America alle culture dell’estremo oriente, dalla Scandinavia all’Egitto, le testimonianze, gli avvistamenti furono moltissimi.

    Se analizziamo le fonti storiche, esse sono talmente numerose e dettagliate da far impallidire quelle di alcuni eventi storici comunemente riconosciuti tali!

    Che i draghi siano davvero esistiti, in ere ormai dimenticate?


    Edited by gheagabry1 - 22/1/2023, 01:04
     
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    L'UNICORNO NELL'ARALDICA




    Lo scudo è inquartato, e riporta nel primo e nel quarto quartiere i tre leoni passanti e con la testa in maestà (più correttamente leopardi) di Inghilterra; nel secondo, il leone rampante con la doppia cinta fiorita e contrafiorita di gigli di Scozia, e nel terzo, l'arpa di Irlanda.

    Il cimiero è costituito da un leone fermo e con la testa in maestà coronato con la corona imperiale, che può essere rappresentata sia nella sua forma reale che in altra versione.

    Il supporto di destra è un leone coronato simile al cimiero, che simboleggia l'Inghilterra; quello di sinistra è un unicorno, che simboleggia la Scozia. Secondo la leggenda un unicorno libero era considerato un animale particolarmente pericoloso, per cui l'unicorno araldico britannico è incatenato.

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    Lo stemma è munito del motto dei sovrani britannici Dieu et mon droit (Dio e il mio diritto) e di quello dell'Ordine della Giarrettiera, Honni soit qui mal y pense (Vergogna a chi ne pensa male) posto su una rappresentazione della giarrettiera che circonda lo scudo.

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    La Regina adotta uno stemma diverso quando è in Scozia.
    Lo stemma reale usato dallo Scotland Office

    Il primo ed il quarto quarto sono per la Scozia, il secondo per l'Inghilterra ed il terzo per l'Irlanda. I supporti sono cambiati di lato, l'unicorno ha una corona imperiale ed è a volte presentato con una corona orientale (a punte) al collo invece di una corona con croci e gigli di Francia ed entrambi i supporti reggono degli stendardi. L'unicorno regge uno stendardo di sant'Andrea ed il leone uno stendardo di san Giorgio. L'emblema scozzese (un leone seduto su una corona con una spada e uno scettro) è usato al posto del leone con corona reale. Due rose Tudor sono parte dello stemma.

    L'Ordine del Cardo ed il suo motto Nemo me impune lacessit (in italiano Nessuno mi provocherà senza rimaner impunito o Nessuno mi ferisce impunemente) sono usati al posto di quelli dell'Ordine della Giarrettiera.


    Edited by gheagabry1 - 22/1/2023, 01:14
     
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  12. gheagabry
     
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    PEGASO

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    MI SONO TROVATO

    Quando nel limpido ruscello
    di un fluire onesto
    avrai trovato te stesso,

    …e nella luce cristallina
    di una stella albina
    avrai visto
    la tua anima che cammina,

    …a cavallo di un destriero alato
    al mondo avrai gridato:

    Mi sono trovato.

    Anonimo<





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    Pegaso era il cavallo alato famoso grazie alla sua associazione con l'eroe greco Bellerofonte. Il modo in cui questo cavallo venne alla luce è, a dir poco insolito. Sua madre era Medusa , la Gorgone famosa in gioventù per la sua bellezza , in particolare per le chiome fluenti. Fu avvicinata da molti pretendenti , ma quello che la fece sua fu Poseidone, che è sia il dio del mare che quello dei cavalli. Sfortunatamente la seduzione ebbe luogo nel tempio di Atena. Furibonda per l'oltraggio subìto dal suo tempio, la dea Atena trasformò Medusa in un mostro con la testa ricoperta di serpenti e il cui sguardo poteva mutare gli uomini in pietre. Quando Perseo decapitò Medusa, Pegaso e il guerriero Crisaore uscirono dal suo corpo come da una sorgente. Il nome Pegaso viene dalla parola greca pegai, che significa "sorgenti" o "acque". Il nome Crisaore significa " spada dorata", a descrizione dell'arma che aveva in mano al momento della nascita.


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    Il ruolo di Crisaore nella storia di Pegaso si limita a questo: più tardi divenne padre di Gerione, il mostro con tre corpi che Eracle uccise. Non casualmente Pegaso nasce dalla Gorgone, che altro non è se non l'immagine data dagli Elleni alla dea libica Neith, alla Grande Madre. Quanto al cavallo, originariamente era un animale ctonio associato con la Grande Madre: sorgeva dalle viscere della terra o dagli abissi del mare. Figlio della notte, era come la Grande Dea portatore di vita e morte, legato all'acqua di cui conosceva i cammini sotterranei: per questo motivo aveva tradizionalmente il dono di far scaturire sorgenti con un colpo del suo zoccolo. Successivamente con l'avvento della religione patriarcale indoeuropea, venne associato a Poseidone. Si nota come la leggenda della nascita di Pegaso da Medusa, fecondata da Poseidone, ricorda pur con molte differenze, quella dello stesso dio che genera Arione in Demetra, trasformatasi non casualmente in una giumenta: "Ambedue i miti descrivono come gli Elleni devoti a Poseidone sposassero a forza le sacerdotesse della Luna senza lasciarsi impaurire dalle loro maschere di Medusa, e assumessero il controllo dei riti propiziatori di pioggia e del culto del cavallo sacro".


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    Per questo motivo si narrava che il primo cavallo fosse stato creato da Poseidone quando, in gara con Atena per il possesso dell'Attica, lo aveva fatto scaturire dalla terra. E non a caso si favoleggiava che Pegaso balzato dal collo di Medusa, si era abbeverato alla fonte Pirene, sulla strada che conduceva al santuario di Poseidone. Poi era volato sul monte Elicona, dove con un colpo dello zoccolo lunato aveva fatto scaturire Ippocrene, "la sorgente del cavallo", alla quale le muse si dissetavano nutrendo la loro ispirazione per poi volare alla volta dell'Olimpo cantando con voce sublime. Sicchè, Pegaso, che aveva fatto sgorgare la sorgente delle Muse, diventò l'emblema dell'immaginazione creatrice, del furore poetico. Un giorno Bellerofonte trovò Pegaso che si stava abbeverando lo ammansì con una briglia dorata datagli da Atena, Bellerofonte aveva bisogno di quella creatura alata per compiere un impresa disperata. Il giovane figlio di Glauco aveva ucciso accidentalmente un uomo la cui identità varia secondo le versioni del mito; alcuni dicono che si trattasse di suo fratello, a causa di quel delitto era stato costretto a lasciare la città e a recarsi a Corinto dove il Re Preto lo aveva ritualmente purificato. Sfortunatamente la moglie del re, Antea, s'innamorò di Bellerofonte che per gratitudine e rispetto ne rifiutò le profferte. Questa per vendicarsi accusò Bellerofonte di aver tentato di violentarla il Re Preto si liberò dell'ospite ( che come tale non avrebbe potuto uccidere) mandandolo dal proprio suocero Iobate Re della Licia, perché questi lo facesse morire. Iobate, non volendo a sua volta violare le leggi dell'ospitalità, espose Bellerofonte a grandi rischi, lo mandò a combattere contro le Amazzoni ed altri guerrieri formidabili, e poi anche contro la Chimera, un essere mostruoso, leone nella parte anteriore, drago nella posteriore e con una testa caprina che sputava fiamme. Quel mostro, generato da Tifone e da Echidna, devastava il paese e razziava il bestiame. Cavalcando Pegaso, Bellerofonte riuscì a scovare la Chimera e dopo averla ferita con le sue frecce, le conficcò fra le mascelle un pezzo di piombo che, fuso dall'alito rovente, scese nello stomaco uccidendola. La Chimera, era il simbolo del calendario arcaico dell'anno tripartito, sacro alla Mater Magna pre-ellenica : il leone rappresentava la primavera, la capra l'autunno, il serpente l'inverno. Iobate, deluso dal suo ritorno, lo mandò a combattere contro i bellicosi Solimi : Bellerofonte li sconfisse volando col suo magico cavallo da cui lasciava cadere dei massi sulle loro teste. Il Re preoccupato, decise di farlo uccidere in un agguato dai suoi uomini più valorosi, ma l'invincibile Bellerofonte riuscì a salvarsi massacrando gli assalitori. A quel punto Iobate, cominciando a sospettare che il giovane fosse innocente e protetto dagli dei, decise di raccontargli ciò che gli aveva detto suo suocero. Fu soltanto allora che Bellerofonte gli confidò la triste storia; e il sovrano, saputa finalmente la verità gli concesse in sposa la figlia Filino e nominandolo erede al trono di Licia. Tutti quei successi avevano talmente esaltato il giovane che un giorno decise di volare sull'Olimpo con l'alato cavallo, quasi fosse un immortale. Zeus mandò allora un tafano che punse Pegaso facendolo sgroppare in modo da disarcionare Bellerofonte, il quale cadde ingloriosamente in un roveto. Da quel momento l'incauto giovane vagò sulla terra, zoppo, cieco, solo e maledetto, evitando le strade battute dagli uomini, finché la morte lo colse. Quanto a Pegaso, riuscì a raggiungere l'Olimpo dove Zeus l'accolse alloggiandolo nelle antiche stalle del monte. Da quel giorno si servì di lui per trasportare le folgori forgiate dai Ciclopi. Infine, per ricordarne la funzione, lo volle immortalare nel firmamento.

    Edited by gheagabry1 - 22/1/2023, 01:23
     
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    L'ippogrifo


    è una creatura nata nella mitologia greco-romana, esso viene rappresentato come una animale mezzo uccello mezzo cavallo: zampe posteriori e corpo di cavallo, testa, collo, ali e zampe anteriori d’aquila o di avvoltoio. In araldica è rappresentato come una bestia per metà aquila e per metà cavallo. Quest’essere è divenuto noto grazie al poema di Ludovico Ariosto “L’Orlando Furioso”, infatti, la storia narra che Orlando si innamori fino alla follia di Angelica, ma non è corrisposto. Allora il suo più caro amico Astolfo parte alla ricerca del senno dell'eroe. Da prima si reca da San Giovanni, in Paradiso, poi sulla Luna. Ma per raggiungere questo luogo ha bisogno di una cavalcatura adeguata al impresa e qui entra in scena l’ippogrifo che lo scorterà fino a raggiungere il nostro satellite. L'idea del connubio tra grifone e cavallo si trovava già nelle Bucoliche di Virgilio, in un passo che considerava questo incrocio come qualcosa di impossibile e assurdo, visto il leggendario odio tra i due animali. L'Ariosto, al contrario, crede che proprio da questo connubio sia nato l'ippogrifo ed infatti scrive:"Iungentur iam grypes equis": da oggi i grifoni si uniranno ai cavalli (Egloga VIII, 27). Nel poema dell’Ariosto l'ippogrifo trae elementi sia dalla figura di Pegaso che da quella del grifone, un incrocio tra leone e aquila.

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    Edited by gheagabry1 - 22/1/2023, 01:44
     
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    IL GRIFONE



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    l Grifone, come il suo parente l'Ippogrifo, è una figura mitologica. Il primo è presente da millenni nell’iconografia artistica dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo e delle civiltà del Medio Oriente.

    In questo lungo lasso di tempo il Grifone è stato sempre ricorrente nelle rappresentazioni delle culture che si sono succedute, sostituite, combattute. La figura riassume in se la bellezza, la forza, la fierezza, l’eleganza, il potere sui cieli e sulla terra, elementi evocati dai due animali che ne compongono l’immagine: il leone e l’aquila. Mancherebbe solo l’elemento marino, ma sarebbe stato veramente troppo, anche per un animale fantastico.


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    Secondo la tradizione il Grifone era il custode dell’oro. Nella sua tana questo animale vegliava, anche a prezzo di grandi violenze, su inestimabili ricchezze.

    Nel Medioevo i maghi dicevano che era una gran fortuna mettere le mani sugli artigli di un Grifone: utilizzati come coppe per bere, avevano la capacità di cambiare colore se nella bevanda fosse stato presente del veleno. Se fosse stato vero sarebbe stato un gran bel vantaggio per i regnanti che avevano a che fare con cortigiani a volte troppo intraprendenti e ambiziosi. Nella simbologia della religione cristiana questo animale veniva utilizzato per simboleggiare Cristo: la parte di leone perché aveva regnato come un re; quella dell’aquila per la sua resurrezione.

    Le più conosciute leggende sui Grifoni hanno avuto successo soprattutto in epoca medievale. Alcuni di questi miti erano già presenti nella “Vita di Alessandro” dello Pseudo Callistene (200 d. C. originario di Alessandria d’Egitto - un manoscritto dell’opera risalente al XIV secolo è conservato all’Istituto Ellenico di Studi bizantini e postbizantini di Venezia) e sono ricomparsi nella “Histoire du bon roy Alixandre” di Jean Wauquelin. Come si evince dai titoli, le due opere hanno in comune un protagonista d’eccezione: Alessandro Magno.


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    Questa, in breve, la parte di trama che ci interessa.

    Il grande condottiero e Imperatore, Alessandro, capace di costruire in pochi anni l’impero più grande mai esistito, voleva avere visione di quanto fossero grandi i suoi domini e capire cosa fosse l’aria, elemento invisibile, ma presente. Le terre dell’Impero erano così vaste che Alessandro non poteva, con uno sguardo, abbracciarle tutte.

    Così il Monarca decise che doveva librarsi in aria per risolvere i due problemi. Ordinò di costruire una navicella leggera, una sorta di gabbia in metallo prezioso, splendidamente decorata (oppure a forma di cesto). A questa incatenò tre o quattro grifoni che aveva portato con se dall’India. L’imperatore fece issare tutto in cima ad una montagna, poi si imbarcò nella navicella sorreggendo due lunghi bastoni rossi alle cui estremità aveva assicurato dei prosciutti, vere leccornie per i grifoni. Agitando il pasto nella direzione scelta, i grifoni si alzavano in volo nello sforzo di acchiappare i bocconi. Insomma, come una carota davanti ad un mulo.

    La spinta fornita dalle ali di quegli animali fece sollevare la navicella e Alessandro ebbe modo di osservare la terra e studiare i cieli. Tornato sulla terra, l’imperatore ricevette l’omaggio della sua corte. Il suo desiderio di sapere però non si placò… e la storia continua con un’altra avventura negli abissi marini.

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    Un’ottima rappresentazione di questo fantastico viaggio viene da un arazzo tessuto verso il 1460 a Tournai, nel Ducato di Borgogna, di proprietà dei Doria Pamphilj. Un’opera d’arte di quattro metri per dieci, tramato in lana, seta e fili d’oro e d’argento. Il tutto custodito nel Palazzo del Principe a Genova.

    Re Alessandro, assiso su un carro sostenuto da grifoni compare anche in un mosaico del 1160 riscoperto sotto un pavimento in mattoni della Cattedrale di Taranto e realizzato all’epoca dal maestro Petroius per il committente, l’arcivescovo Girardo. Rimanendo in Italia, il Grifone da solo è diffusissimo in molte cattedrali, cappelle e manieri, soprattutto nel Meridione.

    Per chiudere il cerchio “cognitivo”, Pseudo Callistene influenzò anche la tradizione musulmana. Alessandro compare pure nel Corano. Iskandar è il nome, con la variante Sikandar, in arabo-persiano e nel mondo islamico, di Alessandro Magno. Un racconto epico che lo riguarda è l’Iskandarani (Iskandarnāma o Libro di Alessandro), opera in versi di Elyas Abu Muhammad Nizami, poeta persiano nato a Gangia (Azerbaigian) nel 1141 e morto verso il 1204. Si tratta dell’ultimo dei cinque masnavi, o poemi romanzeschi a rima baciata, appartenenti appunto ad un quintetto (Khamsè) di Nizami noto come “I cinque Tesori”. Inutile dire che il Grifone accompagna la diffusione del mito di Alessandro e che compare anche in molte altre storie e novelle musulmane.

    Una variazione è l'Ippogrifo (hippos=cavallo e grypòs=grifone), creatura alata, onnivoro, incrocio tra un cavallo e un grifone, originariamente nemici naturali. Essere fantastico molto raro proprio per la quasi impossibile unione fra i due animali "genitori".

    Secondo le leggende e i miti, l'ippogrifo aveva testa, ali, zampe anteriori e petto di aquila, il resto invece uguale al corpo di un cavallo. Lo descrive bene Ludovico Ariosto nell'Orlando Furioso: ne fa la cavalcatura del mago Atlante, soggiogato da Bradamante, poi utilizzato da Ruggero e infine cavalcato da Astolfo fino alla Luna per recuperare il senno perduto di Orlando.


    Giuseppe Maria Salvatore Grifeo

    Edited by gheagabry1 - 22/1/2023, 01:31
     
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    leggenda nella leggenda

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    I Grifoni sono creature selvagge e pericolose che cacciano sui più alti dirupi dei Confini del Mondo. Coraggiosi avventurieri vanno alla ricerca dei loro nidi e rapiscono i piccoli per allevarli in cattività. Solo in questa maniera si può ammansire quanto basta un Grifone perché possa essere cavalcato ed anche in questi casi restano creature feroci ed irritabili.

    L'Imperatore Karl Franz è famoso per la sua vasta collezione di creature incluso il Grifone Granfiamorte, che il sovrano ha più volte cavalcato in battaglia. Preso dal nido quando era ancora nell'uovo e allevato dall'Imperatore stesso, Granfiamorte ha sviluppato un legame insolitamente forte con il suo padrone, imparando persino ad obbedire ai comandi. Granfiamorte era solito volare in librtà nei cieli di Altdorf e tornare alla sua gabbia alla sera (con gran sollievo da parte dei cittadini).

    Durante la battaglia di Roccasangue, Granfiamorte sorvegliò il corpo dell'Imperatore sfidando i nemici che si avvicinarsi ed uccidendone molti che ci provavano. Anche se l'Imperatore era così gravemente ferito che si riprese solo dopo molti mesi, fu grazie alla lealtà di Granfiamorte che sopravvisse per continuare a combattere.

    I Grifoni hanno teste con becco uncinato, come quello delle Aquile. Anche i loro arti anteriori sono piumati con zampe squamose che terminano con artigli estremamente affilati, proprio come quelli degli uccelli rapaci. Dietro alle enormi ali piumate, il corpo del Grifone è ricoperto di pelliccia, con enormi artigli e la coda come quelli di un grande felino, come un leone o una tigre. Alcuni Grifoni hanno la pelliccia dorata come i leoni di montagna, altri hanno la pelliccia a chiazze, striata o nera come la notte.




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    il grifone era molto amato come simbolo? Se ci pensate, prendendo distintamente gli animali che lo compongono, sia l’aquila che il leone sono simboli di forza, a loro volta molto utilizzati nelle araldiche. Il leone è il re degli animali terrestri, mentre l’aquila è il più forte e nobile tra le creature dei cieli. Un tempo l’iconografia e la simbologia avevano forte impatto e quindi la scelta non era mai casuale, persino gli animali che comparivano nei quadri come compagnia erano calcolati, come, per chi non lo sapesse, la posizione del cavallo è di rilevante importanza.

    Piccola nota per chi non ne era a conoscenza: dalla posizione del cavallo si deduce la morte del cavaliere, anche se può succedere che questa regola non sia stata rispettata o comunque rappresenti la verità conosciuta al momento della realizzazione, che spesso era la verità data al popolo, più che la verità dei fatti.
    Se il cavallo poggia su tutte e quattro le zampe, vuol dire che il cavaliere è morto di morte naturale, mentre se una zampa è sollevata questo è morto per una ferita riportata in battaglia, o, probabilmente, per qualsiasi danno inferto da terzi. La gloriosa posizione in sella a un cavallo con le zampe anteriori
    sollevate nell’impennarsi (o in generale due zampe sollevate), significa che il cavaliere è morto combattendo.

    Tornando al grifone. Nonostante la versione attualmente più utilizzata sia quella in cui le zampe anteriori siano aquiline, l’origine vuole che tutto il corpo sia di leone, anche se alcune volte la coda è come quella della chimera, ovvero un serpente (cosa molto rara). Nell’iconografia viene comunque prediletta la variante con le zampe anteriori da rapace. Il grifone ha collo e testa d’aquila con orecchie per la maggior parte delle volte simili a quelle di cavallo, talvolta piumate, raramente riprendono quelle di leone. Quasi sempre rappresentato con le ali, la loro assenza, secondo alcune interpretazioni, indicherebbe il maschio mentre la femmina è alata…ma è una cosa assai rara. Così come la fenice, anche il grifone vede le sue origini nella zona mesopotamica, fenicia e babilonese, i cui popoli hanno per primi riportato immagini di questa creatura, che poi riappare in epoca romana col nome di Grifo.
    Il grifone, per la cristianità, ha simboleggiato Gesù in quanto unendo terra e cielo, unisce il divino con il mortale, rappresentando quindi il Cristo. In generale rimane simbolo di potenza, forza, perfezione e osservazione poiché le creature che le compongono sono sovrane dei loro simili e quindi osservano
    dall’alto della loro posizione.
    In merito all’intelligenza, la mitologia descrive il grifone come una bestia, non si hanno tracce di qualcosa che innalzi il grifone a una figura con un potenziale che vada oltre la forza fisica. In merito alle misure, c’è chi dice che la sua grandezza sia propria del leone, chi invece dice che sia tre volte grande tanto che può abbattere cavalli in un colpo.


    Il grifone (conosciuto anche come Grifo) è una creatura alata con quattro zampe ed un becco. La parte anteriore è quella di un'aquila, mentre quella posteriore appartiene ad un leone. Talvolta viene raffigurato con una coda di serpente.

    Era considerato consacrato al Dio Sole, tanto che gli antichi artisti raffiguravano il carro del Sole trainato da Grifoni e lo stesso Apollo ne cavalcava uno. Anche il carro di Nemesi era trainato da questi fantastici animali, che tra l'altro erano considerati la personificazione della Dea della Vendetta.

    La più antica immagine di Grifone conosciuta proviene da un sigillo trovato in Iran e datato 3000 AC. Presso i Sumeri troviamo una creatura simile al Grifone chiamata Chumbaba, mentre immagini di questa creatura sono presenti nelle raffigurazioni greche e del medio oriente. Il primo testo in cui si parla di Grifoni è greco, è opera di Aristeas di Proconnesus e risale al settimo secolo AC. Alcuni racconti narrano che Alessandro Magno cercò di cavalcare una di queste bestie alate.

    Inizialmente i Grifoni furono identificati come creature demoniache nell'iconografia Cristiana, infatti si riteneva che intrappolassero le anime degli uomini. Dopo Dante, però, cambiò la loro rappresentazione simbolica: la loro duplice padronanza di terra e cielo divenne simbolo della doppia natura del Cristo (Uomo e Dio), e il Grifone divenne una creatura buona. Si veda anche il simbolismo del grifone.

    Il Grifone era ritenuto anche l'intermediario tra il mondo mortale e quello divino...lo attestano gli affreschi nel palazzo di Cnosso(Creta)nella sala del trono. Oltre che enfatizzare la figura regale del sovrano, sottolineavano il ruolo sacerdotale del re.





    Simbolismo del Grifone


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    Il Grifone, per gli Ebrei, rappresenta l'antica Persia, probabilmente per via delle numerose raffigurazioni di Grifoni nell'arte Persiana.

    Presso i Greci la bestia mitologica era simbolo di forza. Come già citato sipegando cos'è un Grifone, questo animale era associato sia ad Apollo che a Nemesi. I Grifoni inoltre erano a guardia dell'oro della lontana tribù nordica degli Iperborei.

    Inoltre i Grifoni punivano l'avidità e l'avarizia sorvegliando l'oro e le abbondanti gemme che si trovavano sui monti (di solito il Caucaso o gli Urali) facendo a brandelli chiunque cercasse di rubare queste ricchezze.
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    Grifone

    Presso le stesse popolazioni, inoltre, i Grifoni rappresentavano la superbia. Questa associazione è dovuta al fatto che si narra che Alessandro Magno cercò di cavalcarne uno per raggiungere la sommità del cielo.

    Riguardo al suo uso regolare nell'Araldica, Boekler (1688) diede la seguente interpretazione: "I Grifoni sono ritratti con un corpo di leone, testa d'aquila, lunghe orecchie, e gli artigli dell'aquila, ad indicare l'unione tra forza ed intelligenza". Quest'interpretazione nasce dal fatto che l'aquila simboleggia l'intelligenza, mentre il leone la forza, quindi il Grifone rappresenta la perfetta unione di muscoli e cervello. Dopo il cambiamento di vedute seguito a Dante, divenne il nemico del Serpente e del Basilisco, entrambi considerati demoniaci.



    Maestosa creatura ibrida con corpo leonino e testa e ali d'aquila, a volte anche con orecchie da cavallo, il grifone attraversa le mitologie di numerose antiche culture.
    Compare per la prima volta circa cinquemila anni or sono in Mesopotamia, in cui svolge il simbolico compito di sorvegliare l'albero della Vita e le porte d'accesso alle città.
    In seguito lo si incontra nell'antico Egitto, sempre connesso con la funzione di guardiano e protettore; successiva mente divenne simbolo del Faraone stesso.
    Nell'antica Grecia il grifone traina i carri di divinità quali Apollo e Nemesi, ma conserva anche il suo ruolo di guardiano: esso infatti veglia sul vino del dio Dionisio e sull'oro degli Iperborei, popolo mitico stanziato ai confini settentrionali del mondo abitato.

    Leggendariamente forte come 100 aquile o 8 leoni, il grifone sventa senza fatica gli assalti dei predoni e ha la capacità di individuare i veleni: al più lieve contatto con una sostanza tossica, le sue unghie diventano nere.
    Tale "portentosa" caratteristica renderà gli artigli dei grifoni assai ricercati sino alla fine del Medioevo: montate in oro e ornate con pietre preziose, queste rarità (in realtà realizzate di solito con il corno del rinoceronte) avevano non solo la fama di proteggere dai veleni, ma anche di conferire poteri magici e di ridare la vista.

    La mitologia racconta che solo le femmine sono alate, e come le aquile si costruiscono il nido, ma ricolme di oro e preziosi.

    I suoi nemici mortali sono i cavalli e nel caso che questi si accoppiassero, la progenie è l'Ippogrifo.

    Nella simbologia il grifone ha una natura doppia:benefica, essendo signora dei cieli;malefica, essendo avido e feroce.

    Nell'araldica, il grifone viene raffigurato con le zampe anteriori ad aquila , invece che leone, e solo nell'iconografia inglese senz'ali.


    Edited by gheagabry1 - 22/1/2023, 01:46
     
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