ANIMALI MITOLOGICI

minotauro, draghi.........

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  1. gheagabry
     
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    Se nel periodo Medievale sono state redatte molte copie di bestiari, da persone diverse, in periodi diversi ed in luoghi diversi forse qualcosa di vero c'è!
    Pensate un po' una cosa: bestie tipo il Fauno, la Fenice, la Chimera, il Grifone, la Gorgone ... nel bestiario sono messe insieme a bestie, come dire, più conosciute, come il leopardo, il cane, il lupo, l'elefante. Cioè gli antichi scrittori dei bestiari non creavano la loro opera incentrandola solo su bestie "fantasy", ma cercando di descrivere tutte le bestie che popolavano il pianeta! Ecco perchè i cani che tutti conosciamo sono insieme a bestie che non siamo abituati a vedere. Il loro era un lavoro enciclopedico che cercava di riunire tutte le creature di Dio ... non a caso i bestiari cominciavano con passi della Bibbia, in particolar modo della Genesi.


    Date un po' un'occhiata all'immagine qui a sinistra: è l'AUTENTICA pagina del Bestiario Medievale di Aberdeen... non notate niente?
    Il "mostro" Monocero (che non è l'unicorno!) è messo insieme (addirittura nella stessa pagina) con l'orso... come se trovarli insieme fosse "naturale"!!!

    Provate a pensare voi ad un uomo di quel tempo che voleva descrivere e catalogare gli animali di quel tempo e trasmetterle ai posteri... non aveva a disposizione i mezzi di oggi e quindi non poteva scattare fotografie o fare filmati! L'unico modo che aveva era fare dei disegni delle bestie e descriverle secondo gli avvistamenti. Che doveva fare di più? Perché a priori dobbiamo essere scettici sull'effettiva esistenza di tali bestie?
    Calcolate che alcune fonti storiche sulle quali ci basiamo nello studio degli eventi passati, sono molto più frammentarie e imprecise dei Bestiari!!!
    Secondo voi, cosa se ne faceva l'uomo medievale del corpo di un drago? Sicuramente ogni singola cellula veniva utilizzata, un po' come con il maiale; perciò è inverosimile affermare che tali bestie non siano mai esistite semplicemente perchè non se ne è mai ritrovato lo scheletro. Anche perchè un qualsiasi biologo vi potrà dire che le ossa dei dinosauri che possiamo ammirare oggi si sono salvate dal degrado del tempo solo per una serie di cause fortuite! Solo le ossa di dinosauri morti nel fango sono arrivate fino a noi grazie alla solidificazione dello stesso che ne ha permesso la conservazione. Quante ossa di dinosauro abbiamo oggi? Una miseria se consideriamo che i dinosauri dominarono la Terra per più di 150 milioni di anni. E gli scienziati vorrebbero ritrovare ossa di bestie "fantasy" medioevali? Ma vi rendete conto di che insieme di casualità ci vogliono? Un Grifone non sarebbe MAI morto in una palude, e i suoi resti lasciati alle intemperie ed agli animali non resisterebbero un anno! Tanto più se si considera che queste bestie sarebbero vissute in luoghi impervi per l'uomo in condizioni per la conservazione difficilissime ed in numero davvero esiguo.

    Allora perchè non prendere in considerazione i mostri che si credevano di fantasia e che invece sono stati ritrovati realmente? Proprio così! E' il caso dell'enorme mostro marino conosciuto da secoli col nome di Kraken: la scienza ha sempre rinnegato la sua esistenza, ma quando fu effettivamente ritrovato nel 1995, si è appropriata della scoperta catalogandolo come NUOVA specie animale e ribattezzandolo col nome di "Architeuthis dux". (Bella figura che hanno fatto gli scienziati! Anni a dire che i mostri medioevali erano tutte cavolate e poi quando lo hanno ritrovato sono rimasti a bocca aperta! Ma che hanno fatto i furbini? Se ne sono appropriati chiamandolo Architeuthis dux... KRAKEN è il vero nome!!!... ma che roba! A questo punto sorge il forte dubbio che anche gli altri fossero effettivamente esistiti! NdBD).
    Una cosa è certa: il nostro pianeta ci riserva ancora molte sorprese!



    Fonte Blue Dragon









    L'ARABA FENICE


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    La Fenice, spesso nota anche con l'epiteto di Araba Fenice, era un uccello mitologico noto per il fatto di rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte. Gli antichi egizi furono i primi a parlare del Bennu, che poi nelle leggende greche divenne la Fenice. Uccello sacro favoloso, aveva l'aspetto di un'aquila reale e il piumaggio dal colore splendido, il collo color d'oro, rosse le piume del corpo e azzurra la coda con penne rosee, ali in parte d'oro e in parte di porpora, un lungo becco affusolato, lunghe zampe, due lunghe piume — una rosa e una azzurra — che le scivolano morbidamente giù dal capo (o erette sulla sommità del capo) e tre lunghe piume che pendono dalla coda piumata — una rosea, una azzurra e una color rosso-fuoco —. In Egitto era solitamente raffigurata con la corona Atef o con l'emblema del disco solare.


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    Molti storici si domandano se sia esistita la Fenice, facendo riferimento alle opere dei poeti romani, considerandola nulla di più di un prodotto della fantasia dei seguaci del Dio-Sole. Alcuni, tuttavia, credono che il mito possa essere basato sull'esistenza di un vero uccello che viveva nella regione allora governata dagli Assiri.

    Gli antichi la identificavano col fagiano dorato, tanto che un imperatore romano si vantò di averne catturato uno.

    Nella Bibbia, con l'ibis o col pavone; altri, con l'airone rosato o l'airone cinereo — basandosi sull'abitudine degli antichi egizi di festeggiare il ritorno del primo airone cinereo sopra il salice sacro di Heliopolis, considerato evento di buon auspicio, di gioia e di speranza.

    Il volatile più idoneo a rappresentarla è la Garzetta: uccello simile all'airone, di cui numerosi esemplari vennero sterminati solo poiché i loro ciuffi costituivano le "aigrettes" usate per confezionare i pennacchi coi quali si adornavano le dive. Come l'airone che spiccava il volo sembrava mimare il sorgere del sole dall'acqua, la Fenice venne associata col sole e rappresentava il BA ("l'anima") del dio del sole Ra , di cui era l'emblema — tanto che nel tardo periodo il geroglifico del Bennu veniva impiegato per rappresentare direttamente Ra.

    Quale simbolo del sole che sorge e tramonta, la Fenice presiedeva al giubileo regale. Ed essendo colei che ri-sorge per prima, venne associata al pianeta Venere — che appunto veniva chiamato "la stella della nave del Bennu-Asar", e menzionata quale Stella del Mattino nell'invocazione:

    «Io sono il Bennu, l'anima di Ra, la guida degli Dei nel Duat. Che mi sia concesso entrare come un falco, ch'io possa procedere come il Bennu, la Stella del Mattino.»



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    E come l'airone, che s'ergeva solitario sulla sommità delle piccole isole di roccia che sbucavano dall'acqua dopo la periodica inondazione del Nilo che ogni anno fecondava la terra col suo limo, il ritorno della Fenice annunciava un nuovo periodo di ricchezza e fertilità. Non a caso era considerata la manifestazione dell'Osiride risorto, e veniva spesso raffigurata appollaiata sul Salice, albero sacro ad Osiride. Per questa stessa ragione venne riconosciuta quale personificazione della forza vitale, e — come narra il mito della creazione — fu la prima forma di vita ad apparire sulla collina primordiale che all'origine dei tempi sorse dal Caos acquatico.

    Si dice infatti che il Bennu abbia creato sé stesso dal fuoco che ardeva sulla sommità del sacro salice di Heliopolis. Proprio come il sole, che è sempre lo stesso e risorge solo dopo che il sole "precedente" è tramontato, di Fenice ne esisteva sempre un unico esemplare per volta. Da qui l'appellativo "semper eadem": sempre la medesima.


    Era sempre un maschio, e viveva in prossimità di una sorgente d'acqua fresca all'interno di una piccola oasi nel deserto d'Arabia, un luogo appartato, nascosto ed introvabile. Ogni mattina all'alba faceva il bagno nell'acqua e cantava una canzone così meravigliosa che il dio del sole arrestava la sua barca (o il suo carro, nella mitologia greca) per ascoltarla.

    Talvolta visitava Heliopolis (la città del sole, di cui era l'uccello sacro), e si posava sulla pietra ben-ben: l'obelisco all'interno del santuario della città (nota originariamente col nome di "Innu", che significa "la città dell'obelisco", da cui il nome biblico On).

    Dopo aver vissuto per 500 anni (secondo altri 540, 900, 1000, 1461/ 1468, o addirittura 12955/ 12994), la Fenice sentiva sopraggiungere la sua morte, si ritirava in un luogo appartato e costruiva un nido sulla cima di una quercia o di una palma.

    Qui accatastava ramoscelli di mirto, incenso, sandalo, legno di cedro, cannella, spigonardo, mirra e le più pregiate piante balsamiche, con le quali intrecciava un nido a forma di uovo — grande quanto era in grado di trasportarlo (cosa che stabiliva per prove ed errori). Infine vi si adagiava, lasciava che i raggi del sole l'incendiassero, e si lasciava consumare dalle sue stesse fiamme mentre cantava una canzone di rara bellezza.

    Per via della cannella e della mirra che bruciano, la morte di una fenice è spesso accompagnata da un gradevole profumo. Dal cumulo di cenere emergeva poi una piccola larva (o un uovo), che i raggi solari facevano crescere rapidamente fino a trasformarla nella nuova Fenice nell'arco di tre giorni (Plinio semplifica dicendo "entro la fine del giorno"), dopodiché la nuova Fenice, giovane e potente, volava ad Heliopolis e si posava sopra l'albero sacro.


    «cantando così divinamente da incantare lo stesso Ra»


    - peraltro si dice anche che dalla gola della Fenice giunse il soffio della vita (il Suono divino, la Musica) che animò il dio Shu.

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    Ma nella antica tradizione riportata da Erodoto, la fenice risorge ogni 500 anni, come riportato da Cheremone, filosofo stoico iniziato ai misteri egizi che parla di un <periodo solstiziale>, da Orapollo vissuto sotto Zenone (474-491) che -come sappiamo da Suida- diresse la scuola egizia a Menouthis, presso Alessandria, da Eliano di Preneste; la rinascita della fenice cela per tutti questi autori un periodo astronomico connesso alla resurrezione di Osiride. Già nel Capitolo 125 del Libro dei Morti, Osiride afferma di rinascere come fenice nella città di On (Heliopolis) sede di miti cosmologici, contestualmente infatti, Capitolo 17 del Libro dei Morti, Osiride si identifica con il Duplice Leone nei nomi di Ieri e Domani, ovvero Osiride e Ra, simbolo esoterico preposto alle rinascite dei cicli solari. Orapollo palesa senza veli che la fenice è una delle manifestazioni del sole <dai molti occhi> come interpretato da Sbordone che riporta una grafia tarda del nome di Osiride costituita da un occhio e uno scettro. Da qui l'occhio della fenice inteso come l'illuminazione consapevole di Osiride che rinascendo incarna <il rinnovamento ciclico degli astri> sempre secondo Orapollo, intrinseco alla fiamma del <periodo solstiziale> della fenice riportato in un frammento di Cheremone...

    Storicamente parlando, viene menzionata per la prima volta in un libro nell'esodo (VIII secolo AC). Uno dei primi resoconti dettagliati ce lo fa lo storico greco Erodoto circa due secoli dopo:
    « Un altro uccello sacro era la Fenice. Non l'ho mai vista coi miei occhi, se non in un dipinto, poiché è molto rara e visita questo paese (così dicono ad Heliopolis) soltanto a intervalli di 500 anni: accompagnata da un volo di tortore, giunge dall'Arabia in occasione della morte del suo genitore, portando con sé i resti del corpo del padre imbalsamati in un uovo di mirra, per depositarlo sull'altare del dio del Sole e bruciarli. Parte del suo piumaggio è color oro brillante, e parte rosso-regale (il cremisi: un rosso acceso). E per forma e dimensioni assomiglia più o meno ad un'aquila. »

    Proprio a questo resoconto di Erodoto, dobbiamo l'erronea denominazione di "Araba Fenice". Ovidio, nelle Metamorfosi, ci narra della fenice, uccello che giunto alla veneranda età di 500 anni, termine ultimo della vita concessagli, depone le sua membra in un nido di incenso e cannella costruito in cima ad una palma o a una una quercia, e spira. Dal suo corpo nasce poi un'altra fenice che, divenuta adulta, trasportò il nido nel tempio di Iperione, il Titano padre del dio Sole..

    Ovidio dice:
    « ... si ciba non di frutta o di fiori, ma di incenso e resine odorose. Dopo aver vissuto 500 anni, con le fronde di una quercia si costruisce un nido sulla sommità di una palma, ci ammonticchia cannella, spigonardo e mirra, e ci s'abbandona sopra, morendo, esalando il suo ultimo respiro fra gli aromi. Dal corpo del genitore esce una giovane Fenice, destinata a vivere tanto a lungo quanto il suo predecessore. Una volta cresciuta e divenuta abbastanza forte, solleva dall'albero il nido (la sua propria culla, ed il sepolcro del genitore), e lo porta alla città di Heliopolis in Egitto, dove lo deposita nel tempio del Sole. »


    Eliopoli, dove i sacerdoti di Ra conservavano gli archivi dei tempi passati. In quest'ottica, la Fenice era il nuovo profeta/messia che "distruggeva" gli antichi testi sacri per far risorgere una nuova Religione dai resti della precedente.

    Tacito arricchisce la storia, scrivendo che la giovane fenice solleva il corpo del proprio genitore morto fino a farlo bruciare nell'altare del Sole. Altri scrittori descrivono come la fenice morta si trasformi in un uovo, prima di essere portata verso il Sole.

    Il Fisiologo, primo bestiario cristiano, cita il favoloso uccello:
    « IX) La fenice

    C'è un altro volatile che è detto fenice.
    Nostro Signore Gesù Cristo ha le sua figura, e dice nel Vangelo:

    «Posso deporre la mia anima, per poi riprenderla una seconda volta».


    Per queste parole i Giudei si erano scandalizzati e volevano lapidarlo. C'è dunque un uccello, che vive in alcune zone dell'India, detto fenice. Di lui il Fisiologo ha detto che, trascorsi cinquecento anni della sua vita, si dirige verso gli alberi del Libano, e si profuma nuovamente entrambe le ali con diversi aromi. Con alcuni segni si annuncia al sacerdote di Eliopoli nel mese nuovo, Nisan o Adar, cioè nel mese di Famenòth, o di Farmuthì. Dopo che il sacerdote ha avvertito questo segnale, entra e carica l'altare di sarmenti di legno.

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    Quindi il volatile arriva, entra nella città di Eliopoli, pieno di tutti gli aromi che sprigionano entrambe le sue ali; ed immediatamente vedendo la composizione di sarmenti che è stata fatta sull'altare, si alza e, circondandosi di profumi, un fuoco si accende da solo e da solo si consuma. Poi, un altro giorno, giunse un sacerdote e, dopo aver bruciato la legna che aveva collocato sopra l'altare, trovò qui, osservando, un modesto vermicello, che emanava un buonissimo odore. Poi, al secondo giorno, trovò un uccellino raffigurato. Il terzo il sacerdote tornò a vedere e notò che l'uccellino era divenuto un uccello fenice. Una volta salutato il sacerdote, volò via e si diresse al suo luogo antico. Se invero questo uccello ha il potere di morire e di nuovo di rivivere, nel modo in cui gli uomini stolti si adirano per la parola di Dio, tu hai il potere come vero uomo e vero figlio di Dio, hai il potere di morire e di rivivere.
    Dunque come ho detto prima, l'uccello prende l'aspetto del nostro Salvatore, che scendendo dal cielo, riempì le sue ali dei dolcissimi odori del Nuovo e dell'Antico Testamento, come egli stesso disse: «Non sono venuto ad eliminare la legge, ma ad adempierla». E di nuovo: «Così sarà ogni scrittore dotto nel regno dei cieli, offrendo rose nuove ed antiche dal suo tesoro »


    La lunga vita della Fenice e la sua così drammatica rinascita dalle proprie ceneri, ne fecero il simbolo della rinascita spirituale, nonché del compimento della Trasmutazione Alchemica — processo Misterico equivalente alla rigenerazione umana ("Fenice" era il nome dato dagli alchimisti alla pietra filosofale).


    Già simbolo della Sapienza divina (cfr. Giobbe 38 verso 36), intorno al IV secolo d.C. venne identificata con Cristo presumibilmente per via del fatto che tornava a manifestarsi 3 giorni dopo la morte, e come tale venne adottata quale simbolo paleocristiano di immortalità, resurrezione e vita dopo la morte.

    Dante Alighieri così descrive la Fenice:
    « che la fenice more e poi rinasce,

    quando al cinquecentesimo appressa
    erba né biada in sua vita non pasce,
    ma sol d'incenso lacrima e d'amomo,
    e nardo e mirra son l'ultime fasce. »

    (Inferno XXIV, 107-111)


    Al giorno d'oggi sopravvive il modo di dire "essere una fenice", per indicare qualcosa di cui non si conosce l'uguale, introvabile, un esemplare unico e soprattutto inafferrabile, secondo il ben noto detto di Metastasio ("Demetrio", atto II, scena III):
    « Come l'araba Fenice, che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa. »


    Tale espressione venne ripresa pari pari da Lorenzo Da Ponte nel libretto di Così fan tutte musicato da Mozart, per affermare l'impossibilità di trovare la fedeltà nelle donne:
    « È la fede delle femmine come l'araba Fenice, che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa. »



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    La Fenice (abbreviazione: Phe) è anche una costellazione dell'Emisfero Sud, vicino a Tucana (il Tucano) e Sculptor. Fu così chiamata da Johann Bayer nel 1603, ed è costituita da 11 stelle. Assai curiosamente, questa costellazione è universalmente stata riconosciuta come uccello, ed è stata chiamata Grifone, Aquila, Giovane Struzzo (dagli arabi) e Uccello di Fuoco (dai cinesi).


    Vi sono controparti della Fenice in praticamente tutte le culture: sumera, assira, inca, azteca, russa (l'uccello di fuoco), quella dei nativi americani (Yel), e in particolare nella mitologia cinese (Feng), indù e buddista (Garuda), giapponese (Ho-oo o Karura), ed ebraica (Milcham):

    «Un uccello mitologico, che non muore mai, la fenice vola lontano, avanti a noi, osservando con occhi acuti il paesaggio circostante e lo spazio distante. Rappresenta la nostra capacità visiva, di raccogliere informazioni sensorie sull'ambiente che ci circonda e sugli eventi che si dipanano al suo interno. La fenice, con la sua bellezza assoluta, crea un'incredibile esaltazione unita al sogno dell'immortalità».



    I cinesi hanno un gruppo di quattro creature magiche (detti "I quattro Spiritualmente-dotàti") che presiedono i destini della Cina, e rappresentano le forze primordiali degli animali piumati, corazzati, pelosi e con squame. Questi quattro animali sacri sono: Bai Hu (la tigre) o Ki-Lin (l'unicorno) per l'Ovest; Gui Xian (la tartaruga o il serpente) per il Nord; Long (il drago) per l'Est; e, per il Sud, Feng (la Fenice) — detto anche Fêng-Huang, Fung-hwang o Fum-hwang.

    Rappresentava il potere e la prosperità, ed era un attributo esclusivo dell'imperatore e dell'imperatrice, che erano gli unici in tutta la Cina ad essere autorizzati a portare il simbolo del Feng. Era la personificazione delle forze primordiali dei Cieli, e talvolta veniva rappresentata con la testa e la cresta di fagiano e la coda di pavone (ma siccome i cinesi desideravano dare al Feng i più begli attributi di tutti gli animali, lo raffiguravano con la fronte della gru, il becco dell'uccello selvatico, la gola della rondine, il collo del serpente, il guscio della testuggine, le strisce del drago e la coda di un pesce).

    Nel becco portava due pergamene o una scatola quadrata che conteneva i Testi Sacri, e recava iscritte nel corpo le Cinque Virtù Cardinali. Si dice inoltre che la sua canzone contenesse le cinque note della scala musicale cinese, e che la sua coda includesse i cinque colori fondamentali (blu, rosso, giallo, bianco e nero), e che il suo corpo fosse una mistura dei sei corpi celesti (la testa simboleggiava il cielo; gli occhi, il sole; la schiena, la luna; le ali, il vento; i piedi, la terra; e la coda, i pianeti).

    Il Feng viene a volte dipinto con una sfera di fuoco che rappresenta il sole, ed è chiamato "l'uccello scarlatto": l'imperatore di tutti gli uccelli. Nato dal fuoco nella "Collina del Falò del Sole", vive nel Regno dei Saggi, che sta ad Est della Cina. Beve acqua purissima e si ciba di bambù. Ogni volta che canta, tutti i galli del mondo l'accompagnano nella sua canzone di cinque note. Appare soltanto in tempi di pace e prosperità, e scompare nei tempi bui. Diversamente dal Benu, il Feng può essere maschio o femmina, e vivere in coppia — coppia che rappresenta la felicità della coppia di sposi. Al concepimento, è il Feng a consegnare l'anima del nascituro nel grembo della madre.

    Garuda (sanscrito: गरुड Garuḍa), l'aquila, è una divinità induista minore, il monte (vahanam) di Viṣṇu, e una delle forme della divinità nell'induismo; è rappresentata con piume d'oro, faccia bianca, ali rosse, becco e ali d'aquila, ma un corpo spesso umano. Indossa una corona sulla testa come il suo padrone, Viṣṇu; è antica ed enorme, al punto da oscurare il sole.

    Secondo alcuni studiosi il nome deriverebbe da gara-ud-di, che significa "colui che aspetta il veleno", oppure "colui che porta un gran peso", mentre secondo altri deriverebbe da Garuman, il dio vedico del sole. Un racconto mitico narra che dopo essersi seduto su un ramo, accortosi che stava cedendo per il gran peso, visto che ospitava ben 40.000 asceti, con un gran sforzo è riuscito a sollevarlo.(Valakhilya)

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    La sua importanza nella religione induista può essere compresa dal fatto che un Upaniṣad indipendente, il Garudopanishada, e un Purana, il Garuda Purana, sono dedicati a lei. Garuda è nota con molti altri nomi - Chirada, Gaganeshvara, Kamayusha, Kashyapi, Khageshvara, Nagantaka, Sitanana, Sudhahara, Suparna, Takshya, Vainateya, Viṣṇuratha e altri ancora. Nei Veda è presente il più antico riferimento a Garuda, con il nome Shyena, laddove si dice che questo maestoso uccello avrebbe portato il nettare degli dei (amrit) sulla Terra dal Cielo; i Purana, molto successivi, riferiscono lo stesso di Garuda, indicando che Shyena e Garuda siano la stessa divinità (o lo siano diventate nel tempo). Una delle facce dello Shri Panchamukha ("cinque facce", metamorfosi di Hanuman) è Mahavira Garuda, rivolta ad occidente. Si crede che pregando Garuda sia possibile curare gli effetti del veleno. Nella mitologia buddhista, i garuda sono una razza divina di uomini-uccello, nemici dei naga, cui danno la caccia. Nel Mahasamyatta Sutta, si narra che Buddha abbia ottenuto una pace tra naga e garuda.

    Le raffigurazioni antiche lo rappresentano con sembianze per lo più animali, mentre quelle più recenti le hanno quasi completamente umanizzate.
    Garuda come simbolo nazionale dell'Indonesia.

    In Thailandia è nota come Krut (ครุฑ); in Birmania, ga-lon; in giapponese come Karura(迦楼羅), anche se in molte opere recenti si è recuperata la pronuncia Garuda (ガルダ - vedi sotto). Tutte le varianti sono comunque pronunce locali del nome sanscrito. In Thailandia (come Krut Pha, Krut con le ali aperte, simbolo della famiglia reale) e in Indonesia, Garuda è il simbolo nazionale; la compagnia aerea nazionale indonesiana si chiama inoltre Garuda Indonesia.

    In Giappone la Fenice figura col nome di Ho-ho o Karura (storpiatura del nome sanscrito Garuda): è un'enorme aquila sputa fuoco dalle piume dorate e gemme magiche che ne coronano la testa, ed annuncia l'arrivo di una nuova era.

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    Nelle leggende ebraiche, la Fenice viene chiamata Milcham. Dopo che Eva mangiò il frutto proibito, divenne gelosa dell'immortalità e della purezza delle altre creature del Giardino dell'Eden — così convinse tutti gli animali a mangiare a loro volta il frutto proibito, affinché seguissero la sua stessa sorte. Tutti gli animali cedettero, tranne la Fenice — che Dio ricompensò ponendola in una città fortificata dove avrebbe potuto vivere in pace per 1000 anni. Alla fine di ogni periodo di 1000 anni, l'uccello bruciava e risorgeva da un uovo che veniva trovato nelle sue ceneri.

    La fenice è cantata da numerosi poeti classici, come Ovidio (Metamorfosi XV), che scrisse che ogni 500 anni essa si rigenerava istantaneamente dalla proprie ceneri, in un nido di piante aromatiche che essa stessa costruisce.

    I padri della Chiesa accolsero la tradizione ebraica e fecero della fenice il simbolo della resurrezione della carne. La sua immagine ricorre frequentemente nell'iconografia delle catacombe.

    Dante Alighieri la cita in una similitudine dell'Inferno (XXIV 106-115).



    Quetzalcoatl, dio uccello (o serpente piumato) dell'America del Sud (Messico), aveva il dono di morire e risorgere; grande sovrano e portatore di civiltà. Da un'iscrizione Maya del 987 d.C.: «Arrivò Kukulkán, serpente piumato, a fondare un nuovo stato». I toltechi ne parlano come di un re-sacerdote di Tollan, che morì nello Yucatan, forse arso su un rogo (come la Fenice).

    Wakonda, uccello del tuono degli indiani Dakota. Per i Sioux, "grande potere superiore", fonte di potere e saggezza, divinità generosa che sostiene il mondo e illumina lo sciamano

    Nella narrativa dell'antica Persia è presenta con il nome di Homa o Seemorgh.

    Una interessante spiegazione ornitologica per il mito della Fenice, è che alcuni grandi volatili sbattono le ali sul fuoco per uccidere i parassiti col fumo. La Fenice, nel suo aspetto distruttore, viene a liberare il mondo dal male — i parassiti, appunto — bruciandolo col Fuoco Spirituale.


    Edited by gheagabry1 - 28/2/2020, 17:07
     
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