Posts written by gheagabry1

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    SIDURI

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    Il suo nome significa "giovane donna". E' una dea che compare nell'Epopea di Gilgamesh. E' associata alla fermentazione ed alla birra in particolare. Cerca di dissuadere Gilgamesh dalla sua ricerca dell'immortalità invitandolo a godere dei piaceri della vita.

    Siduri: i timori di una dea (1-29)

    Siduri, la taverniera che vive sulla riva del mare,
    colei che vive [ ]
    basamenti per le brocche sono fatti per lei,
    brocche d'oro sono fatte per lei,
    essa è rivestita di abiti e [ ] 1
    Gilgamesh errava attorno e [ ]
    era rivestito soltanto di una pelle... [ ]
    egli aveva sì carne degli dei nel corpo,
    ma angoscia albergava nel suo cuore.
    La sua faccia era come quella di uno che ha viaggiato
    per lunghe distanze. 5
    La taverniera lo vede da lontano,
    si consulta nel suo cuore e pronuncia le parole,
    con se stessa essa si consulta:
    "Forse quest'uomo è un assassino,
    egli sta andando in qualche posto per uccidere".

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    La taverniera lo osservò e sbarrò la porta.
    Tirò il chiavistello e vi appose il catenaccio.
    Ma egli, Gilgamesh, si accorse di ciò,
    sollevò il suo mento e si diresse verso la porta.
    Gilgamesh a lei parlò, così disse alla taverniera:

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    "Taverniera, perché dopo avermi guardato, hai sbarrato la tua porta?
    Hai tirato il chiavistello e apposto il catenaccio?
    (Se volessi) potrei abbattere la porta, far saltare il chiavistello,
    [ ]
    [ ] nella steppa"

    da l'Epopea di Gilgamesh, tavola X


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    SIDURI: LA FANCIULLA CHE FA IL VINO

    “Ivi era il giardino degli dei; tutt’intorno a lui stavano cespugli carichi di gemme. C’erano frutti di corniola da cui pendevano i rampicanti, belli a vedersi, e foglie di lapislazzuli ne pendevano, frammiste ai frutti, dolci alla vista; invece di rovi e cardi vi erano ematiti e pietre rare, agata e perle del mare”. Lo stupore di Gilgamesh non ebbe più limiti quando si accorse che nel giardino abitava una donna, una donna diversa dalle altre donne mortali. “Vive presso il mare la donna della vigna, colei che fa il vino; Siduri siede nel giardino sulla riva del mare con la coppa d’oro e i tini d’oro che le diedero gli dei”. La donna quando lo vide inizialmente tentò di sfuggirgli. “Perché vieni qui”, gli domandò, “vagando per i pascoli alla ricerca del vento?”. Gilgamesh le raccontò brevemente la sua storia, concludendo: “Ma ora, fanciulla che fai il vino, ora che ho visto il tuo volto fa che io non veda il volto della morte da me tanto temuta!”. Tuttavia lei gli rispose: “Gilgamesh, dove ti affretti? Non troverai mai la vita che cerchi. Quando gli dei crearono l’uomo, gli diedero in fato la morte, ma tennero la vita per sé. Quanto a te, Gilgamesh, riempi il tuo ventre di cose buone; giorno e notte, notte e giorno danza e sii lieto, banchetta e rallegrati. Siano linde le tue vesti, nell’acqua lavati, abbi caro il fanciullino che ti tiene per mano e nel tuo amplesso rendi felice tua moglie: poiché anche questo è il fato dell’uomo”.

    Epopea di Gilgamesh

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    NINKASI

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    Ninkasi (sumerico dnin-ka-si < *nin-kaš-si, "signora che prepara birra") è l'antica divinità sumera, patrona della birra.

    Suo padre era Enki, dio dell'acqua, e sua madre era Ninti, la regina dell'apsû: la leggenda vuole che sia nata da "una fresca acqua frizzante". Lei è una degli otto bambini generati per curare le ferite che Enki ha ricevuto, ed è la dea creata per "soddisfare il desiderio" e "appagare il cuore".

    Ninkasi occupa un posto significativo nei miti e nelle leggende dell'antica Mesopotamia. Rivelata per il suo ruolo nella creazione della birra, simboleggia l'essenza divina della birra e l'importanza culturale di questa bevanda sacra.

    Secondo testi antichi, si credeva che Ninkasi fosse stato inviato sulla Terra dagli dei stessi, con lo scopo di elevare l'umanità attraverso l'arte della birra. La produzione di birra in Mesopotamia era intrisa di rituali sacri e significato religioso. Il processo di fermentazione stesso fu visto come un atto divino, con Ninkasi al centro della scena.

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    Nata dall’acqua fluente
    teneramente accudita da Ninhursag.

    Avendo scoperto la tua città accanto al lago sacro,
    Lei ha terminato di costruire le grandi mura per te, Ninkasi.

    Tuo padre è Enki, Signore della creazione,
    tua madre è Ninti, la Regina del lago sacro.

    Tu sei colei che maneggia l’impasto con una grande pala,
    mischiando nella cavità il bappir con dolci aromi.

    Ninkasi, tu sei colei che maneggia l’impasto con una grande pala,
    mischiando nella cavità il bappir con datteri e miele.

    Tu sei colei che cucina il bappir nel grande forno,
    che mette in ordine le pile di grani sbucciati.

    Tu sei colei che bagna il malto sistemato sul terreno.
    I nobili cani tengono distanti anche i monarchi.

    Tu sei colei che inzuppa il malto in una giara,
    l’onda cresce, l’onda cala.

    Tu sei colei che stende l’infuso di malto cotto su larghe stuoie di canne.
    La freschezza prevale.

    Tu sei colei che con ambo le mani regge il grande dolce mosto di malto,
    facendolo fermentare con miele e vino, Ninkasi.

    Il tino per il filtraggio, che produce un suono piacevole,
    tu lo sistemi in modo appropriato su una larga tinozza raccoglitrice.

    Quando versi la birra filtrata dalla tinozza raccoglitrice,
    è come l’avanzata impetuosa del Tigri e dell’Eufrate, Ninkasi.

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    Quando gli uomini hanno cominciato ad assumere uno stile di vita sedentario e a coltivare il grano, circa 13 mila anni fa, probabilmente scoprirono la possibilità della fermentazione, trattandosi di un fenomeno naturale. Ma secondo alcune fonti solo a partire dal V secolo a.C. si sarebbe affermata la produzione deliberata di birra nell’antica Mesopotamia.

    La bevanda divenne così importante presso l’antica cultura mesopotamica che i sumeri ebbero anche una dea della birra, Ninkasi, e un anonimo poeta, colpito dal suo potere, le dedicò un inno nel 1800 a.C. Figlia del potente creatore Enki e di Ninti, «regina del lago sacro», Ninkasi era una dea potentissima. L’inno a Nikasi non fornisce solo un punto di vista sull’importanza della birra nella mitologia sumera, ma ci dà anche una ricetta per la preparazione dell’antica birra sumera, la più antica che abbiamo finora.

    "Tu sei colei che con ambo le mani regge il grande dolce mosto di malto,
    facendolo fermentare con miele e vino, Ninkasi.

    Il tino per il filtraggio, che produce un suono piacevole,
    tu lo sistemi in modo appropriato su una larga tinozza raccoglitrice.

    Quando versi la birra filtrata dalla tinozza raccoglitrice,
    è come l’avanzata impetuosa del Tigri e dell’Eufrate, Ninkasi."



    La prima testimonianza scritta la troviamo nel “Monumento Blu”, una tavoletta di argilla a caratteri cuneiformi di epoca predinastica sumerica, datata 3700 a.C. nella quale si menzionano doni a una dea, Ninkasi, consistenti in “miele, capretti e birra”.



    I “Codici hammurabici” illustrano puntigliosamente come deve essere preparato il “vino di datteri” e la se-bar-bi-sag. E’ sorprendente notare come tale procedimento, siano ancora oggi valido nella sua essenzialità: maltizzazione, macinatura, lievitazione, cottura, filtraggio, aromatizzazione. La fabbricazione era estremamente semplice ed efficace. Selezionavano dal raccolto annuale il migliore orzo, che veniva posto ad inumidire sino a quando principiava la germinazione, quindi veniva messo ad asciugare al sole e quando era ben secco, si macinava e si impastava con acqua formando dei pani. Quando questi erano spontaneamente lievitati, si ponevano a cuocere a forno molto caldo, in modo che si formasse rapidamente la crosta, mentre all’interno la pasta doveva rimanere molliccia. Per ottenere la birra, questi pani venivano frantumati e posti a cuocere con abbondante acqua in grandi recipienti di terracotta, quindi, al liquido filtrato, si aggiungevano erbe aromatiche, come la salvia ed il rosmarino. Tutto ciò avveniva sotto lo stretto controllo dello Stato, l’unico e solo ad avere diritto a tali produzioni, e la lavorazione ufficiale veniva fatta nei locali delle cantine reali, dai prestigiosi “gal-bi-sag”, i Mastribirrai dell’epoca, utilizzando apposite giare e vasi sui quali spiccavano, oltre ai simboli dell’orzo e della birra, i sigilli reali.
    La conservazione del frumento avveniva nelle anfore granarie. Prima di sigillarle ermeticamente con cera d’ape, ponevano all’interno alcune piccole tartarughe le quali, respirando, consumavano tutto l’ossigeno, assicurando così la migliore conservazione. Il più noto ed autorevole bevitore di birra del mondo antico, fu il mitico eroe babilonese Enkidu, così come viene narrato nella epopea di Gilgamesch.(https://edinterranunnaka.wordpress.com/)
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    da giuliascardone

    Dalle uova alle banane: ecco i cibi che non
    sapevamo di poter congelare e come



    ROMA - Il congelatore ci aiuta in molte circostanze: per non sprecare il cibo che potrebbe andare a male e per mangiare con comodità la roba conservata senza cucinarla, ma ci sono degli alimenti che non sapevamo di poter surgelare.

    Secondo Helen White della campagna 'Love Food Hate Waste' "si può congelare praticamente tutto. Ci sono solo un paio di eccezioni, come il formaggio a pasta molle". "Quando metti qualcosa nel freezer è come se spingessi il tasto 'pausa' per un cibo" sottolinea l'esperta, aggiungendo però che "la qualità inizia a deteriorarsi dopo tre mesi. In teoria dovresti consumarlo entro 6 mesi, ma niente panico se è trascorso più tempo".

    Dalle banane ai pomodori, ecco cosa non mettere (mai) in frigo

    Uova - Non possono essere congelate con tutto il guscio, perché possono esplodere. Meglio separare il bianco dal rosso prima di congelarle, oppure batterle e conservarle in un contenitore di plastica prima del congelamento con data e quantità: saranno perfette per frittate e omelette. L'ideale è aggiungerci un pizzico di sale o di zucchero a seconda dell'uso che se ne farà.

    Formaggio - Non tutti i tipi di formaggio possono essere congelati. La crema di formaggio rischia di diventare acquosa, ma se grattugiate una varietà a pasta dura e lo conservate in un sacchetto, sarà perfetto al momento di utilizzarlo in cucina. Va bene anche mettere in freezer un pezzo intero ma l'uso diventa più complicato una volta tirato fuori.

    Avocado - Non è sempre facile trovare un avocado giunto a maturazione perfetta. Congelarlo rende questa operazione più facile! L'importante è dividerlo, togliere il nocciolo e spruzzare qualche goccia di limone o lime prima di metterlo in un sacchetto.

    Spezie ed erbe aromatiche - Le erbe aromatiche hanno spesso 'vita breve' e non capita di rado che nel frigorifero marciscano. Tritate e congelate manterranno inalterato il loro sapore. Basterà metterle su un piatto prima di utilizzarle una volta tritare fuori dal freezer. Anche per lo zenzero, tagliato finemente e congelato, è preferibile il freezer: il frigo infatti lo secca.

    Hummus - Molte marche si mantengono meglio in freezer. Meglio se messe in un contenitore con un sottile strato di olio sulla parte superiore che gli impedisce di diventare secco.

    Patate - Si sa che alle patate il frigorifero non piace. E' possibile invece farle bollire 5 minuti, lasciarle raffreddare e poi congelarle. Scongelandole durante la notte, saranno perfette per l'arrosto. Anche il purée può essere congelato.

    Funghi - Oltre a essere seccati, i funghi possono anche essere congelati. L'unica cosa è che, dopo averli tagliati, bisogna adagiarli su un piatto in modo che nessuna fettina sia sovrapposta e metterli così per 2 ore in freezer. Trascorse le 2 ore, potranno essere messe in un sacchetto o in un contenitore e congelate: solo in questo modo le fettine non saranno attaccate tra loro.

    Burro - Se pensate di non riuscire a utilizzare entro la scadenza tutta la confezione di burro acquistata, potete tranquillamente congelarlo anche a dadini o fettine.

    Vino - E' avanzato del vino e non siete dei gran bevitori? Congelatelo nei contenitori del ghiaccio: saranno perfetti per aggiungerli alla cottura di un piatto.

    Caffè - Anche il caffè pronto avanzato può essere congelato in cubetti, rinfresca e dà energia.

    Qualche altro consiglio? Anche il latte congelato in cubetti è utile ad esempio da mettere nel tè, meglio utilizzare i contenitori di plastica e nel caso dei pomodori che perdono acqua è preferibile congelarli già passati. Una volta scongelato un alimento, meglio consumarlo entro 24 ore.

    (Mercoledì 13 Aprile 2016, 17:29:37)




    FONTE:
    © www.leggo.it/societa/cucina/cibi_co...hi-1667711.html,
    web,www.imbalstock.it,www.deabyday.tv
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    James Firnhaber

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    James Firnhaber è un illustratore freelance con sede a Filadelfia. Il suo lavoro si basa sul suo amore per la mitologia, il realismo magico, i graphic novel e l'animazione tradizionale. Si è laureato con un BFA in illustrazione presso l'Università delle Arti nel 2016.

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    MAGNUS LUNDGREN

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    Magnus Lundgren è un fotografo professionista e giornalista svedese specializzato in ambienti marini e d'acqua dolce.
    È un capo di spedizione fidato ed esperto da 25 anni che visita ambienti dall'Artico fino al caldo arcipelaghi lungo l'equatore.

    Magnus è la forza trainante e il proprietario di uno dei più grandi progetti di comunicazione sulla natura mai chiamato Wild Wonders of Europe, che ha raggiunto più di 800 milioni di persone.

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    TREMOCTOPUS
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    Il genere Tremoctopus (i cui membri sono anche detti polpi palmati), è costituito da 4 specie di polpi, anche se Ronald F. Thomas considera valide unicamente due specie (T. violaceus e T. gelatus), mentre il Tremoctopus violaceus è separato in due sottospecie: T. violaceus violaceus e T. violaceus gracilis.

    Il T. violaceus violaceus si trova nel Mar Mediterraneo e nell'Oceano Atlantico fra le latitudini 40° N e 35° S, il T. gelatus al largo delle coste della Florida e nelle acque vicino alle Isole Hawaii e nell'Oceano Indiano, il T. violaceus gracilis nell'Oceano Pacifico e Indiano.

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    Queste specie hanno un grado estremo di dimorfismo sessuale: secondo il Museo di Melbourne, "non esiste nessun'altra creatura che abbia una tale differenza di dimensioni tra maschio e femmina". Con soli 2,4 cm di lunghezza, il maschio è sproporzionatamente più piccolo della femmina che può raggiungere i 2 m: ciò significa che la femmina può essere 100 volte più grande del suo compagno e fino a 40 000 volte più pesante. Gli individui maschili svolgono un'esistenza semplice, raggiungendo presto la maturità sessuale e vagando per le acque marine alla ricerca di una compagna. Una volta trovata, il polpo riempie uno speciale tentacolo chiamato ectocotile di spermi, lo recide e lo "regala" alla propria partner che lo utilizzerà per fecondare le uova, ed infine muore. La femmina porterà con sé più di centomila uova attaccate ad una secrezione calcarea a forma di salsiccia tenuta alla base delle braccia dorsali fino alla schiusa.

    IL POLPO COPERTA

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    Il Tremoctopus violaceus è un polpo chiamato blanket octopuses o "polpi coperta" per la vistosa caratteristica di possedere lunghe membrane tra i tentacoli che possono srotolare e gonfiare per apparire di dimensioni maggiori e scoraggiare potenziali predatori. come molti altri cefalopodi, il polpo palmato usa l'inchiostro per intimidire e confondere i potenziali predatori tra cui verdesche, tonni e pesci spada. Gli esemplari del genere Tremoctopus sono inoltre immuni al potente veleno della caravella portoghese e sono stati osservati esemplari immaturi di polpo strappare e usare i tentacoli urticanti di questo cnidario per scopi offensivi e difensivi.

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    «Tutta la regione della Gallia è divisa in tre parti: la prima è abitata dai Belgi, la seconda dagli Aquitani, la terza da quelli che nella loro lingua si chiamano Celti, nella nostra Galli. Tutte queste popolazioni differiscono tra loro per lingua, per istituzioni, per leggi. Il fiume Garonna divide i Galli dagli Aquitani, la Marna e la Senna li dividono dai Belgi. Di tutti costoro i più forti sono i Belgi, perché sono i più lontani dalla civiltà e dalle raffinatezze della provincia, e quasi mai i mercanti vi giungono per portarvi quelle merci che servono a rendere più effeminati gli animi; sono prossimi ai Germani, che abitano al di là del Reno e con i quali sono continuamente in guerra. Per questa ultima ragione anche gli Elvezi superano in valore gli altri Galli, perché combattono quasi quotidianamente con i Germani, quando o li scacciano dal loro territorio o essi stessi portano guerra nel territorio di quelli. [Una parte della regione che, come si è detto, è abitata dai Galli, ha principio dal fiume Rodano; è limitata dal fiume Garonna, dall’Oceano, dal territorio dei Belgi; dalla parte dei Sequani e degli Elvezi tocca anche il fiume Reno; indi si estende a settentrione. Il paese dei Belgi ha principio dagli ultimi confini della Gallia; si stende verso la parte inferiore del fiume Reno, guarda a settentrione e ad oriente. L’Aquitania va dal fiume Garonna alla catena dei Pirenei e a quella parte dell’Oceano che tocca la Spagna; è volta tra l’Occidente e il Settentrione].»
    (Cesare, De Bello Gallico, I, 1-7)
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    Lo Storico ribelle

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    Lo Storico ribelle, noto anche come Bitto storico, è un formaggio lombardo, conosciuto anche come formaggio "della Val del Bitt". È un presidio Slow Food, prodotto nelle Alpi Orobie in modo artigianale con uno specifico disciplinare.
    Viene prodotto esclusivamente nei mesi estivi in alpeggio: il bestiame costituito da vacche da latte (tradizionalmente di razza bruno alpina) e da capre (di razza orobica autoctona della Valgerola) viene condotto sui pascoli nel mese di giugno e vi resta fino al mese di settembre. Il latte viene lavorato immediatamente dopo la mungitura, talvolta nelle strutture chiamate “calècc”, che fungono da caseificio adiacente al pascolo.

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    "Nel “calecc” si trova la tradizionale “culdera” un grande paiolo in rame a forma di campana rovesciata che può pesare fino a 50 kg, dove al latte vaccino appena munto e ancora caldo viene aggiunta una percentuale ( 10-20%) di latte caprino. Il latte viene riscaldato nella “culdera” posta sul focolare a legna attraverso un paranco girevole in legno detto “màsna”, fino a raggiungere una temperatura di 35-37° C.
    Tolta la “culdera” dal fuoco, si aggiunge il caglio di vitello per la coagulazione del latte; la massa di latte coagulato detta cagliata viene poi rotta molto finemente con uno strumento chiamato “spìgn”. Si tratta di un bastone in legno dotato di fili metallici all’estremità che permettono di rompere la cagliata fino a raggiungere la dimensione di un chicco di riso.
    Dopo questa operazione la “culdera” viene rimessa sul fuoco a legna e portata alla temperatura finale di 50-52°C, nel giro di due ore.
    Raggiunta questa temperatura, il casaro estrae la pasta di formaggio attraverso un telo in lino e la pressa nelle fascere in legno circolari di diametro regolabile di circa 50 cm, che conferiscono il caratteristico scalzo concavo. La pasta pressata dentro le “fascere” viene posta su un piano in legno leggermente inclinato detto “spresùn”, che permette al siero presente nel formaggio di defluire attraverso canaline di scolo.
    Nella “culdera” a questo punto rimane il siero di lavorazione del latte che verrà utilizzato per la produzione della mascherpa."

    (https://storicoribelle.com/produzione/)

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    A detta degli storici il nome Bitto sembra derivi dal celtico "Bitu" che etimologicamente significa "perenne". Probabilmente la parola si riferiva già all'epoca alla straordinaria capacità di quel formaggio che i celti misero a punto in epoca romana di prestarsi a lunghe lunghissime stagionature.
    Bitto divenne il nome di quel torrente che scorreva in quella zona delimitata dove si produceva quel formaggio dalle capacità perenni. I Celti in fuga dai Romani conquistatori trovarono rifugio in questa zona della Valtellina delimitata e protetta dalla morfologia del territorio.

    Già nel 1908 i produttori del Bitto fecero un tentativo di promozione del prodotto con la costituzione della "Società di caricatori d'Alpi di Morbegno".
    A partire dal 1996, quando è stata assegnata la denominazione di origine protetta al Bitto (allargando la zona di produzione e modificandone il metodo), un gruppo di produttori si è oppose alle modifiche per continuare a produrre il formaggio con il metodo tradizionale e sottolineare la differenza tra la produzione tradizionale e quella moderna.

    Dal primo settembre 2016, a seguito di una lunga controversia, si è decisa la registrazione di un nuovo marchio - Storico ribelle -, in modo da differenziare il prodotto dal Bitto DOP sia come disciplinare di produzione, sia come nome.
    Le valli deputate sono esclusivamente quelle di Gerola Alta e Albaredo San Marco, l’alimentazione dei bovini è solo quella del pascolo e il controllo della qualità delle singole forme che maturano nel Centro del Bitto è condotto con assoluta attenzione: dall’acquisto delle forme ai pastori al rientro dai pascoli in settembre fino alla marchiatura a fuoco finale.

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    MOOSE CHEESE

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    Il Moose Cheese è l’unico formaggio al mondo prodotto con latte d’alce. L’idea è nata in Svezia da Christer e Ulla Johansson, che hanno adottato tre esemplari di alce abbandonati: Gullan, Haelga e Juno che lattano solo da maggio a fine settembre.

    Viene prodotto in tre varietà - una varietà morbida, a muffa bianca, simile al Camembert; un formaggio blu cremoso; un formaggio blu secco; e feta. Quest’ultimo, conservato in olio vegetale neutro, è il best seller di Elk House. Alcuni recensori affermano che la feta ha un sapore leggermente acido e una consistenza morbida - e per assaggiarlo si deve andare fino in Svezia, proprio nella fattoria Elk House di Bjurholm, considerata l’unico produttore mondiale di formaggio d’alce. I tre animali che ci vivono riescono a produrre latte per circa 300 chilogrammi di formaggio all’anno; per la sua rarità viene venduto a circa 1.000 euro al chilo.

    Wyke Farms Cheddar

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    Questo lussuoso formaggio arriva dal Regno Unito. Prodotto da Wyke Farm fin dal 1860 il “Cheddar d’oro” deve il suo gusto deciso all’aggiunta di tartufo bianco e scaglie d’oro commestibili.
    Ci vuole un anno perché il formaggio raggiunga il suo vero potenziale, ma quando ci arriva diventa un pasto da veri intenditori. Infatti, è stato premiato più volte per il suo gusto e la sua qualità. Il prezzo si aggira intorno ai 500 euro al chilo.

    La ricetta originale del formaggio è stata creata da Ivy Clothier (1908-1987). Ivy Clothier ha utilizzato la prima mandria di mucche di suo marito per produrre formaggio. La ricetta divenne molto conosciuta nelle zone locali e lei successivamente acquistò il latte da altri allevamenti. Ha vinto numerosi premi per il suo formaggio, il primo dei quali nel 1952. La ricetta di Ivy è utilizzata ancora oggi.
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    Clara Peeters, Natura morta con formaggi, carciofo e ciliegie, 1625 circa

    "Le mucche ci sono anche in Cina, in India sono sacre, eppure il formaggio esiste solo in Europa. Ancora una volta è colpa degli antichi Romani i quali lo chiamavano "caseus" per permettere agli anglosassoni d'oggi di chiamarlo "cheese" e ai tedeschi di chiamarlo "Käse" e agli spagnoli "queso". Noi e i francesi lo chiamiamo in modo diverso perché ne prendiamo la parola dalla forma che assumeva nell'antichità per essere venduto, il famoso "formaticum" per cui dire oggi una forma di formaggio è un'esagerata ridondanza, ma siccome "repetita iuvant", il ripetere fa bene alla salute e alla mente, i francesi e gli italiani possono vantare la massima diversificazione di questo cibo fondamentale, anche se gli olandesi che lo chiamano "kaas" lo hanno dipinto più d'ogni altro popolo."

    Tratto dal libro di Philippe Daverio “Arte in tavola”

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    LA MORTE DI CALIGOLA




    Nel nono giorno prima delle calende di febbraio, quando le ombre dell'antica Roma si allungavano sotto il peso di segreti e complotti, l'imperatore noto al mondo come Caligola, si trovava nel portico che collegava un teatro al palazzo imperiale. La sua mente era intrisa di sogni di grandezza, eppure quel giorno sarebbe stato il suo ultimo atto sulla scena di Roma.
    Verso la settima ora del mattino, alcuni amici, o meglio, coloro che si fingevano tali, lo persuasero a uscire dalle mura protettive del palazzo. Caligola, eccentrico e impulsivo, accettò l'invito senza sospettare l'inganno che si celava dietro.
    Percorrendo un corridoio lievemente illuminato da fiaccole, si avvicinò a dei giovani attori provenienti dall'Asia che erano in attesa. L'imperatore si fermò a parlare con loro, perdendo un poco di tempo.
    Fu in quel momento cruciale che l'orrore si scatenò. Il tribuno Cherea, il capo del complotto, tradì Caligola. Con un colpo micidiale, Cherea affondò la sua spada nel collo dell'imperatore, tradendo un'amicizia che un tempo sembrava solida come le mura di Roma stessa.
    Il tribuno Cornelio Sabino, anch'egli un congiurato, sferrò un attacco diretto, trafisse il petto di Caligola e le sue azioni segnarono il destino di un uomo che era stato un giorno l'incarnazione del potere.
    Ci sono due versioni di quegli istanti sanguinosi: nella prima, mentre Caligola si intratteneva con quei giovani nobili, Cherea lo colpì alle spalle, gridando con ferocia: "Tieni questo!"
    Nella seconda, Sabino, con calma, chiese a Caligola la parola d'ordine, e quando il Princeps rispose "Giove!" Cherea, allora, urlò: "Giusto!" e spezzò la mascella dell'imperatore con un pugno.
    Nonostante le ferite mortali, Caligola giacque a terra, le membra contorte dal dolore, ma la sua voce echeggiava ancora tra i corridoi del potere, ma i suoi assassini implacabili non ebbero pietà. Con trenta colpi feroci posero fine al suo regno.
    Il tumulto attirò l'attenzione degli spettatori, dei portatori della lettiga armati di bastoni e dei leali Germani della sua guardia personale. In un frenetico scontro, alcuni dei traditori caddero sotto le lame.

    Svetonio, Vita di Caligola, 58
  13. .

    "Durante la navigazione verso Rodi, avvenuta nella stagione invernale, [Cesare] fu fatto prigioniero dai pirati presso l’isola di Farmacusa e rimase con loro, non senza la più viva indignazione, per circa quaranta giorni, in compagnia di un medico e di due schiavi. I compagni di viaggio, infatti, e tutti gli altri servi erano stati inviati immediatamente a Roma per raccogliere i soldi del riscatto. Quando furono pagati i cinquanta talenti stabiliti, venne sbarcato su una spiaggia e allora, senza perdere tempo, assoldò una flotta e si lanciò all’inseguimento dei pirati: li catturò e li condannò a quel supplizio che spesso aveva minacciato loro per scherzo."
    (Svetonio, Vita dei Cesari)


    CESARE e i pirati

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    Uno degli episodi più noti della vita di Gaio Giulio Cesare riguarda la sua cattura da parte di pirati della Cilicia,
    una regione della costa sudorientale dell’Asia Minore, e la vendetta che si prese dopo essere stato liberato. Di
    quest’episodio si sono occupati gli storici Svetonio (75-140) e Plutarco (ca. 46-ca. 120), che vissero nello stesso
    periodo.


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    Non passò però molto tempo che [Cesare] s’imbarcò
    di nuovo, ma giunto al largo dell’isola di Farmacusa
    fu catturato dai pirati, che già allora dominavano
    il mare con vaste scorrerie e un numero sterminato
    di imbarcazioni. I pirati chiesero venti talenti per
    il riscatto e lui, ridendo, esclamò: «Voi non sapete
    chi avete catturato! Ve ne darò cinquanta».
    Dopodiché spedì alcuni del suo seguito in varie città
    a procurarsi il denaro e rimasto lì con un amico e due
    servi in mezzo a quei Cilici, ch’erano gli uomini più
    sanguinari del mondo, li trattò con tale disprezzo
    che quando voleva riposare gli ordinava di fare
    silenzio. Passò così trentotto giorni come se fosse
    circondato non da carcerieri ma da guardie del corpo,
    giocando e facendo ginnastica insieme con loro,
    scrivendo versi e discorsi che poi gli faceva ascoltare,
    e se non lo applaudivano li redarguiva aspramente,
    chiamandoli barbari e ignoranti. Spesso, scherzando
    e ridendo, minacciava d’impiccarli, e quelli,
    attribuendo la sua sfrontatezza all’incoscienza tipica
    dell’età giovanile, a loro volta gli ridevano dietro.
    Ma appena giunse da Mileto il denaro del riscatto
    e pagata la somma fu rilasciato, allestì subito delle
    navi e dal porto di quella stessa città salpò alla caccia
    dei pirati. Li sorprese che stavano alla fonda nelle
    vicinanze dell’isola, li catturò quasi tutti, saccheggiò
    i frutti delle loro razzie, fece rinchiudere gli uomini
    nella prigione di Pergamo e si recò difilato dal
    governatore d’Asia, I’unico, che in qualità di pretore
    aveva il compito di punire i prigionieri. Ma quello,
    messi gli occhi sul bottino (piuttosto cospicuo,
    in verità), disse che si sarebbe occupato a suo tempo
    dei prigionieri. Allora Cesare, mandatolo alla malora,
    tornò di corsa a Pergamo e tratti fuori dal carcere
    i pirati li impalò tutti quanti così come nell’isola con
    l’aria di scherzare, gli aveva spesso pronosticato."

    Plutarco, Vite parallele


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  14. .

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    Ho conosciuto un bambino che era sette bambini.
    Abitava a Roma, si chiamava Paolo e suo padre era un tranviere.
    Però abitava anche a Parigi, si chiamava Jean e suo padre lavorava in una fabbrica di automobili.
    Però abitava anche a Berlino, e lassù si chiamava Kurt, e suo padre era un professore di violoncello.
    Però abitava anche a Mosca, si chiamava Juri, come Gagarin, e suo padre faceva il muratore e studiava matematica.
    Però abitava anche a Nuova Vork, si chiamava Jimmy e suo padre aveva un distributore di benzina.
    Quanti ne ho detti? Cinque. Ne mancano due: uno si chiamava Ciù, viveva a Shanghai e suo padre era un pescatore; l'ultimo si chiamava Pablo, viveva a Buenos Aires e suo padre faceva l'imbianchino.
    Paolo, lean, Kurt, luri, Jimmy, Ciù e Pablo erano sette, ma erano sempre lo stesso bambino che aveva otto anni, sapeva già leggere e scrivere e andava in bicicletta senza appoggiare le mani sul manubrio.
    Paolo era bruno, Jean biondo, e Kurt castano, ma erano lo stesso bambino. Juri aveva la pelle bianca, Ciù la pelle gialla, ma erano lo stesso bambino. Pablo andava al cinema in spagnolo e Jimmy in inglese, ma erano lo stesso bambino, e ridevano nella stessa lingua. Ora sono cresciuti tutti e sette, e non potranno più farsi la guerra, perché tutti e sette sono un solo uomo.


    Gianni Rodari, Favole al telefono
  15. .

    Dopo la morte di Cesare

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    Bruto muore suicida il 23 ottobre 42 a.C.

    Ma il suo grande demone, di cui frui durante la vita, lo seguì in morte come vendicatore della sua uccisione, perseguitando per tutta la terra i suoi uccisori fino a non lasciarne in vita alcuno, anzi colpendo tutti coloro che in qualche modo avevano messo mano all'azione o avevano avuto parte al disegno. Dei fatti umani, il più straordinario fu quello che riguardò Cassio: sconfitto a Filippi, si uccise con quel pugnale con il quale aveva colpito Cesare; dei fatti divini il più segnalato fu l'apparizione di una stella cometa, che apparve visibile per sette notti dopo l'uccisione di Cesare e poi scomparve, e l'oscuramento del sole. Infatti per tutto quell'anno il disco del sole si levò pallido e senza bagliori, e ne veniva un calore languido e tenue, cosicché l'aria circolava nebbiosa e pesante per la fiacchezza del calore che la scioglie, e i frutti restavano incompiuti e semimaturi, o marcivano per il freddo dell'atmosfera. Ma fu soprattutto quel fantasma che apparve a Bruto che rivelò che l'uccisione di Cesare non era stata ben accetta agli dei. Capitò così. Quando stava per far passare l'esercito da Abido sull'altra sponda, di notte, secondo il suo solito, riposava nella tenda, non dormendo, ma pensando al futuro. Dicono che quest'uomo dormiva meno di tutti i condottieri, e per natura poteva star sveglio moltissimo tempo.
    Gli sembrò di sentire un rumore presso la porta, e guardando alla luce della lanterna già fioca, ebbe la terribile visione di un uomo di eccezionale grandezza e di aspetto spaventoso. Ne rimase dapprima sbigottito, ma quando vide che quello né diceva né faceva alcunché, ma se ne stava in silenzio presso il suo letto, gli chiese chi fosse. L'apparizione rispose: «Il tuo cattivo demone, o Bruto: mi vedrai a Filippi». E Bruto coraggiosamente rispose: «Ti vedrò». E subito l'apparizione sparì.
    A tempo debito, schieratosi a Filippi contro Antonio e Ottaviano, in un primo momento ebbe il sopravvento dalla sua parte e volse in fuga gli avversari e si spinse a saccheggiare il campo di Ottaviano; ma nel secondo scontro, ancora di notte gli venne lo stesso fantasma, e non disse nulla; Bruto capì il suo destino e si buttò nel pericolo. Non cadde però in battaglia, ma nella fuga si rifugiò in luogo dirupato, e appoggiato il petto alla spada nuda mori, aiutato, come dicono, da un amico che rese il colpo più forte.
    Plutarco, Vite Parallele - Cesare, 69, 2 - 14.
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