CHEF RUBIO - Gabriele Rubini

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    "Rubio è un cuoco non convenzionale, indipendente,
    che non ha un ristorante ma è sempre in viaggio alla scoperta di saperi e sapori."

    CHEF RUBIO
    Gabriele Rubini


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    All'anagrafe è Gabriele Rubini, classe 1983 e originario di Frascati, ma tutti lo conoscono come chef Rubio, lo chef che quando lo incontri sul tuo stesso cammino è meglio non far arrabbiare. Ex rugbysta oggi, invece, è uno dei personaggi più amati sul piccolo schermo.

    Frascatano, fratello del rugbista professionista Giulio, Gabriele Rubini ha praticato il rugby a Roma fin dalla giovane età, esordendo in Super 10 nel 2002 con il Parma; divenuto atleta di interesse nazionale, la Federazione ne bloccò il trasferimento per la stagione successiva fino a tutto il 2003-04; tornato nella capitale, è stato al Rugby Roma fino al 2005 con 12 presenze in totale in serie A.

    Alla fine della stagione si è trasferito in Nuova Zelanda, reclutato dal Poneke RFC, un club della provincia rugbistica di Wellington; lì, per mantenersi, ha lavorato in un ristorante, non ricevendo uno stipendio fisso dal club: da quel momento è iniziata, parallelamente all'attività rugbistica, anche quella culinaria.

    Rientrato in Italia, è stato nel 2007 al Rovigo in Super 10 e, dal 2008, dapprima in serie A, poi in Eccellenza, con la Lazio, squadra nella quale ha chiuso la sua carriera agonistica nel 2011 a causa di un infortunio al legamento crociato.

    Nel frattempo ha frequentato il corso internazionale di cucina italiana diplomandosi nel 2010.

    Chef-Rubio

    Dopo il ritiro dall'attività sportiva si è trasferito in Canada per espandere le conoscenze culinarie e trovare nuove occasioni di lavoro, e dal ritorno in patria si è stabilito a Roma. Dal 2013 inizia la collaborazione con il canale televisivo DMAX esordendo con il programma Unti e bisunti al quale, negli anni, seguiranno ulteriori esperienze.

    Dal dicembre 2014 supporta Never Give Up, associazione non profit per lo studio e la cura dei disturbi del comportamento alimentare; mentre dal 2016 insieme alla sous chef e coach LIS, Deborah Donadio, collabora con l'Istituto statale per sordi di Roma per la realizzazione del programma Segni di gusto. In seguito è stato cuoco ufficiale della nazionale italiana alle Paralimpiadi di Rio 2016 e per circa due anni, sino alla fine di maggio del 2018, ha supportato Amnesty International Italia per i diritti umani contro ogni discriminazione.

     
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    Intervista a Chef Rubio
    “La cucina è uno strumento per parlare di cultura”


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    Incontrando Chef Rubio, la prima sensazione che si ha non è sicuramente quella di trovarsi di fronte a uno dei soliti divi della tv, quelli che dopo aver avuto un po’ di visibilità cominciano a soffrire di quello strano ed epidemico disturbo di scollamento dalla realtà.

    Al contrario lui risulta una persona schietta e affabile che parla del proprio lavoro e progetti con rispetto e pragmatismo, come di chi mette molta cura in tutto ciò che fa.

    Eppure di motivi per vantarsi ne avrebbe. 3 edizioni di Unti e Bisunti su DMAX , in cui ha fatto conoscere tradizioni e cucina di strada di tutta Italia, I re della Griglia, Il cacciatore di tifosi, il programma in 6 puntate E’ uno sporco lavoro e 3 edizioni (l’ultima delle quali conclusasi a fine settembre 2017) della web serie dal titolo Cucina in tutti i Sensi. Video-ricette inclusive, rivolte a tutti e tradotte in Lingua dei Segni Italiana dalla LIS coach, istruttrice e attrice sorda Deborah Donadio (ISSR), per una cucina senza barriere, oltre ogni disabilità.

    Novità dell’edizione 2017 è stata, poi, quella d’aver reso accessibile il programma anche alle persone cieche, grazie all’integrazione di una serie di applicazioni screenreader, che convertono le immagini e i testi in contributi audio per l’utenza cieca e all’aver incluso, nella squadra ai fornelli, anche la Sous Chef ipovedente Serena Sacco (L’Altro Spazio).

    Avete mai pensato, ad esempio, al suono di una zucchina quando viene tagliata? E a quello di un peperone?
    Inconfondibile, ve lo garantisco! Basta chiudere gli occhi e provare, per un momento, questa esperienza sensoriale.

    Come più volte ha precisato Rubio: “La cucina è uno strumento per parlare di cultura, di popoli. L’arte culinaria è solo un tramite, mentre il punto di partenza e quello di arrivo sono sempre le persone, il loro vissuto, la loro storia, il territorio”.
    Tablet Roma ha avuto il piacere di incontrarlo e intervistarlo al Cooking show Aran che si è tenuto a Roma, venerdì 13 ottobre, presso l’Aran Store Gregorio VII a Roma, in una serata divertente, conviviale e ricca di spunti, che ha coinvolto anche il numeroso pubblico non udente, con domande e tantissime curiosità.

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    Buonasera Chef Rubio, possiamo chiederti chi ti ha trasmesso l’amore per il cibo e la cucina?

    Diversi fattori. La famiglia, il mondo, le esperienze che ho avuto da ragazzino. O sono stato fortunato o ero predisposto al mondo gastronomico.

    Grazie al tuo lavoro e ai tanti programmi che hai condotto, ricordiamo Unti e Bisunti, I re della griglia e tanti altri, hai potuto testare tante cucine, tra le quali anche quelle tradizionali italiane. Ce n’è una che reputi la migliore?

    Direi di no. Sono tutte interessanti e varie, da Nord a Sud. Ci sono piatti estremamente semplici, ma proprio perché vanno nella direzione della semplicità, sono difficili da eseguire.
    Chi li fa bene non è un improvvisato, anche se non ha la qualifica di chef, ma è una persona che conosce bene la materia prima e la maneggia con tutte le attenzioni di questo mondo. Ovunque si va in Italia, se si trova il giusto interprete, si può mangiare bene.

    E delle cucine un po’ più innovative, tipo quella fusion, cosa ne pensi?

    Tutte le cucine sono interessanti e vale la pena osservarle. Poi ce ne sono di più solide e di meno solide.

    Tra i tuoi ultimi programmi c’è la web serie Cucina in tutti i sensi, in cui hai preparato alcune ricette conosciute, con la traduzione in Lingua dei Segni, grazie a Deborah Donadio – insegnante LIS all’Istituto Statale per Sordi di Roma e in questo caso anche tuo Sous Chef – che ti ha affiancato nel programma. Ci vuoi raccontare com’è nata questa idea?

    E’ nata dallo studio della Lingua dei Segni. Ho frequentato il primo corso di LIS presso l’ISSR (Istituto Statale Sordi di Roma). Prima è cominciata la passione per la lingua e poi mi sono detto, perché non fare dei video destinati anche a loro?
    Da lì è stato poi abbastanza facile, perché comunque avevo fatto amicizia con Deborah Donadio, che è l’assistent coach, ma è anche un’attrice, quindi molto portata a stare di fronte al video ed è stato poi semplice coinvolgerla e fare questa cosa insieme.

    Quindi conosci bene la LIS?

    No, è un qualcosa che va sempre rinfrescato. Se smetti due o tre mesi già cominci a perdere i vocaboli. La lingua la comprendo, ma se non mi esercito ogni tanto è difficile riuscire a parlare in maniera fluida.

    A maggio 2016 sei stato nominato dal Comitato Paralimpico Italiano, Chef Ufficiale di Casa Italia alle Paralimpiadi di Rio (6 al 17 settembre 2016). Visto il tuo impegno sociale, potremmo dire che sei diventato il portabandiera di questo messaggio di integrazione?

    Ma se ce n’è pure un altro non mi dispiace…anzi!

    Intervista di Barbara Donzella
    https://tabletroma.it
     
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    Alla Ricerca del gusto perduto

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    L’antichef ex rugbista Rubio ci porta in un viaggio estremo in Estremo Oriente, tra Thailandia, Cina e Vietnam. Un viaggio tra megalopoli e piccoli centri rurali per scoprire con la gente del posto la loro gastronomia e la loro cultura. È Alla Ricerca del gusto perduto: la nuova serie in prima tv assoluta sul canale NOVE di Discovery Italia da domenica 15 settembre alle 21:25.
    Un viaggio durato cinque mesi, in cui Rubio ha visto e provato tutto, cominciato dal mercato galleggiante di Damnoen Saduak (vicino a Bangkok) per imparare a fare il Pad Thai e conoscere un’eroica coltivatrice di jack fruit, fino ad arrivare alle piantagioni di thè di Canton e Sichuan e ai fishing village nel delta del Mekong.
    Al ritorno Rubio ha continuato a fare Gabriele Rubini: per esempio, con il suo progetto Numb_hertz incontra i detenuti di Rebibbia per rileggere con loro le tragedie greche sfruttando i classici per aiutarli a comprendere meglio se stessi e cosa saranno, gira l’Italia con Elias, che è il suo ultimo corto che racconta la storia di un’amicizia nei campi Rom di Roma, sostiene campagne di salvaguardia ambientale, rende la cucina accessibile a tutti anche con il Linguaggio dei Segni. Soprattutto Rubio continua a dire la sua sul mondo, in modo decisamente poco convenzionale per uno che come lui è anche un personaggio popolare. Forse proprio per questo è più incisivo.

    «Sono abbastanza stanco, ma molto motivato, anche perché con questo programma mi sono messo completamente in gioco», dice Rubio. «Per un anno, tra mille problemi, ho lavorato fianco a fianco con Filippo Genovese per la scrittura e con il regista Fiele Efrella: ci siamo occupati di tutto. Anche altre volte ho contribuito ai miei programmi, ma mai con così tanta libertà. Il risultato è una serie molto diversa e, senza arroganza, è la prima volta che in tv si vedrà qualcosa del genere: sono ritmi più distesi, c’è una cura molto più oculata dei dettagli per mostrare veramente i luoghi che abbiamo vissuto. Non aspettatevi abbuffate o indicazioni su dove andare: Alla ricerca del gusto perduto è un invito a perdersi».

    Cosa fai nel programma?

    «Seguo la telecamera in un viaggio mai fatto. Durante la prima scena ci sono io chiuso da sette mesi in casa da solo, poi accetto l’invito della camera a uscire: tappa dopo tappa prendo confidenza con le persone e i luoghi finché, alla fine, mi chiedo se sia giusto restare per sempre. I 7 mesi non sono casuali: dopo 7 anni di televisione vivo una specie di crisi mistica come quella dei 7 anni di matrimonio. Ora sono stanco di tutto ciò che è considerato strabiliante ma che invece per me è superfluo: i selfie, gli show, i premi, le classifiche».

    Cosa succede, poi, durante la serie?

    «Cammino tutto il tempo, incontro gente, mi imbatto in situazioni diverse, piatti che fanno parte del percorso. Prendo per buono tutto ciò che c’è sulla mia strada e lo racconto: le bellezze paesaggistiche, quelle gastronomiche, e soprattutto le persone».

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    Su Instagram hai scritto che Alla ricerca del gusto perduto è stato un nuovo inizio: sei riuscito a ritrovare te stesso?

    «Sicuramente ho trovato la libertà di esprimermi: è il primo programma in cui dico ciò che voglio e come lo voglio. Però personalmente ora sono ancora in piena crisi di stanchezza. Per questo alla fine della messa in onda scomparirò per un po’: andrò in Sri Lakna con Ifad ( International Fund for Agricultural Development, è un’agenzia ONU, ndr) per un progetto sul climate changing come quello che ho già vissuto in Guatemala (che è Ricette per il Cambiamento, ndr). Poi partirò per un viaggio e mi godrò natura e cultura: metterò libri in valigia e andrò fuori dall’Italia. Se resto qui è difficile stare lontano dalle notizie e non denunciarle».

    Perché avete scelto l’Asia per girare la serie?

    «L’Asia è dove nasce il sole, un continente simbolo di rinascita dove ho sempre avuto impressioni stupende: ho visto le persone vere, il progresso che per me è involuzione, ma anche la capacità di tenere in vita contemporaneamente culture millenarie».


    Cosa ti ha lasciato questo viaggio?

    «Dal punto di vista lavorativo mi è servito per avere la conferma che un mondo fatto di leggerezza non fa per me. Dal punto di vista umano è stata una boccata di ossigeno e speranza grazie alle persone che ho incontrato. Ora andrei per ricominciare a vivere se questo mondo dovesse fare sempre più schifo».

    In Asia dove andresti a vivere?

    «In Vietnam perché lì ho incontrato le persone più semplici, con sorrisi che ti fanno innamorare. Non in Cina, perché c’è la dittatura comunista mascherata da democrazia capitalista, né in Thailandia troppo mainstream per me».

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    Cosa insegna a noi questo programma?

    «Non so se piacerà a tutti dato che non ci sono ritmi gioviali e battute obbligate. Non ho pensato a questo programma per far divertire, piuttosto vorrei mostrare che ci si può emozionare anche senza paillettes davanti a chi spesso è considerato ai margini: un portatore di handicap, una persona sdentata, un povero che però è un gran lavoratore e avrebbe molto da insegnare a tanti che in politica non hanno mai lavorato ma possono decidere per tutti».

    Cos’è per te il cibo?

    «Un modo per stare insieme, per conoscere una cultura, un pretesto per conversare con chi te lo prepara anche se è un piatto umile come una scodella di riso. Se si abbandonano le infrastrutture che la società ci ha imposto, ci si può emozionare anche così. Credo si debba dare valore anche alle cose che ci sembrano superflue».

    La gente ti ama perché in tv fai cose diverse dagli altri?

    «La gente mi ama più per quello che faccio, che dico o che scrivo sui social che per i miei programmi televisivi: in tanti mi aiutano a sostenere battaglie per cui pochi cercano di affossarmi. Sono tutte persone che si riconoscono in me ma che non hanno la stessa possibilità di urlare il disappunto che ho io, e sono profondamente grato per il loro supporto. Le persone che mi amavano solo per la tv le ho anche perse per strada per divergenze ideologiche: si sono autoeliminate. Lo zoccolo duro di chi mi vuole bene, e a cui io voglio bene, sono i disturbati dal periodo storico che fanno sana e giusta resistenza».

    Perché sei salito sull’Open Arms?

    «Sono salito perché erano anni che volevo salire su una barca: sono empirico e, a differenza di chi sputa sentenze su cose che non conosce, volevo capire. Lo dovevo a chi non può andarci, e dovevo farlo perché provare l’esperienza ti racconta molto più di tanti telegiornali. Bisogna sporcarsi le mani per sentirla la puzza, ed è impossibile farlo stando sempre dietro a uno schermo: dovremmo scendere tutti per strada».

    Cosa hai visto sull’Open Arms?

    «Sull’Open Arms ho visto professionisti che lavoravano in funzione dell’essere umano, e ho visto tanti esseri umani e tante storie che nessuno ha mai voluto raccontare né far raccontare. Noi ci preoccupiamo di dare accoglienza, ma non abbiamo mai chiesto a queste persone se vogliono questa accoglienza. Ho visto tanti esseri umani privati di ogni dignità, tanti ragazzi che purtroppo nessuno saprà mai che fine faranno: se saranno baristi, avvocati, prostitute, spacciatori. Perché non interessa a nessuno: noi li abbiamo solo criminalizzati, abbiamo criminalizzato i loro viaggi, abbiamo persino messo in competizione il nostro lavoro con il loro. Invece dovrebbero essere liberi di decidere, di spendere seimila euro per prendere un aereo anziché quarantamila per viaggiare su un barcone senza la certezza di arrivare vivi».

    La tv è solo una delle cose che fai: a telecamere spente sei impegnato nel sociale su vari fronti. Consideri la tv un fine o un mezzo per poter far bene anche il resto?

    «Sempre un mezzo per dare a tutto ciò che faccio un’eco maggiore. Mi sono servito della tv per arrivare ad essere talmente forte e credibile che ora posso davvero rappresentare chi la pensa come me. Se domani smettessi di fare tv mi dedicherei a tutte le altre cose che sto già facendo».

    Se Rubio fosse ancora solo Gabriele Rubini cosa farebbe e dove sarebbe?

    «Non mi fermerei, starei girando per il mondo a fare esperienze. Per ora però da qui non mi muovo perché ho un nipote che voglio vedere crescere».

    Sei nato come cuoco: perché ascoltandoti si ha l’impressione che la cucina ti interessi meno di prima?

    «Dopo tutto quello che ho visto in questi anni non mi emoziona più se non in sé, e cioè quando è fatta da una persona entusiasta o che ha la necessità vitale di mangiare. La cucina deve essere sostentamento: le cose che ho imparato le conservo, ma per me è mangiare è riempire la pancia. Ci sono troppe persone che muoiono di fame, e altrettante che buttano via il cibo senza capire cosa fanno».


    www.vanityfair.it/vanityfood
     
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    Chef Rubio:
    "Ecco perché ho lasciato la tv. In missione umanitaria a Gaza"


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    La fine del suo contratto con Discovery, e l'addio ai programmi sullo street food che lo hanno reso celebre aveva recentemente suscitato un polverone. Qualche tempo dopo Gabriele Rubini ovvero Chef Rubio chiarisce le motivazioni che lo hanno condotto a certe scelte: il desiderio di occuparsi, a tempo pieno e senza vincoli derivanti da un contratto con un network televisivo, delle cose che lo appassionano di più: gli impegni da attivista umanitario e poter raccontare, con le sue fotografie, le condizioni di chi vive nelle zone di guerra.

    "Chef Rubio da oggi è a Gaza per iniziare un periodo di cooperazione umanitaria con la ONG italiana ACS - Associazione Cooperazione e Solidarietà, in collaborazione con il Centro Italiano di Scambio Culturale Vittorio Arrigoni-VIK. - ci fa sapere il suo ufficio stampa - dal 27 dicembre 2019 al 10 gennaio 2020, è tra i protagonisti del progetto Gaza Freestyle nato nel 2014 e poi, dal 2011, consociato al Centro Italiano di Scambio Culturale Vittorio Arrigoni-VIK."

    www.repubblica.it/
     
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