PIEMONTE... città

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  1. gheagabry
     
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    “Mentre in ogni parte del mondo, per antica consuetudine, un uomo si valuta, seppur approssimativamente, con un'occhiata dalla testa ai piedi, qui a Vigevano l'occhiata si ferma ai piedi. Perché ognuno qui a Vigevano porta le scarpe che può, che deve, che merita...”
    (Alberto Sordi, Il maestro Antonio Mombelli)


    VIGEVANO



    Circondata dai boschi del Parco del Ticino, a soli 30 chilometri da Milano, Vigevano è Città d'arte ma anche città d'acque, perché è attraversata da canali e dal fiume Ticino.

    Arturo Toscanini la definì "una sinfonia su quattro lati". La Piazza Ducale sorge nel cuore della città ed è una delle più famose piazze d'Italia. Fu costruita per volere di Ludovico il Moro in soli due anni, tra il 1492 ed il 1494. Ideata dal Bramante con il concorso di Leonardo da Vinci, Piazza Ducale è l'ingresso d'onore all'imponente Castello. La piazza, a pianta rettangolare, misura 134 metri di lunghezza e 48 metri di larghezza, circondata da portici ad arcate, sorretti da 84 colonne con capitelli lavorati e tutti differenti fra loro. Originariamente i portici si interrompevano ai piedi della Torre del Bramante, in corrispondenza dell'attuale scalone di accesso al castello: al posto di quest’ ultimo, una rampa, percorribile anche a cavallo, saliva dal centro della piazza fino al portone del castello, ingresso d'onore della reggia sforzesca. L'aspetto attuale della piazza è dovuto in buona parte agli interventi del 1680, compiuti dal Vescovo Caramuel e da opere successive. La quattrocentesca decorazione pittorica fu realizzata agli inizi del Novecento, ad opera dei pittori Casimiro Ottone e Luigi Bocca, con colori e motivi vivaci, su modello delle poche tracce originali rimaste: un gioco illusionistico di architetture, figure mitologiche, disegni floreali, stemmi ducali ed una serie di medaglioni raffiguranti personaggi della famiglie Visconti e Sforza, i grandi della storia classica e curiosi motti quattrocenteschi.
    Il Castello di Vigevano è un tutt'uno con la Piazza Ducale che funge da regale atrio d'ingresso. Si può considerare una piccola città nella città, essendo per estensione uno dei più grandi complessi fortificati d'Europa. All’interno del cortile del Castello sorge la Torre del Bramante, edificata a più riprese, a partire dal 1198 sino alla fine del 17° sec. Gli interventi significativi furono: quando venne modificata dall’architetto di Urbino, Donato Bramante. Dal 1473 al 1494 circa, per volontà prima di Galeazzo Maria Sforza e poi di Ludovico Maria Sforza, detto il Moro. Attorno al Maschio vennero costruiti nuovi edifici adibiti a scuderie dalla aspetto imponente e maestoso, mentre nella parte posteriore del maschio fu costruita una nuova ed elegante ala residenziale, detta “Loggia delle dame”, riservata alla sposa di Ludovico, Beatrice d’Este. A questi lavori collaborarono grandi artisti tra cui l’ingegnere ducale Guglielmo da Camino, Donato Bramante e Leonardo Da Vinci, impegnati già da anni alla corte sforzesca. Con la fine della dinastia sforzesca (1535) il castello passò agli spagnoli e iniziò un lento declino. Nel 1696 i plenipotenziari dei governi europei convenuti per firmare la pace di Vigevano lo dichiarano inagibile e quando agli inizi del Settecento diventa sede di una guarnigione dell'esercizio austriaco cominciano le trasformazioni radicali. Verso la metà dell'Ottocento diventa Caserma dell'Esercito Sardo e quindi del Regio Esercito Italiano e rimane sede militare fino al 1968.

    Il Palazzo Sanseverino è situato ad ovest del centro storico, all'ingresso neogotico del castello. Il complesso è fortemente alterato nelle facciate esterne ma, l'aspetto monumentale è conservato nel cortile interno. In origine gli accessi erano due, uno verso la campagna ad ovest e un altro verso la città ad est, mentre l'attuale ingresso era occupato da uno scalone; un ulteriore passaggio posto sul lato nord conduceva al giardino dove si trovava una scuderia. Costruito nel 1492 sotto la direzione di Sebastiano Altavilla di Alba come abitazione di Galeazzo Sanseverino comandante la guarnigione sforzesca e sposo di una figlia naturale di Ludovico il Moro, nel 1496 viene trasformato dal Moro in fortezza, con la costruzione di una cinta muraria con quattro torri tonde ed un fossato a circuito del palazzo e del suo giardino, che viene chiamata "Rocca Nuova". Nel 1543, per volontà di Alfonso D'Avalos viene realizzato un terrapieno di difesa esterna che comporta la demolizione di 42 case, soprattutto verso il castello. Nel 1646, dopo la conquista francese, la rocca viene presa dagli spagnoli che ne demoliscono le strutture difensive. Si salva la muratura edificata da Ludovico il Moro con l'originale accesso verso la campagna. Nel 1655 Giovanna Eustachia della Santa Croce riceve in dono dal Re di Spagna il palazzo e le macerie delle fortificazione, che vengono vendute; trasforma l'edificio in un monastero dedicato a S. Chiara con la costruzione di una chiesa addossata al lato sud e consacrata nel 1680. Nel 1805 il monastero viene soppresso; il palazzo viene lottizzato e acquistato da privati che lo trasformano in abitazioni, demoliscono la chiesa e realizzano a loro spese l'attuale strada.

    Il Palazzo storico di Vigevano, sede della Civica Biblioteca fu eretto nel 1893 da Giuseppe Crespi, fondatore dell'omonimo cotonificio; fu acquistato dai signori Gagliardone e poi dai Biffignandi, successivamente venne ceduto al PNF come Casa del Fascio. Nel dopoguerra passò al Comune che, dal 1966, vi ospita la Biblioteca, intitolata nel 1983 allo scrittore vigevanese Lucio Mastronardi.

    Il duomo di Vigevano, dedicato al patrono Sant'Ambrogio, è la principale chiesa della città e sede della diocesi di Vigevano. Si affaccia sulla piazza Ducale. Il cantiere della Cattedrale prese avvio con il duca Francesco II Sforza nel 1534, su progetto di Antonio da Lonate che provvide alla demolizione della precedente chiesa di cui fu salvato il “coro”, che risale al 1465.
    Il duca Francesco II Sforza voleva dare a Vigevano, da soli due anni eretta a sede vescovile ed insignita del titolo di città da Papa Clemente VII, una degna cattedrale, dedicata all’antico patrono S. Ambrogio. La sua consacrazione avvenne nel 1612. La facciata della chiesa è stata concepita e realizzata nel 1680 dal vescovo spagnolo Caramuel: è in stile barocco e con la sua forma ellittica completa il lato est della Piazza Ducale, cingendola.

    La chiesa di San Pietro Martire fu eretta nel 1445 e dedicata a San Pietro Martire con l'annesso convento dei frati domenicani come attesta la bolla pontificia conservata presso l'archivio storico di Vigevano, venne consacrata nel 1480. In puro stile gotico lombardo con campanile a base ottagonale, si presenta a croce latina imperfetta. Nella cripta è conservato il corpo del beato Matteo Carreri, protettore di Vigevano, che visse e morì nell'attiguo convento.

    La chiesa di San Francesco fu edificata fuori dalle mura cittadine nel 1379, un anno dopo la costruzione del convento dei Frati Minori. Fu realizzata per volere del frate francescano Giovanni Ferrari da Vigevano. Era più piccola, orientata diversamente e occupava lo spazio dell'attuale transetto. Ampliata nel 1447, subì una radicale trasformazione con la totale ricostruzione e il cambio di asse tra il 1465 e il 1470. Nel 1475 venne terminato il campanile la cui costruzione era iniziata nel 1448. Nel 1801, la chiesa, oggetto delle spoliazioni napoleoniche, fu sconsacrata ed adibita ad alloggio dei soldati, i frati ne furono allontanati.
    Nel 1825, ripristinata la sua funzione religiosa, iniziarono importanti lavori di restauro che le conferirono l’aspetto attuale.
    Nel 1836 furono rifatte le cappelle. Nel 1847, per ampliare la via S. Francesco, venne demolita la cappella dell'Immacolata Concezione, edificata nel 1494 su disegno di Donato Bramante. Tra il 1847 e il 1856 subì un "restauro" che trasformò l'interno in stile neogotico. Tra il 1891 e il 1903, ad opera dell'architetto Moretti, fu ripristinato il disegno gotico lombardo della facciata con il rialzo di alcuni metri, per allinearsi al tetto sopralzato con gli interventi ottocenteschi. Vennero eliminati i piccoli ingressi ai lati del portale di facciata realizzati nel corso del Settecento, allungate le due finestre gotiche e completata la cornice del finestrone tondo rifatto più grande di quello quattrocentesco. A completamento della facciata furono rifatti i pinnacoli. Nel 1931 anche i lati vennero restaurati, riportando all'antica forma la facciata del transetto. Uscendo dalla chiesa dal fianco verso Via San Francesco è possibile scorgere uno scurolo barocco nel quale fino a pochi anni fa erano visibili teschi di frati, ricordo del cimitero che qui esiste, chiamato dai vigevanesi "Gisiò di mort".

    Vigevano e Milano condividono lo stesso patrono, ma i vigevanesi festeggiano il Beato Matteo Carreri, loro protettore. Il giorno delle festività non il 7 dicembre come per Milano, ma il lunedì seguente la seconda domenica di ottobre. Molti vigevanesi non sanno di questa differenza, festeggiando erroneamente il Beato Matteo come proprio patrono.

    …storia…


    Si presume che le origine della città sia molto antica. Il primo documento la menziona con il nome longobardo di "Vicogeboin" o "Vicus Gebuin", e risale al 963. L'abitato sorse in una posizione strategica ai margini della valle del Ticino, nei pressi di un importante guado sul fiume.
    Nel corso del XII secolo su costruito il castello ed il borgo venne fortificato lungo uno dei lati rivolti alla pianura. Conquistò ampie autonomie amministrative, ma a causa della sua posizione, la distanza da Pavia e Milano è quasi uguale, fu spesso al centro dei frequenti conflitti tra le due città per il possesso della Lomellina, subendo guerre, assedi e distruzioni per oltre 150 anni.
    In seguito, con l'avvento delle signorie, le condizioni migliorarono; tra il XIV ed il XV secolo il borgo divenne feudo dapprima dei Della Torre, poi dei Visconti e infine, tra il 1450 e 1535, degli Sforza.
    Durante il periodo visconteo-sforzesco Vigevano raggiunse un periodo di massimo splendore, divenendo residenza ducale e centro commerciale di notevole importanza per la lavorazione dei panni di lana e di lino.
    Nel XIV, vi furono importanti mutamenti urbanistici introdotti dai Visconti che culminarono nella costruzione dei "terraggi, della "rocca" e nel potenziamento del castello con l'erezione delle mura. Durante il governo di Luchino Visconti venne costruita la possente "Strada Coperta" (1347) che collegava il Castello alla Rocca scavalcando le case del borgo.
    L'ultimo dei Visconti, Filippo Maria, morì nel 1447 senza lasciare eredi, a Milano si proclamò l'Aurea Repubblica Ambrosiana a cui Vigevano aderì. Quando Francesco Sforza tentò di impossessarsi del potere, Vigevano si ribellò e nell'aprile del 1449 espulse il podestà ed il comandante del presidio e si proclamò libero comune, alleandosi con Milano. Le truppe sforzesche posero l'assedio alla città per circa 20 giorni portando numerosi assalti contro i vigevanesi chiusi dentro il castello. Ma l'impegno di tutto il popolo, guidato dall'eroina Camilla Rodolfi, non bastò; il 6 giugno la città si arrese, riuscendo però ad ottenere una serie di privilegi. In seguito Francesco Sforza scelse il castello di Vigevano come dimora estiva e riserva di caccia della sua corte. Dopo la morte di Galeazzo Maria Sforza, gli succedette il giovane figlio Gian Galeazzo Maria. Fu allora che Ludovico il Moro, fratello di Galeazzo, tentò di impadronirsi del potere assumendo la reggenza nel 1480 e divenendo poi duca di Milano nel 1494. Nativo di Vigevano, il Moro bonificò il territorio, migliorando il sistema di irrigazione a beneficio dell'agricoltura e costruendo la grande fattoria modello denominata "Sforzesca", a sud della città. Fece ampliare il castello costruendo nuove scuderie e nuovi edifici quali la "Loggia delle Dame", la "Falconiera" e la Torre, ad opera di Donato Bramante; contemporaneamente avviò la costruzione della grandiosa piazza Ducale, terminata nel 1494. Nel 1500, con la sconfitta del Moro, catturato dai francesi a Novara, per Vigevano si chiuse il periodo aureo del rinnovamento urbanistico. Seguirono anni di difficoltà con guerre ed occupazioni straniere. Nel marzo 1530, Francesco II Sforza, ultimo Duca di Milano, ottenne da Papa Clemente VII che Vigevano diventasse città e sede vescovile ma alla sua morte la città cadde sotto un lungo e difficile dominio spagnolo, attraversando un XVII secolo segnato da carestie, epidemie di peste e assedi.
    Dopo una breve dominazione austriaca, nel 1745 la città entrò a far parte del Regno di Sardegna; sotto il dominio sabaudo l'industria e il commercio rifiorirono e il 29 agosto 1789 la città divenne capoluogo della "Provincia Vigevanasca". Dopo la parentesi della dominazione napoleonica nel 1814 la città tornò ai Savoia.

    Nel 1854 viene inaugurata la linea ferroviaria Vigevano-Mortara e nel 1870 il prolungamento fino a Milano. Nel 1866 sorse a Vigevano il primo calzaturificio italiano (Luigi Bocca); nel 1937 si contavano 873 aziende con 13.000 dipendenti fino ad arrivare a 900 aziende con quasi 20.009 addetti nel 1965. Parallelamente all'industria calzaturiera si diffuse anche l'industria tessile per la lavorazione della seta e del cotone.
    Nel secondo dopoguerra il settore tessile si ridimensionò fortemente mentre quello calzaturiero, dopo il boom degli anni cinquanta e sessanta, iniziò un drastico declino, compensato solo in parte dallo sviluppo dell'industria metalmeccanica Il settore calzaturiero è ancora presente e Vigevano rimane uno dei luoghi dedicati alle calzature nel Nord Italia, tuttavia in una forma molto minore rispetto al passato.

    ..la Sforzesca..



    La Sforzesca fu inaugura nel 1486 Ludovico il Moro e fu la prima delle grandi opere pensate per fare di Vigevano una residenza ducale. La costruzione di forma di quadrilatero ne costituiva il "centro"; le torri angolari o colombaie erano i casamenti dei fittabili e i locali per ospitare il duca. La Sforzesca fu pensata fin dall'inizio come laboratorio agricolo sperimentale, una azienda agricola la cui natura e il cui fine erano la produzione come la coltivazione dei gelsi e quindi l'allevamento razionale dei bachi da seta.
    La villa rappresenta il primo esempio assoluto di complesso agricolo a corte chiusa. Le lapidi commemorative del XVI secolo ancora oggi presenti "rese fertile questa arida pianura assetata, col portarvi con grande spesa abbondante acqua". Anche la lapide sulla torre bramantesca datata 1492 che scandisce la successione degli interventi del Moro a Vigevano pone come prioritari i lavori idrici, grazie ai quali "rese fertili con irrigazione fluviale gli aridi campi di Vigevano".
    Le sperimentazioni e le novità gestionali ma anche tecniche avviate "sul campo" alla Sforzesca, ebbero in Leonardo da Vinci un attento e partecipe osservatore e forse anche suggeritore. Sono frequenti le citazioni di Vigevano che compaiono nel manoscritto H, conservato a Parigi. Sono annotazioni e disegni che spaziano dai congegni idraulici ai lavori di bonifica agraria, dalle osservazioni agronomiche alla costruzione di un padiglione in legno. La maggior parte risultano datate febbraio-marzo 1494 da Vigevano e proprio dalla Sforzesca. Al foglio 1r. parla di "serare a chiave uno incastro da Vigievine". Al foglio 38r. la notazione "vigne di Vigievine a dì 20 marzo 1494 e la vernata si sotterano", con uno schizzo che riproduce la disposizione delle viti ed il metodo allora utilizzato dai contadini per preservare le viti dal freddo, metodo di agricoltura biodinamica "ante litteram".
    Al foglio 65v. "A dì 2 di febbraro 1494 alla Sforzesca ritrassu scalini 25 di "7£ di braccio l'uno larghi braccia 8" e seguono due disegni di una scala sulla quale scorre l'acqua. Una notazione ripresa e descritta ampiamente nel manoscritto Leicester, dove Leonardo illustra il meccanismo per diminuire la velocità dell'acqua e quindi la potenza della sua caduta. Un procedimento presente alla Sforzesca presso il mulino ancora oggi esistente e chiamato "Mulino della Scala".
    Al foglio 94 v. parla dei "Mulina a Vigievine" ed anche in molti altri fogli del manoscritto parla di mulini e dei canali che li alimentano.

    …miti e leggende…



    Addì giugno 1449. Le truppe di Francesco Sforza, rinforzate dai mercenari di Bartolomeo Colleoni, lanciate alla conquista del ducato di Milano, assediarono il castello di Vigevano, la più munita delle rocche alleate della inetta Aurea Repubblica Ambrosiana. La battaglia infuriò per ore e ore, con alterne fortune, ma senza che gli assedianti riuscissero a conquistare le fortificazioni cittadine. Gli assediati combatterono con valore e coraggio, aiutati dalle loro donne e dagli invalidi. Ma giunge il momento in cui i vigevanesi, esausti, non furono più in grado di respingere i nemici che riescono a far breccia. Quando la situazione sembrò volgere a favore del nemico, gli assalitori videro, con grande sorpresa, sbarrarsi il passo da un drappello di indomite donne che, raccolte le armi degli sfiniti mariti, fratelli e figli, si opposero corpo a corpo alle non meno stremate file sforzesche con impeto tale da non solo contrastarne l'avanzata ma anche di ricacciarli di nuovo oltre le mura. II fiero attacco femminile consentì ai difensori di riprendere fiato quel tanto che basta per continuare il combattimento, che proseguì per alcune ore fino a che il nemico, scoraggiato, si ritirò. La tradizione popolare ha tramandato il nome della donna che organizzò il drappello delle coraggiose combattenti vigevanesi: Camilla, della nobile casata dei Rodolfi. Qui la storia si confonde con la leggenda: infatti il Nubilonio, fantasioso ma accurato cronista delle vicende cittadine, non fa menzione della presunta eroina che avrebbe guidato le donne vigevanesi, ma nel velario del teatro Cagnoni ad opera di G. 8. Garberin si può ammirare “Camilla Rodolfi al comando delle donne vigevanesi”.

    Benché ricco di storia e di memorie, il castello di Vigevano è avaro di leggende legate alla sua esistenza e, soprattutto, sembra assente da fantasmi. Una minima leggenda di spettri e fantasmi si ha nell'ala del maschio in cui erano ubicati gli appartamenti della duchessa e delle sue dame. Questo settore comprende numerosi ampi locali, i cui elementi identificativi sono la bramantesca "loggia delle dame" e il cosiddetto "passaggio aereo", che collega l'ala stessa alla falconiera. In questi appartamenti, nel 1491, venne a risiedere la giovane moglie di Ludovico il Moro, la sedicenne Beatrice d'Este. Amatissima dal marito, dopo avergli dato due figli, morì sei anni dopo di parto, alla terza gravidanza, lasciando nella disperazione Ludovico e sincero rimpianto sia nel popolo sia nella corte. Dopo la morte della duchessa l'ala, in pratica, non fu più abitata stabilmente.
    Da esseri viventi, per lo meno, perché la leggenda vuole che, nelle calde notti estive, gli spiriti della dame di corte di Beatrice amino passeggiare nottetempo nei loggiati degli appartamenti femminili del castello.

    Si narra che uno dei tanti camminamenti sotterranei che dal castello cittadino si snodavano in varie direzioni arrivasse fin nella valle del Ticino e che, superato il fiume, conducesse ad Abbiategrasso e poi a Milano.
    Trascorsa l'epoca di utilizzo di tale sotterraneo, padrone assoluto ne era diventato un mostro di dimensioni enormi, in forma di serpente, dotato di ali rossicce nervate come quelle di un pipistrello, con orecchie suine setose e piccoli occhi « che mandavan lampi incantatori ». In compenso dal corpo del drago esalava un fetore ammorbante, « in grado di mozzare il fiato ad un uomo a molti passi di distanza ». Nei tempi in cui il sotterraneo era ancora accessibile più d'uno vi scese temerario; coloro che ne erano usciti vivi avevano raccontato di avere visto il rettile e di essere fuggiti spaventati a morte. Anche allorché il castello fu adibito a caserma, il mostro, per nulla disturbato dalla regolare presenza dei militari, continuò ad animare la fantasia popolare. Si narra anzi che un militare, rinchiuso in una cella sotterranea, fosse scomparso senza lasciare segno e che la stessa ingloriosa sorte fosse toccata ad alcuni commilitoni mandati sottoterra a cercarne le tracce. La leggenda, ancora diffusa e viva intorno alla metà dell'Ottocento, soprattutto tra pescatori e contrabbandieri ticinesi, non dice però che fine avesse fatto il mostro.


    Una pubblicazione francese del 1810 riporta una curiosa leggenda vigevanese - arduo scoprire per quale arcana ragione il capoluogo lomellino, insieme con la sua leggenda, sia finito nelle pagine di un libro edito a Parigi, - che, secondo lo storico Ambrogio Basletta (Vigevano 1849 - Firenze 1919), sopravviveva ancora nella tradizione popolare intorno alla metà dello stesso secolo.
    Il Basletta, maggiore dell'esercito con la passione della riscoperta delle tradizioni della sua terra d'origine, narra che « alla mezzanotte e un minuto secondo del 31 dicembre di ciascun anno, piova o nevichi, sia sereno o fischi la raffica, splenda la luna in un cielo mite o il gelo intristisca i campi, fa tredici giri intorno alla vasta corte del castello una chioccia. Essa è seguita da undici pulcini pipilanti lamentevolmente. Tanto la chioccia quanto i pulcini sono d'oro massiccio: mentre la prima tiene, al posto degli occhi, due grossi brillanti, i secondi hanno invece piccoli rubini luccicanti come faville ».
    A questo punto il racconto, così com'è riportato nella pubblicazione transalpina, si fa avaro di particolari. Sembra che colui che aveva la ventura di incontrare l'insolita famigliola, pronunciando frasi misteriose avrebbe visto la gallina trasformarsi in una bellissima ragazza e i pulcini mutare in undici paggi biondi. Inoltre il fortunato passante sarebbe diventato lo sposo della donna, per di più ricco, perché ciascuno dei paggi era in possesso di un segreto per impossessarsi di un favoloso tesoro. Peccato che nessuno abbia mai rintracciato le "frasi misteriose" necessarie alla mutazione della gallina e dei pulcini né, tantomeno, che alcuno abbia mai avuto occasione di incontrare i simpatici volatili.


    Il Rogo del Diavolo. Una delle più radicate tradizioni del folclore vigevanese è rappresentata dal "rogo del diavolo", celebrato alla fine di agosto di ogni anno sul sagrato della chiesa di San Bernardo. Le origini di tale festa sono legate a una leggenda che narra di un brutto scherzo giocato dal diavolo a san Bernardo di Chiaravalle in persona.
    Il santo, mentre soggiornava a Milano, doveva recarsi a Vigevano per una predica in favore di una seconda crociata.
    Satana, onde impedirgli di giungere a destinazione, pensò di sfilare una ruota dall'asse della vettura su cui viaggiava l'abate di Clairvaux. Ma Bernardo catturò con le sue mani Satana e ne adattò il corpo in guisa di ruota, così da poter proseguire alla volta di Vigevano, dove era atteso per la sua predica. Gli abitanti del rione, avvertiti della presenza del maligno temporaneamente immobilizzato nella ruota approfittarono di questa situazione per bruciare nella piazza l'intero carro con Lucifero imprigionato.
     
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