IL GIORNALE DELL'ISOLA FELICE ... ANNO 7° ... SETTIMANA 034 ...

LUNEDI' 22 AGOSTO - DOMENICA 28 AGOSTO 216

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  1. gheagabry
     
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    BUONGIORNO GIORNO ... BUONA SETTIMANA ISOLA FELICE …


    Edizione Giornale Anno 7°
    SETTIMANA 034 (22 Agosto – 28 Agosto 2016)






    BUONGIORNO GIORNO … BUON LUNEDI’ ISOLA FELICE …


    Lunedì, 22 Agosto 2016
    S. MARIA REGINA

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    Settimana n. 34
    Giorni dall'inizio dell'anno: 235/131
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    A Roma il sole sorge alle 05:27 e tramonta alle 18:58 (ora solare)
    A Milano il sole sorge alle 05:33 e tramonta alle 19:18 (ora solare)
    Luna: 9.54 (tram.) 21.32 (lev.)
    Perigeo lunare alle ore 2 - distanza: km. 367.048.
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    Proverbio del giorno:
    Chi vuole aver del mosto, zappi le viti d'agosto.
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    Aforisma del giorno:
    Per la vita eterna, molti a stento alzano da terra un piede. Si corre dietro ad un modesto guadagno; talora, per un soldo, si litiga vergognosamente; per una cosa da nulla e dietro una piccola speranza non si esita a faticare giorno e notte; ma - cosa spudorata - per un bene che non viene meno, per un premio inestimabile, per l'onore più grande e la gloria che non ha fine, si stenta a faticare anche un poco. (T. da Kempis)









    RIFLESSIONI


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    ... L’Amore Profondo …


    Nell’amore si è trovato, alla fine, un rifugio alla solitudine. Si forma un’alleanza a due contro il mondo, e questo egoismo a due è scambiato per amore e intimità.


    (…) Amore come soddisfazione reciproca e amore come “cooperazione”, come rifugio alla solitudine, sono le due “normali” forme della disintegrazione dell’amore nella società occidentale moderna, la patologia socialmente schematizzata dell’amore. (…)

    L’amore è possibile solo se due persone comunicano tra loro dal profondo del loro essere, vale a dire se ognuna delle due sente se stessa dal centro del proprio essere. Solo in questa “esperienza profonda” è la realtà umana, solo là è la vita, solo là è la base per l’amore.

    L’amore, sentito così, è una sfida continua; non è un punto fermo, ma un insieme vivo, movimentato; anche se c’è armonia o conflitto, gioia o tristezza, è d’importanza secondaria dinnanzi alla realtà fondamentale che due persone sentono se stesse nell’essenza della loro esistenza, che sono un unico essere essendo un unico con se stesse, anziché sfuggire se stesse. C’è solo una prova che dimostri la presenza dell’amore: la profondità dei rapporti, e la vitalità e la forza in ognuno dei soggetti.
    (da: “L’Arte di Amare” di Erich Fromm – Ed. Il Saggiatore)

    … Buon Agosto amici miei …
    (Claudio)




    CAREZZE AL RISVEGLIO


    ... POESIE E FIABE AL RISVEGLIO…
    ... L’esperimento fatto da più di un anno mi è piaciuto e credo sia piaciuto a molti. Per cui continuerò ad alleggerire questo mio spazio di riflessione utilizzando il metodo più antico del mondo, le fiabe e le poesia. Credo sia giusto provare a tornare alle vecchie care abitudini di questa mia “rubrica” cercando di regalare un sorriso ed una carezza a chi avrà la pazienza di leggere ciò che scrivo e propongo. Così da oggi inizieremo un viaggio nella poesia; da quelle dell’antichità a quelle più recenti. La poesia è sempre stato il modo con cui il cuore e l’anima hanno cercato di comunicare; la veste visibile delle emozioni. Credo quindi che ogni mattina leggere una poesia ed una favola, soprattutto in questo periodo estivo, sia una bella spinta per tutti ad iniziare con una carezza la giornata … Buon risveglio e buona giornata a tutti … .
    (Claudio)





    POESIE

    Catueté Curupira

    Ieri per la prima volta apparvero
    le prime rughe sul volto della terra
    stravolta nelle viscere
    le navi le acque
    si moltiplicano senza fine.
    Catueté Curupira
    le foreste ti chiamano
    a punire quelli che atterrano
    e abbattono gli animali
    e spaventano gli alberi
    facendoli credere soli

    in mezzo al bosco
    gli alberi affamati
    gli alberi allucinati
    in mezzo al bosco
    in mezzo al cemento gli alberi t'implorano
    tamacueré yndayara Catueté Curupira

    molti alberi trovati affamati
    moribondi
    raccontando storie cupe e fantastiche
    di città distrutte
    sono gli unici testimoni vivi o semi-vivi
    di quello che rimane dell'uomo
    tim tim he taya boya
    le ombre in curve rigide
    i rami secchi all'estremità
    si tendono a cogliere gli uomini più teneri
    divorandoli
    l'uomo impaurito continua
    cavalcando motociclette
    che emettono un forte grugnito
    prima della partenza
    e fanno fuggire gli animali
    uccidendo il verde.
    Il verde continua a crescere sotto la polvere
    sugli alberi coperti di chiodi e di calce
    il verde rinasce primavera
    insistendo nel suo ultimo grido
    viso senza colore e senza sangue
    i fiumi marciscono
    i vecchi assistono ansiosi
    ai comodi e alle voglie dei giovani
    il mondo mostra le sue ferite
    attraverso un apparecchio che ripete
    immagini di distruzione.

    Catueté Curupira
    le foreste ti chiamano.
    (Anonimo)




    FAVOLE PER LA NINNA NANNA …

    IL RANOCCHIO FIORDILOTO

    Nella semioscurità della soffitta tutto era ricoperto dalla polvere. Polvere accumulata in centinaia e centinaia di anni da quando il castello era stato abbandonato. Polvere di un grigio opprimente che si insinuava dappertutto: nel baule sgangherato da cui usciva una manica di pizzo ingiallita e mangiucchiata dalle tarme, negli intarsi di un vecchio
    tavolino con una gamba rotta, sulla coppia di tazzine di porcellana cinese con il bordo sbeccato e su un grande specchio appoggiato a una parete in fondo alla stanza.
    Tutto era immobile e silenzioso. Un luogo alquanto sinistro dove non vorreste sicuramente mai trovarvi da soli.
    Non sembrava della stessa idea un piccolo ranocchio che stava tentando di entrare da una fessura del vetro del lucernario spingendosi con forza con le zampe per far passare tutto il corpo all'interno. Con una spinta un po' troppo vigorosa il ranocchio cadde sul pavimento di legno e, rimbalzando sulla pancia, sollevò tutto intorno una nuvoletta di polvere che lo fece tossire e starnutire per un bel po' di tempo. Immagino che vi starete chiedendo cosa ci fa un ranocchio nella soffitta
    di un castello. In effetti potrebbe sembrare una storia un po' assurda. Fiordiloto (questo è il nome del ranocchio) desiderava entrare in quella stanza fin da quando era piccolo (insomma intendo dire molto più piccolo).
    Dalla tranquilla fontana di pietra del giardino in cui abitava con tutta la sua allegra famigliola, passava intere giornate a osservare il castello e a fantasticare. Immaginava graziose dame con sontuosi abiti di seta e aitanti cavalieri
    avvolti in lunghi mantelli di velluto azzurro scendere dalle carrozze ed entrare nel grande salone delle feste mentre un'orchestra di violini suonava invitandoli a danzare. I genitori di Fiordiloto per la verità non erano molto contenti delle
    fantasie del figlio e cercavano di farlo concentrare su cose molto più pratiche. - Hai imparato a catturare gli insetti? Non te li possiamo mica procurare sempre noi- lo esortava suo padre cercando di scuoterlo dai suoi sogni ad occhi aperti.
    - Pensa alle ranocchie, esci con gli amici e divertiti. Non sognare cose che non ti appartengono- gli diceva sua madre.
    Fiordiloto non sentiva ragioni, per lui la vera vita non era nella fontana. Le ranocchie non facevano che gracidare con quelle stridule vocine che trovava odiose, i suoi amici saltellavano da una foglia all'altra pensando solo a rimpinzarsi di mosche. Non c'era nessuna poesia, nessuna emozione in quella noiosa fontana, non c'era niente che lo entusiasmasse.
    Più passava il tempo e più si convinceva che in realtà lui non era un vero ranocchio ma un principe imprigionato in quel corpo verdastro e molliccio da un terribile incantesimo. Nella torre del castello, ne era assolutamente certo, c'era una
    principessa da salvare che l'avrebbe baciato trasformandolo in un bellissimo principe come succedeva nelle storie che gli raccontava sempre la nonna. Una notte accadde una cosa davvero incredibile che contribuì ad accrescere questa sua convinzione. Se ne stava sdraiato su una comoda foglia galleggiante fissando il castello quando, proprio dal lucernario,
    uscirono degli strani bagliori che salivano nel cielo volteggiando con grazia. Per essere sicuro di non aver sognato, da quella notte Fiordiloto osservò il lucernario vedendo che, al rintocco della mezzanotte, accadeva sempre la stessa incredibile magia. Naturalmente non disse nulla ai suoi famigliari perché non avrebbero capito e l'avrebbero mandato a vivere dagli zii che abitavano in un fosso sperduto tra i campi per distoglierlo da quei pensieri che, ai loro
    occhi, erano assurdi. Da allora Fiordiloto cominciò a pianificare nei minimi particolari la scalata alla soffitta del castello. Si allenava ogni giorno arrampicandosi sugli alberi per irrobustire le zampe e saltellava su e giù dai rami per acquistare maggiore elasticità.
    - Meno male che gli sono passate tutte le sue fantasie, guarda finalmente ha deciso di dedicarsi allo sport- diceva orgoglioso suo padre contento di vederlo finalmente attivo.
    Ma Fiordiloto non aveva abbandonato affatto le sue fantasie e,dopo estenuanti allenamenti, quella sera finalmente era partito per la grande avventura arrivando fin lassù. Guardandosi attorno però non vedeva niente di quello che si aspettava. Dov'era la bella principessa pronta ad accoglierlo per trasformarlo in un principe? Eppure era così sicuro che i bagliori che vedeva tutte le notti fossero un messaggio di aiuto per lui... e invece in quella soffitta c'era solo dell'inutile polvere. Si avvicinò alla manica del vestito che usciva dal baule e la toccò pensando a quanto doveva essere bella la principessa che lo indossava. Saltò sul tavolino per ammirare da vicino delle splendide tazzine in porcellana e poi si avvicinò allo specchio appoggiato alla parete. Era talmente pieno di polvere che non riusciva neanche a vedere la sua
    immagine riflessa. Con una zampa cominciò a strofinare la superficie dello specchio e fu tale la sua paura nel veder apparire un volto, che fece un balzo all'indietro urtando contro il tavolino traballante e facendo cadere tutte le tazzine.
    - Ciao e tu chi sei?- chiese una voce che sembrava molto assonata e che proveniva proprio dallo specchio.
    Fiordiloto non aveva mai visto uno specchio magico (perché solo di questo si poteva trattare) e non sapeva come comportarsi.
    - Sono Fiordiloto e vengo dalla fontana di pietra, vostra maestosa specchietà- sussurrò con un fil di voce il ranocchio che non aveva molta pratica con gli specchi magici. Poi, prendendo un po' di coraggio, azzardò – per caso sapete dov'è tenuta prigioniera la principessa?- - Sono secoli che non ci sono più principesse in questo castello non so di cosa parli- rispose lo specchio sbadigliando nuovamente.
    - Ma come è possibile? Ogni notte vedo delle luci uscire dal lucernario, ci deve essere una principessa e io devo diventare un principe. Non voglio restare uno stupido ranocchio per tutta la vita- singhiozzò il povero Fiordiloto.
    - E invece io vorrei proprio essere un ranocchio come te. Vi sento sempre gracidare in giardino, sento quanto vi divertite e ridete tutti assieme. Qui non viene mai nessuno, sono sempre da solo in mezzo a tutta questa polvere. Solo con i miei ricordi...- aggiunse lo specchio assumendo un'espressione davvero molto triste.
    Sentendo queste parole Fiordiloto si vergognò profondamente. Aveva passato un mucchio di tempi a lamentarsi perché voleva essere diverso da com'era senza accorgersi che aveva già tutto: la sua famiglia, gli amici, la libertà...
    Lui non era un principe e non lo sarebbe mai diventato. Lui era un ranocchio e non un ranocchio qualunque, era Fiordiloto.
    - Grazie specchio mi hai davvero aperto gli occhi- disse Fiordiloto schioccando un grosso bacio. - Ti prometto che d'ora in poi non sarai più così solo perché verrò a trovarti tutte le sere e ti farò conoscere anche la mia famiglia- promise saltando fuori dal lucernario.

    (RITA SABATINI)

    ATTUALITA’


    Gli scimpanzé preferiscono collaborare che farsi concorrenza

    Quando possono scegliere tra cooperare o competere, gli scimpanzé optano cinque volte più spesso per la collaborazione. A dirlo è uno studio condotto dagli etologi dello Yerkes National Primate Research Center, che sfata il mito secondo cui l'uomo è l'unico animale collaborativo.
    Per capire se gli scimpanzé possiedono le stesse capacità dell'uomo nell'andare oltre la competizione, gli esperti hanno messo alla prova 11 esemplari con una serie di esercizi che richiedevano una collaborazione a due o a tre al fine di ottenere ricompense. Nonostante fosse loro consentito di farsi concorrenza, aggredirsi e tentare di rubarsi il bottino, gli scimpanzé hanno scelto in gran parte di impegnarsi insieme, collaborando 3.565 volte nelle 94 ore dell'esperimento.
    Non solo: per contrastare l'atteggiamento competitivo ed egoista di alcuni esemplari, gli scimpanzé hanno protestato, rifiutandosi di lavorare in presenza di "scrocconi". In 14 casi, inoltre, gli scimpanzé dominanti hanno soccorso "colleghi" più deboli, presi di mira da chi non aveva partecipato all'esercizio e tentava di appropriarsi delle ricompense.
    "Si tende a pensare che la cooperazione umana sia unica, ma il mondo è pieno di collaborazione, dalle formiche alle orche", osservano gli studiosi. "La nostra ricerca - evidenziano - è la prima a dimostrare che i nostri parenti più stretti sanno molto bene come scoraggiare la competizione e il parassitismo: è la collaborazione a vincere".
    (Ansa)





    Una danza spaziale per studiare l'atmosfera del Sole

    Tra 2 sonde gemelle europee, nel 2019. Danzeranno nello spazio per generare eclissi artificiali di Sole con l'obiettivo di scoprire i segreti della parte più misteriosa della nostra stella, ossia la zona più esterna dell'atmosfera: è la coppia di satelliti della missione Proba 3, dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa), il cui lancio è previsto nel 2019.Come ballerini, i due minisatelliti si muoveranno l'uno attorno all'altro, separati da una distanza di 150 metri, per creare un unico osservatorio spaziale gigante. La loro missione è quella di farsi ombra a vicenda in modo da provocare delle eclissi artificiali della durata dialcune ore: quando basta per studiare nei dettagli la parte più esterna dell'atmosfera del Sole, chiamata corona. ''La corona è un milione di volte più debole del Sole stesso e per riuscire a osservarla deve essere bloccata la luce del disco solare'', ha detto Damien Galano, responsabile degli strumenti di Proba 3.

    Per osservare la corona solare, i due satelliti useranno lo strumento Aspiics, un coronografo, mentre il radiometro Dara misurerà l'energia totale (irraggiamento) emessa nello spazio dal Sole. ''L'idea del coronografo - ha spiegato Galano - è stata concepita dall'astronomo Bernard Lyot nel 1930 e da allora questo strumento è stato sviluppato e installato sia sui telescopi terrestri sia su quelli spaziali".
    (Ansa)





    Non tutti i bambini piangono nello stesso modo, dipende dalla lingua della mamma

    Non tutti i bimbi piangono allo stesso modo. Anzi, vi sono delle differenze importanti che sono attribuibili alla lingua parlata dalla mamma. Se si tratta di un cosiddetto linguaggio tonale, in cui è l'intonazione data alle sillabe a determinare il significato di una parola, come nel caso del cinese mandarino o di altre lingue come il Lamso del Camerun, il vietnamita, il Thai, allora il pianto del piccolo sin da subito sarà più melodico.

    E' quanto emerge da una ricerca guidata dall'Università tedesca di Wuezburg, pubblicata su due riviste: Speech, Language and Hearing e Journal of Voice. Gli studiosi hanno analizzato i dati relativi a 21 bimbi tedeschi e ad altri 21 camerunesi nella prima settimana di vita.

    Il cambio di tono, da basso ad alto, nel pianto è stato maggiormente osservato nei piccoli del Paese africano rispetto a quelli tedeschi, e un effetto simile anche se più lieve è stato riscontrato anche nei bimbi di Pechino. "Il loro pianto suona più come una cantilena" spiega la professoressa Kathleen Wermke, autrice della ricerca.

    Secondo gli studiosi i risultati evidenziano che lo sviluppo del linguaggio inizia molto prima di ciò che si potrebbe pensare. I balbettii , per esempio, si pensa siano importanti, ma lo studio suggerisce che questo processo di apprendimento può anche iniziare mentre i piccoli sono ancora nel grembo, in un procedimento noto come 'imprinting' materno.
    (Ansa)


    L’ISOLA NELLO SPORT


    CRONACA SPORTIVA

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    Rio: applausi e tricolori per azzurri

    FIUMICINO (ROMA) - Tanti applausi, commozione e Tricolori all'aeroporto di Fiumicino per il rientro del grosso degli azzurri, concluse le Olimpiadi di Rio. Oltre 200 persone hanno accolto festosamente gli atleti nella sala arrivi del Terminal 3, tributando, a più riprese, man mano che gli atleti uscivano, calorosi festeggiamenti. Tra gli atleti rientrati Daniele Lupo, argento nel beach volley e portabandiera azzurro nella cerimonia di chiusura, le "farfalle" della ritmica, le nazionali di pallavolo e pallanuoto e Tania Cagnotto, ripartita per Verona.
    (Ansa)




    Bolt saluta il mondo, ora sono io il più grande
    Oltre la leggenda, è tra i più grandi di sempre. La caccia di Usain Bolt a Carl Lewis e Paavo Nurmi, primatisti di vittorie olimpiche nell'atletica, si è chiusa ieri notte sulla pista dello stadio Engenhao: sono 9 ori come il 'figlio del vento' e l'icona della Finlandia. Bolt ha trascinato il quartetto della Giamaica all'oro nella 4X100, in 37"27, per la gioia di Asafa Powell, Yohan Blake e Nickel Ashmeade, e centra quindi la terza tripletta olimpica della carriera dopo quelle di Pechino 2008 e Londra 2012.

    L'argento è andato al Giappone trascinato dal giamaicano Aska Crambidge, che vive a Tokyo da quando aveva due anni, il bronzo al Canada dopo la squalifica del quartetto Usa per cambio irregolare. Ma cos'altro si può dire di un marziano del genere, di questo Bolt che ha provocato l'esaurimento degli aggettivi? Intanto è diventato lo sportivo in attività più osannato e riconosciuto del pianeta e quando si ritirerà, probabilmente il prossimo anno dopo i Mondiali di Londra, lascerà un vuoto enorme nell'atletica. Ieri notte, esaurito il rituale delle interviste del dopogara, il Lampo non ha perso la voglia di scherzare ed è tornato dentro lo stadio ormai vuoto per divertirsi dedicandosi al lancio del giavellotto, per la gioia dei volontari che ancora erano lì, gli hanno dato il 'cinque' e lo hanno incitato. Qualcuno si è anche divertito a misurare la gittata dei lanci di Bolt, che ha toccato i 49 metri. Niente per uno specialista, ma poco meno di qualche decatleta venuto qui in puro spirito decoubertiniano. Non è che Usain, gli hanno poi chiesto prima che si mettesse a mangiare polpette di pollo fritto e poi in posa per delle foto con gruppi di volontari, sta pensando a Tokyo 2020 magari per divertirsi in chiave prove multiple? "La vedo molto difficile - ha risposto -. Ormai ho ottenuto tutto ciò che desideravo e adesso posso dirlo: sono il più grande, e non credo che arriverò fino a Tokyo.

    Dentro di me provo un miscuglio di emozioni: felicità, tristezza, sollievo, veramente tante cose. Ho fatto molto per lo sport e per i Giochi Olimpici, e ho raggiunto ciò che volevo. Ma soprattutto credo di non poter fare di più, di aver già fatto il massimo, per me stesso e per lo sviluppo e l'immagine del mio sport". Ma come sarà l'ultima pagina della sua vita sportiva? "Non lo so, ma intanto dico grazie - ha risposto - ai miei compagni dei quali sono orgoglioso. E dico grazie a Dio e a tutti i tifosi che mi hanno appoggiato. Ora me ne vado in ferie, e non so quanto dureranno". Con il 9 volte campione olimpico dovrebbe esserci la 26enne modella Kasi Bennett, sua connazionale con cui secondo alcuni tabloid avrebbe una storia che va avanti da una ventina di mesi. "Soltanto dopo le vacanze penserò al futuro - ha aggiunto Bolt -. Mi piacerebbe fare qualcosa per la Giamaica, della quale credo di essere stato un buon 'ambasciatore'. Vorrei far capire al mondo le necessità del mio paese e fare tutto ciò che posso per il suo bene. E' questo l'impegno a cui vorrei dedicarmi quando non sarò più il migliore degli atleti"
    (Ansa)




    Entusiasmo Italvolley, aspettateci a Tokyo 2020
    La delusione è ancora lì visibile nei loro occhi, ma qualche ora dopo la finale del Maracanazinho contro il Brasile in quegli sguardi c'è anche tanto orgoglio per aver disputato un torneo olimpico quasi perfetto a cui è mancato 'soltanto' il guizzo finale. "Rendiamoci conto di quello che abbiamo fatto - dice Juantorena ai suoi compagni - A caldo eravamo tutti un po' giù, ma con la medaglia al collo le cose si vedono da un'altra prospettiva. Godiamocela, e poi ripartiamo: questo è un gruppo che può fare grandi cose in futuro".

    L'Italvolley si tiene stretto questo argento, con una squadra di grandi prospettive che si è finalmente ritrovata ad altissimi livelli, e tra quattro anni riproverà a conquistare il primo titolo olimpico di una storia fatta di tanti successi, a cui manca l'oro pesante a cinque cerchi. Quell'oro a cui dovrà rinunciare capitan Birarelli, che ha 35 anni e ha visto svanire la sua ultima chance: "Non eravamo lontani dal Brasile - ammette durante i festeggiamenti a Casa Italia - Purtroppo nei momenti cruciali è mancato quel guizzo che poteva far girare la partita dalla nostra parte. Serviva la partita perfetta e così non è stato". Ma questa nazionale riparte senz'altro da Ivan Zaytsev, letteralmente esploso a 27 anni ai Giochi di Rio.

    Con le sue battute da 120 km all'ora ha fatto impazzire gli appassionati di volley: sarà lui il leader indiscusso nel prossimo quadriennio insieme all'altro schiacciatore Filippo Lanza (25 anni). Ad innescarli ci sarà ancora Simone Giannelli, giovanissimo palleggiatore di talento che dopo aver mollato il tennis a 13 anni si è rivelato in Brasile come uno dei migliori al mondo nel suo ruolo. A 20 anni le emozioni sono più difficili da gestire, ma l'alzatore bolzanino ha già mostrato di possedere quella lucidità e quella maturità che servono nei momenti cruciali dei match. La delusione passerà e tra quattro anni proverà a regalare all'Italia quella gioia olimpica solo accarezzata a Rio: "Volevamo vincere questo maledetto titolo - ammette - Ce l'abbiamo messa tutta. Ripartiamo da questa finale, e tra quattro anni in Giappone ci riproveremo ancora più cattivi".
    (Ansa)

    (Gina)



    SUMMER
    foto:quotesideas.com


    Le più belle località balneari italiane... e non solo...


    spiaggia
    foto:lucianabartolini.net

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    foto:foggiareporter.it

    Mattinata, Puglia

    Sicuramente Mattinata è uno dei luoghi più interessanti del Gargano grazie anche alle acque cristalline del mare. In una distesa di uliveti, mandorli e fichi d’india degradanti verso il mare sorge il bianchissimo paese di Mattinata. Derivata dall’antica Matinum, è edificata a strati e gradoni ricavati dalla roccia su due colline, Castellacelo e Coppa della Madonna. La circondano il Monte Sacro, noto nell’antichità come Monte Dodoneo, ed il Monte Saraceno dove è possibile vedere i resti di una necropoli dell’età dei bronzo.

    Sul porto turistico sono visibili i resti di una antica villa romana e sul Monte Sacro i resti dell’abbazia della SS. Trinità.

    Mattinata può vantare una delle più belle spiagge del Gargano: chilometri di ciottoli levigati da un mare cristallino da dove partire in barca per visitare le numerose grotte, cale e spiaggette accessibili solo dal mare. I Faraglioni di Baia delle Zagare, la spiaggia di Vignanotica e quella di Mattinatella sono meraviglie della natura. La bellezza del luogo, l’ospitalità dei suoi abitanti e le moderne strutture turistiche fanno di Mattinata una delle mete turistiche più apprezzate in Italia.

    Meta ideale non solo per gli amanti del mare ma anche per i buongustai che potranno deliziare i loro palati con l’ottima cucina garganica, fortemente legata alle tradizioni locali.

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    foto:manfredoniaeventi.it
    Monte Saraceno. A pochi chilometri da Mattinata, proteso sul mare in direzione di Manfredonia, si alza lo sperone di Monte Saraceno. Il luogo che mostra segni di attività sin dall’età del Bronzo, ospita una necropoli-santuario che ha fornito testimonianze fondamentali per la conoscenza della civiltà della Daunia.

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    foto:mattinata.it
    Abbazia di Monte Sacro. Sulla sommità di Monte Sacro, custodite dal fitto della vegetazione spontanea, si celano le imponenti e straordinarie rovine di un antica abbazia benedettina consacrata alla SS. Trinità. La tradizione vuole che il sacro edificio fosse sorto intorno al V secolo. Intorno al XII secolo, grazie alla crescente floridezza economica e culturale, l’originaria cella monastica divenne una ricca e potente abbazia. Salendo sulla vetta del Monte, si ha la possibilità di ammirare un paesaggio suggestivo dominato sullo sfondo dalla piana olivicola di Mattinata.
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    foto:blog.italiavirtualtour.it
    Agnulli, villa romana. In prossimità del porto, in località “Agnulli”, si trovano i resti di una villa romana di grandi dimensioni, realizzate in “opus reticulatum“, in cui sono interrati grossi dolii per la conservazione di derrate alimentari.
    Farmacia Sansone. All’interno la bellissima collezione privata “Matteo Sansone”, ricca di reperti archeologici.

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    foto:terredelmediterraneo.org
    Foresta Umbra. A 40 Km da Mattinata a metri 800 di altezza troviamo la Foresta Umbra. E’ difficile descrivere la rara bellezza di questa selva garganica che sembra un paradiso: faggi, pini, aceri, castagni, e tante altre varietà di piante si stagliano diritte verso il cielo e, in alcuni punti, il sole penetra a fatica, tanto la foresta è fitta. La sua varia popolazione faunistica di cerbiatti, daini, volpi, lepri, cinghiali ed ogni sorta di volatili, riempie il silenzio ossequioso della foresta di mille versi.

    fonte:gargano.it

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    foto:.greenme.it

    Mattinata è tra le perle più preziose del Gargano, situata nel Golfo di Manfredonia e insignita più volte della prestigiosa Bandiera Blu per le sue acque: la costa in questo tratto è per lo più rocciosa e le baie segrete incastonate tra gli scogli si intervallano a spiagge attrezzate, generalmente di ciottoli e ghiaia.
    Mattinatella, Baia delle Zagare e Vignanotica sono tra le più note, ma le calette qui sono infinite e spesso raggiungibili soltanto in barca, tra insenature e strapiombi. Un paesaggio costiero unico, forse inaspettato.

    (Ivana)


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    foto:garganoincoming.com


    fonte:cilentonotizie.it

    “Io credo che l'ordinario incontri lo straordinario
    ogni singolo giorno.”

    J O Y


    Titolo originale Joy
    Lingua originale inglese
    Paese di produzione Stati Uniti d'America
    Anno 2015
    Durata 124 min
    Colore colore
    Audio sonoro
    Genere drammatico, biografico, commedia
    Regia David O. Russell
    Soggetto Annie Mumolo, David O. Russell
    Sceneggiatura David O. Russell
    Produttore David O. Russell, John Davis, Megan Ellison,
    John Fox, Jonathan Gordon, Ken Mok
    Produttore esecutivo Annie Mumolo, Matthew Budman,
    Mary McLaglen, George Parra, Ethan Smith
    Casa di produzione Annapurna Pictures, Davis Entertainment
    Distribuzione (Italia) 20th Century Fox
    Fotografia Linus Sandgren
    Montaggio Alan Baumgarten, Jay Cassidy
    Effetti speciali Jeremy Dominick, Paul Jaasko, Mikey Sheehan
    Scenografia Judy Becker
    Costumi Michael Wilkinson
    Trucco Jennifer Traub



    Interpreti e personaggi

    Jennifer Lawrence: Joy Mangano
    Robert De Niro: Rudy Mangano
    Bradley Cooper: Neil Walker
    Édgar Ramírez: Tony Miranne
    Diane Ladd: Mimi
    Virginia Madsen: Terry
    Isabella Rossellini: Trudy
    Isabella Crovetti-Cramp: Joy da bambina
    Elisabeth Röhm: Peggy Mangano
    Madison Wolfe: Peggy da bambina
    Dascha Polanco: Jackie
    Emily Nunez: Jackie da bambina
    Melissa Rivers: Joan Rivers
    Jimmy Jean-Louis: Touissant
    Drena De Niro: Cindy
    Bates Wilder: Todd
    Ken Cheeseman: Gerhardt
    Johnny Lee Davenport: Ray Cagney
    Christy Scott Cashman: Sarina Kimball
    Damien Di Paola: Marv Brickman
    Marianne Leone: Sharon

    Premi

    2016 - Premio Oscar
    Candidatura a miglior attrice protagonista a Jennifer Lawrence
    2016 - Golden Globe
    Migliore attrice in un film commedia o musicale a Jennifer Lawrence
    Candidatura a Miglior film commedia o musicale
    2016 - Teen Choice Award
    Miglior attrice in un film drammatico a Jennifer Lawrence



    TRAMA



    La storia turbolenta di una donna e della sua famiglia attraverso quattro generazioni: dall’adolescenza alla maturità, fino alla costruzione di un impero imprenditoriale che sopravvive da decenni. Tradimento, inganno, perdita dell'innocenza e pene d'amore sono gli ingredienti di questa storia e saranno un punto di riferimento sia nella vita privata sia nell’ambito professionale. Gli alleati diventano nemici e i nemici diventano alleati, sia dentro che fuori la famiglia, ma il lato più intimo di Joy e la sua fervida immaginazione la aiutano a superare i problemi con cui si dovrà scontrare.

    ..recensione..



    Un attrezzo per lavare i pavimenti può trasformare Cenerentola in una principessa, una giovane donna squattrinata in un'imprenditrice milionaria? Soprattutto, può quel bastone di plastica che si strizza e asciuga da solo, un tipo di mocio di quelli che imperano nelle televendite, diventare il protagonista assoluto di un film, l'eroe che passa ardito attraverso sconfitte e vittorie? Certo che può, se gli concede la sua intelligenza un regista come David O. Russell, e la sua grazia infantile un'attrice come Jennifer Lawrence, che per questo film ha già vinto il Golden Globe e potrebbe vincere l'Oscar. Si ispira a famiglie stravaganti e disunite, e a personaggi veri: nel primo ai due fratellastri pugili Dicky Eklund e Micky Ward, nel secondo all'inventrice, star delle televendite, Joy Mangano, di famiglia proletaria di origine italiana (che è anche produttrice esecutivo del film); e che oggi è una elegante e bella signora bionda di 60 anni, a capo di una grande azienda che vende il suo Miracle Mop per 10 milioni di dollari l'anno, più altri prodotti ingegnosi per la vita domestica, come i molto fortunati appendiabiti coperti di velluto.
    La Joy di Jennifer Lawrence (vive in una casetta di legno con due figli piccoli, un marito da cui è divorziata ma che non se ne va e vive nello scantinato in attesa di diventare un cantante famoso come Tom Jones, una madre che sta sempre a letto incantata da soap opera tipo (con veri attori del genere, uomini in giacca bianca e finta abbronzatura, donne molto cotonate e sempre in abito da sera), una nonna che è la sola ad aver fiducia in lei. Il padre divorziato che ha un'officina meccanica piena di debiti, viene rispedito a casa dall'amante che non lo vuole più, litiga subito con l'ex moglie e finisce a dividere lo scantinato con l'ex genero, che odia, separati da una striscia di carta igienica.
    Tutto è sulle spalle di Joy, bella e rassegnata, in casa fa anche l'idraulico. All'amica d'infanzia dice: "Che fine hanno fatto i nostri sogni, come sono arrivata a questo?". Da bambina costruiva castelli ritagliati dal cartone e si era ripromessa che mai avrebbe sposato il principe, da adolescente aveva inventato un ingegnoso collare per cane ma la madre non l'aveva brevettato, da ragazza aveva rinunciato all'università quando i genitori si erano divisi. Ma in mezzo a quella famiglia opaca e pigra, Joy riscopre la sua creatività e la sua determinazione quando, lavando il pavimento e strizzando il suo mocio, si taglia le mani con delle schegge di vetro.
    Non so se gli uomini avranno la lungimiranza di apprezzare questa sublime eroina della quotidianità, di quel lavoro domestico e di quella dedizione alla famiglia anche quando non lo merita, che costituiscono la vita di milioni di donne. Se capiranno come in queste esistenze possa essere determinante un aggeggio per la casa che fa risparmiare tempo o che non fa venire il mal di schiena. Se non sghignazzeranno (anche le donne però) per il conforto che le soap opera possono assicurare e l'entusiasmo che riescono a suscitare le televendite in tante esistenze.
    Russell racconta queste vite con assoluto rispetto, con un soffio leggero d'ironia che non costringe a ridere ma piuttosto finisce col commuovere. Certo con il regista ripropone il mito americano del successo, dal niente alla ricchezza, ottenuta con la sfida, la fantasia, la tenacia, il non darsi mai vinti, la temerarietà; il non lasciarsi spegnere da chi ti dice di lasciar perdere, che tanto non ce la farai, che non ne hai la capacità, che sarà l'ennesimo fallimento. È questo che la famiglia di Joy continua a ripeterle, mentre lei arranca tra sogni e incubi, speranze e delusioni con la sua invenzione: la sorellastra invidiosa, e quella coppia meravigliosa composta da Robert DeNiro e da un'incantevole Isabella Rossellini, il padre che non sa apprezzare la figlia e la sua nuova compagna, la vedova italiana coi soldi che amministra malamente e con grettezza. Non più giovane, involgarita da una pettinatura color mogano, da un rossetto carminio e da uno sguardo indagatore, Isabella riesce a conservare la sua grazia spiritosa in un ruolo che potrebbe essere l'inizio di una nuova irresistibile carriera. Ci sarebbe nel film anche una specie di principe azzurro: Bradley Cooper che dirige un network tremendissimo di televendite. Ma Russell non si lascia trascinare dal finale di coppia che infesta tanti film che potrebbero farne a meno.
    (Natalia Aspesi - giovedì 28 gennaio 2016, http://trovacinema.repubblica.it/)


    Andiamo Al Cinema!!!

    Il drago invisibile


    locandina

    Un film di David Lowery. Con Bryce Dallas Howard, Karl Urban, Robert Redford, Wes Bentley, Isiah Whitlock jr.


    Effetti speciali convincenti e ottime interpretazioni per un film che fa leva sull'immaginario collettivo e crea una commistione particolare tra fiaba e realtà
    Paola Casella

    Alla morte dei genitori il piccolo Pete viene "adottato" da un enorme drago verde, che il bambino chiama Elliott in omaggio al cagnolino protagonista del suo libro di fiabe preferito. Da quel momento Pete ed Elliott si aggireranno insieme per le foreste del nordovest americano, nascondendosi agli occhi degli abitanti di una comunità di boscaioli grazie alla capacità di rendersi invisibili, che nel caso di Elliott non è solo metaforica. Ma la guardia forestale Grace, orfana di madre e figlia di un intagliatore che da decenni racconta ai bimbi del paese il suo incontro con un drago volante, si accorgerà di Pete e cercherà di portarlo verso la (cosiddetta) civiltà anche grazie all'intermediazione di Natalie, figlia dell'uomo che Grace non si decide a sposare.
    Il drago invisibile è ispirato a Elliot il drago invisibile, il film Disney del 1977 che mescolava cartoni animati e live action, e ne riscrive la storia (il regista David Lowery, che viene dal cinema indie e conserva sensibilità anni Settanta, è anche cosceneggiatore) aggiornandola alle problematiche contemporanee, a cominciare dalle difficoltà delle famiglie allargate ad integrare i propri pezzi mancanti: e il sospetto che Elliott sia un amico immaginario inventato da Pete per superare il trauma della perdita dei genitori sottende tutta la narrazione.
    Per godersi questa favola in 3D bisogna ricorrere alla sospensione dell'incredulità soprattutto per quanto riguarda il comportamento del drago, che nei momenti di pericolo sembra dimenticare di saper volare, diventare invisibile e sputare fuoco. Ad aiutare lo spettatore ci sono gli effetti speciali davvero convincenti, che rendono il drago una presenza concreta e accattivante, e le interpretazioni: non tanto quelle dei più celebri componenti del cast, da Bryce Dallas Howard nei panni di Grace a un Robert Redford intagliato nel legno in quelli di suo padre, quanto quelle del piccolo Oakes Fegley, un Pete assai credibile per agilità fisica e profondità emotiva, e di Elliot, cui la CGI concede un'espressività che non ha bisogno di parole.
    Più che sulla memoria dell'originale del 1977, Il drago invisibile versione 2016 fa leva sull'immaginario collettivo, attingendo a Il ragazzo selvaggio come a Il libro della giungla, a La storia infinita come a King Kong, e riproponendo quella commistione tutta particolare che la Disney, soprattutto nei film per famiglie recitati da attori in carne ed ossa, ha sempre saputo creare fra fiaba e realtà, quotidianità contemporanea e avventure fantastiche. La riflessione "alta" riguarda la capacità di vedere ciò che sta davanti ai nostri occhi, invisibile solo perché ne rifiutiamo concettualmente l'esistenza: una capacità tutelata da anziani e bambini, alleati naturali nella volontà di abbandonarsi ad una visione meno razionale dell'esistenza, aperta all'imponderabile e alla dimensione magica. Peccato per le sottolineature hollywoodiane, soprattutto l'accompagnamento musicale eccessivo e disarmonico rispetto all'interpretazione sottile e sfaccettata del piccolo protagonista.

    Video



    “Mentre in ogni parte del mondo, per antica consuetudine, un uomo si valuta, seppur approssimativamente, con un'occhiata dalla testa ai piedi, qui a Vigevano l'occhiata si ferma ai piedi. Perché ognuno qui a Vigevano porta le scarpe che può, che deve, che merita...”
    (Alberto Sordi, Il maestro Antonio Mombelli)


    VIGEVANO



    Circondata dai boschi del Parco del Ticino, a soli 30 chilometri da Milano, Vigevano è Città d'arte ma anche città d'acque, perché è attraversata da canali e dal fiume Ticino.

    Arturo Toscanini la definì "una sinfonia su quattro lati". La Piazza Ducale sorge nel cuore della città ed è una delle più famose piazze d'Italia. Fu costruita per volere di Ludovico il Moro in soli due anni, tra il 1492 ed il 1494. Ideata dal Bramante con il concorso di Leonardo da Vinci, Piazza Ducale è l'ingresso d'onore all'imponente Castello. La piazza, a pianta rettangolare, misura 134 metri di lunghezza e 48 metri di larghezza, circondata da portici ad arcate, sorretti da 84 colonne con capitelli lavorati e tutti differenti fra loro. Originariamente i portici si interrompevano ai piedi della Torre del Bramante, in corrispondenza dell'attuale scalone di accesso al castello: al posto di quest’ ultimo, una rampa, percorribile anche a cavallo, saliva dal centro della piazza fino al portone del castello, ingresso d'onore della reggia sforzesca. L'aspetto attuale della piazza è dovuto in buona parte agli interventi del 1680, compiuti dal Vescovo Caramuel e da opere successive. La quattrocentesca decorazione pittorica fu realizzata agli inizi del Novecento, ad opera dei pittori Casimiro Ottone e Luigi Bocca, con colori e motivi vivaci, su modello delle poche tracce originali rimaste: un gioco illusionistico di architetture, figure mitologiche, disegni floreali, stemmi ducali ed una serie di medaglioni raffiguranti personaggi della famiglie Visconti e Sforza, i grandi della storia classica e curiosi motti quattrocenteschi.
    Il Castello di Vigevano è un tutt'uno con la Piazza Ducale che funge da regale atrio d'ingresso. Si può considerare una piccola città nella città, essendo per estensione uno dei più grandi complessi fortificati d'Europa. All’interno del cortile del Castello sorge la Torre del Bramante, edificata a più riprese, a partire dal 1198 sino alla fine del 17° sec. Gli interventi significativi furono: quando venne modificata dall’architetto di Urbino, Donato Bramante. Dal 1473 al 1494 circa, per volontà prima di Galeazzo Maria Sforza e poi di Ludovico Maria Sforza, detto il Moro. Attorno al Maschio vennero costruiti nuovi edifici adibiti a scuderie dalla aspetto imponente e maestoso, mentre nella parte posteriore del maschio fu costruita una nuova ed elegante ala residenziale, detta “Loggia delle dame”, riservata alla sposa di Ludovico, Beatrice d’Este. A questi lavori collaborarono grandi artisti tra cui l’ingegnere ducale Guglielmo da Camino, Donato Bramante e Leonardo Da Vinci, impegnati già da anni alla corte sforzesca. Con la fine della dinastia sforzesca (1535) il castello passò agli spagnoli e iniziò un lento declino. Nel 1696 i plenipotenziari dei governi europei convenuti per firmare la pace di Vigevano lo dichiarano inagibile e quando agli inizi del Settecento diventa sede di una guarnigione dell'esercizio austriaco cominciano le trasformazioni radicali. Verso la metà dell'Ottocento diventa Caserma dell'Esercito Sardo e quindi del Regio Esercito Italiano e rimane sede militare fino al 1968.

    Il Palazzo Sanseverino è situato ad ovest del centro storico, all'ingresso neogotico del castello. Il complesso è fortemente alterato nelle facciate esterne ma, l'aspetto monumentale è conservato nel cortile interno. In origine gli accessi erano due, uno verso la campagna ad ovest e un altro verso la città ad est, mentre l'attuale ingresso era occupato da uno scalone; un ulteriore passaggio posto sul lato nord conduceva al giardino dove si trovava una scuderia. Costruito nel 1492 sotto la direzione di Sebastiano Altavilla di Alba come abitazione di Galeazzo Sanseverino comandante la guarnigione sforzesca e sposo di una figlia naturale di Ludovico il Moro, nel 1496 viene trasformato dal Moro in fortezza, con la costruzione di una cinta muraria con quattro torri tonde ed un fossato a circuito del palazzo e del suo giardino, che viene chiamata "Rocca Nuova". Nel 1543, per volontà di Alfonso D'Avalos viene realizzato un terrapieno di difesa esterna che comporta la demolizione di 42 case, soprattutto verso il castello. Nel 1646, dopo la conquista francese, la rocca viene presa dagli spagnoli che ne demoliscono le strutture difensive. Si salva la muratura edificata da Ludovico il Moro con l'originale accesso verso la campagna. Nel 1655 Giovanna Eustachia della Santa Croce riceve in dono dal Re di Spagna il palazzo e le macerie delle fortificazione, che vengono vendute; trasforma l'edificio in un monastero dedicato a S. Chiara con la costruzione di una chiesa addossata al lato sud e consacrata nel 1680. Nel 1805 il monastero viene soppresso; il palazzo viene lottizzato e acquistato da privati che lo trasformano in abitazioni, demoliscono la chiesa e realizzano a loro spese l'attuale strada.

    Il Palazzo storico di Vigevano, sede della Civica Biblioteca fu eretto nel 1893 da Giuseppe Crespi, fondatore dell'omonimo cotonificio; fu acquistato dai signori Gagliardone e poi dai Biffignandi, successivamente venne ceduto al PNF come Casa del Fascio. Nel dopoguerra passò al Comune che, dal 1966, vi ospita la Biblioteca, intitolata nel 1983 allo scrittore vigevanese Lucio Mastronardi.

    Il duomo di Vigevano, dedicato al patrono Sant'Ambrogio, è la principale chiesa della città e sede della diocesi di Vigevano. Si affaccia sulla piazza Ducale. Il cantiere della Cattedrale prese avvio con il duca Francesco II Sforza nel 1534, su progetto di Antonio da Lonate che provvide alla demolizione della precedente chiesa di cui fu salvato il “coro”, che risale al 1465.
    Il duca Francesco II Sforza voleva dare a Vigevano, da soli due anni eretta a sede vescovile ed insignita del titolo di città da Papa Clemente VII, una degna cattedrale, dedicata all’antico patrono S. Ambrogio. La sua consacrazione avvenne nel 1612. La facciata della chiesa è stata concepita e realizzata nel 1680 dal vescovo spagnolo Caramuel: è in stile barocco e con la sua forma ellittica completa il lato est della Piazza Ducale, cingendola.

    La chiesa di San Pietro Martire fu eretta nel 1445 e dedicata a San Pietro Martire con l'annesso convento dei frati domenicani come attesta la bolla pontificia conservata presso l'archivio storico di Vigevano, venne consacrata nel 1480. In puro stile gotico lombardo con campanile a base ottagonale, si presenta a croce latina imperfetta. Nella cripta è conservato il corpo del beato Matteo Carreri, protettore di Vigevano, che visse e morì nell'attiguo convento.

    La chiesa di San Francesco fu edificata fuori dalle mura cittadine nel 1379, un anno dopo la costruzione del convento dei Frati Minori. Fu realizzata per volere del frate francescano Giovanni Ferrari da Vigevano. Era più piccola, orientata diversamente e occupava lo spazio dell'attuale transetto. Ampliata nel 1447, subì una radicale trasformazione con la totale ricostruzione e il cambio di asse tra il 1465 e il 1470. Nel 1475 venne terminato il campanile la cui costruzione era iniziata nel 1448. Nel 1801, la chiesa, oggetto delle spoliazioni napoleoniche, fu sconsacrata ed adibita ad alloggio dei soldati, i frati ne furono allontanati.
    Nel 1825, ripristinata la sua funzione religiosa, iniziarono importanti lavori di restauro che le conferirono l’aspetto attuale.
    Nel 1836 furono rifatte le cappelle. Nel 1847, per ampliare la via S. Francesco, venne demolita la cappella dell'Immacolata Concezione, edificata nel 1494 su disegno di Donato Bramante. Tra il 1847 e il 1856 subì un "restauro" che trasformò l'interno in stile neogotico. Tra il 1891 e il 1903, ad opera dell'architetto Moretti, fu ripristinato il disegno gotico lombardo della facciata con il rialzo di alcuni metri, per allinearsi al tetto sopralzato con gli interventi ottocenteschi. Vennero eliminati i piccoli ingressi ai lati del portale di facciata realizzati nel corso del Settecento, allungate le due finestre gotiche e completata la cornice del finestrone tondo rifatto più grande di quello quattrocentesco. A completamento della facciata furono rifatti i pinnacoli. Nel 1931 anche i lati vennero restaurati, riportando all'antica forma la facciata del transetto. Uscendo dalla chiesa dal fianco verso Via San Francesco è possibile scorgere uno scurolo barocco nel quale fino a pochi anni fa erano visibili teschi di frati, ricordo del cimitero che qui esiste, chiamato dai vigevanesi "Gisiò di mort".

    Vigevano e Milano condividono lo stesso patrono, ma i vigevanesi festeggiano il Beato Matteo Carreri, loro protettore. Il giorno delle festività non il 7 dicembre come per Milano, ma il lunedì seguente la seconda domenica di ottobre. Molti vigevanesi non sanno di questa differenza, festeggiando erroneamente il Beato Matteo come proprio patrono.

    …storia…


    Si presume che le origine della città sia molto antica. Il primo documento la menziona con il nome longobardo di "Vicogeboin" o "Vicus Gebuin", e risale al 963. L'abitato sorse in una posizione strategica ai margini della valle del Ticino, nei pressi di un importante guado sul fiume.
    Nel corso del XII secolo su costruito il castello ed il borgo venne fortificato lungo uno dei lati rivolti alla pianura. Conquistò ampie autonomie amministrative, ma a causa della sua posizione, la distanza da Pavia e Milano è quasi uguale, fu spesso al centro dei frequenti conflitti tra le due città per il possesso della Lomellina, subendo guerre, assedi e distruzioni per oltre 150 anni.
    In seguito, con l'avvento delle signorie, le condizioni migliorarono; tra il XIV ed il XV secolo il borgo divenne feudo dapprima dei Della Torre, poi dei Visconti e infine, tra il 1450 e 1535, degli Sforza.
    Durante il periodo visconteo-sforzesco Vigevano raggiunse un periodo di massimo splendore, divenendo residenza ducale e centro commerciale di notevole importanza per la lavorazione dei panni di lana e di lino.
    Nel XIV, vi furono importanti mutamenti urbanistici introdotti dai Visconti che culminarono nella costruzione dei "terraggi, della "rocca" e nel potenziamento del castello con l'erezione delle mura. Durante il governo di Luchino Visconti venne costruita la possente "Strada Coperta" (1347) che collegava il Castello alla Rocca scavalcando le case del borgo.
    L'ultimo dei Visconti, Filippo Maria, morì nel 1447 senza lasciare eredi, a Milano si proclamò l'Aurea Repubblica Ambrosiana a cui Vigevano aderì. Quando Francesco Sforza tentò di impossessarsi del potere, Vigevano si ribellò e nell'aprile del 1449 espulse il podestà ed il comandante del presidio e si proclamò libero comune, alleandosi con Milano. Le truppe sforzesche posero l'assedio alla città per circa 20 giorni portando numerosi assalti contro i vigevanesi chiusi dentro il castello. Ma l'impegno di tutto il popolo, guidato dall'eroina Camilla Rodolfi, non bastò; il 6 giugno la città si arrese, riuscendo però ad ottenere una serie di privilegi. In seguito Francesco Sforza scelse il castello di Vigevano come dimora estiva e riserva di caccia della sua corte. Dopo la morte di Galeazzo Maria Sforza, gli succedette il giovane figlio Gian Galeazzo Maria. Fu allora che Ludovico il Moro, fratello di Galeazzo, tentò di impadronirsi del potere assumendo la reggenza nel 1480 e divenendo poi duca di Milano nel 1494. Nativo di Vigevano, il Moro bonificò il territorio, migliorando il sistema di irrigazione a beneficio dell'agricoltura e costruendo la grande fattoria modello denominata "Sforzesca", a sud della città. Fece ampliare il castello costruendo nuove scuderie e nuovi edifici quali la "Loggia delle Dame", la "Falconiera" e la Torre, ad opera di Donato Bramante; contemporaneamente avviò la costruzione della grandiosa piazza Ducale, terminata nel 1494. Nel 1500, con la sconfitta del Moro, catturato dai francesi a Novara, per Vigevano si chiuse il periodo aureo del rinnovamento urbanistico. Seguirono anni di difficoltà con guerre ed occupazioni straniere. Nel marzo 1530, Francesco II Sforza, ultimo Duca di Milano, ottenne da Papa Clemente VII che Vigevano diventasse città e sede vescovile ma alla sua morte la città cadde sotto un lungo e difficile dominio spagnolo, attraversando un XVII secolo segnato da carestie, epidemie di peste e assedi.
    Dopo una breve dominazione austriaca, nel 1745 la città entrò a far parte del Regno di Sardegna; sotto il dominio sabaudo l'industria e il commercio rifiorirono e il 29 agosto 1789 la città divenne capoluogo della "Provincia Vigevanasca". Dopo la parentesi della dominazione napoleonica nel 1814 la città tornò ai Savoia.

    Nel 1854 viene inaugurata la linea ferroviaria Vigevano-Mortara e nel 1870 il prolungamento fino a Milano. Nel 1866 sorse a Vigevano il primo calzaturificio italiano (Luigi Bocca); nel 1937 si contavano 873 aziende con 13.000 dipendenti fino ad arrivare a 900 aziende con quasi 20.009 addetti nel 1965. Parallelamente all'industria calzaturiera si diffuse anche l'industria tessile per la lavorazione della seta e del cotone.
    Nel secondo dopoguerra il settore tessile si ridimensionò fortemente mentre quello calzaturiero, dopo il boom degli anni cinquanta e sessanta, iniziò un drastico declino, compensato solo in parte dallo sviluppo dell'industria metalmeccanica Il settore calzaturiero è ancora presente e Vigevano rimane uno dei luoghi dedicati alle calzature nel Nord Italia, tuttavia in una forma molto minore rispetto al passato.

    ..la Sforzesca..



    La Sforzesca fu inaugura nel 1486 Ludovico il Moro e fu la prima delle grandi opere pensate per fare di Vigevano una residenza ducale. La costruzione di forma di quadrilatero ne costituiva il "centro"; le torri angolari o colombaie erano i casamenti dei fittabili e i locali per ospitare il duca. La Sforzesca fu pensata fin dall'inizio come laboratorio agricolo sperimentale, una azienda agricola la cui natura e il cui fine erano la produzione come la coltivazione dei gelsi e quindi l'allevamento razionale dei bachi da seta.
    La villa rappresenta il primo esempio assoluto di complesso agricolo a corte chiusa. Le lapidi commemorative del XVI secolo ancora oggi presenti "rese fertile questa arida pianura assetata, col portarvi con grande spesa abbondante acqua". Anche la lapide sulla torre bramantesca datata 1492 che scandisce la successione degli interventi del Moro a Vigevano pone come prioritari i lavori idrici, grazie ai quali "rese fertili con irrigazione fluviale gli aridi campi di Vigevano".
    Le sperimentazioni e le novità gestionali ma anche tecniche avviate "sul campo" alla Sforzesca, ebbero in Leonardo da Vinci un attento e partecipe osservatore e forse anche suggeritore. Sono frequenti le citazioni di Vigevano che compaiono nel manoscritto H, conservato a Parigi. Sono annotazioni e disegni che spaziano dai congegni idraulici ai lavori di bonifica agraria, dalle osservazioni agronomiche alla costruzione di un padiglione in legno. La maggior parte risultano datate febbraio-marzo 1494 da Vigevano e proprio dalla Sforzesca. Al foglio 1r. parla di "serare a chiave uno incastro da Vigievine". Al foglio 38r. la notazione "vigne di Vigievine a dì 20 marzo 1494 e la vernata si sotterano", con uno schizzo che riproduce la disposizione delle viti ed il metodo allora utilizzato dai contadini per preservare le viti dal freddo, metodo di agricoltura biodinamica "ante litteram".
    Al foglio 65v. "A dì 2 di febbraro 1494 alla Sforzesca ritrassu scalini 25 di "7£ di braccio l'uno larghi braccia 8" e seguono due disegni di una scala sulla quale scorre l'acqua. Una notazione ripresa e descritta ampiamente nel manoscritto Leicester, dove Leonardo illustra il meccanismo per diminuire la velocità dell'acqua e quindi la potenza della sua caduta. Un procedimento presente alla Sforzesca presso il mulino ancora oggi esistente e chiamato "Mulino della Scala".
    Al foglio 94 v. parla dei "Mulina a Vigievine" ed anche in molti altri fogli del manoscritto parla di mulini e dei canali che li alimentano.

    …miti e leggende…



    Addì giugno 1449. Le truppe di Francesco Sforza, rinforzate dai mercenari di Bartolomeo Colleoni, lanciate alla conquista del ducato di Milano, assediarono il castello di Vigevano, la più munita delle rocche alleate della inetta Aurea Repubblica Ambrosiana. La battaglia infuriò per ore e ore, con alterne fortune, ma senza che gli assedianti riuscissero a conquistare le fortificazioni cittadine. Gli assediati combatterono con valore e coraggio, aiutati dalle loro donne e dagli invalidi. Ma giunge il momento in cui i vigevanesi, esausti, non furono più in grado di respingere i nemici che riescono a far breccia. Quando la situazione sembrò volgere a favore del nemico, gli assalitori videro, con grande sorpresa, sbarrarsi il passo da un drappello di indomite donne che, raccolte le armi degli sfiniti mariti, fratelli e figli, si opposero corpo a corpo alle non meno stremate file sforzesche con impeto tale da non solo contrastarne l'avanzata ma anche di ricacciarli di nuovo oltre le mura. II fiero attacco femminile consentì ai difensori di riprendere fiato quel tanto che basta per continuare il combattimento, che proseguì per alcune ore fino a che il nemico, scoraggiato, si ritirò. La tradizione popolare ha tramandato il nome della donna che organizzò il drappello delle coraggiose combattenti vigevanesi: Camilla, della nobile casata dei Rodolfi. Qui la storia si confonde con la leggenda: infatti il Nubilonio, fantasioso ma accurato cronista delle vicende cittadine, non fa menzione della presunta eroina che avrebbe guidato le donne vigevanesi, ma nel velario del teatro Cagnoni ad opera di G. 8. Garberin si può ammirare “Camilla Rodolfi al comando delle donne vigevanesi”.

    Benché ricco di storia e di memorie, il castello di Vigevano è avaro di leggende legate alla sua esistenza e, soprattutto, sembra assente da fantasmi. Una minima leggenda di spettri e fantasmi si ha nell'ala del maschio in cui erano ubicati gli appartamenti della duchessa e delle sue dame. Questo settore comprende numerosi ampi locali, i cui elementi identificativi sono la bramantesca "loggia delle dame" e il cosiddetto "passaggio aereo", che collega l'ala stessa alla falconiera. In questi appartamenti, nel 1491, venne a risiedere la giovane moglie di Ludovico il Moro, la sedicenne Beatrice d'Este. Amatissima dal marito, dopo avergli dato due figli, morì sei anni dopo di parto, alla terza gravidanza, lasciando nella disperazione Ludovico e sincero rimpianto sia nel popolo sia nella corte. Dopo la morte della duchessa l'ala, in pratica, non fu più abitata stabilmente.
    Da esseri viventi, per lo meno, perché la leggenda vuole che, nelle calde notti estive, gli spiriti della dame di corte di Beatrice amino passeggiare nottetempo nei loggiati degli appartamenti femminili del castello.

    Si narra che uno dei tanti camminamenti sotterranei che dal castello cittadino si snodavano in varie direzioni arrivasse fin nella valle del Ticino e che, superato il fiume, conducesse ad Abbiategrasso e poi a Milano.
    Trascorsa l'epoca di utilizzo di tale sotterraneo, padrone assoluto ne era diventato un mostro di dimensioni enormi, in forma di serpente, dotato di ali rossicce nervate come quelle di un pipistrello, con orecchie suine setose e piccoli occhi « che mandavan lampi incantatori ». In compenso dal corpo del drago esalava un fetore ammorbante, « in grado di mozzare il fiato ad un uomo a molti passi di distanza ». Nei tempi in cui il sotterraneo era ancora accessibile più d'uno vi scese temerario; coloro che ne erano usciti vivi avevano raccontato di avere visto il rettile e di essere fuggiti spaventati a morte. Anche allorché il castello fu adibito a caserma, il mostro, per nulla disturbato dalla regolare presenza dei militari, continuò ad animare la fantasia popolare. Si narra anzi che un militare, rinchiuso in una cella sotterranea, fosse scomparso senza lasciare segno e che la stessa ingloriosa sorte fosse toccata ad alcuni commilitoni mandati sottoterra a cercarne le tracce. La leggenda, ancora diffusa e viva intorno alla metà dell'Ottocento, soprattutto tra pescatori e contrabbandieri ticinesi, non dice però che fine avesse fatto il mostro.


    Una pubblicazione francese del 1810 riporta una curiosa leggenda vigevanese - arduo scoprire per quale arcana ragione il capoluogo lomellino, insieme con la sua leggenda, sia finito nelle pagine di un libro edito a Parigi, - che, secondo lo storico Ambrogio Basletta (Vigevano 1849 - Firenze 1919), sopravviveva ancora nella tradizione popolare intorno alla metà dello stesso secolo.
    Il Basletta, maggiore dell'esercito con la passione della riscoperta delle tradizioni della sua terra d'origine, narra che « alla mezzanotte e un minuto secondo del 31 dicembre di ciascun anno, piova o nevichi, sia sereno o fischi la raffica, splenda la luna in un cielo mite o il gelo intristisca i campi, fa tredici giri intorno alla vasta corte del castello una chioccia. Essa è seguita da undici pulcini pipilanti lamentevolmente. Tanto la chioccia quanto i pulcini sono d'oro massiccio: mentre la prima tiene, al posto degli occhi, due grossi brillanti, i secondi hanno invece piccoli rubini luccicanti come faville ».
    A questo punto il racconto, così com'è riportato nella pubblicazione transalpina, si fa avaro di particolari. Sembra che colui che aveva la ventura di incontrare l'insolita famigliola, pronunciando frasi misteriose avrebbe visto la gallina trasformarsi in una bellissima ragazza e i pulcini mutare in undici paggi biondi. Inoltre il fortunato passante sarebbe diventato lo sposo della donna, per di più ricco, perché ciascuno dei paggi era in possesso di un segreto per impossessarsi di un favoloso tesoro. Peccato che nessuno abbia mai rintracciato le "frasi misteriose" necessarie alla mutazione della gallina e dei pulcini né, tantomeno, che alcuno abbia mai avuto occasione di incontrare i simpatici volatili.


    Il Rogo del Diavolo. Una delle più radicate tradizioni del folclore vigevanese è rappresentata dal "rogo del diavolo", celebrato alla fine di agosto di ogni anno sul sagrato della chiesa di San Bernardo. Le origini di tale festa sono legate a una leggenda che narra di un brutto scherzo giocato dal diavolo a san Bernardo di Chiaravalle in persona.
    Il santo, mentre soggiornava a Milano, doveva recarsi a Vigevano per una predica in favore di una seconda crociata.
    Satana, onde impedirgli di giungere a destinazione, pensò di sfilare una ruota dall'asse della vettura su cui viaggiava l'abate di Clairvaux. Ma Bernardo catturò con le sue mani Satana e ne adattò il corpo in guisa di ruota, così da poter proseguire alla volta di Vigevano, dove era atteso per la sua predica. Gli abitanti del rione, avvertiti della presenza del maligno temporaneamente immobilizzato nella ruota approfittarono di questa situazione per bruciare nella piazza l'intero carro con Lucifero imprigionato.


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    Le canzoni dell'estate degli anni 78/84


    summer
    foto:ontheoffbeat.ca


    La musica del cuore


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    foto:newlog.com.ar

    Adriano Pappalardo - Ricominciamo

    Ricominciamo è un singolo di Adriano Pappalardo, prodotto da Celso Valli e pubblicato dalla RCA Italiana, grande successo dell'estate 1979.