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gheagabry.
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. BROOKLYN
Titolo originale Brooklyn
Lingua originale inglese
Paese di produzione Irlanda, Regno Unito, Canada
Anno 2015
Durata 111 min
Colore colore
Audio sonoro
Rapporto 1.85 : 1
Genere drammatico, sentimentale
Regia John Crowley
Soggetto Colm Tóibín
Sceneggiatura Nick Hornby
Produttore Finola Dwyer, Amanda Posey
Produttore esecutivo Zygi Kamasa, Alan Moloney, Thorsten Schumacher
Casa di produzione Wildgaze Films
Parallel Film Productions
Irish Film Board
Item 7
Distribuzione (Italia) 20th Century Fox
Fotografia Yves Bélanger
Montaggio Jake Roberts
Musiche Michael Brook
Scenografia François Séguin
Costumi Odile Dicks-Mireaux
Interpreti e personaggi
Saoirse Ronan: Eilis Lacey
Emory Cohen: Antonio "Tony" Fiorello
Domhnall Gleeson: Jim Farrell
Jim Broadbent: Padre Flood
Julie Walters: Madge Kehoe
Bríd Brennan: Miss Kelly
Jane Brennan: Mrs. Lacey
Fiona Glascott: Rose Lacey
Jessica Paré: Miss Fortini
Eileen O'Higgins: Nancy
Emily Bett Rickards: Patty McGuire
Jenn Murray: Dolores Grace
Nora-Jane Noone: Sheila
Michael Zegen: Maurizio Fiorello
Gerard Murphy: Daddy LaceyTRAMA
1952. Eilis Lacey è nata e cresciuta in un piccolo paese in Irlanda con la madre e la sorella. Ha difficoltà a trovare un lavoro, per questo decide di emigrare negli Stati Uniti d'America alla ricerca di un futuro migliore. Dopo un difficile periodo di adattamento, durante il quale vive in un convitto femminile e lavora in un grande magazzino, Eilis riesce a costruirsi una vita a Brooklyn e si innamora di Tony, idraulico italiano. Ma per l'improvvisa e tragica scomparsa della sorella torna in Irlanda dalla madre. A quel punto Eilis dovrà decidere quale vita vuole per se stessa, se rimanere nella sua terra natia o tornare negli Stati Uniti....recensione...
C'è un tipo di cinema medio, molto educato e pulito e lineare, che si potrebbe definire in modo molto sbrigativo e un po' maleducato 'cinema per signore'. Quello che si guarda solitamente a casa, meglio se di pomeriggio, e che fa consumare tanti fazzoletti per asciugar lacrime. Un cinema col quale in fondo non si sa bene che cosa dovremmo farci, figurarsi oggi in cui il clima cinico è dilagante.
Eppure con Philomena, che è il miglior 'film per signore' degli ultimi anni, ce lo siamo fatti tutti un piantino, e fortuna-
tamente non ce ne siamo vergognati ad ammetterlo. Anche perché, se si resta indifferenti con una storia del genere - ma soprattutto di fronte alla scrittura con cui viene raccontata -, forse il sospetto che si ha un po' il cuore di pietra dovrebbe venire. Sospetto, mica certezza, per carità...
Brooklyn è molto più Philomena che C'era una volta a New York, con il quale condivide un plot di partenza simile. Ma per tono, regia ed evidentemente intenzioni è un altro mondo, un altro cinema. Brooklyn ad esempio, come Philomena, è poco interessato a creare un mondo attraverso la regia e gli elementi puramente cinematografici, e questo perché Stephen Frears e soprattutto John Crowley non sono James Gray e non ne hanno le aspirazioni.
Crowley è invece chiaramente innamorato con tutto il cuore della sua storia, e quindi decide di raccontarla nell'unico modo possibile: girando in modo chiaro e lineare, lasciando che sia appunto la storia - come in un romanzo (e mica è un caso che Brooklyn sia basato su un romanzo) - a raccontarsi. Cinema semplice, si direbbe.
Anche piatto? Non mi sembra. La storia di Brooklyn, come nel miglior 'cinema per signore', riduce tutto a poche cose, essenziali e dirette. Perché questa è una storia che parla direttamente ai sentimenti, ed è una questione di cuore. La vicenda di Eilis, che abbandona il suo villaggio in Irlanda per trovare fortuna nella Brooklyn degli anni 50, può magari colpire di più chi qualcosa del genere l'ha vissuta, ma ha un carattere universale che è difficile non cogliere.
Costretta ad abbandonare madre, sorella e amici per andare oltreoceano in un'epoca in cui si comunicava ancora via lettera e il telefono non era così diffuso, Eilis si trova a vivere come un'estranea in un mondo nuovo. Il primo consiglio che le viene dato è di "pensare come un Americano": ci mette ovviamente un po', versa lacrime a casa e sul lavoro, ma poi newyorkese ci diventa davvero (ci si mette poco, a NYC...).
La solitudine viene man mano meno grazie all'incontro con Tony (Emory Cohen: faccia da schiaffi, e anche per questo perfetto), un ragazzo di origini italo-americane che le fa subito la corte. E proprio nel momento in cui Eilis ricomincia a vivere, e il suo cuore torna a battere, rientra dalla finestra a gamba tesa nella sua esistenza quella distanza che la separa da casa e dalle sue origini.
Se c'è appunto qualcosa che Brooklyn mette a fuoco benissimo, nonostante la confezione curatina e le troppe lunghezze, è proprio il concetto di distanza. Centra il senso di sofferenza, divisione e soprattutto impotenza (di poter partire, o di restare, o semplicemente di fare la cosa giusta al momento giusto) così bene che ci si perde volentieri fra i suoi fotogrammi. E sì, le lacrime arrivano da sole.
Saoirse Ronan ha ovviamente il volto bello e giusto per dar vita a un personaggio che, anche se anche piange persino troppo (oh, se piange...), porta con sé un carico di dolore e dubbi ed emozioni che sono tipici di chi è forzato a fare qualcosa che non vorrebbe. Ma queste sono anche tutte le emozioni fragili che si provano nel passaggio all'età adulta.
In fin dei conti, con Brooklyn assistiamo a un coming-of-age di una ragazzina che diventa adulta e viene chiamata a strappare un cordone ombelicale più duro da spezzare di quel che si può pensare. Brooklyn alla fine di questo ci parla: della ricerca della propria identità, di un angolo di mondo assai agognato e che ci faccia finalmente star tranquilli.
( Gabriele Capolino, www.cineblog.it/).