L'UOMO NELLO SPAZIO

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  1. gheagabry
     
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    « Terra - la culla dell'umanità,
    ma non si può vivere per sempre in questa culla. »
    (Konstantin Ėduardovič Ciolkovskij)



    L'UOMO NELLO SPAZIO



    La specie umana è destinata a restare per sempre sul suo pianeta di origine o al contrario è destinata a espandersi nello spazio? E, ammesso che tale espansione sia possibile e che si realizzi, esistono comunque dei limiti invalicabili oltre i quali non si potrà mai andare?
    Tali prospettive sono state sviluppate da un’intensa elaborazione filosofica che ha il suo culmine, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, nel “Cosmismo” russo, che sosteneva il destino cosmico dell’uomo e l’unità tra l’umanità (anzi, le moltissime comunità di esseri intelligenti che secondo Tsiolkovsky si sono evolute nell’Universo) e il Cosmo. I suoi principali esponenti furono il filosofo Fedorov e lo stesso Tsiolkovsky, ma influenzò molti importanti intellettuali, tra cui anche Dostoevsky e Tolstoy.
    Secondo questa visione, la specie umana, che si è evoluta sulla Terra, ha un destino che va ben oltre il proprio pianeta. Lasciare la sua superficie per diffondersi nel cosmo è quindi un vero e proprio imperativo, il cosiddetto imperativo spaziale. Lo spazio è pertanto una vera frontiera dell’umanità da spingere gradualmente sempre più lontano nell’universo che ci circonda. Ovviamente con tutte le suggestioni e i miti che tale termine evoca.
    Konstantin TsiolkovskyKonstantin Tsiolkovsky ha sintetizzato questa idea, al livello più semplice, osservando che, se è vero che la Terra è la culla dell’umanità, è altrettanto vero che dalla culla bisogna prima o poi uscire per affrontare la vita. La storia dell’umanità sul nostro pianeta non sarebbe quindi che una specie di prologo per la vera storia, che deve ancora sostanzialmente cominciare, la storia dell’uomo abitatore del Cosmo.
    Questa visione ha infinite sfumature, da quelle minimaliste, che vedono l’uomo come specie confinata al sistema solare, ad altre che prevedono un’espansione su scala infinitamente più grande. Anche i motivi per cui l’uomo dovrebbe seguire tale imperativo sono molteplici, e vanno dalla pura e semplice sopravvivenza (in quanto non è affatto sicuro puntare tutto su un unico pianeta, che può essere coinvolto in catastrofi di vario genere e che, alla fine, dovrà comunque subire la sorte del nostro sistema solare), a fini di tipo materialistico, storicistico o religioso. Soprattutto nell’ultimo caso, l’uomo può essere visto come l’unico essere intelligente, l’agente in qualche modo incaricato di umanizzare il creato, oppure come una delle tante specie intelligenti destinate a creare una comunità di dimensioni cosmiche.
    Recentemente è stata proposta una generalizzazione di tale impostazione con la formulazione di un ipotetico principio, detto “Principio dell’espansione della vita cosciente” (CLEP: Conscious Life Expansion Principle) che, nella forma forte, stabilisce quanto segue: Una specie intelligente e cosciente che si evolve su un pianeta è in grado di intraprendere l’esplorazione dello spazio. Tale impresa non è un’opzione o un evento occasionale nella storia della specie, ma rappresenta un modo obbligatorio di diffusione della vita di livello superiore al di fuori del luogo in cui si è sviluppata. Affinché tale principio sia valido è necessario che le leggi fisiche permettano a tutte le forme di vita intelligente di intraprendere il volo interstellare e che tale possibilità si verifichi in qualsiasi galassia dove sia comparsa vita intelligente, indipendentemente dal numero di sistemi stellari abitati in qualsiasi epoca.
    Dello stesso principio esiste una forma debole, la quale stabilisce che le leggi fisiche sono orientate verso la possibilità di esistenza della vita e permettono alla vita cosciente di intraprendere il volo interstellare. Ciascuna civiltà può essere fortemente motivata a esplorare l’universo o in modo indiretto dal proprio sistema stellare o direttamente espandendosi in altri sistemi.
    L’espansione nello spazio sarebbe una caratteristica fondamentale dell’intelligenza e quindi anche di ipotetici esseri intelligenti che possono essersi sviluppati altrove, nella nostra galassia o in generale nell’Universo. Più che un fine da perseguire attivamente, un vero e proprio imperativo per la specie umana, si tratterebbe dunque di una logica conseguenza dell’intelligenza dell’uomo, una continuazione della stessa spinta che ha portato la vita a diffondersi su tutta la Terra, occupandone anche gli ambienti apparentemente meno adatti. Primo Levi, commentando il primo sbarco sulla Luna e analizzandone le motivazioni, scriveva: “Alla base di tutti [i motivi], si intravvede un archetipo; sotto l’intrico del calcolo, sta forse l’oscura obbedienza a un impulso nato con la vita e ad essa necessario, lo stesso che spinge i semi dei pioppi ad avvolgersi di bambagia per volare lontani nel vento, e le rane, dopo l’ultima metamorfosi, a migrare ostinate di stagno in stagno, a rischio della vita: è la spinta a disseminarsi, a disperdersi su un territorio vasto quanto è possibile…” (La Luna e noi, “La Stampa”, 21 luglio 1969).
    La prospettiva dell’imperativo spaziale ha attirato, sin dal suo inizio, numerose critiche, che vanno dall’accusa di diabolica presunzione a quella, molto più pratica, di propugnare idee irrealizzabili. Una critica del primo tipo può essere trovata nel romanzo Lontano dal Pianeta Silenzioso, scritto nel 1938 dal letterato e critico C.S. Lewis. Se è vero che non sono molti a sottoscrivere obiezioni di questo tipo, tuttavia le difficoltà, che l’uomo incontrerà sulla strada che lo potrebbe portare a diffondersi nell’Universo, o almeno in una piccolissima parte della nostra galassia, paiono a molti insuperabili.
    Sino a oltre la metà del XX secolo vi era una diffusa convinzione che persino il primo passo lungo questa strada, l’uscita dal campo gravitazionale terrestre, fosse impossibile. (Giancarlo Genta,Aprile 2011 - http://disf.org/)
    Invece.....




    ... le prime esplorazioni...

    L'uomo ha conosciuto meglio l'Universo dopo l'invenzione del telescopio, ma soprattutto grazie alle sonde spaziali che sono stati lanciate a partire dal 1957. Sono stati più di tremila i lanci da allora effettuati e un infinità di dati è giunto a terra, tanto che essi potrebbero riempire parecchie enciclopedie. Tutto ciò è stato reso possibile grazie allo sviluppo tecnologico dei razzi. All'inizio di questo secolo non era ancora possibile superare la forza di gravità terrestre poiché i razzi non avevano sufficiente potenza ed erano rimasti quasi uguali da quando erano stati inventati dai Cinesi molti secoli addietro. Furono cosi Robert H. Goddard, Herman Oberth, Konstantin Tsiolkovsky e Wernher von Braun, quasi indipendentemente uno dall'altro, a sviluppare i nuovi razzi a combustibile liquido, costruiti a più stadi sovrapposti in modo tale che lo stadio vuoto di carburante veniva eliminato per dare possibilità al razzo di continuare la sua corsa senza pesi in eccedenza. Fino al 1957 era il razzo il maggior protagonista nello spazio, ma in quell'anno i russi lanciarono lo "Sputnik": ebbe così inizio la corsa alla conquista dello spazio con protagonisti i satelliti artificiali.

    Lo Sputnik fu la prima sonda lanciata nello spazio, equipaggiato con gli strumenti già usati su dei palloni sonda in uso da diversi anni. Dopo i russi con lo Sputnik presto seguirono anche gli americani con la loro sonda Explorer 1, poi nel 1959 i russi con la loro terza sonda serie Luna ottennero le prime foto della faccia nascosta della luna. Queste primitive sonde con le loro strumentazioni mandarono a terra anche molti dati scientifici che aiutarono l'uomo nella conquista dello spazio ed nel primo ammaraggio lunare. Dopo la prova fatto con la cagnetta Laika presto seguì anche il primo volo umano nello spazio.

    Il 12 aprile 1961 Yuri Gagarin con la navicella Vostok 1 percorse in un'ora e 48 minuti un giro intorno alla terra raggiungendo un'altitudine di 326 km. Da parte americana seguirono Alan Shepard sempre nel 1961 e John Glenn nel febbraio dell'anno seguente. Il 25 maggio 1961 il presidente Americano Kennedy lanciò la sfida dell'uomo sulla Luna entro la fine del decennio e cominciò così anche il progetto Gemini che aveva come scopo principale il collaudo di nuove tecnologie e tecniche necessarie al programma di andare sulla Luna denominato programma Apollo. Nel 1965 si compie anche il primo aggancio spaziale tra la Gemini 6 e la Gemini 7.

    Per rendere possibile l'atterraggio sulla Luna, nel 1967 gli americani usarono gli veicoli U.S. Orbiter che in pochi mesi ottennero una carta dettagliata della superficie lunare. Nel frattempo anche i russi non restarono fermi e tentarono pure loro la conquista della Luna, ma con meno fortuna degli americani, a causa dei problemi con il loro razzo prescelto per la missione. Come stabilito gli americani riuscirono a portare a termine il progetto Gemini e così, dopo alcuni lanci Apollo, finalmente fu l'Apollo 11 con il suo equipaggio a compiere con successo la missione.

    Il giorno 16 luglio 1969 partirono gli astronauti Neil Armstrong, Michael Collins ed Edwin Aldrin alle ore 8.32 dalla Florida (Kennedy Space Center) per compiere 4 giorni dopo lo sbarco sulla Luna, seguito in diretta dalla televisione di tutto il mondo.
    (www.astrofilitrentini.it/)



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  2. gheagabry
     
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    Spazio, 40 anni fa l''abbraccio' in orbita
    fra l'Apollo e la Soyuz




    Sono passati 40 anni dallo storico incontro in orbita fra la navetta sovietica Soyuz e l'americana Apollo. Era il 17 luglio 1975 e l'evento segnava ufficialmente la fine della corsa allo spazio fra Usa e Urss, con l'inizio d una collaborazione che continua ancora oggi.
    Protagonisti dell'incontro sono stati gli astronauti della Nasa Tom Stafford, Deke Slayton e Vance Brand, e i cosmonauti Aleksey Leonov e Valeriy Kubasov.

    Chiamata 'Programma test Apollo-Soyuz', la missione prevedeva l'aggancio in orbita delle due navette per consentire ai due equipaggi di trasferirsi da una capsula all'altra. Ma fu ben più di un test tecnico: se il modulo di aggancio, progettato insieme dalle due potenze e costruito negli Stati Uniti, dimostrò che due capsule diverse potevano congiungersi in orbita, il lato umano della missione, sottolinea la Nasa, è andato ben oltre. In quell'incontro nello spazio i due equipaggi hanno dimostrato che in pochi minuti la possibilità di abbattere barriere culturali e linguistiche.



    Si era in piena Guerra Fredda e all'inizio c'era tensione, ha raccontato Brand: ''pensavamo di trovarci di fronte a persone piuttosto aggressive e loro probabilmente pensavano che noi fossimo dei mostri''. Ma questo muro, ha detto l'astronauta, è stato rotto rapidamente ''perché quando hai a che fare con persone che fanno il tuo stesso lavoro e ti ci trovi accanto scopri che sono esseri umani come te''.

    L'altro problema da superare è stata la lingua: il programma prevedeva che ogni equipaggio avrebbe dovuto parlare solo nella sua. Ma così non funzionava e allora alcuni astronauti cominciarono a parlare ognuno nella lingua dell'altro e ''così - ha detto Stafford - abbiamo iniziato a comunicare''.
    (Ansa)


    L'astronauta Donald Slayton e il cosmonauta Aleksey Leonov all'interno della Soyuz (fonte: NASA)



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  3. gheagabry
     
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    ATLAS V









    A osservare il lancio del razzo Atlas V erano forse in centinaia, nonostante l'ora. Erano le 6 e 18 del mattino in Florida quando il vettore della United launch alliance è decollato per portare in orbita il satellite per comunicazioni militari della Us Navy. Tutti in piedi molto prima dell'alba per assistere allo spettacolo ma nessuno si sarebbe immaginato di vedere nel cielo una tale bellezza. I gas di scarico, infatti, una volta raggiunta una certa quota, sono stati illuminati dalla luce del sole che a terra non era ancora sorto. L'effetto sullo sfondo di un orizzonte ancora pallido è monumentale, e ne l'ha reso forse uno dei lanci più spettacolari mai effettuati da Cape Canaveral.

    di Matteo Marini








    Twitter Christopher Arnold



    photo AP
     
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  4. gheagabry
     
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    Missione Rosetta, il robot Philae si 'risveglia'
    e contatta la Terra


    di VALERIA PINI


    IL MESSAGGIO è arrivato da 500 milioni di chilometri. Il robot Philae, che si trova sulla cometa 67P, si è risvegliato nella notte fra sabato e domenica. Il piccolo lander, della missione Rosetta, si è 'riattivato' in modo inaspettato dall'ibernazione nella quale si trovava da 6 mesi e ha inviato i primi dati dalla cometa sulla quale era atterrato in novembre, la 67P/Churyumov-Gerasimenko. L'annuncio è stato diffuso, anche con uno scambio di tweet, dall'Agenzia spaziale europea e l'Agenzia spaziale italiana.


    Hello Earth! Can you hear me? #WakeUpPhilae

    — Philae Lander (@Philae2014) June 14, 2015


    L'annuncio. "Possiamo confermare che l'avventura di Pihlae continua! - ha detto il presidente dell'Agenzia Spaziale Italiana, Roberto Battiston - . Il risveglio del lander è una notizia straordinaria che, oltre a farci sognare, ci riempie d'orgoglio per l'affidabilità delle tecnologie utilizzate, molte di marca italiana".
    L'atterraggio a novembre. Nel mese di novembre, con uno sforzo senza precedenti, l'Agenzia Spaziale Europea era riuscita a far atterrare un congegno su un corpo celeste di qualche chilometro in modo automatico. Il tutto a una distanza di più di 500 milioni di chilometri, dopo un viaggio di 10 anni e 6 miliardi e mezzo di chilometri
    Perduti i contatti. Anche se tutte e tre le zampe del lander avevano toccato il suolo, gli arpioni non si erano aperti e per questo motivo il robot era andato alla deriva. Ma per mesi i responsabili della missione non hanno mai smesso di cercare il piccolo lander. Dal 12 marzo la sonda Rosetta ha acceso l'unità di comunicazione destinata a ricevere messaggi da Philae. La speranza era quella che il progressivo avvicinamento della cometa al Sole avrebbe permesso al robot di uscire dal suo stato di ibernazione e di riprendere a funzionare. Alla fine, dopo mesi di attesa, è successo anche in anticipo rispetto alle previsioni.
    La prossima scommessa. Il robot Philae è quindi pronto per affrontare la seconda parte della sua missione, che promette di essere ancora più avvincente della prima per le informazioni che potrà dare su oggetti primitivi come le comete. Si dice ottimista il responsabile delle operazioni di Philae per l'agenzia spaziale tedesca Dlr, Stephan Ulamec: "il lander adesso è pronto per le operazioni ha una temperatura di funzionamento di meno 35 gradi Celsius e ha a disposizione 24 Watt". Da un primo esame è emerso con chiarezza che Philae doveva essersi svegliato da un poco di tempo, perché in quei pochi secondi ha inviato osservazioni databili ad almeno 1,5 giorni cometari. I pacchetti di dati attesi adesso dal team internazionale sono comunque più di 8.000.


    www.repubblica.it


    MISSIONE ROSETTA

    alla scoperta di una cometa




    Rosetta è una missione spaziale sviluppata dall'Agenzia Spaziale Europea e lanciata nel 2004. L'obiettivo della missione è, dopo un cambio dovuto alla posticipazione del lancio, lo studio della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. La missione è formata da due elementi: la sonda vera e propria Rosetta e il lander Philae, atterrato il 12 novembre 2014 sulla superficie della cometa 67P/Churyumov Gerasimenko.

    Nel maggio 1985 il Solar System Working Group dell'ESA propose una delle missioni più importanti per il programma Horizon 2000 ossia una missione di prelievo di campioni cometari con ritorno sulla Terra. A fine 1985 fu costituito un gruppo di lavoro misto ESA/NASA. Nel 1986 l'arrivo della cometa di Halley fu seguito da diverse sonde provenienti da più nazioni, fornendo dati preziosi per la preparazione della nuova missione. Entrambe le missioni erano basate sulla precedente missione Mariner Mark II. Nel 1992 la NASA decise di eliminare il progetto CRAF per via di limitazioni impostele dal congresso degli Stati Uniti d'America. Nel 1993 si rese palese che una missione con il trasporto di campioni sulla terra sarebbe stata troppo costosa per il bilancio ESA e quindi si decise di riprogettare la missione. La missione fu riprogettata prevedendo un'analisi in loco con l'utilizzo di un lander.




    La missione sarebbe dovuta partire il 12 gennaio 2003 per raggiungere la cometa 46P/Wirtanen nel 2011 ma, il vettore scelto per lanciare Rosetta, fallì un lancio l'11 dicembre 2002. I nuovi progetti previdero il lancio il 26 febbraio 2004 e il raggiungimento nel 2014 della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. Dopo due lanci cancellati la missione Rosetta finalmente partì il 2 marzo 2004 alle 7:17 UTC. La sonda Rosetta doveva entrare in un'orbita molto lenta intorno alla cometa e progressivamente rallentare la sua orbita fino ad arrestarla in modo da prepararsi alla discesa del lander. Durante questa fase, la superficie della cometa è stata mappata da VIRTIS, l'occhio principale della sonda, per individuare il luogo migliore per l'atterraggio del lander. Il lander (inizialmente chiamato temporaneamente RoLand (Rosetta Lander poi Champollion, in seguito è stato definitivamente battezzato Philae) è atterrato sulla cometa con una velocità di 1 m/s (3,6 km/h). Appena raggiunta la superficie, un sistema di arpioni avrebbe dovuto ancorarlo alla superficie in modo da impedirgli di rimbalzare nello spazio. A causa di un problema tecnico, per assicurare il lander alla cometa, sono state utilizzate invece alcune trivelle.

    La sonda fu battezzata con il nome latino di Rosetta, per ricordare la stele di Rosetta, manufatto dell'antichità. Il lander è stato battezzato Philae, dal nome latino di un'isoletta sul Nilo, File, dove Giovanni Battista Belzoni ritrovò, nel 1817, un obelisco con iscrizioni in greco e geroglifico. L'obelisco fu utile, con la stele di Rosetta, per la decifrazione dei geroglifici. Il luogo di atterraggio è stato battezzato Agilkia, altra isola del Nilo dove venne spostato il tempio di Iside, perennemente sommerso nell'isola di Philae , a seguito della costruzione della diga di Assuan.



    Philae è stato sviluppato per eseguire osservazioni in situ del nucleo della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, obiettivo della missione. Trasportato a destinazione a bordo della sonda madre, è stato rilasciato da una quota di 22,5 km dalla superficie ed immesso direttamente su una traiettoria in caduta libera, al termine della quale avrebbe toccato il suolo ad una velocità di 1 m/s. Gli ammortizzatori presenti nelle gambe avrebbero avuto il compito di smorzare l'impatto ed impedire un rimbalzo che avrebbe potuto determinare la perdita nello spazio della sonda. Il lancio di due arpioni e l'accensione di un razzo per ostacolare il rinculo avrebbero completato la sequenza ed assicurato Philae alla superficie.

    Sulla superficie, Philae avrebbe determinato «la composizione elementare, isotopica, molecolare e mineralogica del suolo; le proprietà fisiche della superficie e del materiale al di sotto di essa, cercato indizi sulla struttura del nucleo e condotto misurazioni del campo magnetico e delle caratteristiche del plasma. Era stata prevista una vita nominale di tre mesi, con stime ottimistiche di quattro o cinque mesi.

    Rosetta raggiunse la Cometa Churyumov-Gerasimenko il 6 agosto 2014, dopo un viaggio durato 10 anni e 5 mesi. Le osservazioni condotte già nelle prime settimane furono volte non solo a caratterizzare la superficie della cometa, ma anche ad individuare un sito adatto per l'atterraggio di Philae. Il 25 agosto, l'ESA comunicava di aver individuato cinque siti adatti a tale scopo. Tra questi, fu infine selezionato il sito che rispettava quasi pienamente sia i requisiti tecnici sulla sicurezza della traiettoria di discesa e sulla durata giornaliera dell'illuminazione solare e della visibilità dell'orbiter, sia quelli scientifici. L'atterraggio fu programmato per il 12 novembre, prima che l'attività della cometa potesse diventare così intensa da disturbare la discesa.



    La preparazione di Rosetta per il rilascio di Philae sull'orbita di discesa iniziò con alcune settimane di anticipo rispetto alla data prevista per l'atterraggio. Il 31 ottobre la sonda fu posta su di un'orbita ad una quota di 30 km dalla superficie della cometa; tra l'11 ed il 12 novembre furono eseguite delle verifiche che avrebbero dovuto anticipare la separazione di Philae da Rosetta, programmata per le 08:35 UTC del 12 novembre. Alle 7:35 UTC Rosetta fu spostata sull'orbita di lancio, che - se non corretta dopo la separazione con il lander - l'avrebbe portata a transitare a 5 km dalla superficie della cometa. La separazione avvenne come programmato alle 8:35 UTC, quando le due sonde erano a 22 km dalla cometa, nonostante una delle ultime verifiche avesse segnalato il malfunzionamento del razzo a propellente freddo a bordo di Philae.

    Rosetta venne spostata su un'orbita di sicurezza. Il lander intraprese una lenta discesa in caduta libera durata circa sette ore che lo portò a toccare il suolo con una velocità di circa 1 m/s. Il segnale di avvenuto atterraggio fu trasmesso da Philae a Rosetta e da questa alla Terra (a 28 minuti luce di distanza), dove fu ricevuto alle 16:03 UTC (17:03 CET) del 12 novembre. Il contatto con la superficie fu più morbido rispetto a quanto atteso, ma che né gli arpioni, né il razzo posteriore funzionarono correttamente, lasciando incertezze sulla posizione e stabilità del lander. In particolare, fu rilevato che il lander eseguì due rimbalzi e toccò il suolo tre volte, prima di stabilizzarsi sulla superficie: dopo il primo contatto, Philae rimbalzò nello spazio con una velocità di 0,38 m/s e rimase in volo per un'ora e 51 minuti, raggiungendo una quota di circa 1 km (considerata la bassa attrazione gravitazionale esercitata dalla cometa); al secondo rimbalzo corrispose una velocità inferiore, 0,03 m/s, e durò appena sei minuti. Di conseguenza, il sito in cui si arrestò il lander non corrispose a quello originariamente programmato.



    Sebbene la posizione di Philae non fosse nota, il Centro europeo per le operazioni spaziali (ESOC) iniziò a ricevere le immagini panoramiche raccolte attraverso CIVA, che testimoniavano come il lander fosse attivo e funzionante. Risultò evidente che la posizione fosse stabile, con tutt'e tre le gambe che toccavano il suolo, era parzialmente in ombra. Quindi l'illuminazione solare sarebbe stata insufficiente per ricaricare le batterie del lander. Philae era infatti dotato di una batteria primaria che ne avrebbe garantito il funzionamento per le prime 60 ore dal distacco da Rosetta; sulla superficie, sarebbe dovuta entrare progressivamente in funzione la batteria secondaria, ricaricabile attraverso i pannelli fotovoltaici all'esterno del lander. Ultime operazioni e perdita delle comunicazioni[modifica | modifica wikitesto]

    Fu ordinato a Philae di sollevarsi di 4 cm e di ruotare di 35°, in un tentativo di migliorare l'esposizione alla luce solare dei suoi pannelli fotovoltaici per una futura possibilità di recupero. Poco dopo, l'energia elettrica diminuì rapidamente e tutti gli strumenti si spensero. Il contatto si interruppe alle 0:36 UTC del 15 novembre.

    « Prima che cadesse il silenzio, il lander è stato in grado di trasmettere tutti i dati scientifici raccolti durante la prima sequenza scientifica. [...] Questa macchina ha operato magnificamente in condizioni difficili e possiamo essere pienamente orgogliosi dell'incredibile successo scientifico che Philae ha consegnato. »
    (Stephan Ulamec, 15 novembre 2014)





    Operazione preliminare per valutare una qualche possibilità di recupero è individuare l'effettiva posizione di Philae. Lo strumento OSIRIS a bordo di Rosetta continua a raccogliere immagini ad alta risoluzione della superficie. Il futuro di Philae è incerto, essendo cessate tutte le comunicazioni con il lander. È possibile che nell'agosto del 2015, quando la cometa sarà più vicina al Sole nella sua orbita, l'illuminazione ricevuta dai pannelli solari sia sufficiente a ricaricare le batterie e permettere la riaccensione di Philae.

    ..e invece Philae c'è e trasmette!




     
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  5. gheagabry
     
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    Il primo fiore sbocciato nello spazio saluta il Sole.

    Secondo successo dopo la lattuga, apre la strada ai pomodori. Il primo fiore sbocciato sulla Stazione spaziale internazionale (Iss) sta già scaldando i suoi petali al sole: lo mostra orgogliosamente l'astronauta della Nasa Scott Kelly, postando sul suo profilo Twitter la foto della zinnia arancione che si staglia contro il blu della Terra e l'oscurità dello spazio.

    La sua fioritura, avvenuta sabato, rappresenta il secondo successo per l'esperimento di giardinaggio spaziale 'Veggie' sulla Iss: lo scorso agosto gli astronauti avevano già gustato il loro primo raccolto di lattuga romana, dopo mesi di tentativi ed errori nel processo di coltivazione.

    Rispetto all'insalata, la zinnia rappresenta un nuovo passo avanti verso le colture spaziali destinate alle future missioni umane di lunga durata, come quelle previste su Marte. Questa pianta, originaria del Centro America e simile ad una margherita, rappresenta infatti una sfida più complessa: è più difficile da coltivare, cresce in tempi più lunghi (60-80 giorni) ed è particolarmente sensibile all'ambiente e alla luminosità, cosa che sta aiutando gli astronauti a capire le strategie migliori per far crescere le piante in condizioni di microgravità.

    Nel corso dell'esperimento sono state superate diverse difficoltà, tutte ampiamente previste nella tabella di marcia, come le muffe, l'eccessiva umidità e l'accartocciamento delle foglie. ''E' vero che le piante non sono cresciute perfettamente, ma abbiamo imparato molto da questo'', afferma Gioia Massa, responsabile del programma Veggie della Nasa. L'entusiasmo è tale che si pensa già alla coltivazione in orbita dei pomodori, i cui semi dovrebbero arrivare nell'astro-serra nel corso del 2017.
    (Ansa)
     
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    Rosetta ha 'ritrovato' il lander Philae




    Rosetta ha ritrovato il lander Philae e lo ha fotografato, incastrato in un crepaccio. E' accaduto a più di un anno da quando il lander, che è stato il primo veicolo a mettere piede su una cometa, ha cessato di dare segnali.

    Le ultime comunicazioni risalivano infatti al luglio 2015. A meno di un mese dalla conclusione della missione dell'Agenzia spaziale europea (Esa), la camera ad alta risoluzione della sonda Rosetta, Osiris, è riuscita a catturare l'immagine di Philae, del quale si distingue molto bene almeno una delle tre zampe: è rimasto in bilico, incastrato in un oscura crepaccio sulla superficie accidentata della cometa

    67P/Churyumov-Gerasimenko. Dalla posizione del lander è chiaro perchè non sia più stato in grado di comunicare con la Terra. Le foto, scattate da Rosetta il 2 settembre, hanno permesso di individuare dove si trova Philae: un luogo chiamato Abydos, sul lobo più piccolo della cometa.

    ''Questa importante scoperta arriva alla fine di una lunga e accurata ricerca. Stavamo iniziando a pensare che Philae sarebbe rimasto perso per sempre. E' incredibile che siamo riusciti a trovarlo alla fine'', commenta Patrick Martin, manager della missione Rosetta. Felice anche l'italiana Cecilia Tubiana, della squadra che gestisce la camera Osiris, la prima a vedere le immagini: ''Siamo così felici di aver finalmente fotografato Philae e di vederlo con grande dettaglio''. Ora che la ricerca del lander è finita, ''siamo pronti per l'atterraggio della sonda Rosetta - aggiunge Holger Sierks, sempre della squadra di Osiris - e non vediamo l'ora di catturare immagini ancora più ravvicinate del sito di atterraggio di Rosetta''.

    Rosetta compirà la sua discesa sulla superficie della cometa il 30 settembre, quando la sonda sarà inviata sul lobo piu' piccolo della cometa 67P, dove si poserà dopo una rocambolesca discesa per spegnere definitivamente gli strumenti e le comunicazione con la Terra, regalando prima un primo piano ravvicinato e osservazioni importanti che aiuteranno a scoprire i segreti della struttura interna della cometa.

    www.ansa.it
     
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  7. gheagabry
     
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    Partiamo per un asteroide

    di Emanuele Menietti

    Giovedì 8 settembre – in Italia sarà già venerdì 9 – la NASA invierà nello Spazio la sua sonda OSIRIS-REx, che avrà il compito di raggiungere un asteroide, prelevarne un frammento e riportarlo sulla Terra tra circa 7 anni. È la prima volta nella storia delle esplorazioni spaziali che la NASA tenta un prelievo di questo tipo, dopo quanto realizzato dall’ESA con la missione Rosetta, che ha però analizzato campioni della sua cometa 67P sul posto, senza trasportarli sulla Terra. Nel 2003 l’agenzia spaziale giapponese JAXA aveva avviato una missione simile, con la sonda Hayabusa che seppure con qualche inconveniente ha permesso di riportare sulla Terra alcune particelle dell’asteroide Itokawa. OSIRIS-REx ha richiesto anni di preparazione e fa parte del programma New Frontiers, messo insieme dalla NASA per l’esplorazione di diversi tipi di corpi celesti del Sistema Solare, e di cui ha fatto parte anche la missione New Horizons per lo studio e la mappatura del pianeta nano Plutone.

    Che cos’è un asteroide
    Un asteroide può essere considerato un parente stretto dei pianeti terrestri, anche se notevolmente più piccolo e di solito con una forma diversa da quella sferica. L’ipotesi più condivisa dagli astronomi è che gli asteroidi siano ciò che rimane del cosiddetto “disco protoplanetario”, l’enorme ammasso di polveri e gas in orbita intorno al Sole che miliardi di anni fa portò alla formazione dei pianeti e dei satelliti naturali del Sistema Solare. Sono costituiti da minerali piuttosto diffusi sulla Terra, come il ferro, ma in altri casi sono formati per la maggior parte di ghiaccio, e sono quindi definiti comete. In alcuni casi un asteroide è ciò che rimane di una vecchia cometa, che ha perso tutto il suo ghiaccio in seguito ai ciclici passaggi ravvicinati al Sole seguendo la propria orbita. Quasi tutti gli asteroidi si tengono compagnia in una porzione di Spazio chiamata “fascia principale”, un grande anello di detriti che orbita intorno al Sole, tra le orbite di Marte e di Giove, quindi a debita distanza dalla Terra. Impatti e altri eventi possono però turbare le orbite di questi sassi spaziali, portandoli ad avvicinarsi o a sfiorare (in termini astronomici) il nostro pianeta.



    Come obiettivo della sua missione, la NASA ha identificato da tempo il candidato ideale: l’asteroide 101955 Bennu, per gli amici Bennu e basta. Fa parte degli asteroidi Apollo, un gruppo di corpi celesti tenuto più sotto controllo di altri perché in futuro potrebbe interferire con l’orbita della Terra, con la possibilità (seppure molto remota) di causare un impatto catastrofico. Secondo i calcoli più recenti, c’è una possibilità su 2.700 che Bennu si schianti contro la Terra nel Ventiduesimo secolo.

    L’asteroide è stato scoperto nel 1999 e può essere immaginato come una piccola montagna che viaggia nello Spazio: nel suo punto di massima estensione ha un diametro di 492 metri e una massa stimata di 60 milioni di tonnellate; viaggia a una velocità di 28 chilometri al secondo circa, adatta per mettergli intorno una sonda senza dover compiere manovre orbitali piuttosto complicate.

    Il nome Bennu è stato scelto durante la preparazione della missione spaziale. Deriva da quello di Benu, un uccello mitologico e divinità egizia, simbolo della nascita e della resurrezione dopo la morte. Era rappresentato spesso con le sembianze di un airone, e secondo chi ha proposto il nome la sonda OSIRIS-REx con il suo braccio robotico, che avrà il compito di prelevare un campione dall’asteroide, ricorda nella forma quella dell’uccello egizio.



    OSIRIS-REx ha un corpo centrale cubico da 3 metri di lato, ma con i pannelli solari aperti raggiunge un’estensione massima di oltre 6 metri: l’energia che raccoglie è mantenuta in batterie agli ioni di litio, per alimentare le strumentazioni della sonda anche quando i suoi pannelli non ricevono luce solare a sufficienza. A bordo della sonda ci sono sei strumenti principali, che serviranno per raccogliere informazioni su Bennu. Orbitandogli intorno, OSIRIS-REx compirà una mappatura completa dell’asteroide, necessaria per determinare il punto in cui eseguire il prelievo dei campioni da riportare sulla Terra. Oltre al set di fotocamere per queste rilevazioni (OCAMS), ci sono: scanner laser (OLA) per ricostruire un modello 3D dell’asteroide, spettrometri (OVIRIS, OTES e REXIS) per analizzare la composizione di Bennu e un sistema per il prelievo del campione (TAGSAM).


    La missione della NASA ha lo scopo di approfondire le nostre conoscenze, per ora ancora piuttosto vaghe, sulle caratteristiche degli asteroidi e sulla loro storia. La mappatura e l’analisi della sua composizione permetteranno di comprendere meglio come si sono formati gli asteroidi, ma anche di capire come si comportano e di confrontare le informazioni raccolte con quelle che abbiamo già da tempo, grazie alle osservazioni con i telescopi. Una parte non trascurabile della missione riguarda anche la raccolta di dati che, un giorno, potrebbero servire per organizzare una missione per impedire che un asteroide si schianti davvero sulla Terra (sì, qualcosa tipo Armageddon, ma probabilmente con robot e non esseri umani).



    La parte più interessante e tecnicamente complicata dell’intera missione OSIRIS-REx è il prelievo di un campione di Bennu che dovrà essere trasportato sulla Terra per essere analizzato più approfonditamente. I ricercatori della NASA hanno studiato un sistema meno rischioso rispetto a quello di Rosetta, che ha previsto l’atterraggio del lander Philae (un piccolo robot) sulla superficie della cometa 67P: OSIRIS-REx non atterrerà mai sull’asteroide, si avvicinerà a sufficienza da potere usare il suo braccio meccanico per prelevarne un pezzo, un po’ come si faceva con le macchinette nelle sale giochi per recuperare un regalo, ma con qualche probabilità in più di successo.

    Un paio di mesi prima di incontrare Bennu nel 2018, OSIRIS-REx inizierà a rallentare la sua corsa e a mappare la superficie dell’asteroide. I suoi strumenti impiegheranno più di un anno per raccogliere dati sulla sua superficie, che saranno trasmessi sulla Terra dove un gruppo di ricercatori avrà il compito di identificare i siti ideali per effettuare il prelievo, tra i quali scegliere quello definitivo. Al momento opportuno, la sonda compirà un passaggio ravvicinato a una distanza di pochi metri dalla superficie di Bennu e inizieranno i 5 secondi più angoscianti per i responsabili della missione: il braccio meccanico toccherà il suolo, sparerà dell’azoto liquido per smuovere polveri e detriti sull’asteroide, che saranno poi raccolti dallo strumento. L’operazione potrà essere tentata al massimo tre volte e dovrebbe permettere di raccogliere almeno 60 grammi di materiale.




    La visita di OSIRIS-REx avverrà naturalmente mentre Bennu continuerà a seguire la sua orbita viaggiando velocissimo nello Spazio. Nel marzo del 2021 l’asteroide si troverà in una posizione favorevole rispetto alla Terra per consentire la ripartenza della sonda e rendere il più breve possibile il suo viaggio verso il nostro pianeta. Se tutto andrà come previsto, ci raggiungerà dopo due anni e mezzo, nel settembre del 2023. La capsula contenente i campioni prelevati da Bennu si staccherà dalla sonda e inizierà il turbolento rientro nell’atmosfera terrestre, frenata da suoi paracadute, che la porterà ad atterrare a sud-ovest di Salt Lake City, nello Utah. Il contenuto sarà poi analizzato presso il Johnson Space Center di Houston (Texas) della NASA. Per questo motivo, prima della partenza, la sonda è stata controllata e mantenuta in un ambiente sterile, per evitare contaminazioni che potrebbero falsare i risultati delle analisi sui campioni portati dallo Spazio.



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  8. gheagabry
     
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    SONDA CASSINI



    La sonda spaziale Cassini non esiste più. Dopo avere inviato verso la Terra informazioni preziose e fotografie spettacolari del pianeta Saturno nei suoi 20 anni di missione nello Spazio profondo, la sonda della NASA è precipitata nell’atmosfera del pianeta fino a polverizzarsi. Nella sua caduta a 1,5 miliardi di chilometri da noi, Cassini ha continuato fino all’ultimo a raccogliere dati e a inviarceli, poi intorno alle 12:30 (ora italiana) ha smesso per sempre di comunicare con noi. A causa della grande distanza, l’ultimo segnale – e quindi la conferma sulla fine della sonda – è arrivato sulla Terra alle 13:55, quando Cassini non esisteva più da oltre 80 minuti. La fine della sonda era attesa con interesse e ansia da ricercatori e semplici appassionati non solo per i preziosi dati inviati fino all’ultimo minuto, ma anche per cosa rappresentava: la sua affidabilità e il fatto di trovarsi in un punto così remoto del Sistema Solare hanno reso Cassini uno degli oggetti più popolari inviati nello Spazio negli ultimi decenni.



    L’ultima missione di Cassini. Nei primi mesi di quest’anno, Cassini aveva quasi terminato il propellente per regolare la sua orbita intorno a Saturno, e per questo già nel 2010 i tecnici della NASA avevano lavorato a un nuovo piano per sfruttare la sonda fino all’ultimo, programmando un suo tuffo verso Saturno. La distruzione di Cassini ha avuto lo scopo di preservare le lune intorno al pianeta in vista di future esplorazioni: la sonda avrebbe potuto contaminarle perdendo pezzi in seguito al suo deterioramento. L’obiettivo principale era conservare intatta Encelado, che con la sua riserva d’acqua allo stato liquido è considerata una luna potenzialmente abitabile da qualche forma di vita. Negli ultimi mesi a Cassini era stata quindi affidata una sorta di nuova missione, con l’obiettivo di farle percorrere 22 passaggi nello spazio ampio 2.400 chilometri tra Saturno e il punto dove iniziano i suoi anelli interni. Le manovre avevano permesso di avere immagini ancora più ravvicinate dei sistemi nuvolosi nell’atmosfera e di approfondire le conoscenze sugli anelli, utili per ricostruire le loro origini. Cassini aveva fatto il suo dovere e la missione era stata un successo, senza che ci fossero imprevisti come le temute collisioni con detriti spaziali provenienti dagli anelli, che avrebbero potuto danneggiare le strumentazioni della sonda.
    (tratto dal www.ilpost.it)



    Cassini–Huygens è stata una missione robotica interplanetaria congiunta NASA/ESA/ASI, lanciata il 15 ottobre 1997 con il compito di studiare il sistema di Saturno, comprese le sue lune e i suoi anelli. La sonda si componeva di due elementi: l'orbiter Cassini della NASA e il lander Huygens dell'ESA.

    L'orbiter Cassini prende il nome dall'astronomo italiano Gian Domenico Cassini che, verso la fine del Seicento, ebbe un ruolo di primaria importanza nello studio di Saturno e dei suoi anelli. Il lander Huygens prende il nome dall'astronomo olandese del XVII secolo Christiaan Huygens che, utilizzando il proprio telescopio, scoprì Titano.



    Cassini è stata la prima sonda ad essere entrata nell'orbita di Saturno, il 1º luglio 2004 (ore 04:12 GMT), e solo la quarta ad averlo visitato (prima della Cassini erano già passate la Pioneer 11 e le Voyager 1 e 2). Il 25 dicembre 2004 la sonda Huygens si separò dalla nave madre e si diresse verso la principale luna di Saturno, Titano. Il 14 gennaio 2005 Huygens scese nell'atmosfera del satellite e durante la corsa raccolse dati sull'atmosfera, immagini della superficie, rumori dall'ambiente circostante. Toccò il suolo dopo una discesa di 2 h e 30 m ed continuò a trasmettere il suo segnale per altri 90 minuti.

    La sonda fu sviluppata dalla NASA in collaborazione con l'ESA (Agenzia spaziale europea) e con l'ASI (Agenzia spaziale italiana), ed è stata un prodigio della tecnologia spaziale del XX secolo, costituita da due componenti distinte: un orbiter e una sonda secondaria (Huygens).



    Era alta 7 metri e larga 4, pesava 6 tonnellate ed era dotata di un'antenna parabolica larga poco meno di 4 metri, un'asta-magnetometro lunga 13 metri, 22.000 connessioni elettriche, 12 chilometri di cavi elettrici, 82 unità di riscaldamento a radioisotopi, 16 motori di assetto ("thrusters") a idrazina, e la maggior parte dei sistemi è "ridondata", ovvero affiancata da un analogo sistema di riserva, per minimizzare le probabilità di guasti, che non avrebbero avuto la possibilità di essere riparati: la sonda si trovava nel 2007 a più di un miliardo di chilometri dalla Terra e i suoi segnali radio, pur viaggiando alla velocità della luce (299792,458 km/s) impiegavano circa 60 minuti per raggiungere la Terra. Considerata la distanza di Saturno dal sole, i raggi solari non potevano essere sfruttati come fonte di energia. Per generare abbastanza energia i pannelli solari sarebbero dovuti essere molto grandi e di conseguenza pesanti, il motivo per cui l'orbiter è stato alimentato da tre generatori termoelettrici a radioisotopi (RTG). I generatori atomici della sonda Cassini erano unità RTG passive: non avevano reattori atomici, ma sfruttavano semplicemente il calore prodotto dal decadimento radioattivo di una piccola quantità di plutonio per produrre corrente elettrica. Le unità RTG erano rinchiuse in un contenitore progettato appositamente per sopravvivere anche all'esplosione totale del razzo e, se pure esso si fosse rotto, la quantità di plutonio sarebbe stata così piccola da fare aumentare a malapena il livello di radioattività rispetto al fondo di radioattività naturale già presente nella zona.

    L'orbiter veniva alimentato da tre generatori atomici, ed è stata la parte principale della sonda. Aveva un peso di oltre 2 tonnellate ed era dotato di 12 differenti strumenti scientifici, due registratori digitali di dati, due computer primari e 50 computer secondari. La sua strumentazione di bordo comprendeva camere per immagini operanti sia in luce visibile, che nell'infrarosso e nell'ultravioletto. La sonda possedeva anche alcuni spettrografi utili per lo studio della temperatura e della composizione chimica della superficie di Saturno, della sua atmosfera, nonché dei suoi celebri anelli. Altri strumenti, infine, permettevano di analizzare le proprietà e il comportamento del gas ionizzato all'interno della magnetosfera del pianeta e di risalire, quindi, alle sue caratteristiche e all'intensità del campo magnetico. Cassini comunicava con la Terra principalmente tramite una grande antenna parabolica, costruita per conto dell'Agenzia Spaziale Italiana dall'azienda italiana Alenia Spazio; con un diametro di quattro metri e assistita da un complesso sistema elettronico di bordo, gestiva quattro bande di frequenze: X, Ka, S, Ku.

    Cassini è stata l'ultima delle "grandi" missioni spaziali della NASA: grandi dimensioni, grande abbondanza di apparecchiature, lungo tempo di sviluppo e costo elevatissimo: circa 5 miliardi di dollari, comprensivi delle operazioni durante la vita della sonda. Dopo il suo sviluppo, la NASA passò alla filosofia faster, better, cheaper (più veloce, migliore, più economico), con alterni risultati.



    - Il 1º luglio del 2004 la sonda Cassini-Huygens completa la manovra di inserimento nell'orbita di Saturno (SOI: Saturn Orbit Insertion). Nel giugno del 2004 ha effettuato il flyby di Febe mandando a terra dati e immagini ad alta risoluzione.

    - Il 25 dicembre 2004 la Cassini ha rilasciato la sonda Huygens che è scesa nell'atmosfera di Titano il 14 gennaio del 2005, raccogliendo un'enorme quantità di dati durante la discesa e dopo l'atterraggio. Durante tutto il 2005 la Cassini ha compiuto diversi flyby di Titano e di altri satelliti ghiacciati.

    - Il 10 marzo del 2006 la NASA ha reso noto che la sonda ha trovato prove su Encelado di serbatoi di acqua liquida che vengono eruttati sotto forma di geyser.

    - Il 20 settembre 2006, la Cassini scopre un altro debole anello planetario.

    - Nel luglio del 2006 la sonda ha per la prima volta trovato prove dell'esistenza di laghi di idrocarburi vicino al polo nord di Titano. Successive immagini del marzo 2007 hanno mostrato "mari" di idrocarburi, il più grande dei quali ha quasi le dimensioni del Mar Caspio.

    - Il 10 settembre 2007, la sonda ha effettuato un flyby di Giapeto.

    La sonda scoprì quattro nuovi satelliti di Saturno. La fine della sua missione era inizialmente prevista per il 2008, dopo aver completato circa 74 orbite attorno a Saturno. Essendo la sonda ancora perfettamente operativa ed essendone stato approvato l'ulteriore finanziamento, nel 2009 la missione fu prolungata, entrando nella cosiddetta "mission extended" (missione estesa), ribattezzata Cassini Equinox


     
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