FRATELLI COEN

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    Joel ed Ethan Coen




    Joel David Coen (St. Louis Park, 29 novembre 1954) e Ethan Jesse Coen (St. Louis Park, 21 settembre 1957), generalmente noti come i fratelli Coen, sono due registi, sceneggiatori, produttori cinematografici e montatori statunitensi, famosi soprattutto per le loro commedie irriverenti e sofisticate. Normalmente scrivono insieme il soggetto e la sceneggiatura dei loro film e, nonostante sia Joel ad essere accreditato come regista, la collaborazione tra i due fratelli è così stretta che questa distinzione non è netta. In effetti, sul set gli attori interagiscono con entrambi per le indicazioni delle scene, ottenendo più o meno le stesse risposte. Nel mondo del cinema vengono spesso definiti come "il regista a due teste".

    Spesso autori anche del montaggio dei propri film, per il quale compaiono sotto lo pseudonimo Roderick Jaynes, i fratelli Coen hanno vinto numerosi premi, tra cui 4 Premi Oscar: miglior sceneggiatura originale per Fargo e miglior film, regia e sceneggiatura non originale per Non è un paese per vecchi.



    Joel ed Ethan sono cresciuti a St. Louis Park, un sobborgo di Minneapolis. I genitori, Edward e Rena, entrambi ebrei, erano l'uno docente di economia all'Università del Minnesota e l'altra di storia alla St. Cloud State University. Joel si laurea in cinematografia alla New York University, mentre Ethan in Filosofia a Princeton. Iniziano a lavorare nel mondo del cinema come assistenti sul set, e nel 1982 collaborano con l'amico Sam Raimi, anch'esso al debutto, in una produzione a basso costo che diverrà un vero e proprio cult: La casa. Nel 1984 esordiscono in proprio con Blood Simple - Sangue facile, che li conduce ad un successo immediato, grazie all'attribuzione del prestigioso Premio della Giuria del Sundance Film Festival. Entrambi sono autori di racconti, attività cui si dedicano per diletto. Nel 1999 è stato pubblicato in Italia il volume I cancelli dell'Eden (Einaudi) che raccoglie una parte della produzione letteraria di Ethan Coen.

    Il cinema di Joel e Ethan Coen ha sempre goduto di una considerazione notevole presso i critici: già alla prima proiezione di Blood Simple al New York Film Festival del 1984 i critici valutarono il film del duo esordiente in maniera entusiastica, un atteggiamento insolito nei confronti di un film che è dichiaratamente diverso dal cinema di genere e che è quanto di più distante dai raffinati prodotti cinematografici che solitamente avevano la meglio al festival. Uno dei motivi di questo successo è che il cinema dei Coen, pur muovendo dai (e all'interno dei) generi, si riveste subito di una forte impronta autoriale, con movimenti di camera ben visibili, a volte apertamente denunciati, un fortissimo stilismo e una lampante consonanza di temi e toni da un film all'altro. Eppure i Coen, tra gli "autori" che popolano il cinema contemporaneo, sono quelli che più apertamente rigettano lo status di registi impegnati o la qualifica stessa di autori. Il loro è un cinema classico, nel senso più stretto del termine: un cinema fatto di generi, e allo stesso tempo un cinema autoriale, che dal genere si svincola per mostrare l'impronta dell'autore. Ma gli autori in questione rifiutano questo statuto e si negano al pubblico e alla critica, rifiutando agli uni il divismo tipico di molti registi contemporanei e agli altri qualsiasi discorso serio riguardo alla loro filmografia. Ed è il loro stesso cinema a rifiutare etichettature di ogni genere, positive o meno che siano, poiché innovativo e spiazzante, grottesco e ambiguo, in ultima analisi geniale. Un cinema prettamente formale dunque, proprio nell'epoca della crisi della componente estetica nel cinema. Questo atteggiamento è stato definito da alcuni critici sintomatico di una nuova concezione del ruolo dell'artista vicina al concetto di postmoderno.



    Ethan a soli 10 anni si mette a stampare con il fratello un opuscolo di quattro pagine: THE SENTINEL che trattava solo di cinema e che aveva il costo di 2 cents.
    La passione per la messa in scena strabordava fin dall'infanzia. Ancora bambini, con i soldi risparmiati dai loro lavoretti, riescono ad acquistare una cinepresa Super-8 che sarà il loro primo vero occhio cinematografico. È proprio grazie al Super-8 che realizzano cortometraggi da loro stessi definiti «astratti e surrealisti», nonché rifacimenti amatoriali dei film visti alla tv come La preda nuda (1966) di Cornel Wilde e Tempesta su Washington (1962) di Otto Preminger. Alunno del Simon's Rock Early College - seguito passo per passo dal fratello -, Joel si iscrive alla New York Univerisity per studiare cinema e, proprio fra quei corridoi, all'inizio degli Anni Settanta, conoscerà future grandi personalità del cinema americano come i registi Sam Raimi e Scott Spiegel e gli attori Bruce Campbell, Holly Hunter, Kathy Bates e Frances McDormand, poi divenuti tutti membri del club Society for Creative Filmmaking. Joel comincia a lavorare come assistente e aiuto montatore di diversi film horror a basso costo, molto spesso di Raimi - come nel caso de La casa (1981) con il suddetto Campbell


    Joel Coen conobbe l'attrice Frances McDormand nel 1984, che sarà poi presente in sei dei film della coppia, durante le riprese del loro primo film Blood Simple - Sangue facile. Nello stesso anno i due si sposarono. Ethan è sposato con l'assistente alla regia e addetta al montaggio Tricia Cooke, anch'essa spesso presente in molti dei loro film. Entrambe le coppie vivono a New York.



    I fratelli Coen sono sempre stati coregisti e cosceneggiatori, ma fino al 2003 Ethan firmava la produzione e Joel la regia, e l'altro fratello risultava "non accreditato" nei titoli anche se effettivamente produttore e regista al pari del fratello. Il primo film che i due firmarono "ufficialmente" insieme per la regia è stato Ladykillers del 2004.Utilizzano inoltre lo pseudonimo Roderick Jaynes per firmare il montaggio delle loro opere. In America, sul finire degli anni Ottanta, i re del cinema indipendente erano Joel e Ethan Coen, fratelli sceneggiatori, registi di fama riveriti e ricercati. Sospesi fra lo chic, il kitsch e il pop, sempre adrenalinici e ipercolorati, sono gli autori di pellicole scintillanti, nonché impeccabili fusioni fra lo "sporco" - che ha caratterizzato la prima parte della loro carriera - e il parodistico - che invece ha caratterizzato la seconda parte della loro carriera.
    Spesso strizzando un occhio alla commedia musicale, si spingono fra il noir e la commedia, creando un cinema sulfureo popolato da volti come quelli di John Turturro e John Goodman. Mutano costantemente di registro, non solo fra film e film, ma anche all'interno della pellicola stessa che si tinge di quando in quando o di ombrose ossessioni o di involontario e ridicolo humour nero.
    Perfettamente in grado di controllare la macchina da presa, non sono mai ordinari, né banali, ma divertenti, tragici, ironici e manieristi, provando un piacere sadomasochista nell'affrontare archetipi cari al cinema hollywoodiano, riproponendoli parodiati, con uno stile visuale sempre superbo, di alta cinefilia e di puro piacere per il cinema, spiazzando lo spettatore fra diversioni, contraddizioni, dettagli, inquietudini e cose insignificanti (e sì, anche quelle). Hanno amato quei gangsters che si accendevano le sigarette dopo le esplosioni, hanno raccontato di partite di bowling filosofiche fra grandi tripponi e hanno descritto omicidi con una crudezza smisurata.



    Eppure quel loro modo di fare cinema che per gli anni Ottanta e Novanta era così rivoluzionario, ben presto è diventato "classico", realistico, misurato e pudico. Un processo che ha portato i due occhialuti fratelli con l'aria da secchioni a essere completamente integrati dal sistema Hollywood, ma anche a fare della loro messa in scena una strada che molti attuali ed emergenti registi indie seguono. Con un talento figurativo senza precedenti, hanno rappresentato la ferocia pur senza far indossare al cinema nessuna maschera mostruosa, perché l'assassino più pericoloso, non è il killer con il coltellaccio degli slasher movie, ma l'uomo comune, quello che magari ha gusto e intelligenza o, all'opposto, è particolarmente stupido. Comicità e grottesco che si fondono insieme in un risultato di alta classe: questo è lo stile dei fratelli Coen, autori di film memorabili per chi - come noi - ama il cinema sopra ogni cosa, ma un po' meno per il pubblico che a volte non sembra particolarmente sorpreso, coinvolto e affascinato da pellicole come Barton Fink, Fargo, L'uomo che non c'era e Ladykillers. Sarà per la corrente alternata del ritmo filmico, per alcune volgarità che a volte non sono proprio degne di loro, sarà per i personaggi stereotipati eccessivamente o per la perdita di ogni logica che è la colonna portante del loro cinema, accompagnata dalla descrizione di un mondo dominato dall'avidità e dalla violenza, i crudi e duri Coen non piacciono a tutti. Anche se quel sapore di crepuscolare e accattivante, quel vago profumo d'europeo - più che americano - che si avverte nelle nostre narici ci solletica particolarmente. Nel 1987, è la volta dell'anomalo Arizona Junior (1987) con Nicolas Cage, seguito dal più violento Crocevia della morte (1990) e dal loro più importante e sporco successo Barton Fink - È successo a Hollywood (1991) che otterrà sia la Palma d'Oro come miglior film sia quella per la miglior regia. Hollywood si accorge di loro: Paul Newman e Tim Robbins diventano i protagonisti del multicolorato e inconsueto Mister Hula Hoop (1994), mentre più successo avrà il thriller Fargo (1996) che li vedrà trionfare nuovamente a Cannes con una seconda Palma d'Oro per la regia, ma anche all'Academy con l'Oscar per la miglior sceneggiatura originale, pur lasciandosi scappare quella per la miglior regia e per il miglior film dell'anno. Ma non si disperano perché una pioggia di nominations ai BAFTA cade su di loro, con tanto di premio David Lean per la regia che li consacrerà definitivamente due dei registi più amati in Europa. Il capolavoro arriva nel 1998, quando raccontano le avventure di un reduce del movimento hippy che si trova invischiato in noir Anni Quaranta coi colori sgargianti e il gusto coreografico di un musical dei tempi d'oro. È arrivato Il grande Lebowski (1998): la summa della loro bravura. Si passerà poi all'omerico Fratello, dove sei? (2000), candidato sia agli Oscar che ai BAFTA per la miglior sceneggiatura con la quale affrontano l'odissea di tre evasi del Mississippi, ma anche alla fotografia in bianco e nero del simil-noir L'uomo che non c'era (2001) che farà loro vincere la terza Palma d'Oro per la regia e il David di Donatello per il miglior film straniero. Il tutto prima di arrivare a quella che è forse la loro commedia più sofisticata, remore del retaggio Katherine Hepburn e Spencer Tracy (o Cary Grant) con Prima ti sposo, poi ti rovino (2003). Accanto al lavoro come registi e sceneggiatori, i Coen da sempre sono produttori dei loro stessi film, ma anche di opere dirette o con i loro amici come Babbo Bastardo e il bellissimo musical italo-americano Romance & Cigarettes (2005) con Susan Sarandon e Christopher Walken. Dopo il grande insuccesso di Ladykillers (2004) con Tom Hanks, - rifacimento de La signora omicidi - prediligono piccoli progetti come nel caso di Paris, je t'aime (2006, nel quale interagiscono perfino con Gérard Depardieu) con il corto Tuileries e il corto World Cinema appartenente all'opera multimanuale A ciascuno il suo cinema, dove hanno collaborato con Jane Campion, Michael Cimino, David Cronenberg, Manoel de Oliveira, Takeshi Kitano, Lars von Trier, Wim Wenders, Wong Kar-Wai, Zhang Yimou, David Lynch, Nanni Moretti, Roman Polanski e Théo Angelopulos.



    Ritornano, ritrovando la loro creatività e la classe dei loro primi capolavori con la trasposizione dell'omonimo romanzo di Cormac McCarthy Non è un paese per vecchi (2007), conquistandosi un Golden Globe per la loro migliore sceneggiatura, e con Burn After Reading (2008) con Brad Pitt e John Malkovich, anche se è soprattutto con il primo titolo - che racconta la storia di un uomo che trova in una zona desertica un camioncino con un carico di eroina e una valigetta con due milioni di dollari, scatenando una serie di reazioni a catena che lo faranno preda di un pericoloso inseguitore - a confermare un'estrema coerenza con la scelta di narrare i mutamenti di questo nostro mondo. Il 2009 è l'anno di A serious Man, dove Michael Stuhlbarg interpreta Larry Gopnik, professore di fisica con molti guai. Nel 2011 arriva Il Grinta, brillante rifacimento dell'omonimo western di Henry Hathaway con Jeff Bridges e Matt Damon. Aspettano qualche anno prima di tornare a dirigere: nel 2013 si aggiudicano il Gran premio della Giuria al Festival di Cannes 2013 grazie alla ballata A proposito di Davis, dedicata stavolta al musicista folk Llewyn Davis (Oscar Isaac). Intelligente, brillante, geniale, innegabilmente diverso ogni volta che posa il suo occhio sul mirino della cinepresa e straordinariamente originale, convince quasi sempre. La sua messa in scena è fin troppo perfetta e se non fosse per le venture bizzarre che scorrono su personaggi fortemente caratterizzati nei suoi film quella sua misura nei tocchi, quel suo estremismo e quella sua veridicità verrebbe sicuramente meno. È nell'eccesso che Coen mostra la verosimiglianza con la realtà, nella narrazione di un mondo che è in salute e normalissimamente spietato. Sono i primi della classe, senza dubbio. "Indiscussi campioni di categoria nella commedia nera" (Roberto Nepoti), sono impeccabili e incontestabilmente griffati. Per questo non si perdona loro un errore.



    FILMOGRAFIA

    Registi e sceneggiatori

    Blood Simple - Sangue facile (Blood Simple) (1984)
    Arizona Junior (Raising Arizona) (1987)
    Crocevia della morte (Miller's Crossing) (1990)
    Barton Fink - È successo a Hollywood (Barton Fink) (1991)
    Mister Hula Hoop (The Hudsucker Proxy) (1994)
    Fargo (1996)
    Il grande Lebowski (The Big Lebowski) (1998)
    Fratello, dove sei? (O Brother, Where Art Thou?) (2000)
    L'uomo che non c'era (The Man Who Wasn't There) (2001)
    Prima ti sposo, poi ti rovino (Intolerable Cruelty) (2003)
    Ladykillers (The Ladykillers) (2004)
    Paris, je t'aime – episodio Tuileries (2006)
    Chacun son cinéma – episodio World Cinema (2007)
    Non è un paese per vecchi (No Country for Old Men) (2007)
    Burn After Reading - A prova di spia (Burn After Reading) (2008)
    A Serious Man (2009)
    Il Grinta (True Grit) (2010)
    A proposito di Davis (Inside Llewyn Davis) (2013)

    Solo sceneggiatori

    I due criminali più pazzi del mondo (Crimewave), regia di Sam Raimi (1985)
    Lo spezzaossa (The Naked Man), regia di J. Todd Anderson (1998) – solo Ethan Coen
    Gambit - Una truffa a regola d'arte (Gambit), regia di Michael Hoffman (2012)
    Unbroken, regia di Angelina Jolie (2014)
    Il ponte delle spie (Bridge of Spies), regia di Steven Spielberg (2015)

    Produttori

    Down from the Mountain, regia di Nick Doob, Chris Hegedus e D. A. Pennebaker (2000) – documentario
    Babbo bastardo (Bad Santa), regia di Terry Zwigoff (2003)
    Ladykillers (The Ladykillers) (2004)
    Romance & Cigarettes, regia di John Turturro (2005)
    Non è un paese per vecchi (No Country for Old Men) (2007)
    A proposito di Davis (Inside Llewyn Davis) (2013)
    Fargo - serie TV (2014)



    Premi e riconoscimenti

    1997 – Premio Oscar
    Migliore sceneggiatura originale per Fargo
    Candidatura a miglior film per Fargo
    Candidatura a miglior regista per Fargo
    Candidatura a miglior montaggio per Fargo

    2001 – Premio Oscar
    Candidatura a migliore sceneggiatura non originale per Fratello, dove sei?

    2008 – Premio Oscar
    Miglior film per Non è un paese per vecchi
    Miglior regista per Non è un paese per vecchi
    Migliore sceneggiatura non originale per Non è un paese per vecchi
    Candidatura a miglior montaggio per Non è un paese per vecchi

    2010 – Premio Oscar
    Candidatura a miglior film per A Serious Man
    Candidatura a migliore sceneggiatura originale per A Serious Man

    2011 – Premio Oscar
    Candidatura a miglior film per Il Grinta
    Candidatura a miglior regista per Il Grinta
    Candidatura a migliore sceneggiatura non originale per Il Grinta

     
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    "E tutto per cosa?! Per quattro biglietti di banca..."

    FARGO


    Titolo originale Fargo
    Lingua originale inglese
    Paese di produzione Stati Uniti
    Anno 1996
    Durata 98 min
    Colore colore
    Audio sonoro
    Rapporto 1,85:1
    Genere commedia nera, drammatico, noir, thriller, poliziesco
    Regia Joel Coen
    Soggetto Joel Coen, Ethan Coen
    Sceneggiatura Joel Coen, Ethan Coen
    Produttore Ethan Coen
    Produttore esecutivo Tim Bevan, Eric Fellner
    Casa di produzione Gramercy Pictures
    Fotografia Roger Deakins
    Montaggio Joel Coen, Ethan Coen
    Effetti speciali Bruce R. Anderson, Joe Carroll, Michael Kranz
    Musiche Carter Burwell
    Scenografia Rick Heinrichs
    Costumi Mary Zophres
    Trucco John Blake, Daniel Curet

    Interpreti e personaggi

    Frances McDormand: Marge Gunderson
    William H. Macy: Jerry Lundegaard
    Steve Buscemi: Carl Showalter
    Peter Stormare: Gaear Grimsrud
    Kristin Rudrüd: Jean Lundegaard
    Harve Presnell: Wade Gustafson
    Tony Denman: Scotty Lundegaard
    Gary Houston: cliente arrabbiato
    Sally Wingert: moglie del cliente arrabbiato
    Kurt Schweickhardt: venditore d'auto
    Larissa Kokernot: prostituta
    Melissa Peterman: prostituta
    Steve Reevis: Shep Proudfoot
    Warren Keith: Reilly Diefenbach (voce)
    Bain Boehlke: Mr. Mohra
    Larry Brandenburg: Stan Grossman
    James Gaulke: poliziotto
    Cliff Rakerd: ufficiale Olson
    J. Todd Anderson: vittima nel campo
    Michelle Suzanne LeDoux: vittima in auto
    John Carroll Lynch: Norm Gunderson
    Bruce Bohne: Lou
    Steve Park: Mike Yanagita




    Riconoscimenti

    Fargo è stato proiettato in molti festival cinematografici tra cui il Pusan International Film Festival in Corea del Sud, il Karlovy Vary International Film Festival nella Repubblica Ceca, il Napoli Film Festival e soprattutto il Festival di Cannes 1996 nel quale Joel Coen si è aggiudicato il premio per il miglior regista. Alla 69ª edizione degli Oscar (1997), Fargo ha vinto due statuette, per la migliore sceneggiatura originale e per la miglior attrice protagonista (Frances McDormand). Tra gli altri numerosi premi vinti il premio BAFTA per il miglior regista e il Saturn Award per il miglior film d'azione/avventura/thriller.
    Nel 1998 l'American Film Institute l'ha inserito all'ottantaquattresimo posto della classifica dei migliori cento film statunitensi di tutti i tempi. Nel 2000 l'American Film Institute l'ha inserito al novantatreesimo posto della classifica delle cento migliori commedie americane di tutti i tempi.

    1997 - Premio Oscar
    Miglior attrice protagonista a Frances McDormand
    Migliore sceneggiatura originale a Joel ed Ethan Coen

    1997 - Premio BAFTA
    Migliore regia a Joel Coen

    1996 - Festival di Cannes
    Migliore regia a Joel ed Ethan Coen

    1997 - Independent Spirit Awards
    Miglior film
    Miglior regia a Joel ed Ethan Coen
    Miglior attore protagonista a William H. Macy
    Miglior attrice protagonista a Frances McDormand
    Miglior sceneggiatura a Joel ed Ethan Coen
    Miglior fotografia a Roger Deakins



    TRAMA



    Addetto alle vendite in un salone d'automobili nel Minnesota, Jerry Lundegaard consegna una vettura nuova a due balordi, Carl Showalter e Gaear Grimsrud, ai quali ha dato un appuntamento in una caffetteria. Lui è un uomo vile, goffamente astuto e pieno di debiti, mentre loro vivacchiano alla giornata, spesso (specie Gaear, uno psicolabile), arma alla mano. Il grande progetto di Jerry è di far sequestrare da costoro la moglie Jean e poi far pagare il riscatto da Wade Gustafson, suo suocero e ricco affarista. Mentre percorrono l'autostrada i due balordi uccidono un agente della polizia stradale e due innocenti, sfortunatissimi testimoni del delitto. Per questi fatti entra in azione a notte fonda Marge Gunderson che dirige il locale posto di polizia (il marito Norm è pittore dilettante), incinta al settimo mese, una donna attenta e saggia, anche se trovare i criminali appare assai arduo.

    ..recensioni..



    Straordinaria tragicommedia dove le più svariate e raffinate componenti intellettuali si innestano su una trama di genere, Fargo gioca a opporre la normalità del bene alla normalità del male: l'una e l'altra sono rappresentate con ineffabile ironia in situazioni e dialoghi essenziali. I personaggi appaiono immersi nel torpore della vita provinciale, sia quelli che hanno trascurato di mettere l'orologio all'ora attuale, sia quelli che si illudono di incrementare il proprio destino con spunti di cinismo o atti di violenza. Tutti guardano la Tv: ladri, guardie e gente comune. E Marge, in particolare, è una donna comune di tipo non comune: la prova vivente che nella confusione odierna l'attaccamento tranquillo ai propri compiti (il marito, la famiglia che cresce, il dovere del servizio) rappresenta l'unica alternativa. [...] Vorrei concludere, profetizzando: è un film che resterà. (Tullio Kezich)


    "Fargo", o "de l'avidità". Quattro colori segnano il film dei fratelli Coen: il bianco, il rosso, il verde e il nero. Il bianco è quello della neve, neve che si trova ovunque, immacolata coltre bianca che confonde l'orizzonte: ti volti a destra e sinistra per sotterrare una valigetta piena di soldi e non vedi altro. Il rosso è il sangue: di quando ti sparano alla mascella, di quando passi nel posto sbagliato al momento sbagliato e vedi qualcosa che non dovresti, di quando trituri il cadavere del tuo socio nella macchina per tagliare la legna. Il verde non lo si vede spesso, ma è quello che vorresti vedere di più: è il colore dei soldi che ti spinge a organizzare il rapimento di tua moglie per ricattare il bastardo di tuo suocero. Il nero infine è quello della commedia che si mescola al thriller: l'ironia beffarda che intacca le circostanze, vicende paradossali che si intrecciano nella ridicola tragedia fallimentare dell'uomo.
    Nel 1994 i Coen girano "Mister Hula Hoop", prima grossa produzione dopo i consensi di pubblico e critica dei primi quattro film, che però si rivela un'opera deludente. Per il lavoro successivo decidono di tornare a casa, con una storia più consona, nei posti dove sono cresciuti e che conoscono bene. Fargo, allora, che dà l'idea di un paese americano dimenticato da dio, su a nord, centocinquanta chilometri dal confine canadese, a cavallo tra Nord Dakota e Minnesota, dove poi le vicende sono ambientate, tra le città di Breinard e Minneapolis. Jerry Lundegaard (William H. Macy), modesto venditore di automobili, assolda due malviventi, Carl (Steve Buscemi) e lo psicopatico e taciturno Gaear (Peter Stormare), per far rapire la propria moglie e chiedere il riscatto al ricco suocero Wade (Harve Presnell). Ma il sequestro si complica quando i due galantuomini cominciano a lasciarsi alle spalle una serie di inutili cadaveri, sui quali indaga la poliziotta Marge (Frances McDormand), incinta e sposata col pacifico Norm (John Carroll Lynch). Tornano molti topoi coeniani: il rapimento ("Arizona Junior", "Il grande Lebowski"), il ricatto ("L'uomo che non c'era", "A prova di spia"), la violenza ("Crocevia per la morte", "Non è un paese per vecchi"), e poi il tragicomico fallimento dei piani, le ironiche fragilità dell'uomo, l'omicidio che irrompe nella vita quotidiana, gli uomini comuni che si rendono protagonisti delle peggiori meschinità, e un'intera avvilente galleria di personaggi senza scrupoli e bugiardi. E, ovviamente, l'avidità.
    Il bianco è, come detto, il colore della neve che sommerge un paesaggio che fa da sfondo a un intreccio noir. Paesaggio solitario, quasi alienante, non-luogo che annichilisce i sentimenti. Scenario immoto e desolato, in contrasto con le persone che invece si muovono generando danni e drammi - frustrati, perdenti, arrivisti, incapaci di comunicare. Ma bianco è anche il candore, l'innocenza della maternità che diverge con il rosso della violenza, il verde dell'avidità e il nero del racconto. Marge - la cui gravidanza è emblema di femminilità - in opposizione a un universo di maschi mediocri, bugiardi, falliti, miserabili; che fa un lavoro da uomo e contrappone a questa insensata isteria maschile valori morali e principi semplici, logica e buon senso, fermezza e decisione nonostante la sua apparente fragilità (il corpo ingombrante, la nausea mattutina). Marge non è uno smaliziato detective hard-boyled e tanto meno un supereroe, ma cerca di capire il perché delle cose, prima ancora del come e del chi. Arriverà a trovare i colpevoli, ma per lei resteranno irrisolvibili i motivi di tanta atrocità. Non sa decifrare la folle natura umana, e lo ammette nel momento in cui arresta Gaear e lo rimprovera come un bambino: "There's more to life than a little bit of money, you know. And here you are. And it's a beatiful day. I just don't understand it". Per lei anche una qualunque schifosa giornata di inverno è una bella giornata, sa apprezzarla, mentre non comprende come si possa uccidere solo per "un po' di soldi". Gaear, simbolo di una condizione umana condannata all'indifferenza e alla gelida apatia, non ha parole, vuoto come il paesaggio fuori dal finestrino.

    Il solo uomo che pare sottrarsi a questa bassezza morale e al fallimento è Norm, il marito di Marge, che sembra più la donna di casa. I loro piccoli quadri di una vita domestica pulita, basata sul non-detto e fatta di semplici piaceri sono il contraltare delle vite abiette e immorali di Carl e Gaear da un lato, e di Jerry dall'altro. Ma se Marge apprezza le modeste gioie della sua vita, è anche attratta dall'evasione dalla routine, come ad esempio l'incontro con l'ex compagno di scuola Mike Yanagita (Steve Park). La digressione è spiegata dai Coen come un espediente per un ulteriore effetto di verosimiglianza, ma di fatto introduce un altro uomo, nuovamente inetto, fallito, inaffidabile, che tenta di circuire goffamente Marge, viene respinto con educazione, e si rivelerà un debole frignone e bugiardo. L'innocenza di Marge è solo relativa: intende il pericolo e la corruzione quando ci si trova di fronte.
    Secondo Aristotele, le persone prive di vergogna non sono in grado di instaurare relazioni come amore e amicizia. La vergogna è il dolore dell'aver commesso qualcosa che ci discrediti, soprattutto agli occhi di coloro che riteniamo moralmente importanti. Le persone eccellenti hanno il senso della vergogna; altri invece non la provano del tutto e non sanno riconoscere il proprio operato come sbagliato; altri, infine, sono mossi da passioni forti (rabbia, odio, avidità) che discernono, ma non riescono a controllare. Marge è un modello di eccellenza: è attenta e discreta nel rimproverare gli altri (correggere l'errore di un collega, allontanare il vecchio compagno di scuola, ammonire il marito di non essere troppo avido se non ha ricevuto il primo premio a un concorso, sparare a Gaear su una gamba e redarguirlo), non solo per il suo essere Minnesota nice, ma perché ha introiettata la misura della vergogna, rispetta gli altri, ed è quindi la sola ad avere un amore sincero e incondizionato, non utilitaristico. Chi invece non è neppure in grado di avere una conversazione è Gaear ("Would it kill you to say something?", gli chiede Carl), che si muove solo per soddisfare i propri appetiti più bassi (i soldi, il pancake, il sesso con le prostitute), e non è in grado di rispettare nessuna legge civile o etica. Jerry, infine, è la terza via indicata da Aristotele: è un subdolo bugiardo nel vendere auto ("A bold-face liar" lo definisce un cliente truffato), e non prova rimorsi; vuole evitare quella che sente come una pubblica umiliazione (la povertà) e per questo mette in moto un atto aberrante di cui distingue l'errore, ma non può fermare.
    Si nasconde dietro finti sorrisi infingardi (riflessi incondizionati) anche quando parla col figlio, ha attacchi di ira sempre più soffocati, è ridicolo quando cerca il tono giusto per comunicare la notizia del rapimento al suocero, e raggiunge il culmine del patetico mentre viene arrestato in mutande. Scotty (Tony Denman), il figlio adolescente, maschio non ancora corrotto e unico realmente in ansia per le sorti della madre (Wade è più concentrato sul prezzo del riscatto), ci permette di misurare le colpe degli adulti che lo circondano. Joel e Ethan Coen amano giocare con generi e codici narrativi, in particolare quelli del noir, che qui, come detto, si combina con la commedia. Commedia sull'evasione dalla routine, sui confini a cui può spingersi l'uomo nel cercare di cambiare la propria vita, generando invece discrasie, caos, dolore. L'umorismo nasce dall' osservazione delle azioni compiute per pura disperazione e mero interesse. La violenza diventa farsa e l' impreve-
    dibilità norma. I personaggi evadono gli schemi classici: una poliziotta di provincia incinta indaga su crimini efferati, i cattivi non sono geni del male, ma stupidi e impreparati, perché così succede nella realtà. I Coen sviscerano stereotipi regionali di una fetta di America, sineddoche della cultura americana e per esteso della condizione umana, con elementi di verosimiglianza culturale e idiomatica, e satira sociale.

    La verosimiglianza, allora. Con "Fargo" - Oscar come miglior sceneggiatura - i Coen compiono un vero esperimento di semantica. Una didascalia all'inizio presenta i fatti come realmente accaduti. Ma lo spunto di cronaca è solo parziale, il resto è pura finzione. Una sfida alla credulità dello spettatore, che si trova immerso negli stereotipi della cultura del Minnesota in modo quasi sociologico, e vede contrapporsi il realismo dei luoghi e del modo di parlare (è stato assunto un trainer per l'accento) a una storia assurda.
    Com'è possibile che tutto questo sia successo e io non ne abbia mai sentito parlare? La dicitura vuole evitare che il film venga visto come un thriller ordinario: è una sfida ai codici della verosimi-
    glianza, confonde realtà e finzione. Si sa, spesso storie realmente accadute possono sembrare più incredibili di quelle inventate, e allora la riflessione per esteso comprende la plausibilità stessa del cinema e dei media: dovrei fidarmi di quello che un regista mi fa vedere? Lo spettatore è il solo ad avere un punto di vista esterno sulla vicenda, è il solo a poter rispondere al quesito di Marge e a trarre le conclusioni sul perché ci spinga a tanto squisitamente per avidità.
    Lo humor nero smaschera le incongruenze e i contrasti del quotidiano attraverso il paradosso. Lo spargimento di sangue gratuito non è solo ironico e provocatorio, ma evidenzia lo iato tra vero e falso. La mdp è il più possibile distaccata, non cerca effetti drammatici, con la sola concessione delle geometrie di oggetti e persone in contrasto sugli sfondi bianchi. Un realistico spaccato di cultura americana viene messo in scena per setacciare la frattura tra credibile e incredibile, reportage e fiction, verità e menzogna. I criminali fanno cose "comuni": litigano per mangiare il pancake, guardano soap opera alla tv, si servono di espressioni ricorrenti, si mettono il cappello prima di uscire per ammazzare a sprangate il proprio collega, discutono sui dettagli degli orari e polemizzano sul pagamento del pedaggio. Le idiosincrasie e le peculiarità del Minnesota, fortemente influenzato dalla cultura scandinava, sono tratteggiate con minuscoli dettagli, si respirano l'aria e l'atmosfera delle stanze, anche grazie a una scenografia curatissima (di Rick Heinrichs) e alle musiche (di Carter Burwell) basate su temi popolari nordici. Gli accenti, la parlata economica, asciutta, le maniere educate e distaccate di matrice nordeuropea fanno apparire i personaggi verosimili ed evitano di farli cadere nella caricatura.

    Alla fine tutti pagano il contrappasso della propria avidità: Wade vuole consegnare i soldi di persona e muore, Jerry e Gaear vengono arrestati, Carl è ucciso da Gaear perché vuole tenersi l'auto. Solo Marge e Norm potranno continuare con le loro vite, in attesa del figlio. Il delitto non paga, ma soprattutto non ci si può fidare di nessuno: tuo marito ti fa rapire, il tuo socio ti uccide, un vecchio amico ti contatta con una scusa innocente ma ha in mente altro, e i registi di un film? Quelli, poi: ti presentano una storia come vera quando non lo è. Allora che mondo è, questo, dove non puoi credere a colleghi, parenti e amici? In che mondo viviamo se non possiamo più fidarci neanche delle immagini di un film, della parola dei registi? ( Davide De Lucca, www.ondacinema.it/)
     
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