MAGNA CHARTA

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  1. gheagabry
     
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    Magna Carta Libertatum



    La MAGNA CHARTA


    « Giovanni, per grazia di Dio, re d'Inghilterra, signore d'Irlanda, duca di Normandia e di Aquitania e conte di Angiò, agli arcivescovi, abati, conti, baroni, funzionari della foresta, sceriffi, giudici, intendenti, servitori ed a tutti i balivi e fedeli sudditi, salute.
    Sappiate che noi, per timore di Dio e per la salvezza dell'anima nostra e di quella di tutti i nostri predecessori ed eredi, per l'onore di Dio ed il prestigio della santa Chiesa, e per la riforma del regno nostro, su consiglio dei nostri venerabili padri, Stefano arcivescovo di Canterbury, primate di tutta l'Inghilterra e cardinale della santa romana Chiesa [...] ed altri nostri fedeli sudditi: .. In primo luogo abbiamo concesso a Dio ed abbiamo confermato con questa nostra carta, per noi ed i nostri eredi in perpetuo, che la Chiesa inglese sia libera, ed abbia i suoi diritti integri e le sue libertà intatte [...] Abbiamo anche concesso a tutti gli uomini liberi e consenzienti del nostro regno, per noi ed i nostri eredi di sempre, tutte le libertà sottoscritte, che essi ed i loro eredi ricevano e conservino, da noi e dai nostri eredi »




    La Magna Carta fu riprodotta in numerose copie, alcune delle quali risalenti al 1215 sono arrivate fino ai giorni nostri. I documenti erano scritti in latino a mano, utilizzando penna d’oca su pergamena e avevano il sigillo reale, che ne certificava la validità. Sull’originale del 1215 non c’erano firme e nemmeno i sigilli dei singoli baroni che avevano ottenuto le concessioni da re Giovanni. Inoltre, i vari articoli non erano numerati, ma semplicemente elencati: solo nella seconda metà del 1700 fu introdotta una numerazione per rendere più pratici i riferimenti al documento.



    Il 15 giugno 1215, re Giovanni d’Inghilterra appose il suo sigillo alla Magna Charta Libertatum. A spingerlo a questo storico gesto fu la delicata posizione in cui è venuto a trovarsi in seguito alla massiccia rivolta contro la sua supremazia capeggiata da alcuni tra i più potenti baroni d’Inghilterra e scatenata dall’eccessivo rigore di Giovanni Senzatesta nei confronti dei suoi sudditi e dalla sconfitta militare riportata in Normandia. I 63 capitoli e le 3550 parole (tutte scritte in latino) di questo famoso documento stabilivano una serie di restrizioni al potere del sovrano: venne limitata la sua facoltà di imporre nuove tasse in maniera del tutto arbitraria e si stabilì in maniera incontrovertibile il fatto che egli non potesse per nessuna ragione concedere giustizia in cambio di denaro, né tantomeno negarla o ritardarla.

    La Magna Charta fu concepita anche come trattato di pace tra Giovanni e i suoi oppositori. E, tuttavia, da questo punto fu un totale fallimento. A distanza di poco più di un mese dalla firma del rivoluzionario documento di Runnymede, il sovrano chiese al papa di revocarlo, causando lo scoppio della guerra civile.



    Ciò avrebbe potuto segnare la fine della storia della Magna Charta, che invece sopravvisse perché, dopo la morte di Giovanni nell’ottobre del 1216, il governo di minoranza di suo figlio, Enrico III, promulgò una nuova versione della Carta nella speranza di ingraziarsi i ribelli e indurli a riprendere le parti del sovrano. Dopo aver vinto la guerra e allo scopo di consolidare la pace, nel 1217 Enrico III emanò una seconda versione del documento. Infine, nel 1225, a fronte dell’accettazione di una nuova onerosa tassa, egli emise quella che era destinata a divenire l’ultima e definitiva versione della Magna Charta.

    Fu questa carta del 1225 (che nelle linee essenziali era identica a quella del 1215) quella destinata a essere confermata dai sovrani successivi. E sono i capitoli di questa carta del 1225 ad essere entrati a far parte del Libro dello Statuto dell’odierno Regno Unito. Con il passare del tempo molti dei punti sanciti nel documento originario sono divenuti obsoleti, ma la Magna Charta è sopravvissuta: e ciò si deve sostanzialmente al fatto che in essa viene affermato un principio fondamentale che è poi quello della superiorità della legge. Il re non aveva più il potere di impadronirsi di una proprietà o di arrestare qualcuno spinto dal semplice capriccio. Per farlo doveva passare attraverso un regolare processo giuridico.



    La prima Magna Charta divenne lettera morta entro le 12 settimane dalla sua emissione. Come trattato inteso a mettere pace tra i re e i baroni fallì del tutto, e deve la sua sopravvivenza sola alla situazione disperata che si venne a creare nel 1216, quando re Giovanni morì e al trono salì suo figlio Enrico III, di soli nove anni. I suoi consiglieri, volendo far mostra del fatto che la corona era ansiosa di tagliare i ponti con gli errori del passato, nel novembre del 1216 resuscitarono la Magna Charta in forma revisionata. Fu poi nuovamente ritoccata ne 1217, al termine della guerra civile tra i re e i baroni, come simbolica promessa di un futuro buon governo.

    Quando Enrico III perse La Rochelle e altri possedimenti in terra francese, 8 anni dopo, di trovò la necessità disperata di imporre nuove tasse per finanziare la difesa di quel che rimaneva della sua terra avite in Guascogna e Poitou. Fu in questa situazione che la Magna Charta venne rispolverata nel febbraio 1225, una ennesima nuova versione che condensava in sole 37 clausole le oltre 60 della versione del 1215. Alle spalle di questa operazione c’era anche la presenza di Stephen Langton, l’arcivescovo di Canterbury che era già stato una figura chiave nei negoziati del 1215. La versione del 1225 era destinata a diventare la Magna Charta per eccellenza e a eclissare la vecchia versione emessa a Runnymede. Questo provocò una certa confusione, in quanto i giuristi del XVII sec. tendevano a citare la Carta del 1225 come se fosse quella emessa da re Giovanni ne 1215, finchè la differenza tra le due non venne definitivamente stabilita dal giurista William Blackstone.



    Fin dalla prima versione del 1215 , la Magna Charta stabiliva che la tassazione poteva avvenire solo con il consenso dei baroni, e già dagli anni Trenta del XIII sec i consigli, -chiamati parlamentari, in quanto occasioni in cui le persone si incontravano per parlare – erano diventati incontri finalizzati all’ottenimento di tale consenso. Entro gli anni 50 ebbero l’autorizzazione di riunirsi anche in assenza del re. Riemettere periodicamente la Magna Charta divenne per i re inglesi una dimostrazione di buone intenzioni verso i sudditi. Enrico III lo fece di nuovo ne 1234, nel 1237 e negli anni 50 aggiungendo un proclama pubblico in cui giurava di mantenere sempre la Charta come simbolo di giustizia e legalità. Nonostante tutto ciò, i suoi errori in campo economico e la pressione finanziaria provocata dalla sua politica estera portarono a una prima crisi nel 1258 e a una seconda crisi nel 1264, e a quel punto un gruppo di baroni guidati da Simon de Montfort prese il potere. Avendo bisogno di consolidare la propria base di potere Montfort convocò non solo i baroni (i lord) ma anche i “comuni, la gente qualsiasi, chiedendo che ogni contea d’Inghilterra e ogni borgo di una certa dimensione inviasse un rappresentante. Questo Parlamento, che ebbe luogo il 1265, fu fondamentale per il futuro della Camera dei Comuni, importante ancora oggi dopo 750 anni. Come parte della sua propaganda, Montfort in occasione del Parlamento emise di nuovo la Magna Charta.



    La riemissione continua della Magna Charta nel corso del XIII sec fece in modo che, quando salì al trono Edoardo I, nipote di Enrico III, il documento era diventato imprescindibile come simbolo di buon governo. Le conquiste di Edoardo in Scozia, Galles e Francia vennero finanziate dal Parlamento, in cambio della promessa che il re non avrebbe abusato del suo potere. Ma negli ultimi anni del XIII sec. questo circolo virtuoso si spezzò. La pressione fiscale dovuta alla guerra in Guascogna e nelle Fiandre si fece intollerabile, e in Scozia la rivolta di William Wallance inflisse una dolorosa sconfitta all’Inghilterra nella battaglia di Stirling Bridge (1297). Con il re impegnato in guerra nelle Fiandre e il popolo sulla soglia della sollevazione a causa delle tasse d’emergenza imposte a fronteggiare la crisi, il 2 ottobre 1297 il figlio del re (futuro Edoardo II) emise ancora una volta la Magna Charta nella speranza di ricevere sostegno e per la prima volta il documento venne ufficialmente copiato tra gli statuti del Parlamento. Per questa ragione è ancor oggi considerato una legge inglese valida a tutti gli effetti. In teoria l’emissione del 1297 ripeteva esattamente i termini di quella del 1225, ma in pratica, essendo stata trascritta da una copia non ufficiale o forse erronea, conteneva anche piccole varianti, la più importante delle quali stabiliva che i conti dovessere pagare al re una tassa di successione di 100 sterline per poter ereditare le proprie terre, mentre i baroni ne pagavano solo 66. Non essendo stata emessa dal re in persona, la Carta del 1297 venne ratificata 3 anni dopo con il sigillo di Edoardo I. fu questa l’ultima occasione in cui un re impresse il proprio sigillo al documento e lo fece distribuire in una trentina di contee d’Inghilterra.



    Nei secoli XV e XVI la legge inglese, per quanto spesso manipolata a vantaggio del re, riuscì a offrire un certo margine di tutela da abusi come l’arresto arbitrario e l’incarcerazione. In Inghilterra la legge non riconosceva la schiavitù, una sentenza di morte si poteva emettere solo dopo un equo giudizio, almeno in teoria, e la tortura era confinata a pratica extra-giudiziaria, non ammessa dal principio legale. Ma, in contrasto con tutto ciò, la prima clausola della Magna Charta, che indicava le libertà della Chiesa inglese, non solo ava per scontata una certa obbligatorietà di appartenenza alla fede cattolica ma concedeva anche un posto di preminenza ai tribunali ecclesiastici, che venivano a trovarsi al di furi del normale corso della legge inglese. Soprattutto nei casi di eresia i tribunali ecclesiastici potevano convalidare confessioni estorte con la tortura, e così avvenne durante i processi dell’Inquisizione contro i Lollardi. Persino il più grande difensore della libertà della chiesa, San Tommaso Moro, era pronto ad accettare che la persecuzione degli eretici venisse portata avanti con ogni mezzo necessario, incluse le testimonianze poi smentite, le dicerie e la tortura. Solo negli anni ottanta del XVI sec. e in particolare a opera di Robert Beale, segretario del Consiglio privato della Regina Elisabetta, i giuristi cominciarono a rifiutare il concetto di eresia come crimine, citando la clausola 29 della Magna Charta del 1225 e insistendo che il documento permetteva l’istituzione di luoghi dai quali una persona non poteva venir legalmente tratta in arresto.



    Anche se di solito viene considerata un documento specificatamente inglese o anglosassone, la Magna Charta giocò un ruolo minore ma significativo nella Rivoluzione Francese del 1789, e il suo messaggio principale, ossia che il re deve governare obbedendo alla legge e che la legge si deve applicare solo con un “giusto processo” trovò eco nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo. Una volta cessato il tumulto della rivoluzione e delle guerre napoleoniche, il ritorno al potere dei Borboni in Francia fu permesso solo previa accettazione della Carta Costituzionale (1814), un documento stilato a seguito dei recenti successi militari inglesi e calcato sulla Magna Charta, che dopo la battaglia di Waterloo (1815) anche i cittadini francesi accettarono come principale baluardo a difesa della loro libertà. Con la rivoluzione del belgio, nel 1830, anche quella nazione si stabilì come regno indipendente con un documento costituzionale dello stesso genere, e poco dopo la Carta francese fece da esempio alle varie rivoluzioni che nel 1848 tentarono di imporre governi costituzionali in tutta Europa. Nel frattempo, in America, venne incorporata nella legge costituzionale una clausola su “giusto processo” derivata direttamente dalla Magna Charta, in base alla quale “nessuno può venir privato della via della libertà o della proprietà senza un giusto processo legale”. Clausole simili apparvero nel Quinto Emendamento della costituzione degli Stati Uniti, poi di nuovo nel XIV emendamento del 1868, passato dopo la fine della Guerra Civile Americana, e ancora negli articoli 9,10 e 11 della Dichiarazione dei Diritti Umani stabilita dalle Nazioni Unite nel 1948.

    (tratto dall’articolo di Nicholas Vincent
    -docente di Storia medievale presso l’Università dell’East Anglia-
    BBC History marzo 2015)

     
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