EBOLA - VIRUS

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  1. gheagabry
     
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    VIRUS EBOLA




    La malattia da virus Ebola è una febbre emorragica grave e spesso fatale per l’uomo e i primati. Il nome “Ebola” deriva da un fiume della Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire), presso il quale nel 1976 si verificò uno dei primi due focolai epidemici. L’altro, si sviluppò praticamente in simultanea nel Sudan. Entrambi furono caratterizzati da un elevato tasso di mortalità (90% e 50% rispettivamente). Successivamente, e fino a oggi, sono state segnalate in Africa numerose nuove epidemie e casi sporadici, con tasso di mortalità variabile.

    Ebola è un virus a Rna, appartenente alla famiglia dei Filoviridae, genere Filovirus. Sono stati identificati cinque diversi sottotipi del virus: Zaire, Sudan, Ivory Coast, Bundibugyo e Reston. Ciascuno con una diversa diffusione geografica. I primi quattro sono patogeni per l’uomo e hanno provocato epidemie in Africa. Invece, il sottotipo Reston, isolato per la prima volta a Reston, in Virginia (Usa), in macachi provenienti dalle Filippine, è responsabile di malattia nei primati, mentre nell’uomo provoca una forma asintomatica.

    Il virus Ebola presenta analogie morfologiche con l’agente della febbre emorragica di Marburg, ma caratteristiche antigeniche differenti.

    L’infezione si trasmette per contagio interumano attraverso il contatto con sangue e altri fluidi biologici infetti e, in teoria, anche con il trapianto di organi. La trasmissione per via sessuale può verificarsi fino a 7 settimane dopo la guarigione: infatti la permanenza del virus nello sperma è particolarmente prolungata. È inoltre stata provata in laboratorio, in primati del genere Rhesus, la trasmissione aerea del virus Ebola.





    ██ Focolai del 1976
    ██ Focolai dal 1977 al 2012
    ██ Focolai del 2014



    La trasmissione nell’uomo comporta una fase di adattamento alla specie umana e origina da un contatto iniziale con un serbatoio animale (di solito un primate, come il macaco, ma anche con antilopi o porcospini). Anche se si è ipotizzato che la scimmia stessa rappresenti il serbatoio naturale della malattia, è più probabile l’esistenza di un diverso serbatoio animale residente nelle foreste pluviali dell’Africa (secondo alcune teorie anche dell’Estremo Oriente) che trasmette alla scimmia l’infezione. L’osservazione che il virus Ebola non è mortale per i pipistrelli fa ritenere che questi mammiferi abbiano un ruolo chiave nel mantenimento dell’infezione.

    Il contagio è più frequente tra familiari e conviventi, per l’elevata probabilità di contatti. Tuttavia avviene anche per contatto con oggetti contaminati. In Africa, dove si sono verificate le epidemie più gravi, le cerimonie di sepoltura e il diretto contatto con il cadavere dei defunti hanno probabilmente avuto un ruolo non trascurabile nella diffusione della malattia.

    Durante i focolai epidemici si sono verificati numerosi casi in seguito a trasmissione correlata all’assistenza sanitaria, in regime di ricovero o ambulatoriale. L’utilizzo di adeguate misure di protezione individuale (maschera, camice e guanti) per prestare cure ai pazienti e per maneggiare il materiale biologico è essenziale per evitare il contagio. La contaminazione da aghi infetti ha un particolare rilievo per il rischio professionale degli operatori sanitari.(www.epicentro.iss)

     
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    grazie gabry
     
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  3. gheagabry
     
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    Ebola, esiste una cura per l'infezione?

    Kent Brantly e Nancy Writebol sono due delle oltre 1600 persone contagiate dal virus Ebola, ma la loro è una storia particolare: il medico e la missionaria statunitensi, infettati dal virus mentre prestavano servizio sanitario in Liberia, si stanno sottoponendo a una cura sperimentale, mai testata sull'uomo, che sembra dare risultati promettenti nella lotta alla malattia. I due operatori, che hanno ricevuto i primi trattamenti in Africa, sono ora ricoverati in isolamento presso l’Emory University Hospital di Atlanta, Georgia.

    SEGNI INEQUIVOCABILI. La loro vicenda è stata accuratamente ricostruita dalla CNN: lo scorso 22 luglio Brantly, che come la collega lavora per l'associazione umanitaria Samaritan's Purse, impegnata nell'assistenza ai malati di Ebola, si è svegliato con la febbre. Subito si è messo in autoisolamento, così come Nancy Writebol, che ha avvertito i primi sintomi del virus tre giorni dopo. In breve sono comparsi anche vomito e diarrea, e i due hanno iniziato a temere il peggio. Le dinamiche del loro contagio sono ancora da chiarire, ma si sospetta siano stati infettati da un collega malato.

    LA CURA. Venute a conoscenza della loro condizione, le autorità sanitarie statunitensi hanno fatto arrivare in Liberia un farmaco sperimentale, lo ZMapp, sviluppato da una società di San Diego, la Mapp Biopharmaceutical.

    Il farmaco impedisce al virus di superare le membrane cellulari e di raggiungere l'interno delle cellule: lo ferma, in sostanza, prima che possa moltiplicarsi. Si ottiene infettando alcune cavie da laboratorio con parti genetiche del virus e lavorando sugli anticorpi da esse sviluppati in risposta al contagio. In gergo medico, è definito un anticorpo monoclonale.
    Leggi lo speciale di Focus sull'epidemia di Ebola. I sintomi del contagio e perché questa epidemia sembra inarrestabile
    I PRECEDENTI. Il medicinale non era mai stato testato sull'uomo prima d'ora. Alcuni test sperimentali sono stati effettuati sulle scimmie. In un caso, è stato somministrato a quattro esemplari entro 24 ore dal contagio: tutti e quattro sono sopravvissuti. Ad altri quattro primati è stato somministrato a 48 ore dall'infezione: di questi, soltanto due sono sopravvissuti. Writebol e Brantly sono stati informati sulla questione, e hanno deciso di sottoporsi ugualmente alle cure.

    RISULTATI SORPRENDENTI. Il farmaco è arrivato congelato dagli USA ed è stato fatto scongelare a temperatura ambiente nell'ospedale liberiano dove i due si trovavano. Brantly aveva chiesto che la prima dose disponibile andasse alla collega, più anziana e debole, ma il peggioramento delle sue condizioni ha fatto sì che a iniziare fosse proprio il giovane medico, ormai incapace di respirare autonomamente. A un'ora dalla terapia endovenosa, le condizioni dell'uomo sono sensibilmente migliorate: Brantly ha iniziato a respirare normalmente, e il giorno successivo è riuscito ad alzarsi e farsi una doccia prima di essere trasferito negli USA. Un'evoluzione che alcuni medici locali hanno definito "miracolosa".

    Sulla collega, la prima infusione non ha sortito gli stessi benefici: la donna ha ricevuto il trattamento per seconda, e - come il collega - tra i 7 e i 10 giorni dal contagio. Nei test animali, il farmaco non era mai stato somministrato dopo un periodo così lungo. Il secondo trattamento ha avuto più successo e la donna, ormai in condizioni stabili, è stata trasferita con un volo speciale nell'ospedale di Atlanta .

    LE CRITICHE. La decisione di somministrare ai pazienti un farmaco mai testato sull'uomo - senza studi scientifici e approvazione di comitati etici - sta suscitando molte perplessità all'interno della comunità scientifica. Non si conoscono, infatti, gli effetti a lungo termine del farmaco, e agendo senza una regolamentazione internazionale si rischia di alimentare false speranze in chi ha contratto il virus.

    Gregory Hartl, portavoce dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, ha ricordato che «le autorità sanitarie non possono iniziare a usare farmaci non testati nel bel mezzo di un'epidemia, per varie ragioni»; e anche Medici Senza Frontiere ha invitato alla cautela: «Come medici, testare un farmaco mai usato sull'uomo è una scelta molto difficile. La nostra priorità è non fare del male, e non siamo sicuri che il trattamento sperimentale non faccia più male che bene».







    06 AGOSTO 2014 | ELISABETTA INTINI, focus.it



    ps...guardiamo il fatto sotto un altro punto di vista...ok alle critiche, ma almeno è un inizio!
     
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    c'è d'aver paura !!!:Scuola%20(12).gif: :(
     
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  5. gheagabry
     
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    Virus Ebola, l'incredibile storia della sua scoperta



    Ogni volta che sente una notizia su Ebola, Peter Piot avverte un brivido lungo la schiena. Nel 1976 Piot era un giovane ricercatore appena 27enne quando il temibile virus - all'epoca senza nome - arrivò per la prima volta in Europa per essere studiato. Era il 29 settembre e il virus avveva viaggiato su un volo passeggeri proveniente da Kinshasa, Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo).

    COME UN BAGAGLIO QUALUNQUE. Peter e due giovani colleghi, che all'epoca lavoravano in un laboratorio dell'Università di Antwerp, Belgio, furono i primi a maneggiare i campioni di sangue infetto, prelevati da una suora fiamminga contagiata dalla febbre emorragica mentre si trovava in missione nello stato africano. Le provette avevano volato in un comune thermos di plastica pieno di ghiaccio, e una di queste, nel trambusto del viaggio, si era rotta.

    ALTRI TEMPI. Nulla si sapeva, allora, sulla pericolosità del virus, né sulle sue modalità di trasmissione, come racconta Piot in un'autobiografia (No Time to Lose: A Life in Pursuit of Deadly Viruses), ripresa in un articolo di Business Insider.

    I tre si erano attrezzati per fronteggiare organismi come quelli responsabili della salmonella, o della tubercolosi, e non avevano certo in un laboratorio di massima sicurezza come quelli che siamo abituati a vedere in questi giorni al telegiornale. Pensavano di avere tra le mani la causa di una "qualche forma di febbre gialla con manifestazioni emorragiche", e l'unica precauzione che presero fu quella di indossare guanti di lattice al momento di estrarre le provette dal recipiente.

    MAI VISTO PRIMA. Senza neanche una maschera a coprire il volto, i tre isolarono il virus, iniettandolo in alcune cavie da laboratorio. Dalle analisi del sangue e delle colture cellulari delle cavie risultò che non si trattava di febbre gialla né di febbre di Lassa, un'altra febbre emorragica virale. Il capo di Piot, Stefaan Pattyn, che nel frattempo aveva identificato nel villaggio di Yambuku (Zaire) il presunto luogo d'origine del focolaio, iniziò a pensare che si trattasse di una nuova, rara infezione, che il laboratorio belga non era attrezzato ad affrontare.

    DA TRASFERIRE. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ordinò che i campioni venissero immediatamente trasportati in uno dei pochi laboratori adatti, quello di Porton Down, in Inghilterra, e da lì spediti al Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie (CDC) ad Atlanta, ancora oggi punto di riferimento per la lotta al virus Ebola.

    L'ENNESIMA IMPRUDENZA. Ma prima di inviare i campioni a chi di competenza, Pattyn prese una decisione folle: quella di tenerne alcuni in laboratorio per proseguire le analisi, per non vedersi sottrarre l'onore della scoperta. Mentre preparava nuove colture cellulari, Pattyn fece cadere una provetta a terra, sporcando di sangue infetto le scarpe di un collega. Il pavimento fu disinfettato, le scarpe buttate e le cellule infette finalmente esaminate al microscopio: quello che i ricercatori videro fu il più lungo virus mai osservato, un microrganismo a forma di verme simile a un altro virus conosciuto, il Marburg, che aveva ucciso diversi ricercatori tedeschi 9 anni prima, in un incidente in laboratorio. Solo allora i ricercatori, rimasti miracolosamente indenni dal contagio, realizzarono quanto fossero stati avventati. Tutti i campioni a disposizione furono spediti ad Atlanta, da dove arrivò presto la conferma che non si trattava di Marburg, ma di un nuovo virus letale. Quell'anno, nel 1976, Ebola uccise 280 persone nell'ex Zaire, l'88% dei contagiati. L'infezione prende il nome proprio da quella prima, drammatica strage: Ebola è il nome della valle dove scoppiò l'epidemia.

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    Dio li fa, Chuck Norris li distrugge, Mc Gaiver li aggiusta

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    Gregory Hartl, portavoce dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, ha ricordato che «le autorità sanitarie non possono iniziare a usare farmaci non testati nel bel mezzo di un'epidemia, per varie ragioni»; e anche Medici Senza Frontiere ha invitato alla cautela: «Come medici, testare un farmaco mai usato sull'uomo è una scelta molto difficile. La nostra priorità è non fare del male, e non siamo sicuri che il trattamento sperimentale non faccia più male che bene».

    sì, ma se hai il 90% di probabilità di morire per una malattia, credo saresti disposto a provare ogni terapia.
    Il vero limite è che costa una barcata di soldi
     
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  7. gheagabry
     
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    Quello che non sappiamo (ancora) di Ebola



    Anche se i virus che causano Ebola sono noti da quarant'anni, la ricerca fino a oggi ha ricevuto pochissimi fondi per studiarli. E il ritardo conoscitivo accumulato negli anni è anche all'origine delle difficoltà che abbiamo nel controllare il diffondersi della malattia. Lo sottolinea la rivista Nature, che elenca le lacune che, se colmate in tempi rapidi, potrebbero contribuire a contenere l'epidemia in corso, o quantomeno a scongiurarne altre simili in futuro.

    1. DA DOVE ARRIVA? Per esempio, non si sa con esattezza da quali animali il virus possa trasmettersi all'uomo. Si è molto parlato dei pipistrelli della frutta, e in effetti è quasi certo che siano loro i serbatoi naturali di Ebola. Ma la convinzione deriva dal fatto che in questi volatili è stato trovato il virus di Marburg, parente stretto di Ebola, mentre «nessuno ha mai isolato un ebolavirus infettivo da un pipistrello» si legge su Nature.

    I dubbi poi aumentano se si considera che fino a oggi «le epidemie di Ebola hanno avuto origine in numerose località, ma soltanto in qualche caso fra persone che avevano avuto un contatto diretto con i pipistrelli».

    Gli scienziati ritengono che i serbatoi naturali dei virus possano essere diversi, e identificarli tutti è essenziale per prevenire epidemie future.
    Alcuni studi suggeriscono anche che un ruolo potrebbero svolgerlo i maiali, dai quali, negli anni scorsi, è stato isolato il Reston ebolavirus. Quest'ultimo non sembra in grado di provocare malattie serie nell'uomo, ma il sospetto è che da un suino infettato contemporaneamente da più ebolavirus di tipo diverso possa infine emergere un nuovo agente, capace di trasmettersi all'uomo e determinare la malattia. Qualcosa di simile, del resto, avviene anche con l'influenza.

    3. QUANTI SOLDI CI VOGLIONO? Sulla spinta dell'emergenza, negli ultimi mesi, gli studi su Ebola hanno ricevuto un impulso straordinario, come mai era avvenuto in passato. I tempi tecnici necessari allo sviluppo di medicine e vaccini sono però comunque piuttosto lunghi, e l'accelerazione in corso potrebbe non essere sufficiente. Nella migliore delle ipotesi, un vaccino potrebbe iniziare a essere distribuito alle popolazioni più colpite, e ai medici che stanno loro accanto, in primavera. Ma il picco dei casi è atteso nelle prossime settimane, probabilmente a gennaio. Per fermare Ebola, allora, «serve nuovo piano» scrive Nature, che intensifichi gli interventi sanitari nei Paesi più colpiti (Guinea, Sierra Leone e Liberia), e che preveda investimenti internazionali ingenti, pari a circa un miliardo di dollari (in aprile, per avere lo stesso risultato sarebbero bastati 4,8 milioni di dollari).

    4. LA QUARANTENA È UTILE? In questo senso, costituiscono un ostacolo le misure di quarantena che alcuni Paesi occidentali stanno iniziando a prendere nei confronti di chi torna dall'Africa Occidentale, dopo aver assistito i malati. Di questo aspetto si occupa un editoriale pubblicato da New England Journal of Medicine, che ricorda che un malato è infettivo soltanto quando manifesta i sintomi. «Dovremmo accogliere da eroi, e non mettere in isolamento, i medici che mettono a rischio la loro vita per salvare i malati di Ebola nell'Africa Occidentale e per controllare la malattia nelle zone in cui è nata, a beneficio di tutto il mondo» si legge sulla rivista.

    5. COME EVOLVE LA MALATTIA? Sembra assurdo, ma anche il mondo scientifico non sa con precisione come si presenta clinicamente la malattia: chi ha letto il romanzo di Richiard Preston Area di Contagio (Hot Zone) o visto il film Virus Letale immagina sanguinamenti, corpi che implodono o si sfaldano. In realtà è molto diverso, ma i medici non hanno descrizioni cliniche attendibili della malattia. L'unico studio attendibile è appena stato pubblicato sul New England Journal of Medecine e descrive l'andamento clinico di oltre un centinaio di casi in Sierra Leone, mortalità, sintomi, tempi di recupero. Le emorragie per cui Ebola è famigerata si sono presentate solo nell'1 per cento dei casi.

    Intanto, l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha aggiornato le sue stime, includendo anche i casi che nei mesi scorsi erano sfuggiti alla conta: il numero di persone infettate è così balzato a 13.703. I morti sono 4.922.




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  8. gheagabry
     
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    C’è un vaccino contro ebola che funziona
    Si chiama VSV-ZEBOV,
    è stato testato in Guinea ed è risultato efficace al 100 per cento


    La sperimentazione in Guinea di un vaccino contro il virus ebola si è dimostrata efficace al 100 per cento e Margaret Chan, direttrice dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha detto che nella lotta al virus ebola questo è “uno sviluppo estremamente promettente”. Il vaccino si chiama VSV-ZEBOV ed è stato testato sul campo, su persone che vivono in aree della Guinea in cui ebola è molto diffuso. Nel presentarne i risultati, i ricercatori che se ne sono occupati hanno detto che questo può essere “l’inizio della fine” dell’attuale epidemia di ebola.
    (www.ilpost.it)

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    EBOLA finita l’epidemia

    L’Organizzazione mondiale della Sanità ha fatto sapere che in Liberia è terminata l’epidemia di ebola, il virus che ha avuto una diffusione improvvisa e gravissima a fine 2014, e che pertanto tutta l’Africa occidentale è stata liberata dal virus. La Liberia era già stata dichiarata libera da ebola nel maggio e nel settembre del 2015, ma da allora c’erano stati altri isolati focolai della malattia. Mesi fa la stessa epidemia era stata dichiarata conclusa in altri paesi africani molto colpiti fra cui Guinea e Sierra Leone. L’OMS dice che «l’annuncio di oggi arriva 42 giorni dopo che l’ultimo paziente noto di ebola è risultato negativo a nuovi esami». 42 giorni è il doppio del ciclo di incubazione del virus. L’ultimo paese in cui ebola era considerata una minaccia, la Guinea, è stata dichiarata libera da ebola circa tre settimane fa. In totale, secondo gli ultimi dati, l’epidemia di ebola iniziata circa due anni fa ha causato la morte di più di 11.300 persone sulle più di 28mila contagiate, concentrate soprattutto negli ultimi mesi del 2014.



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    L’OMS, che nei primi mesi dell’epidemia fu criticata per aver preso delle contromisure troppo lentamente, ha detto che la liberazione da ebola «è stata ottenuta grazie ai governi dei singoli paesi, a eroici operatori sanitari, membri della società civile, organizzazioni locali e internazionali e generosi finanziatori» ma che «è necessario stare attenti per prevenire nuove epidemie».
     
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  11. gheagabry
     
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    Il vaccino contro ebola funziona davvero



    Un vaccino sperimentale utilizzato contro ebola si è rivelato altamente efficace nel contrastare il virus che tra il 2013 e il 2014 ha causato più di 11mila morti e una grande epidemia nell’Africa occidentale. I risultati degli ultimi test clinici condotti in Guinea e Sierra Leone sono stati definiti molto convincenti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): il vaccino consentirà di contenere nuove epidemie ed evitare che il virus si diffonda rapidamente come avvenuto un paio di anni fa. Nella comunità scientifica i pareri sono concordi sul fatto che il nuovo importante risultato potrà cambiare la lotta contro ebola, rendendola molto più efficace e mirata: un progresso insperato fino a pochi anni fa.
    Le ricerche sul vaccino erano state accelerate proprio in seguito all’epidemia iniziata nel dicembre del 2013, che nei mesi successivi avrebbe interessato almeno 28.600 persone e portato a casi di contagio anche al di fuori dell’Africa occidentale. Sotto la spinta dell’OMS e di altre istituzioni, diverse aziende farmaceutiche avevano avviato nuovi test clinici dei loro vaccini, con prove sul campo soprattutto in Guinea e in Sierra Leone, due dei paesi africani in cui si stava registrando il numero più alto di contagi. I risultati di quei test, pubblicati sulla rivista Lancet (in parte anticipati nel 2015) sono stati confermati dall’OMS sulla base delle verifiche finali: dicono che in media a 10 giorni dalla vaccinazione nessuna persona a rischio infezione ha sviluppato i sintomi di ebola, che in molti casi ha conseguenze letali. Le poche persone che si sono ugualmente ammalate erano state con ogni probabilità infettate dal virus prima di ricevere la vaccinazione.
    Il vaccino, che si chiama rVSV-ZEBOV, è stato sviluppato dall’azienda farmaceutica statunitense Merck, che nei mesi di picco dell’epidemia aveva ricevuto il permesso di accelerare i suoi test sui pazienti, come previsto in casi di emergenza dalle autorità di controllo dei farmaci negli Stati Uniti e nell’Unione Europea. Merck aveva inoltre ricevuto circa 5 milioni di dollari di fondi per intensificare le ricerche da Gavi, un’organizzazione internazionale che raccoglie denaro da numerose fondazioni per finanziare progetti legati allo sviluppo e alla diffusione dei vaccini. Merck si era impegnata a preparare 300mila dosi del suo nuovo vaccino, da mettere a disposizione immediatamente nel caso di una emergenza, anche prima di ricevere l’approvazione definitiva, che richiede tempi più lunghi e che dovrebbe essere completata entro il 2018.
    I test clinici con i risultati più recenti sono stati eseguiti l’anno scorso nella Guinea marittima, la parte occidentale del paese lungo la costa, che aveva ancora diversi focolai di ebola, seppure in progressiva riduzione. L’esecuzione delle prove non è stata semplice per i ricercatori, che hanno dovuto adattare ritmi e metodologie per i loro test a una situazione di emergenza, con la popolazione molto preoccupata e al tempo stesso diffidente nei confronti di personale straniero sul posto per sperimentare un nuovo vaccino, ancora in fase di approvazione.
    Per la sperimentazione, il personale medico in Guinea ha utilizzato il sistema della “vaccinazione ad anello”, non molto frequente nei test clinici e che si utilizza per vaccinare gli individui che sono stati a contatto con la persona infetta, iniziando da quelli con cui aveva rapporti più stretti e allargando poi il campo agli altri (procedendo a cerchi concentrici, di qui il modo di dire “ad anello”). Con questo sistema sono state vaccinate circa 120 cerchie di amici e parenti di persone infette, con una media di 80 vaccinazioni per ogni cerchia. Inizialmente i ricercatori hanno suddiviso a caso le persone da vaccinare in due gruppi: uno riceveva subito il vaccino, mentre per l’altro la somministrazione veniva ritardata di tre settimane, in modo da comprendere meglio efficacia e copertura della vaccinazione. Quando dopo poco tempo si è capito che il vaccino stava funzionando, il personale medico ha eliminato la suddivisione e ha somministrato da subito rVSV-ZEBOV a tutti i componenti delle cerchie, senza fare distinzioni nemmeno per quanto riguarda l’età.
    Tra le quasi 6mila persone che hanno ricevuto il vaccino nella fase sperimentale, i ricercatori non hanno rilevato nemmeno un caso di ebola a 10 giorni di distanza dalla somministrazione, equivalenti ai tempi medi di incubazione del virus (cioè il tempo che intercorre tra il contrarlo e il manifestarsi dei sintomi). Tra i non vaccinati, nello stesso periodo, sono stati rilevati invece 23 casi di ebola. Inoltre, il sistema ad anello ha permesso di contenere molto più velocemente la diffusione di nuovi focolai della malattia.
    OMS e autori della ricerca scrivono che il vaccino non ha causato particolari effetti collaterali, con un solo caso di un paziente con febbre e un altro di reazione allergica a uno dei suoi componenti, che però non si è certi fosse legata alla vaccinazione. Citando dati e risultati ottenuti sul campo, il vaccino viene definito “sicuro ed efficace” per contrastare la diffusione di ebola. Marie-Paule Kieny dell’OMS e tra gli autori della ricerca, ha detto che: “Sebbene questi risultati così convincenti siano arrivati tardi per coloro che hanno perso la loro vita durante l’epidemia di ebola nell’Africa occidentale, i dati dimostrano che quando ci sarà una nuova epidemia di ebola, sapremo come difenderci”.




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    Edited by gheagabry - 3/1/2017, 20:31
     
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