IL MEDEGHINO, GIAN GIACOMO MEDICI

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  1. gheagabry
     
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    GIAN GIACOMO MEDICI, il MEDEGHINO





    Gian Giacomo Medici soprannominato il Medeghino, ossia piccolo medico, si dice per la sua bassa statura. Nonostante il cognome illustre egli poco ebbe a che fare con i famosi Medici di Firenze che gli concessero l’utilizzo del cognome e dello stemma con le 5 palle quando divenne famoso. Il Medeghino, infatti, vissuto nella prima metà del ‘500 fu pirata, condottiero e mercenario combatté nella zona del Lario, dei Grigioni e divenne conte di Lecco, Marchese di Musso e di Melegnano. Non molto amato, fu vittima di una congiura: fu inviato al castello di Musso accompagnato da una lettera che ne ordinava l’uccisione, accortosi dell’inganno, la lettera fu prontamente sostituita dal nostro con un ordine di cedergli la proprietà del castello

    Giangiacomo Medici nacque a Milano, nel 1498, da una famiglia di piccola nobiltà dedita agli appalti dei dazi. Fu primogenito di dieci figli, tra i quali Gian Angelo (1499), il futuro papa Pio IV (1559-1565). Bandito da Milano
    quasi diciottenne per avere ucciso per vendetta un rivale, riparò nel comasco, dove si unì ad una banda di briganti: rientrò in patria con il ritorno dello Sforza e la vittoria della Bicocca (1522), ed entrò al servizio del cancelliere Girolamo Morone. Coinvolto nell’omicidio di Astore Visconti, detto Monsignorino, il Medici fuggì nuovamente sul Lario, divenendo dapprima (1523) castellano, poi (1528) marchese dell’ardua fortezza di Musso. Per dieci anni il Medeghino, come egli venne chiamato, si batté con spregiudicatezza accarezzando il sogno di crearsi uno stato sul Lario: contro i Grigioni (cui – per poco tempo – tolse Chiavenna), contro i Francesi, benché poi aderisse alla Lega di Cognac, contro gli Spagnoli (cui tolse Monguzzo e pose l’assedio a Lecco), non senza aprire fronti di ostilità nel proprio stesso schieramento, contro i Veneziani e lo stesso Sforza. Passato (1528) nel campo imperiale, dopo il perdono di Francesco II Sforza da parte di Carlo V, condusse la cosiddetta ‘guerra di Musso’ (1531-1532) contro una coalizione sforzesco-grigiona, finché nel 1532 si accordò per la pace, cedendo la sua inespugnabile fortezza sull’alto lago e tutte le sue terre lariane in cambio del marchesato di Marignano.



    Una bella favola fu la rocca di Musso, essa era talmente inespugnabile da dar fastidio alle maggiori potenze del momento, intente a spartirsi o a disputarsi l'Italia: la Spagna di Carlo V, la Francia di Francesco I, la Serenissima dei potenti dogi, i Grigioni svizzeri, la Milano degli ultimi Sforza. Fu così che per levare di scena l'incomoda fortezza del Medeghino, offrirono a lui un'enorme dote in denaro (35.000 ducati d'oro) e il marchesato di Melegnano col suo castello. Ai contendenti non parve vero di essersene liberati. Tant'è che via lui provvidero a cancellare dalla faccia della terra l'antica imprendibile fortezza, le cui origini potrebbero anche risalire alla notte dei tempi, quindi prim'ancora dell'arrivo dei Celti. Della fortezza del Medeghino, contenente sicuramente reperti dell'epoca Gallo-Romana ed oltre, pare non sia rimasto più nulla, neanche una traccia, fuorchè l'oratorio, luogo sacro entro le mura dell'antica fortezza, abbattuto in seguito per erigere la chiesa di Santa Eufemia sopra le sue fondamenta.



    Tenace e crudele, astuto e temerario, avido e bugiardo, spietato – in egual misura – sui facoltosi e sui reietti, non incapace di qualche, raro, atto magnanimo verso i sudditi, Giangiacomo de’Medici (1498-1555) dava il meglio di sé quand’era, o sembrava essere, con le spalle al muro. Un abile architetto di costruzioni effimere: tali furono le piazzeforti che prese (Chiavenna, Morbegno, Monguzzo), ben sapendo che non le avrebbe potute tenere; tale la improbabile, eppur effettiva e duratura, supremazia navale sul lago; tale, per un decennio, il suo stesso dominio personale, uno stato impalpabile ma autorizzato a batter moneta, incarnato nella rocca che da Musso dominava l’alto Lario. Questa è l’immagine sagomata dalle due brevi opere coeve qui pubblicate: dalla inedita Vita Iacobi Medices di Giulio Giovio e dal De bello Mussiano di Galeazzo Capra. Ma se Medici fu solo un tattico spregiudicato, un saltimbanco tra gli abissi della storia, ciò si deve all’avere vissuto alla fine di un’epoca, nella crisi della libertà italiana, anni tinti di color sanguigno come tutti i crepuscoli: dopo il 1530 i rapporti di potere in Italia – stabili sotto il dominio dell’aquila imperiale - non avrebbero avuto più nulla di eroico. E nella sua ostinazione a resistere e soffrire, nel reagire alla malignità di fortuna, nel trattare da pari a pari con le potenze della sua età, insomma, nella sua obliqua ‘vertù’, spira forse qualcosa che se non è grandezza, in qualche modo le si avvicina. (Franco Minonzio. Filologo classico, storico della scienza.)



    “A chi si chiedesse come una tal sorte sia potuta toccare ad un uomo di origini mediocri, non ricco, di cultura modesta (ma conosceva il tedesco, ed ebbe una corrispondenza con il ‘divino’ Pietro Aretino), autodidatta anche in campo militare, non sarebbe difficile rispondere suggerendo di guardare meglio alle forme assunte dalla sua industria, la virtù che gli era meglio connaturata: alla previsione degli sviluppi logici dell’iniziativa nemica, ad azioni rapidissime andate a segno nello sprezzo della stanchezza e del rischio, al fermo giudizio sulla natura dei contrasti in campo avverso, all’efficientissima rete di intelligence che lo rendeva possibile, spie e osservatori, spesso di estrazione popolare, con i quali il Medici, diversamente dai più celebrati comandanti della età sua, sapeva dialogare («egli parlò sempre
    la semplice lingua Milanese, et più tosto la plebea che la nobile»). Della fase ascendente della sua carriera (1523-1532), da castellano di Musso a marchese di Melegnano, gli fu offerta una ricostruzione storica coeva nella testimonianza
    della inedita Vita Iacobi Medices di Giulio Giovio, e della – in età moderna – poco men che inedita opera di Galeazza Capra, De bello Mussiano”(dal web)



    Gli avvenimenti del periodo del Medeghino ebbero dello straordinario, non solo per la piccola comunità mussese, ma per tutti gli abitanti del lago e della Brianza. Lo afferma anche lo scrittore della Storia della Valsassina all'inizio del VII capitolo del III libro: ...I fatti che io vo in questo e nel successivo capitolo a narrare sono di un’importanza comparabilmente maggiore degli altri esposti nel presente libro. Imperciocchè racchiudono essi un nuovo periodo di indipendenza dei Valsassinesi e le ultime prove del valore e della gloria loro....
    Per inquadrare il personaggio Medeghino basterebbero le parole profferite da Polidoro Boldoni, personalità di Bellano, in risposta all'offerta fattagli dal Medici per la mano di una sua sorella ancor nubile: "Non voglio in vita mia contrarre affinità ed amicizia con ribelli e con ladri". Ma sarebbe stata troppo dispregiativa, e il Medici, che non se ne lasciava scappare una, appena potette si vendicò di quella risposta. Nelle vene del Medeghino doveva scorrere anche sangue gentile, dal momento che una sua sorella, andata in sposa al conte Giberto Borromeo, generò San Carlo Borromeo.




    Un altro storico del suo tempo aveva scritto di lui:

    “Nato in un secolo in cui unica virtù degli ambiziosi era l’accortezza e la fortuna, unica lode il riuscire, ed abilità chiamavasi ogni mezzo inonesto, tristo, immorale e scandaloso; sulle orme del troppo famigerato Duca Valentino, sentivasi atto a tutto osare per arrivare al suo scopo che era il dominio”.



    E' un altro storico che ne parla:

    "Oltre che per terra, il Medeghino si era reso forte e temuto per tutto il lago, con la creazione di una potente flotta munita di ottime artiglierie, fatta allestire in loco da artefici genovesi. Con essa corseggiava, da vero pirata, tutto il lago, tenendolo in soggezione.
    Trasformò pertanto la Terra di Musso, ai piedi della sua fortezza militare, in un autentico centro industriale, dove accanto alle fornaci ed ai cantieri navali veri e propri, sorsero officine, laboratori e manifatture complementari."



    E un altro ancora, il Bazzoni, scrive:

    “Fece esso erigere arsenali in vari siti, e chiamovvi uomini periti nelle arti marinaresche per dirigerne le opere. Il più vasto però e il più d’artefici e d’attrezzi provveduto era quello di Musso, siccome prossimo al castello, e perciò con maggior facilità difeso e guardato.
    Maestro Onallo, il Genovese, che n’era capitato, lo aveva conformato a perfetta somiglianza degli arsenali di mare. Era quello un edificio di non molta larghezza, alquanto lungo, e in varii scompartimenti diviso, ciascun dei quali conteneva un’officina d’arte diversa, spettante all’armeria od alla nautica.
    Quivi erano macchine a sega per le travi, telai per le vele, attorcigliatoi per le gomene e il cordame minore pei fabbri: quivi scortecciavansi gli olmi ed i pini per l’alberatura, e bollivasi la pece e il catrame per calata fare e rimpalmare i legni.
    Trovavasi in quell’arsenale il quartiere degli spadai, dei fabbricanti delle alabarde, degli archibugi e di altre simili armi da bra"



    Avrebbe forse potuto far giungere all'unità d'Italia con trecento anni d'anticipo? Due i fatti importanti che potrebbero avvalorare tale ipotesi. Il Medeghino, estromesso da Musso, sopravviverà ancora 23 anni, continuando a combattere alacremente nel frattempo. Dopo i tentativi andati a male al Valentino e al Medeghino l'Italia continuerà a rimanere frazionata in un rivolo di stati, per lo più in mano straniera. Pensate solo a Milano, che dopo l'epoca del Medeghino era passata agli spagnoli, quindi agli austriaci, poi a Napoleone e quindi ancora agli austriaci. E solo nel 1861, con l'unità nazionale, giungerà la liberazione definitiva da essi, per quasi tutti.

    E il Medeghino fu bandito o principe? nella prima ipotesi è giusto ricordare che tra le sue imprese banditesche si annoverano anche rapimenti a scopo di estorsione (per ricavare mezzi necessari a pagare la soldataglia). Nella seconda è utile ricordare un episodio storico legato alle monete di sua coniazione (l'episodio è ricordato anche dall'Arrigoni). Durante uno dei tanti assedi subiti fu costretto a coniare monete (ne aveva avuta l'autorizzazione da parte di Carlo V) perfino col cuoio, o comunque con metalli di scarso valore, ma coniati con un alto valore facciale. Obbligò la gente ad accettarle, sotto pena di punizioni assai severe, finanche la morte, con l'impegno però di redimerle ad assedio concluso. Terminato il quale, il Medeghino, come promesso, si era accinto a cambiare quelle monete con quelle "giuste", ma nessuno le volle riconsegnare, tenendole e tesaurizzandole a ricordo di quel periodo. Quelle monete fanno ora ancora parte di intensa ricerca da parte di collezionisti professionisti.

    ..."a proposito di monete, il Medeghino aveva per così dire "ereditato" le due zecche - quella di Musso e quella di Mesocco (Svizzera) - dal precedente per così dire "proprietario", il maresciallo Trivulzio, che a sua volta aveva avuto "in dono" il piccolo/minuto regno dal re di Francia, per meriti di guerra. Costui, dotato di grande inventiva, aveva creato due distinte zecche, una in ciascuno dei due castelli (i castelli qui a Musso erano tre. Tutti rasi al suolo nel 1532 per paura che il De Medici vi sarebbe potuto tornare.)
    Comunque, in quelle due zecche il Medeghino vi produsse monete in profusione, tante a seconda del bisogno di moneta circolante, per sostenere il "giro d'affari" dell'economia in continua crescita.
    Nella zecca di Musso vi produsse 7 tipi di monete di taglio metallo e valore facciale diverso (in oro, lega oro argento, argento, e così via). Diventato marchese di Lecco, vi ereditò pure quella zecca. In tale zecca vi produsse anche una moneta d'argento il cui unico esemplare conosciuto è entrato a far parte della collezione di Vittorio Emanuele III Re d'Italia (non gratis, avendola pagata)".
    (http://ecopolfinanza.blogspot.it/2010/09/l...-medeghino.html posted by marshall at 10:20 PM)




    Ma per le sue scorribande fu così meritevole da avere eretto in Duomo un monumento per lui? Si perché suo fratello fu papa Pio IV, nonché zio di Carlo Borromeo. Ma la nostalgia della parentela non risparmiò nemmeno il fratello di Gian Giacomo, Gabriele che è ricordato insieme a lui sul monumento progettato da Leone Leoni composto da diversi marmi e bronzi.
     
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  2. gheagabry
     
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    Il pirata del lario



    A bordo della nave conosciuta da tutti come Brigantino, Gian Giacomo Medici è appoggiato al parapetto in direzione del Castello di Musso. L'uomo, basso di statura, ma agile e muscoloso, ha lo sguardo penetrante fisso su quella che fino a poco prima è stata la sua abitazione. Il suo abbigliamento è tutt'altro che sfarzoso nonostante sia straordinariamente ricco. Alla cintura porta infilate due grosse pistole con preziosi intagli in avorio. Sopra la sua testa, sul pennone della nave, sventola il vessillo che sempre lo accompagna bucato dai proiettili delle innumerevoli battaglie combattute.
    Quando vede che gli spagnoli stanno cominciando a demolire la fortezza a colpi di piccone, urla ai suoi uomini l'ordine di far virare la nave e tornare verso il Castello. Gian Giacomo Medici, il Medeghino, come tutti lo chiamano, ha accettato molto denaro e titoli nobiliari per cedere quella roccaforte, ma non se ne sta andando da uomo sconfitto. Pretende quindi che, se gli spagnoli devono distruggerla, lo facciano solamente quando lui sia tanto lontano da non vedere.
    Il Medeghino, nacque con il nome di Gian Giacomo Medici (niente a che fare con la famiglia fiorentina che però cominciò a vantare legami di parentela con il Medeghino quando questo acquisì il suo enorme potere) a Milano, nel gennaio del 1498, da una famiglia non nobile, ma nemmeno povera (suo padre era esattore delle tasse). La sua bassa statura gli valse, fin da giovane, il soprannome con cui lui stesso si firmava e con cui passerà alla storia, Medeghino, piccolo Medici.
    Fin da giovanissimo Gian Giacomo si distinse per il carattere bellicoso, tanto che a sedici anni fu costretto a fuggire da Milano perché accusato di aver ucciso un suo coetaneo. Il Medeghino si rifugiò sul lago di Como che da allora divenne la base delle sue imprese e della sua fortuna. Nel comasco il giovane Gian Giacomo si legò ai ghibellini (Milano era ai tempi in mano ai francesi che avevano sempre avuto il sostegno dei guelfi; la famiglia Medici, aveva invece sempre avuto legami con gli Sforza, apertamente anti francesi) che in quegli anni agivano come partigiani attaccando di sorpresa i francesi e poi dileguandosi nelle foreste che ricoprivano il territorio.
    In quel periodo il giovane Medeghino si distinse tra i suoi compagni sia per il grande coraggio che per una inaudita ferocia che gli fecero compiere azioni di straordinaria crudeltà. Stufo di combattere per ideali politici che riteneva vuoti e privi di senso, in breve il Medeghino si organizzò per trasformare l'intero Lago di Como nel suo territorio di conquista. Armate alcune nave divenne un pirata lacustre la cui fama faceva tremare le ginocchia a più di un potente. I suoi obbiettivi erano molto semplici: ricchezza e potere in maggiore quantità possibile.
    All'inizio di questa sua nuova attività piratesca ebbe la fortuna di rincontrare un vecchio amico di famiglia, Girolamo Morone. Fu lui a coinvolgere il Medeghino nella nuova impresa che gli Sforza stavano mettendo in campo per cercare di riprendere il Ducato di Milano dalle mani dei francesi. Fu così che il Medeghino divenne un guerriero al soldo di Francesco II Sforza che, con l'aiuto degli spagnoli, si riprese Milano.
    Gian Giacomo cambiò ancora una volta, in maniera radicale, la sua esistenza e poté tornare a Milano come un guerriero di professione legato in modo stretto al Morone di cui fu fedele guardia del corpo. La gloria del Medeghino durò finché non si fece convincere dal Morone a liberarlo del suo più grande avversario politico, Estore Visconti. Purtroppo l'omicidio del Visconti obbligò Gian Giacomo ad allontanarsi nuovamente da Milano per tornare a rifugiarsi in territorio lariano.



    Facendo base al Castello di Musso, una delle più importanti e inespugnabili fortificazioni di tutto il Lago, con un manipolo di mercenari raccolti da quasi tutte le guerre che si erano combattute negli ultimi anni, il Medeghino riprese la sua attività piratesca. Uno dei suoi crimini più efferati fu il sequestro di un ricco possidente, Stefano da Birago, per cui chiese e ottenne un riscatto di 1.600 scudi. Il Medeghino però, in attesa del pagamento, si divertì a seviziare per settimane nel peggiore dei modi il prigioniero. Fu così che la fama della sua ferocia e la paura nei suoi confronti aumentarono a dismisura. Presto però le cose per il Medeghino volsero al meglio. Milano tornò in guerra con la Francia che si alleò con la Svizzera. Il Medeghino e i suoi uomini furono gli unici a contrastare lo strapotere svizzero sulle acque del Lario tanto che lo Sforza riprese il pirata tra le sue grazie. Ma un nuovo rivolgimento di fronte e una nuova vita lo attendevano dietro l'angolo.
    Milano divenne spagnola a tutti gli effetti. Francesco II Sforza si era trasformato in un burattino in mano iberica e il comandante dei nuovi invasori, Antonio De Leyva (della stessa famiglia da cui in seguito sarebbe nata la Monaca di Monza di manzoniana memoria) dichiarò guerra aperta al Medeghino. La tattica di combattimento del pirata però, simile alla guerriglia, fatta di attacchi improvvisi e rapide ritirate, rese impossibile agli spagnoli mettere le mani sul ribelle. A peggiorare la situazione si dice che Gian Giacomo fosse imbattibile nel governare le navi per attaccare e fuggire e che i cannoni con cui equipaggiava le sue imbarcazioni, progettati e costruiti da un allievo del grande Leonardo Da Vinci, fossero di una precisione millimetrica nel colpire il nemico. In più il Medeghino aveva amici ovunque e in breve era in grado di mettere insieme eserciti di migliaia di uomini (come fece quando decise di assediare Lecco per quasi un anno, in un ambizioso tentativo di divenire signore unico di tutto il Lago di Como).
    Quello che non ottenne con le armi, il Medeghino prese con la diplomazia. Non riuscendo in alcun modo ad arginare il suo strapotere sul Lario, Antonio De Leyva decise di trasformare il Medici in un alleato: lo nominò così conte di Lecco e marchese di Marignano (oggi Melegnano) e trasformò il territorio sotto il suo controllo in uno stato indipendente (fu in quell'occasione che gli fu chiesto di abbandonare il Castello di Musso, una roccaforte militare tanto inespugnabile e perfetta da preferire vederla distrutta che in mano a qualche nemico).
    Sotto il comando del re di Spagna, Carlo V, il Medeghino si distinse come comandante sui terreni di scontro di mezza Europa. La sua ultima straordinaria vittoria militare fu contro Siena. Le cronache ricordano come, nonstante gli incredibili successi ottenuti, il Medeghino rimase un uomo dalla proverbiale ferocia. Zoppo in seguito a una ferita di guerra, per camminare Gian Giacomo usava appoggiarsi a una scure. Quella stessa scure veniva brandita per uccidere chiunque si trovasse a portata delle sue braccia sia che si trattasse di un militare nemico che di un incolpevole contadino catturato solo perché nel posto sbagliato al moneto sbagliato.
    La parabola del Medeghino trovò conclusione nel novembre del 1555 quando Gian Giacomo morì improvvisamente nel suo palazzo milanese. Le voci che si diffusero immediatamente parlarono di un avvelenamento. Niente di strano per un uomo che aveva vissuto come lui. Le sue spoglie furono sepolte a Milano, in Duomo, per volere di suo fratello Giovanni Angelo Medici, nel frattempo divenuto papa con il nome di Pio IV. Ancora oggi il Medeghino riposa nella cappella dell'Assunta e San Giacomo in un grandioso monumento realizzato dallo scultore Leone Leoni su disegno di Michelangelo.


    (http://gianlucamargheriti.com/parole/lakecomoc2.php)

     
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1 replies since 12/4/2014, 01:28   1023 views
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