LA GRANDE BELLEZZA

OSCAR 2014

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  1. gheagabry
     
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    « Le vedi queste persone? Questa fauna?
    Questa è la mia vita. E non è niente. »
    (Jep Gambardella)



    LA GRANDE BELLEZZA





    Lingua originale Italiano
    Paese di produzione Italia, Francia
    Anno 2013
    Durata 142 min
    Colore colore
    Audio sonoro
    Rapporto 2,35:1
    Genere commedia drammatica
    Regia Paolo Sorrentino
    Soggetto Paolo Sorrentino
    Sceneggiatura Paolo Sorrentino, Umberto Contarello
    Produttore Nicola Giuliano, Francesca Cima
    Coproduttori: Fabio Conversi, Jérôme Seydoux
    Produttori associati: Carlotta Calori, Guendalina Ponti, Romain Le Grand, Vivien Aslanian, Muriel Sauzay
    Produttore esecutivo Viola Prestieri
    Casa di produzione Indigo Film, Medusa Film, Babe Films, Pathé
    Distribuzione (Italia) Medusa Film
    Fotografia Luca Bigazzi
    Montaggio Cristiano Travaglioli
    Musiche Lele Marchitelli
    Scenografia Stefania Cella
    Costumi Daniela Ciancio
    Trucco Maurizio Silvi

    Interpreti e personaggi

    Toni Servillo: Jep Gambardella
    Carlo Verdone: Romano
    Sabrina Ferilli: Ramona
    Carlo Buccirosso: Lello Cava
    Iaia Forte: Trumeau
    Giovanna Vignola: Dadina
    Pamela Villoresi: Viola
    Galatea Ranzi: Stefania
    Franco Graziosi: Conte Colonna
    Sonia Gessner: Contessa Colonna
    Giorgio Pasotti: Stefano
    Giusi Merli: Suor Maria "La Santa"
    Dario Cantarelli: Assistente della Santa
    Roberto Herlitzka: Cardinale Bellucci
    Serena Grandi: Lorena
    Massimo Popolizio: Alfio Bracco
    Anna Della Rosa: "Non fidanzata" di Romano
    Luca Marinelli: Andrea
    Ivan Franek: Ron Sweet
    Vernon Dobtcheff: Arturo
    Lillo: Lillo De Gregorio
    Luciano Virgilio: Alfredo
    Anita Kravos: Talia Concept
    Massimo De Francovich: Egidio
    Aldo Ralli: Cardinale
    Isabella Ferrari: Orietta
    Fanny Ardant: Se stessa
    Antonello Venditti: Se stesso




    Premiazioni

    2014 - Premio Oscar
    Miglior film straniero (Italia)

    2014 - Golden Globes
    Miglior film straniero (Italia)

    2014 - BAFTA Awards
    Miglior film straniero (Italia)

    2013 - European Film Awards
    Miglior film a Nicola Giuliano e Francesca Cima
    Miglior regista a Paolo Sorrentino
    Miglior attore a Toni Servillo
    Migliore montaggio a Cristiano Travaglioli
    Nomination Miglior sceneggiatura a Paolo Sorrentino e Umberto Contarello

    2013 - Nastri d'argento
    Nastro d'argento speciale a Toni Servillo
    Migliore attore non protagonista a Carlo Verdone
    Migliore attrice non protagonista a Sabrina Ferilli
    Migliore fotografia a Luca Bigazzi
    Migliore sonoro in presa diretta a Emanuele Cecere
    Nomination Regista del miglior film a Paolo Sorrentino
    Nomination Migliore produttore a Nicola Giuliano e Francesca Cima
    Nomination Migliore sceneggiatura a Paolo Sorrentino e Umberto Contarello
    Nomination Migliori costumi a Daniela Ciancio
    Nomination Migliore colonna sonora a Lele Marchitelli

    2013 - Globo d'oro
    Migliore fotografia a Luca Bigazzi
    Nomination Miglior regia a Paolo Sorrentino
    Nomination Migliore attore a Toni Servillo
    Nomination Migliore musica a Lele Marchitelli

    2014 - Premio César
    Nomination Miglior film straniero

    2014 - Premio Goya
    Nomination Miglior film europeo (Italia)

    2014 - Chlotrudis Awards
    Nomination Miglior fotografia a Luca Bigazzi (pendente)

    2014 - Satellite Awards
    Nomination Miglior film straniero (Italia)

    2014 - Independent Spirit Awards
    Nomination Miglior film straniero a Paolo Sorrentino

    2014 - Bari International Film Festival
    Premio Fellini 8½ per l'Eccellenza Artistica a Paolo Sorrentino e Toni Servillo

    2014 - Sindacato Belga della Critica Cinematografica
    Nomination Grand Prix

    2014 - International Cinephile Society Awards
    Nomination Miglior film
    Nomination Miglior film straniero

    2013 - Festival di Cannes
    Nomination Palma d'oro a Paolo Sorrentino

    2013 - British Independent Film Awards
    Nomination Miglior film indipendente internazionale a Paolo Sorrentino

    2013 - Hollywood Film Festival
    Miglior film straniero a Paolo Sorrentino
    Miglior film indipendente a Paolo Sorrentino
    Miglior sceneggiatura non originale a Paolo Sorrentino e Umberto Contarello
    Nomination Miglior attore a Toni Servillo
    Nomination Miglior attore all'avanguardia a Toni Servillo

    2013 - Tallinn Black Nights Film Festival
    Grand Prix a Paolo Sorrentino
    Jury Prix a Luca Bigazzi

    2013 - Boston Society of Film Critics Awards
    Miglior film straniero a Paolo Sorrentino

    2013 - New York Film Critics Circle Awards
    Nomination Miglior film straniero

    2013 - Los Angeles Film Critics Association Awards
    Nomination Miglior film straniero

    2013 - Dallas-Fort Worth Film Critics Association Awards
    Nomination Miglior film straniero

    2013 - Toronto International Film Festival
    Nomination Special Presentations

    2013 - Florida Film Critics Circle Awards
    Nomination Miglior film straniero

    2014 - Cinemanila International Film Festival
    Premio Lino Brocka per il Miglior film

    2014 - Critics' Choice Movie Award
    Nomination Miglior film straniero a Paolo Sorrentino

    2014 - Palm Springs International Film Festival
    Nomination Miglior film straniero

    2014 - Denver Film Critics Society Awards
    Nomination Miglior film straniero

    2013 - Jussi Award
    Diploma di Merito per il miglior film straniero a Paolo Sorrentino
    Diploma di Merito per il miglior attore straniero a Toni Servillo

    2013 - Sevilla Festival de Cine
    Miglior attore a Toni Servillo
    Premio Eurimages per la migliore co-produzione europea a Paolo Sorrentino, Medusa Film, Pathé
    Premio Associazione degli scrittori di Andalucia a Paolo Sorrentino e Umberto Contarello

    2013 - Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (SNCCI)
    Film della critica

    2013 - Trailers FilmFest
    Miglior campagna pubblicitaria a Medusa Film, Pathé e TBWA


    "A questa domanda, da ragazzi, i miei amici davano sempre la stessa risposta: "La fessa". Io, invece, rispondevo: "L'odore delle case dei vecchi". La domanda era: "Che cosa ti piace di più veramente nella vita?" Ero destinato alla sensibilità. Ero destinato a diventare uno scrittore. Ero destinato a diventare Jep Gambardella."
    (Jep Gambardella)





    ......Trama......

    Jep Gambardella è un giornalista di costume e critico teatrale navigato, dal fascino innegabile, impegnato a districarsi tra gli eventi mondani di una Roma così immersa nella bellezza del passato, che tanto più risalta rispetto allo squallore del presente. Cimentatosi in gioventù anche nella scrittura, ha scritto un solo libro, L'apparato umano. Non ha più scritto altri libri – nonostante questa sua prima opera fosse stata apprezzata – per la sua pigrizia, ma soprattutto perché sente che nella sua vita non c'è più nulla in cui credere, né qualcosa da comunicare ad altri che vivono come lui. Lo scopo della sua esistenza è stato quello di divenire non solo "un" mondano ma il primo dei mondani, come lui stesso confessa: «Quando sono arrivato a Roma, a 26 anni, sono precipitato abbastanza presto, quasi senza rendermene conto, in quello che potrebbe essere definito "il vortice della mondanità". Ma io non volevo essere semplicemente un mondano. Volevo diventare il re dei mondani. E ci sono riuscito. Io non volevo solo partecipare alle feste. Volevo avere il potere di farle fallire».
    Frequenta ogni notte un siparietto confuso e statico di amici intimi e compagni di sventure («Siamo tutti sull'orlo della disperazione, non abbiamo altro rimedio che farci compagnia, prenderci un po' in giro»), tra cui Romano, scrittore teatrale mai realizzato e perennemente al guinzaglio di una giovane donna che lo sfrutta; Lello, ricco venditore all'ingrosso di giocattoli dalla parlantina sciolta e marito infedele di Trumeau; Viola, facoltosa borghese con un figlio pazzo; Stefania, egocentrica scrittrice radical chic; Dadina, la direttrice nana del giornale su cui Jep scrive.
    Una mattina, tornando da uno di quegli insipidi salotti, incontra il marito di Elisa, il suo primo (e probabilmente unico) amore, che lo attende davanti alla porta di casa. Elisa è morta, lasciandosi dietro solo un diario dove narra dell'amore, mai perduto, verso Jep, di cui il marito era stato, per 35 anni, un semplice surrogato, nient'altro che "un buon compagno", che ben presto però troverà consolazione al suo dolore nell'accoglienza affettuosa della sua domestica straniera.
    Quest'episodio, unito al compimento del suo 65° compleanno, spinge Jep a una profonda e malinconica rivisitazione della sua vita, a una lunga meditazione su se stesso e sul mondo che lo circonda. E, soprattutto, innescano in lui un pensiero che, probabilmente, albergava nascosto in lui da molto tempo: «Ho una mezza idea di riprendere a scrivere».
    Roma diventa così teatro onirico di feste, vignette, presagi e incontri casuali, da Ramona spogliarellista dai segreti dolorosi al cardinale Bellucci che si intende più di cucina che di fede; ma, soprattutto, diventa il vero palcoscenico di Jep, sempre più convinto della futilità e dell'inutilità della sua esistenza. Il sogno di recuperare la sua identità di scrittore e letterato, di ritornare a quell'innocente bellezza del primo amore adolescenziale, sembrano infrangersi di fronte allo spettacolo aberrante e miserabile con cui Jep ogni sera deve e vuole confrontarsi.
    Ben presto anche il suo "circolo vizioso" si rompe: Ramona, con cui aveva instaurato un rapporto innocente e profondo, muore per un male incurabile; Romano, deluso dall'ingannevole attraenza di Roma, lascia la città salutando solo Jep; Stefania, umiliata da Jep che le aveva rivelato i suoi scheletri nell'armadio e le sue menzogne in faccia, abbandona la vita mondana della città (rincontrando Jep in seguito, mostrandosi caratterialmente cambiata); Viola invece, dopo la morte del figlio, dona tutti i suoi beni alla Chiesa cattolica e diventa una missionaria in Africa.
    La povertà di contenuti che continua a scorgere in queste feste trash e volgari lo induce infine, in un momento di ebbrezza, a un'amara confessione a cuore aperto: «Mi chiedono perché non ho più scritto un libro. Ma guarda qua attorno. Queste facce. Questa città, questa gente. Questa è la mia vita: il nulla. Flaubert voleva scrivere un romanzo sul nulla e non ci è riuscito: dovrei riuscirci io?». Sembra il segno di un fallimento durato un'intera vita.
    Ma proprio nel momento in cui le speranze sembrano abbandonarlo definitivamente, ecco che l'illuminazione arriva: dopo un incontro, spinto da Dadina che vuole ottenere un'intervista, con una "Santa", una missionaria cattolica nel terzo mondo, Jep si reca all'Isola del Giglio per un reportage sul naufragio della Costa Concordia. E proprio qui, ricordandosi del suo primo incontro con Elisa in un flashback, si riaccende in lui un barlume di speranza: il suo prossimo romanzo è finalmente pronto per venire alla luce.
    Sullo sguardo finalmente sereno di Jep, che osserva sorridente l'alba romana, si chiude il film, sulle note di The Beatitudes dei Kronos Quartet. (wikipedia)




    ..recensioni..

    Con La grande bellezza (accolto ieri dagli applausi della stampa internazionale; e da oggi il film è nelle sale italiane) Paolo Sorrentino sembra voler convincere che sì, quella che racconta è davvero “una Babilonia disperata” nel cuore oscuro e invidiato della capitale: e sembra riuscirci con la forza delle immagini e i virtuosismi visivi (di Luca Bigazzi), con il montaggio implacabile (di Cristiano Travaglioli), la colonna sonora (di Lele Marchitelli), che stordisce con la disco music e incanta con la musica sacra, una sceneggiatura (di Sorrentino, che è un vero scrittore, e Umberto Contarello) veloce e crudele. Non è più il tempo, 1960, della Roma di La dolce vita di Fellini, con il suo ormai perduto paradiso di confusione e peccato, né quello, 1980, della Roma di La terrazza di Scola, in cui politica e cultura erano già un pretesto di vite intaccate da indifferenza e corruzione. Ma La grande bellezza, 53 anni dopo Fellini e 33 dopo Scola, è altro, e all’inizio del film l’autore lo spiega con l’esergo tratto da Viaggio al termine della notte di Céline: «Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco, la sua forza, va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato... ». In questo viaggio “inventato” eppure così vero, ci accompagna Jep Gambardella, re della mondanità capitolina, ridotto a fare il giornalista ma diventato famoso con L’apparato umano, il suo primo e unico romanzo, scritto a 20 anni, perché poi «Roma ti deconcentra ». Ogni tanto porta a letto una bella donna ricca «ma a 65 anni non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare», la notte si pigia con quelli che contano, per ballare sulle terrazze o negli attici ultimo design, o si affloscia sui divani «a parlare di vacuità, perché non vogliamo misurarci con la nostra meschinità». Per quanto Toni Servillo sia sempre un grande attore, a teatro e al cinema (questo è il suo quarto film con Sorrentino) il suo Jep è di lancinante genialità, capace di giudicare e giudicarsi, «Siamo tutti sull’orlo della disperazione, non abbiamo altro rimedio che farci compagnia, prenderci un po’ in giro». Con la dolce inflessione napoletana, le magnifiche giacche, arancioni o gialle sui pantaloni bianchi, il cappello bianco, la sigaretta sempre tra le dita, il sorriso compiacente di chi è sempre al centro della festa ma non della sua vita: e che ritrova nel silenzio, nel vuoto, nella solitudine dell’alba, quando insonne cammina nella città come disabitata, la speranza che forse riuscirà a tornare a scrivere. Sono momenti di magia, in cui si lascia andare al ricordo di un amore inconcluso della prima giovinezza, quando il suo futuro era intatto e pieno di preziose promesse ormai fallite. Sono le pause dal baccano e dal caos, in cui si può ritrovare la grande bellezza: quella di una città meravigliosa, consegnata ai turisti, invisibile ai romani, ma non a Sorrentino che è arrivato nella capitale solo 6 anni fa. Il film inizia proprio con una visione immensa ed eterna dal Gianicolo, talmente stupefacente che il cuore di un turista giapponese non regge, mentre si leva un canto sublime di musica sacra. E la bellezza austera di Roma apparirà ogni tanto, come un prezioso reperto della sua storia, mentre la folla dei privilegiati guarderà le facce rifatte delle signore, l’agitarsi nel ballo sguaiato degli uomini di potere, il mondo di Ultracafonal e del matrimonio di Valeria Marini. Attorno a Jep e quindi a Servillo, una folla di personaggi dalle vite naufragate nel denaro e nella menzogna, tutti attori di talento: da Carlo Verdone, il poeta fallito e l’innamorato respinto che torna al paese, a Sabrina Ferilli, la spogliarellista in età cui Jep dice con tenerezza, «è stato bello non fare l’amore con te»; e tutti gli altri, tra cui Isabella Ferrari, Iaia Forte, Massimo de Francovich, Roberto Herlitzka. In quelle vite scontente e incapaci di trovare serenità e senso, Sorrentino fa scivolare via la morte, come un fastidio, un incidente breve, che ha il suo momento solenne solo nell’occasione mondana del funerale. Poi viene cancellata: il vedovo sicuro di dedicare ogni suo pensiero all’amatissima moglie defunta, si consola subito con una nuova, servizievole compagna, la madre che ha perso il figlio va a far beneficenza in Africa, Jep, rifiuta la morte dell’amica come se fosse solo un trucco, «perché prima c’è stata la vita, anche se nascosta sotto il blabla».(Autore: Natalia Aspesi - Testata: la Repubblica)




    Prima o poi i conti con Roma toccano a tutti: a chi ci è nato, a chi ci si è trasferito, a chi ha sempre cercato di evitarla. Sorrentino, che nella capitale è andato ad abitare con la famiglia da non molti anni, aveva spesso ambientato i suoi film altrove: a Napoli, in Svizzera, a Sabaudia, addirittura negli States. C'era stato Il divo , naturalmente, ma lì Roma entrava di rimbalzo, quasi controvoglia. Adesso, a 43 anni (li compie alla fine di maggio), deve aver pensato che fosse arrivato il momento giusto. E infatti il titolo-omaggio ( La grande bellezza ) si materializza proprio dietro il panorama dei tetti cittadini, vago come una specie di miraggio. Che sia difficile da afferrare - la bellezza ma anche la città - lo dirà verso la fine del film il protagonista, con una di quelle frasi che risuonano come eco di situazioni già viste e che il regista (autore anche della sceneggiatura con Umberto Contarello) usa con incontrollata frequenza, finendo per mortificare un po' quella magia visiva che a tratti sa regalare. Perché il nodo di un film ambizioso e misterioso insieme, a volte affascinante nella sua visionarietà, è proprio questo, di un dialogo fin troppo ricercato nella sua letterarietà e che finisce per apparire ridondante e persino sentenzioso. Come se lo sceneggiatore non fosse al servizio del regista ma in gara con lui, alla ricerca di un attestato di bravura doppia (scritta e visiva) che però fatica ad arrivare (…) Ecco, nonostante gli sforzi del Sorrentino regista (e degli attori, tra cui vanno ricordati almeno Iaia Forte, Pamela Villoresi, Carlo Buccirosso, Isabella Ferrari e Robert Herlitzka), il Sorrentino sceneggiatore dà l'impressione di voler percorrere una strada diversa, fatta di troppe citazioni letterarie (Celine, Flaubert due volte, Bellow, Dostoevskij e ne dimentico) e di facili giochini (Romona, Roman, Roma... Era proprio necessario?) alla fine dei quali ti sembra di ritrovarti al punto di partenza, senza aver capito molto della bellezza (e della bruttezza) di Roma.(Autore: Paolo Mereghetti - Testata: Il corriere della sera)





    A Los Angeles in questi giorni ho incontrato molti amici attori, produttori e registi, dunque ho potuto verificare che La Grande Bellezza ha veramente suscitato molta attrazione, anche se va detto che l’attenzione degli americani è ovviamente più per il loro cinema e meno per il miglior film straniero. Infatti è una commissione ristretta quella dell’Academy che vota per le pellicole non di lingua inglese, quasi non interessassero tutti i membri della prestigiosa istituzione. Il che secondo me suona come una scelta un po’ “razzista” e senza senso. Ma veniamo al dunque: cosa è veramente piaciuto del film di Sorrentino? Per capirlo può essere utile vedere intanto cosa non è piaciuto dei suoi concorrenti, tutt’altro che poco temibili. In queste ore tutti parlano ovviamente di chi ha vinto, ma se vogliamo comprendere perché dobbiamo confrontarci anche con chi ha perso.
    I quattro rivali da battere provenivano da Belgio, Danimarca, Cambogia e Palestina. A onore del vero va detto che quest’ultimo partiva già appesantito proprio dal paese di origine: la Palestina, “uno Stato che non esiste”, come mi ha detto un critico americano di origine israeliana, bollandolo subito come incandidabile. Il film del Belgio, The Broken Circle Breakdown vede al centro della trama la lotta di due genitori per salvare la piccola figlia gravemente ammalata. Tema già troppo trattato dal cinema made in Usa e quindi poco appetibile per i votanti dell’Academy. Più insidiosa la presenza del danese The Hunt, firmato da Thomas Vinterberg e presentato con successo al Festival di Cannes 2012, vincendo il premio per la miglior interpretazione maschile con l’ottimo Mads Mikkelsen. La trama vede uno stimato maestro di scuola che viene accusato di molestie sessuali dalla figlia di un amico. Si troverà solo a lottare contro l’infamante accusa, che si rivelerà poi del tutto infondata. Anche questo tema non è nuovo per il cinema americano, di qui la bocciatura.
    Terzo avversario: The Missing Picture, presentato dalla Cambogia. Anche questa pellicola è stata presentata al Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard. Firmato da Rithy Panh è in realtà un documentario che ripercorre i momenti in cui nel 1975 i Khmer Rossi entrano a Phnom Penh e impongono la dittatura del socialismo reale. Trattato con poesia e delicatezza può non avere interessato più di tanto i giurati, soprattutto per non essere un film bensì un documentario e inoltre forse per non avere espresso un giudizio abbastanza duro sugli eccidi comunisti. Omar, il film della Palestina, era secondo molti il concorrente più temibile. Pluripremiato a Cannes e osannato anche al Festival di Toronto, il film affronta il tema dell’amore e del tradimento sullo sfondo del dissidio israelo-palestinese. Girato come un film neorealista avrebbe potuto vincere. L’ha certamente danneggiato l’essere presentato appunto da uno Stato inesistente, soprattutto agli occhi dei molti giurati americani ebrei, la cui parola Palestina è vissuta con terrore.
    Ed eccoci a La Grande Bellezza. Le cose piaciute di più oltreoceano sono quelle che forse sono piaciute di meno a noi italiani. Intanto l’idea che il ritratto di Roma sia proprio quello, mentre sappiamo benissimo che la nostra Capitale è ben diversa da come appare nel film. Sicuramente più sciatta, più disarticolata, più allo sbando per come l’ha lasciata Alemanno al povero Marino. Ho appena sentito per radio la voce di Sorrentino, che intelligentemente precisa come non abbia voluto presentare una Roma in chiave realistica, bensì trasfigurata dalla immaginazione sua e del suo sceneggiatore, l’abile Contarello.
    Gli americani, che dell’Italia conservano un’idea sempre un po’ stereotipata, hanno pensato (anche perché così gli è stato raccontato) che il film sia una specie di nuova Dolce vita. Dunque gli è piaciuto ancora di più. Nella pellicola ci sono poi degli elementi sicuramente vincenti, specie in terra straniera. Intanto l’estrosità e l’estetica delle ambientazioni e dei costumi, in cui la cura del regista e dei vari reparti danno il meglio, soprattutto agli occhi degli americani. Basti pensare all’invenzione delle giacche rosse e gialle indossate con nonchalance da Tony Servillo, una sfida temeraria allo stile compassato di Armani. Come pure la bellissima colonna sonora, un mix di sacro antico e di profano, che gli americani ci invidiano, non avendo loro né l’uno né l’altro. Infine il coraggio dello stile immaginifico di Sorrentino che per certi versi ricorda l’estro di Federico Fellini. Il maestro romagnolo è rimasto nel cuore degli americani e l’idea che ci sia un suo emulo non poteva non essere premiata. (Dal Fatto Quotidiano del 4 marzo 2014)




    "Finisce sempre così. Con la morte. Prima, però, c'è stata la vita, nascosta sotto il bla bla bla bla bla. È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore. Il silenzio e il sentimento. L'emozione e la paura. Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l'uomo miserabile. Tutto sepolto dalla coperta dell'imbarazzo dello stare al mondo. Bla. Bla. Bla. Bla. Altrove, c'è l'altrove. Io non mi occupo dell'altrove. Dunque, che questo romanzo abbia inizio. In fondo, è solo un trucco. Sì, è solo un trucco."(Jep Gambardella)



    Edited by gheagabry - 6/3/2014, 14:26
     
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    Philippe Daverio:
    «La grande bellezza è uno spot per l'Italia»


    Per lui La grande bellezza, il film di Paolo Sorrentino premiato a Los Angeles con l’Oscar per la migliore opera straniera, «descrive la città di Roma esattamente come piace immaginarla agli americani», con «le feste notturne, la folla dei prelati, i santi, i peccati e le mille sacrestie». Insomma, più che un’opera d’arte in senso tradizionale, il film di Sorrentino «è un riuscito spot pubblicitario che il governo dovrebbe premiare per gli indiscutibili benefici che arrecherà al turismo italiano».

    GLI STEREOTIPI SULL'ITALIA. «Perciò», spiega a Lettera43.it Philippe Daverio, 64 anni, critico d’arte, giornalista e conduttore televisivo di madre alsaziana e padre italiano, «poco o nulla importa se la Roma raccontata ne La grande bellezza sia bella, brutta o addirittura totalmente inventata dal regista a uso e consumo degli stereotipi che tanto piacciono al pubblico d’Oltreoceano».

    «UNA PARODIA DI FELLINI». Attaccato da Beppe Grillo per aver sostenuto che in Italia «è in atto un’inarrestabile corsa verso la trashologia» (cultura del trash), Daverio discute del film di Sorrentino («È la parodia della Roma di Fellini», sostiene) e della difficoltà a definire un moderno concetto di bellezza «in una fase in cui tutto in Italia si fa elementare nel nome della imperante banalità».


    DOMANDA. Che cosa trova di irrealistico nella Roma raccontata da Sorrentino?

    RISPOSTA. Le feste di notte, i santi, i prelati, i patrizi, le sacrestie: sullo schermo vediamo una città che esiste solo nella fantasia del regista. Come era già accaduto nel film Baarìa di Giuseppe Tornatore.

    D. In che senso?

    R. La Roma di Sorrentino, come la Sicilia firmata Tornatore, sono volutamente descritte in maniera pittoresca ricorrendo a tutti i luoghi comuni che piacciono molto al pubblico americano.

    D. Perché puntare sul pittoresco?

    R. Perché, come aveva già intuito Benito Mussolini, lo stereotipo paga. E rende bene in termini propagandistici.

    D. Detto così, sembra che il film sia nato da intenti cinici.

    R. La grande bellezza è un magnifico spot pubblicitario. Il governo dovrebbe premiarlo per l’abilità con cui descrive gli italiani in base a quel che gli altri, all’estero, amano immaginare che noi siamo.

    D. Ne parla come di una mistificazione.

    R. Lo è. Perciò è piaciuto tanto in America e sta avendo successo.

    D. In Italia critica e pubblico si sono divisi nel giudizio.

    R. Già, e sa perché?

    D. No.

    R. Perché molti fra noi si vedono diversi. E non si riconoscono nel cliché che da sempre gli americani ci disegnano addosso.

    D. Quali cliché?

    R. Roma con le sue feste di notte, Napoli con la pizza, l’immondizia e il mandolino, Venezia con le gondole. Devo continuare?

    D. Insomma, non le è proprio piaciuto.

    R. Come spot, quel film va benissimo. E va premiato.
    D. E come opera d’arte?

    R. L’opera d’arte non è mai bella o brutta in sé, ma può - o meno - rappresentare la bellezza. Stiamo vivendo una fase di decadenza che banalizza tutto: la chiamo trashologia.

    D. Che vuol dire?

    R. I cinesi con le bacchette, gli italiani che bevono il vino, i tedeschi che mangiano wurstel: siamo diventati troppo elementari, banali, icastici fino all’estremo.

    D. Perché?

    R. Per il bisogno, sempre più parossistico, di far giungere e far riconoscere i nostri messaggi il più lontano possibile.

    D. Sorrentino, ringraziando per l’Oscar, ha citato Fellini: quanto la sua Roma assomiglia a quella narrata dal regista riminese?

    R. Trovo giusto il richiamo a Fellini.

    D. Ah sì?

    R. Certo. Qualsiasi operazione di parodia ha l’obbligo di partire dall’originale.

    D. La grande bellezza è la parodia della Roma felliniana?

    R. Di Roma, Fellini aveva intuito la complessità viscerale: il suo film è stato un capolavoro barocco.

    D. La grande bellezza, invece?

    R. È come passare dai meravigliosi mobili del 700 a quelli confezionati in serie nel mobilificio. Ma ciò non è colpa del regista Sorrentino: l’involuzione è nell’aria. Complessiva. Frustrante. E contestuale.

    D. Quando si può parlare di opera d’arte?

    R. Quando l’opera contiene un messaggio vero, complesso, articolato.

    D. Altrimenti?

    R. È solo un’opera di comunicazione.

    D. Il gusto per il Bello si è definitivamente smarrito?

    R. Non mi sento attratto dal Bello, piuttosto da ciò che è significativo.

    D. In che senso?

    R. Il Bello è un fenomeno di comunicazione. Può essere utile all’Italia, come nel caso del film di Sorrentino, perché piace all’estero e fa crescere il turismo.

    D. E il significativo?

    R. Sostengo che, per sensibilità e curiosità psichica, c’è un 5% di italiani in grado di cogliere quel che affiora di veramente significativo. Si tratta di quasi 5 milioni di persone, soprattutto giovani.

    D. Sono pochi o molti?

    R. È un numero in crescita. E molto più elevato che in altri Paesi europei dove la gente è meno dinamica.

    D. La curiosità cresce, ma in Italia non è molto aiutata dall’industria culturale. O no?

    R. In Italia l’industria culturale è poco dinamica per mancanza di offerta, ma non certo per carenza di domanda. Le mie lezioni, per esempio, sono sempre sovraffollate.

    D. Come fanno i giovani a non farsi divorare dal conformismo, se in pochissimi li aiutano a crescere?

    R. Gli italiani sono molto più avanti rispetto alla loro politica. La scuola è in confusione totale: dopo la cura devastante del ministro Gelmini, può fare ben poco.

    D. Appunto. Chi aiuterà i giovani? Lei ha scritto di una funzione-guida da attribuire alla comunità «degli educati e dei consapevoli».

    R. Confermo. La comunità dovrà agire soprattutto a favore dei ragazzi.

    D. Dove siamo? E dove stiamo andando?

    R. È l’epoca del conformismo. E del banale. È iniziata negli Anni 90, quando si è diffusa una politica di basso livello, parallela alla nascente cultura trash che ancora imperversa.

    D. Esiste o no un’opposizione al dominio del trash?

    R. La reazione organizzata alla cultura dominante di B. firmata Arcore è quella espressa dal M.5 stelle firmata G.. Cioè, una cultura parimenti legata alla banalizzazione del messaggio.

    D. Esiste una via d’uscita?

    R. La salvezza sta in internet, nei nuovi strumenti di comunicazione che faranno fuori la tivù tradizionale.

    D. Nel frattempo?

    R. Preferiamo semplificare, per indorare la pillola.

    D. Anche nel cinema?

    R. L’ultimo regista che ha raccontato la passione incrociando poetica e complessità è stato Wim Wenders. Ma cito anche Woody Allen, che ha saputo giocare con la complessità e l’ironia.

    D. Sorrentino, oltre a Fellini, a Los Angeles ha ringraziato anche Diego Armando Maradona.

    R. Ha fatto benissimo: Maradona è l’archetipo della comunicazione facilitata.




    Martedì, 04 Marzo 2014

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