LAOS

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  1. gheagabry
     
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    “Oh, che meraviglioso paradiso del dolce far niente custodisce questo paese, protetto dalla selvaggia barriera del fiume contro il progresso e l’ambizione dei quali non ha alcun bisogno! In questo nostro secolo di scienze esatte, di facili profitti, di predominio del denaro, sarà Luang Prabang il rifugio degli ultimi sognatori, degli ultimi amanti, degli ultimi trovatori?”
    (Marthe Bassene, 1909)


    IL LAOS


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    La Repubblica Democratica Popolare del Laos (“terra di un milione di elefanti”) è situata nel Sudest asiatico tropicale e copre una superficie di circa 237.000 km2, un’area simile a quella del Regno Unito.
    Il Laos è un Paese senza sbocchi diretti sul mare e confina a nord est con Cina e Myanmar (Birmania), a ovest con la Thailandia, a sud con la Cambogia e ad est con il Vietnam. Più del 70% del Laos è costituito da montagne e altipiani, ma altri elementi predominanti della sua morfologia sono i fiumi.
    Nella zona meridionale si trova la cordigliera dell’Annam, che marca gran parte del confine con il Vietnam, correndo parallela al Mekong, e che raggiunge un’altezza media tra i 1.500 e i 2.500m. Il fiume principale è il Mekong (Madre delle acque), il dodicesimo fiume più lungo del mondo, che nasce nel Tibet e attraversa il Laos per tutta la sua lunghezza, creando fertili pianure alluvionali e segnando parte del confine tra Laos, Birmania e Thailandia.

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    La parola Laos in linguaggio cinese vuol dire “montanari”, ed infatti i laotiani sono quasi tutti montanari. Essi, quando vogliono scherzare parlando della loro terra, dicono che Dio, quando ebbe finito di creare il mondo,si accorse che un pugno di montagne gli era rimasto in mano per dimenticanza. Non sapendo dove sistemarle le gettò a caso. E queste andarono a finire tutte lì, dove c’è il Laos.

    Solo la metà della popolazione è di etnia lao, originaria delle valli fluviali di pianura, strettamente imparentata con gli abitanti di lingua lao della Thailandia nordorientale. Nelle terre alte invece, vivono etnie lao-thai e lao-theung, parenti lontane dei mon-khmer. Si parla il Lao, il francese, e ora soprattutto tra i giovani e tra chi lavora nel turismo, anche l’inglese. Il lao è una lingua tonale, con almeno sei toni differenti che molti fanno fatica ad apprendere; vi sono delle diversità sostanziali tra il linguaggio dell’uomo e quello della donna.

    Nonostante i danni provocati dai bombardamenti su vasta scala e la deforestazione durante la guerra tra Stati Uniti e Vietnam, l'ambiente del Laos è uno dei più incontaminati del Sud-est asiatico. Il Paese presenta infatti una ricca vegetazione, costituita per metà del territorio di foreste tropicali (monsoniche), costituite da alberi di legno duro dalle fronde alte (che possono raggiungere i 30m) e da vegetazione di media altezza, come teak e palissandro asiatico. Il sottobosco è costituito invece da bamboo, piccoli arbusti ed erbe.Sono poi comuni orchidee e palme tropicali ed una vasta gamma di alberi da frutto tropicali. Nel sud, invece, si trovano foreste di pino.
    Il fiore simbolo del Laos è il Frangipane.

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    Per quanto concerne la fauna, ci sono addirittura ben 500 specie di uccelli, tra cui il raro Pavone Verde, diversi tipi di rettili come i serpenti (tra cui il cobra reale) e vari tipi di lucertole, dai piccoli geki ai varani lunghi anche due metri.
    Tra gli animali endemici figurano il gibbone nero, il langur dal naso camuso, il lori minore e il cane procione. Generalmente in Laos le specie esotiche sono poi presenti in quantità massicce grazie all'estensione delle foreste e alla scarsa presenza di cacciatori; tra questi animali vi sono la mangusta di Giava, la lepre siamese, i gatti selvatici, i leopardi, le tigri e gli orsi. Ci sono poi più di 500 elefanti selvatici, sebbene più del doppio di questo numero vivano in cattività. Vivono qui infine altri rari esemplari, come i rinoceronti e i bovini selvatici.
    Nel sud del Laos, generalmente in primavera quando il livello dell'acqua del Mekong è più basso, nei pressi dell'isola di Khong è possibile poi incontrare piccoli banchi dei rari delfini Irrawaddy.

    ...la storia...


    Degli scavi nella regione di Luang Prabang, realizzati dal geologo francese Fromaget, permisero di riesumare resti di ominidi analoghi al sinantropo o "uomo di Pechino", dimostrando così che il Laos è abitato dall'uomo da circa 40.000 anni fa. Altri rinvenimenti evidenziarono insediamenti agricoli nella valle del Mekong risalenti al 4000 a.C. Le raffinate vestigia della piana delle giare, composte da gigantesche urne cinerarie ritrovate nella provincia nord-orientale di Xiangkhoang, sono datate tra il 500 a.C. ed il 500 d.C.
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    I primi contatti con le culture dell'India e della Cina risalgono alla preistoria. Lo sviluppo di tali culture nel sudest asiatico avrebbe portato all'affermazione delle etnie mon e khmer. L'incontro fra le due civiltà diede luogo a diverse tribù che vengono considerate nel loro insieme appartenenti al gruppo linguistico mon khmer. Queste popolazioni, che in Laos furono in seguito sottomesse dalle emergenti etnie tai e costrette a trasferirsi nelle aree pedemontane, sono le antenate degli odierni lao theung, chiamati in passato anche kha (letteralmente: schiavi). Numerose erano quindi le popolazioni presenti in questa regione e che vennero unificate nel 1353 dal re Fa Ngum, fondatore del regno di Lan Xang, ("Paese del milione di elefanti") che si estendeva tra il Mekong e la cordigliera dell’Annam e di cui Ventiane diventò capitale nel 1520. Il Regno di Lan Xang (in lingua lao: ລ້ານຊ້າງ, letteralmente: un milione di elefanti) fu fondato nel 1354 da Fa Ngum, un principe di Mueang Sua, che ricevette l'aiuto del declinante Impero Khmer. Lo Stato, che per lungo tempo avrebbe dominato la valle del Mekong nel nord dell'Indocina, unificò per la prima volta il popolo lao, fino ad allora diviso in diverse municipalità che gravitavano nell'orbita dei potenti Stati vicini. La capitale di Lan Xang fu insediata a Mueang Sua ed il Buddhismo Theravada fu dichiarato religione di Stato. Fa Ngum nominò consigliere spirituale il suo insegnante religioso di Angkor, il monaco Phra Maha Pasman, che giunse a Muang Sua con una copia dei sacri testi Tripitaka. Il monaco aveva portato anche la venerata statua del Buddha chiamata Phra Bang, ma fu costretto a lasciarla nel Principato di Vieng Kham, nei pressi di Vientiane. La statua divenne il palladio della monarchia e nel XVI secolo sarebbe finalmente arrivata a Muang Sua, che fu ribattezzata in suo onore Luang Prabang....L'unificazione del regno aveva comportato una spaccatura in due fazioni dell'aristocrazia di corte. La fazione schierata con il sovrano e legata all'Impero Khmer, che aveva fornito a Fa Ngum l'esercito con cui unificò i principati laotiani, mise in secondo piano la vecchia nobiltà del regno di Mueang Sua.
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    Quest'ultima reagì legandosi all'emergente Regno di Ayutthaya, rappresentato a corte dalla vedova di Fa Ngum Keo Lot Fa, figlia del sovrano siamese Ramathibodi I. Il conflitto tra le due frazioni si sarebbe trascinato per alcuni decenni e contribuì alla prima grande crisi che ebbe inizio nel 1428, dopo che i due successori di Fa Ngum avevano rafforzato Lan Xang. Durante il periodo di grave instabilità, nel quale gli intrighi della cortigiana Maha Devi si inserirono nelle lotte fra le fazioni dell'aristocrazia, si registrarono gli assassinii di almeno sei sovrani nel giro di 12 anni. Il regno si era indebolito anche per il nuovo declino degli alleati khmer che, sottoposti alla crescente pressione di Ayutthaya, abbandonarono Angkor dopo il saccheggio siamese del 1431 e spostarono la capitale a Lovek. Dopo un periodo in cui i laotiani si dedicarono a ricostruire le strutture e la gloria del regno, nel 1500, con l'ascesa al trono di Visunarat, Lan Xang tornò a prosperare. Il re fu un fervente religioso, fece costruire bellissimi templi e fece tradurre le sacre scritture Theravada dal pali al laotiano. Durante il suo regno ebbero nuovo slancio le arti, in particolare la letteratura e l'architettura. Si spostò negli ultimi anni a governare a Vientiane, da dove era più agevole controllare le turbolente province meridionali, ma Mueang Sua rimase la capitale ufficiale. Lan Xang si consolidò ulteriormente durante il regno del successore Phothisarat I (1520-1550),che al pari del padre Visunarat fu un fervente buddhista. Dichiarò illegale l'Animismo, fino ad allora parte integrante della società, attirandosi l'ostilità dei praticanti di tale fede, che è tuttora alla base della cultura laotiana. Nel campo della politica estera, Phothisarat ruppe l'antica alleanza con Ayutthaya; l'evento segnò l'inizio di un antagonismo tra i due Stati che si sarebbe risolto due secoli più tardi con l'assoggettamento dei laotiani da parte delle armate siamesi.
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    Dopo il XIX secolo, il regno iniziò il suo declino: venne smembrato e annesso ai potenti stati che lo circondavano: Cina, Vietnam e Siam. Nel 1899 i territori laotiani diventarono persino colonia francese. Nel 1947, ancora sotto l’influenza francese, il Laos divenne una monarchia costituzionale. È in questi anni che si costituì il partito comunista di ispirazione vietnamita Pathet Lao (Paese dei Lao), fondato dal principe rosso Souphanouvong, figlio del viceré di Louangphrabang. All’inizio degli anni ’50 il Pathet Lao si schierò contro la monarchia, dando inizio a una serie di rivolte. Nel ’53 la Francia si ritirò dall’Indocina , ma solo nel ’75 il Pathet Lao prenderà il potere proclamando la nascita della Repubblica Democratica Popolare del Laos. Il re Savang Vatthana e parte della sua famiglia (la moglie e due dei suoi 5 figli) verranno imprigionati nelle miniere del nordest.
    Il partito comunista instaurò norme molto severe, ma non riuscì mai a intaccare la fede buddhista. Tra gli anni ’60 e ’70 il Laos fu coinvolto nella guerra del Vietnam a causa della sua posizione strategica, attraversato da piste che i vietnamiti utilizzavano per il rifornimento di armi: il famoso sentiero di Ho Chi Min fu oggetto di bombardamenti “segreti” da parte degli Usa. In questo piccolo Paese furono sganciate ben 2 milioni di tonnellate di bombe. Dopo il crollo del blocco sovietico ebbe inizio una parziale liberalizzazione economica e politica. Dal 1992 il Paese si è aperto al turismo e nel 1994, grazie a finanziamenti australiani, è stato costruito il primo ponte sul Mekong (il Ponte dell’Amicizia) che unisce Laos e Thailandia .
    Sebbene le tensioni interne che hanno caratterizzato la vita politica del Paese asiatico per tutta la seconda metà del XX sec. non possano dirsi risolte, l’attuale regime ha una sua stabilità.


    "Fiumi ritorti e grandi anse fangose, fra melme di stagni e sponde incerte, in una natura apparentemente intatta, benché a suo tempo bombardata, però molto ostile. ... Nebbie mattutine, sempre come in un paesaggio di paraventi cinesi, e anche giapponesi. Batuffoli fioccosi, impressionisti. Rive mai rettilinee, molto mosse tra profili e dislivelli di colline disordinate, quinte anche troppo frastagliate e discontinue; su due o tre file cespugliose e boscose di vegetazione molto rimescolata, come acquerellata, inchiostrata, punteggiata di palme. Contorni spesso antropomorfi... Ecco il Mekong: una distesa o deposito di ottone satinato, dai riflessi opachi, a zigrinature, mentre gli stagni e i ruscelli balenano intorno, come guizzando, scintillano. Mille anse, grovigli e slarghi e matasse di anse...Tronchi diritti di teak, pareti e tetti di bambù intrecciato in stuoie, molto polverose e rabberciate continuamente, con le fibre a portata di mano nel folto. Abitazione solo al piano alto, molto alto e con scalette minuscole. Sotto, solo attrezzi e deposito, forse bestie notturne e pericolose dal bosco. ... ” (Alberto Arbasino)



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    Il Laos è un Paese dolcissimo. I suoi paesaggi sono fatti di pianure verdi di acqua e riso, di montagne dalle cime arrotondate che si confondono nella nebbia e di pagode preziose dove risuonano le litanie dei monaci dalle tuniche color zafferano. Il tempo è come sospeso, e osserva lo scorrere lento del Mekong. I cieli grigi e le piogge regalano luci magiche e profumi nuovi. Ma il Laos è fatto soprattutto di sorrisi, quello dei bambini che ti corrono incontro festosi azzuffandosi per un primo piano nelle tue fotografie, delle ragazzine in bicicletta, con gli occhi che brillano sotto la pioggia e i capelli raccolti in lunghe code lucide e corvine, quello dei contadini che piantano riso nei campi con la schiena curva, e che interrompono il lavoro per salutare da lontano agitando le mani con le braccia tese. La “Terra di un milione di elefanti” scorre lenta sulle sponde del Mekong. Immagini appena sfocate dalla foschia che sale dall’acqua. Apparizioni sbucate dal nulla, le donne si lavano nel fiume come fossero sole, i sarong nei colori dell’autunno appena appoggiati sulle anche scivolano sull’acqua scura. Lungo il fiume si viaggia in piccole piroghe di legno, o in lunghi e stretti barconi coperti, nei quali si stipano persone e cose. Il tempo non esiste qui, e solo l’avvicendarsi del giorno e della notte, quello dei monsoni e della stagione secca, scandiscono le stagioni della vita. Il caldo ed il sonnolento scorrere del fiume si specchiano negli occhi dei pescatori accucciati sulle rive. La povertà è ovunque, ma dignitosa e composta. Si vive in baracche di legno, improbabili palafitte che affondano lunghi ed esili tronchi nel fango, e i vestiti sono quelli di qualche decennio fa. Uomini, animali, cose, si lavano nelle acque terrose e color caffèlatte del Mekong che, a tratti, sembra proprio cappuccino, con cumuli di schiuma che galleggiano, del tutto inopportuni in un Eden che si direbbe altrimenti incontaminato. L’acqua piovana si raccoglie in grandi giare di terracotta o cemento, ma si usa con parsimonia… Si vive di poco, i piatti sono semplici, ma gustosi, e si cucinano all’aperto in pentoloni anneriti o su griglie fumanti che sprigionano allettanti profumi ad ogni ora del giorno e della sera. I sapori freschi di menta e di coriandolo sposano il fuoco del peperoncino nei piatti di carne e riso glutinoso. I noodles si cucinano in mille modi diversi. In città e nelle campagne ci si sposta per lo più in bicicletta o in motorino sulle strade di terra e fango, con il vento che scompiglia i capelli. Eppure, adulti e bambini sono sempre ordinati e puliti, i capelli ben pettinati, i vestiti stirati… tutti i mezzi di locomozione vengono lavati con cura ogni giorno, insieme a tutto il resto. Solo alla sera, quando le ombre si allungano sulle strade vuote, i marmocchi rientrano in casa seminudi e infangati, dopo una giornata passata a sguazzare tra pozzanghere e rivoli di acqua e terra. L’indigenza non si traduce mai in disonestà. Neppure furtarelli semplici a turisti sprovveduti. Non esiste accattonaggio pressante e fastidioso ma solo occasionali, composte richieste d’aiuto.....Della colonizzazione francese, che per decenni pesò su queste verdi terre, persiste solo un vago ricordo nel profumo delle baguette e dei croissant appena sfornati e, nelle città, qualche edificio diroccato davvero a fatica riesce ad evocare i fasti di un tempo. Solo dalle labbra dei volti più rugosi escono ancora parole nella lingua di Baudelaire e Napoleone. In estate le piogge possono essere leggere come sarong di seta, o scatenarsi all’improvviso in violenti acquazzoni che inondano ogni cosa. È allora che ci si rannicchia in un cantuccio, sotto un ombrello squassato dalle raffiche d’acqua e vento, o si approfitta della situazione per lavare senza sprechi le biciclette di famiglia. Le strade diventano fiumi. Rivoli d’acqua piovono dai tetti improvvisando cascatelle sonore....I tuc tuc che vanno e vengono per le animate vie cittadine sono sgangherati carretti in ferro trainati da moto di piccola cilindrata, o furgoncini adattati con piccole panche imbottite. Sono tutti dipinti con pennellate di cieli limpidi e cartoline incollate all’altezza degli occhi. Cani e bambini scorrazzano per le strade e nei cortili dei monasteri inventandosi giochi e smorfie. C’è grande rispetto e molta dolcezza per loro, come per tutte le forme di vita. Dalle porte aperte delle case la vita scorre fuori, attraverso i mercati colorati e i locali semplici e deliziosi che servono cibo locale e khmer, scivola sulla collina verde al centro della città, entra ed esce dai templi luccicanti sempre riscaldati dalla presenza umana e dalle candele accese. Natura, religione, commercio, si intrecciano in una trama fitta, ordinata e semplice, dall’alba fino a tarda sera. I gesti quotidiani riecheggiano di una sacrale ritualità. I sarong in cotone indossati dalle donne, così semplici eppure così preziosi, con i ricami che ne ornano il bordo, sono tessuti con l’umiltà e la grazia di un popolo antico....Innumerevoli curve separano Luang Prabang da Vang Vieng. Quando si arriva in questa minuscola e sonnolenta cittadina, incastonata fra verdi montagne, dopo aver attraversato decine di villaggi senza nome, si è un po’ come ubriachi. Il villaggio è adagiato sulla sponda destra del Nam Song e la nebbia che sale lenta dal fiume rende l’atmosfera surreale, mentre tutte le televisioni del villaggio, nei bar che si affacciano sulla strada principale, trasmettono incessantemente puntate di Friends. Un paio di venditori ambulanti improvvisano sottilissimi pancake che affogano in uno strano burro arancione. Dall’altra parte del fiume (un ponte di bambù per attraversare), i pescatori ripetono ogni giorno, per ore, gli stessi gesti, davanti a poche, instabili, palafitte di legno....(Valeria Maccagni, Indocina- tratto da Corriere della Sera > Diari di Viaggio > Laos e Cambogia)
     
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