ASSENZIO

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  1. gheagabry
     
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    "L’alchimia liquida che addormenta la lingua, infiamma il cervello, scalda lo stomaco e trasforma le idee”.
    (Hernest Hemingway)


    L'ASSENZIO


    È una pianta erbacea perenne con radice fittonate e fusto eretto, di colore verde-argentato con scanalature evidenti ed alta fino ad un metro, molto comune nelle zone alpine.
    Il nome "Artemisia" non individua una specie di pianta, ma un genere comprendente più di 200 specie aromatiche. "Ce ne sono tante, di artemisie. C'è l'artemisia vulgaris, amara e vivace, color verde scuro. C'è l'Artemisia dracunculus, - il famoso Dragoncello, usato nelle insalate, coadiuvante del sistema digestivo. C'è l'Artemisia arborescens di Linneo, con cui i siciliani - lo racconta M. Pitre - usano intrecciare croci da disporre sui tetti delle case."
    L'assenzio cresce spontaneo nei luoghi sassosi e soleggiati dalla fascia mediterranea alla zona subalpina fino a 2000 m, ma è anche coltivato. Spontaneamente vegeta solo su pendii in pieno sole e nelle steppe aride e rocciose. In Europa, escluso il Nord, Asia occidentale, Africa settentrionale; Italia (eccetto nelle isole). Fornita di rizoma duro che emette getti sterili, corti e con molte foglie. Ha steli rotondi solcati e ramificati. Le foglie sono di colore verde, reso grigiastro dalla presenza di una sottile peluria bianca; hanno forma pennata, ma tendono a divenire meno pennate salendo dal basso verso l’alto, emanano un forte profumo molto aromatico ed hanno un sapore molto amaro; le foglie apicali sono sottili, lineari, di dimensioni minori rispetto alle altre. Durante la stagione estiva produce piccoli capolini dorati,riuniti in lunghe pannocchie.


    L'etimologia del termine generico (Artemisia) non è sicura e sembra che derivi da Artemisia, moglie di Mausolo(regnò nel 353-352 a.C.), re di Caria la cui capitale era Alicarnasso; esperta di botanica e medicina, per prima avrebbe scoperto le proprietà di quest'erba in campo ginecologico; ma anche, secondo altre etimologie, potrebbe derivare dalla dea della caccia (Artemide), oppure da una parola greca ”artemes” (= sano) alludendo alle proprietà medicamentose delle piante del genere Artemisa. Il nome specifico (absinthium) deriva dal latino, il nome botanico col quale si chiamava questa pianta nell'antichità; prima ancora deriva dal greco antico “ἀψίνθιον” (apsinthion), ovvero “privo di dolcezza”, con probabile riferimento alla natura amara della bevanda ricavata da questa pianta.
    Il binomio scientifico attualmente accettato (Artemisia absinthium) è stato proposto da Carl von Linné (1707 – 1778) biologo e scrittore svedese, considerato il padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi, nella pubblicazione ”Species Plantarum” del 1753. In italiano con il termine assenzio si fa riferimento anche all’ “absinthe”, un liquore ottenuto distillando erbe officinali tra cui artemisia absinthium, anice verde, finocchio, melissa, coriandolo ed issopo. L’absinthe conobbe una diffusione eccezionale nell’800, e venne chiamato “absenta” nei paesi di lingua spagnola, “absinth” nei paesi di lingua tedesca, “absinthe”, ma con differente pronuncia, nei paesi anglosassoni.


    Con l'assenzio si produce un distillato ad alta gradazione alcolica all'aroma di anice derivato da erbe quali i fiori e le foglie dell'assenzio maggiore (Artemisia absinthium), dal quale prende il nome. Talvolta viene erroneamente definito un liquore, ma non lo è; essendo l'assenzio prodotto da una trasformazione a caldo tramite alambicco e imbottigliato senza l'impiego di zucchero, perciò è classificato come distillato. L'assenzio appare incolore o di tutte le sfumature della clorofilla, dal giallo tenue al verde smeraldo, e ha un sapore complesso dovuto a un perfetto bilanciamento degli aromi delle varie erbe. In aggiunta alle foglie di assenzio, esso contiene semi di anice verde (l'anice stellato raramente era utilizzato e solo in modeste quantità), semi di finocchio, issopo, melissa, Artemisia pontica e diversi altri ingredienti che cambiavano da distilleria a distilleria quali angelica, menta, genepì, camomilla, coriandolo. Sembrerebbe una tesi priva di fondamento quella secondo cui l'assenzio venisse in alcuni casi adulterato con oppio: non esiste alcun documento storico che lo confermi e nessuna ricetta storica che ne parli.
    L'assenzio è prodotto per macerazione e diretta distillazione degli ingredienti. Successivamente, qualora opportuno, lo si colora con un'ulteriore macerazione di erbe tra cui l'Artemisia pontica, l'issopo e la melissa. Varietà meno pregiate di questa bevanda sono fatte per mezzo di essenze o oli mischiati a freddo nell'alcol. Il contenuto alcolico è estremamente elevato per permettere alla clorofilla di restare stabile il più a lungo possibile. È risaputo che nel XIX secolo l'assenzio, come molti cibi e bevande del tempo, era occasionalmente contraffatto da affaristi con rame, zinco, indaco o altre sostanze coloranti per conferirgli il colore verde; questo non fu ovviamente mai fatto dalle migliori distillerie. La diceria che l'assenzio venisse spesso bevuto con gocce di laudano nasce per di più da esaltazioni dei media di rari casi storicamente documentati. Il laudano era davvero poco diffuso e solo tra chi se lo poteva veramente permettere, e questi erano soliti utilizzarlo ovunque capitasse (il più delle volte nel vino): è possibile che costoro lo mettessero anche nell'assenzio, poiché l'assenzio era molto bevuto, praticamente da tutti; questo, tuttavia non implica che l'usanza fosse così diffusa.
    La notevole popolarità che l'assenzio ebbe durante il XIX secolo (grazie anche a prezzi relativamente contenuti e accessibili a tutti i ceti) portò i produttori di vini, cognac e whisky a iniziare una vera e propria guerra contro l'assenzio, guerra che fu prontamente accolta dai governi per poter porre fine al diffuso alcolismo, piaga del XIX secolo francese.
    Contrariamente a quanto si crede non tutto l'assenzio è verde. Anche in passato non tutti gli assenzi erano verdi. Considerando solo i veri assenzi e non quei pericolosi surrogati che già in passato circolavano, i colori andavano dal giallino fino al verde smeraldo, passando per tutte le gradazioni di verde. Alcuni erano lasciati addirittura incolore: questa tipologia ebbe una maggiore diffusione dopo la messa al bando perché più facile da contrabbandare. Tenendo presente che in un vero assenzio la fase più delicata e complessa è proprio la colorazione, va da sé che gran parte degli assenzi colorati di verdi sgargianti e cristallini non siano vero assenzio, ma qualche surrogato colorato artificialmente; sono davvero pochi ai nostri giorni i veri assenzi, colorati naturalmente come vuole la tradizione, a essere davvero verdi, e molto spesso sono piuttosto costosi. Un vero assenzio deve contenere semi di anice verde. L'anice stellato è un ingrediente tipico dei pastis e raramente veniva usato negli assenzi e solo in minime quantità. L'anice verde ha un sapore molto aromatico, profumato e secco, mentre l'anice stellato (probabilmente l'anice per come è conosciuto in Italia, quello usato per le caramelle e per la sambuca) è estremamente morbido e rotondo e con un sapore che ricorda molto la liquirizia. Quel sapore simile alla liquirizia che si possono notare nei veri assenzi non è dato tanto dall'anice stellato bensì dai semi di finocchio. Gli assenzi di nuova generazione tendono a utilizzare enormi quantità di anice stellato, tanto da rendere il sapore generale monotematico. In un vero assenzio al contrario si devono trovare i profumi e gli aromi di tutte le erbe, per lo meno di quelle principali: l'amarezza piacevole dell'Artemisia absinthium nel retrogusto, la morbidezza del finocchio, l'aroma di anice verde, quell'aspetto erbaceo unico dato dall'issopo, la melissa, il coriandolo. Il sapore dell'assenzio dovrebbe essere un continuo rincorrersi di aromi perfettamente bilanciati: nessun ingrediente dovrebbe dominare.(summagallicana.it)

    Un bicchiere d’assenzio, non c’è niente di più poetico al mondo! Che differenza c’è tra un bicchiere di assenzio e un tramonto? Il primo stadio è quello del bevitore normale, il secondo quello in cui cominciate a vedere cose mostruose e crudeli ma, se perseverate, arriverete al terzo livello, quello in cui vedrete le cose che volete, cose strane e meravigliose.
    (Oscar Wilde)


    ... storia, miti e leggende ...


    Tracciare la storia dell'assenzio è come ripercorrere una parte del cammino dell'Uomo, dall'erboristeria alla farmacopea e fitoterapia, dalla mitologia all'arte e alla letteratura. Fin dai tempi più antichi, l'assenzio era conosciuto ed apprezzato per le sue proprietà disinfettanti ed anestetiche: se ne trova la prima traccia in un papiro egizio risalente al 1600 a.C.. Già utilizzata fin dai tempi di Ippocrate (V° sec. a.C.), gli antichi greci consacrarono questa pianta officinale ad Artemide (da cui, appunto, Artemisia), dea della fertilità. Nell’antica Grecia veniva usato per curare i problemi digestivi in infuso o in macerazione nel vino. Pitagora prescriveva la stessa bevanda per assistere il travaglio durante il parto, mentre Ippocrate lo consigliava per l’itterizia, i reumatismi, l’anemia e i dolori mestruali. Il famoso naturalista romano, Plinio il Vecchio, la stimava moltissimo per curare molte malattie e disfunzioni, riferendo che in occasione delle gare sulle quadrighe sul Campidoglio, il vincitore beveva una tazza di foglie di assenzio, affogate nel vino, che gli ricordava così che…anche la gloria ha il suo lato amaro! Lo raccomandava inoltre come elisir di giovinezza e come cura per l’alitosi. Apuleio consigliava il viandante di portare con sé un rametto di questa pianta per alleggerire la fatica della via, Virgilio nelle Georgiche e Catone nel De re rustica ne esaltavano le sue proprietà antiarrossanti. Più tardi, Dioscoride (altro medico greco - I° sec. d.C.), oltre a riconfermare le innumerevoli e benefiche proprietà di questa utilissima pianta, ne allargava le possibilità d'impiego anche come repellente contro gli insetti. Anche i Celti e gli Arabi raccomandavano l'uso dell'assenzio ed i medici dell'antichità lo reputavano un vero e proprio toccasana, grazie alle sue molteplici proprietà terapeutiche.
    Nel 1588, Tabernaemontanus ne consigliava l'assunzione alle persone "di cattivo carattere": preludio dei rimedi omeopatici? E' talmente amaro, infatti, che nelle Sacre Scritture simboleggiava le vicissitudini e i dolori della vita. Nell’Apocalisse si chiama assenzio la grande stella punitrice. Suona la tromba il terzo angelo, ed ecco "precipitò dal cielo una stella grande accesa come una fiaccola, e cadde nella terza parte dei fiumi e alle sorgenti delle acque. Il nome di quella stella è Assenzio. E una terza parte delle acque si mutò in assenzio e molti degli uomini morirono di quelle acque perché s'erano fatte amare" (Giovanni, Apocalisse 7,10). Ricetta popolare nel Jura franco svizzero, il liquore fu messo a punto intorno al 1792 da un medico del luogo Pierre Ordinaire che ne lasciò la ricetta alle sorelle Henriod. Alcune fonti asseriscono che Henriette Henriod, chiamata “mamma Henriod”, diceva di essere sempre stata affascinata dalle proprietà benefiche dell'assenzio maggiore. Fu così che nel 1700 produsse un elisir fatto con l'assenzio maggiore raccolto a Couvet, in Svizzera. Il sindaco Dubied notò l'incremento della richiesta dell'elisir e ne comprò la ricetta. Insieme al futuro genero, Henri-Louis Pernod, fondò la distilleria “Dubied Pere et Fils” nel 1798. Dopo qualche anno, Henri-Louis decise di aprire la propria distilleria a Pontarlier, in Francia, e di chiamarla “Pernod Fils”. Da allora, il nome Pernod sarà sempre legato all'assenzio.


    L'assenzio, ha dato il suo nome ad una bevanda alcolica egregiamente nociva, della quale i personaggi di Emile Zola ne fecero grande uso: il famoso (o meglio famigerato) Absinthe. "Le péril vert" ("il pericolo verde", così era chiamato in argot) accompagnava la vita dei bohèmiens, che solevano radunarsi, per esempio, in quel Café Momus descritto da Henry Murger ne "La vie de Bohème", che Puccini metterà in musica. Anche Baudelaire, il precursore dei Poeti maledetti, lo cita spesso nei suoi "Fleurs du mal" e addirittura uno dei maestri dell'impressionismo francese, Edouard Manet, lo ha immortalato in un quadro del 1876, intitolato appunto "Buveur d'absinthe" ("il bevitore di assenzio"). Visto come la “porta per l’inferno” perchè metteva in uno stato di coscienza modificata, che rendeva l’artista visionario, esercitò il suo fascino sulle menti più brillanti a cavallo tra ‘800 e ‘900. Baudelaire, Rimbaud, Verlaine, i maledetti, ma anche gli impressionisti Toulouse Lautrec, Degas, Manet… Nei bar e nei bistrot parigini cercavano ispirazione nella “Fata Verde”, “la féè verte” come era eufemisticamente chiamato il liquore a base di “absinth”. Tra le 17 e le 19 nelle vie di Montmartre il tempo dell’aperitivo era l’”ora verde” e l’assenzio scorreva a fiumi. Si dice che anche Vincent van Gogh ne facesse largo consumo e che le immagini distorte caratterizzanti le sue opere siano state in qualche modo "ispirate" dallo stato alterato di coscienza in cui il grande pittore olandese cadeva, forse dopo gli eccessi con tale bevanda.
    Agli inizi '900, si pensi che il consumo di questo liquore, preparato con l'essenza tossica e convulsivante contenuta nella pianta e denominata "fata verde", passa dai 6.713 ettolitri del 1873 ai 360.000 del 1911. Molto di ciò che la fine del nostro secolo ha attribuito alla droga, la fine dell'Ottocento l'attribuì all'assenzio. Ironia della sorte: una delle tantissime indicazioni del succo d'assenzio lo vuole come rimedio contro...l'ubriachezza, mescolato a miele ed acqua calda. nella pianta d'assenzio coesistono due "principi attivi": un olio essenziale (absintolo o thujone) ed una sostanza amara (absintina). In poco tempo l’Absinthe divenne la bevanda alcolica più popolare e il successo negli anni a cavallo del secolo fu così clamoroso da consigliare l’intervento delle autorità, sollecitate da motivi di salute pubblica, ma anche dalla preoccupazione dei vignerons del midi e dai distillatori di cognac, che vedevano minacciato il loro primato. Si disse che era un allucinogeno, che desse assefuazione, che portasse alla pazzia, e l’assassinio della propria famiglia perpetuato da un certo Lanfray, nel 1905, dopo aver bevuto assenzio in abbondanza, diede il via alla campagna proibizionista. D’altronde, i tempi stavano cambiando e la stagione della “Belle Epoque” era alla sua conclusione; nubi di guerra si addensavano all’orizzonte. I poeti si accingevano a lasciare la ribalta del palcoscenico ai generali, le trincee ai viali. Nel 1915 l’assenzio venne definitivamente proibito. Il maggior indiziato per gli effetti indesiderati è il tujone, sostanza psicotropa presente anche nella Cannabis. Negli ultimi anni, seppure con qualche restrizione nel nome, l’Absinthe è tornato alla legalità e anche di moda, oggetto di culto e fonte di ispirazione anche nell’arte contemporanea. Ispirando libri e canzoni, è diventata anche una bevanda irrinunciabile per personaggi noti nel mondo della musica e dello spettacolo. A questo proposito, numerose sono le dichiarazioni di attori (da Jhonny Depp, che lo scoprì sul set di “From Hell” a Leonardo di Caprio) e cantanti (dal famigerato Marilyn Manson agli italiani Bluvertigo) che considerano irrinunciabile questa bevanda. Tuttavia è necessario ricordare che l’assenzio oggi in commercio ha poco o nulla a che fare con quello assunto nei secoli addietro dai poeti e dagli artisti “maledetti”, e che spesso queste dichiarazioni vengono rilasciate più per stupire il pubblico che per fondamento nella realtà.


    La proibizione dell'assenzio in Francia comportò la nascita di un sostituto dell'assenzio a base di anice stellato (raramente presente nell'assenzio del XIX secolo ma comunissimo nei moderni prodotti) al posto dei semi di anice verde e liquirizia: il pastis. Il pastis, come tutti i liquori a base d'anice, furono soggetti a severissimi controlli nei primi anni che ne limitavano la qualità al fine di allontanarli sempre più dal vituperato assenzio: la gradazione alcolica non poteva superare i 32°, non doveva intorbidire con aggiunta di acqua. Successivamente la gradazione alcolica venne portata a 40° ma durante il secondo conflitto mondiale il governo francese proibì i pastis poiché intorbidivano le menti dei soldati in trincea. Solo nel 1951 venne rilegalizzato e per festeggiare tale data la Pernod-Ricard (la multinazionale nata dall'aggregamento di alcune delle più importanti distillerie d'assenzio) mise sul mercato il Pastis51. In Svizzera, la proibizione dell'assenzio fu addirittura scritta nella costituzione nel 1907, in seguito a una iniziativa popolare. Nel 2000 questo articolo fu sostituito durante una revisione generale della costituzione, ma la proibizione fu semplicemente spostata nel codice di legge ordinaria. Successivamente questa legge fu revocata, così il 1 marzo 2005 l'assenzio divenne ancora legale nel suo paese d'origine, dopo circa cento anni di proibizione.

    Esistono due belle leggende, a proposito di quest'erba. La prima riguarda una ragazza che andando a passeggio finisce, per incidente, in una buca piena di serpenti. Sul fondo dell'abitacolo c'è una pietra luminosa. I serpenti, affamati, sono condotti lì dalla regina dei serpenti. Leccare la pietra e saziarsi è tutt'uno. La ragazza ben presto imita i serpenti e con loro sopravvive. Ed ecco, l'inverno è passato, si fa avanti, faticosamente, la primavera. I serpenti si snodano, intrecciano le code in modo da formare una scala: la ragazza può uscire all'aperto, può rientrare nel mondo. Prima che questo avvenga la regina dei serpenti le fa un dono: le dà facoltà di comprendere il linguaggio delle erbe, di conoscere le loro proprietà medicamentose. In cambio, lei non dovrà mai nominare l'artemisia. La giovane donna ben presto si rende conto di comprendere, in effetti, tutto ciò che le erbe si dicono, quello che suggeriscono. Un brutto giorno però un uomo le domanda, senza preavviso, come si chiami la piccola pianta che nasce nei campi, ai bordi dei sentieri. E lei, senza riflettere, risponde: è l'artemisia. E di colpo, ecco che il linguaggio delle piante le diviene estraneo, ecco che non lo comprende più cosa sussurrano i fiori dei campi: ha dimenticato tutto. E' per questo, conclude la storia, che l'artemisia è detta anche "pianta dell'oblio". La seconda storia ricordata da A. De Gubernatis viene dalla Piccola Russia e riguarda il cosacco Sabba. Questi aveva legato il diavolo - col quale era per altro in generale in buoni rapporti - promettendogli di romperne i legami se fosse stato aiutato ad impadronirsi di alcuni cavalli polacchi cui ambiva. Il diavolo accetta, chiama i suoi amici che slegano i cavalli, di modo che Sabba possa impadronirsene. L'erbetta che geme, calpestata, sotto gli zoccoli dei cavalli polacchi, e fa: "bech! bech!" è per l'appunto l'artemisia. Il suo nome, da allora in poi, in Ucraina, ricorderà il gemito dell'erba, calpestata dai cavalli polacchi in fuga.

    L'artemisia è, forse la più importante, delle note "erbe di S. Giovanni", di Giovanni il Precursore. È l'erba di cui ci parla Manlio Barberito, quella che si è posta sulla strada del serpente, che ha cercato di intralciarne il viaggio. Nei roghi che per secoli hanno rischiarato le notti di mezza estate, hanno consumato le loro brevi stagioni rovi e cardi, allori e ulivi, eucaliptus e ruta, rosmarino e incenso. Agli e cipolle, spighette e iperico, mentuccia e scilla, per anni, hanno protetto il cammino dei viandanti, in notti magiche quali sono quelle del solstizio estivo: e con loro, l'artemisia. La si è portata addosso, per la sua virtù di scacciare demoni e spiriti malvagi, influssi negativi. La si è portata in tasca, perché ha sempre favorito i viaggi. Si ricorda l'uso, in varie zone d'Europa, "di dipingere una artemisia sulle portiere delle carrozze, specie quelle di servizio pubblico, come apotropaico contro gli incidenti e per garantire un felice viaggio". Erba del paradiso terrestre, erba di S. Giovanni, l'artemisia non protegge solo i viaggi fisici, ma anche, evidentemente, quelli spirituali, quelli che volgono verso mete celesti. Ci rassicura anche, quest'erbetta, sul cammino del sole, "sul felice viaggio e il ritorno certo dell'astro". E' pianta connessa alla luna, certo. Ma è un'erba di S. Giovanni, erba del sole: ci protegge quindi contro i fuochi negativi, i fuochi nemici: basterà un mazzetto di artemisia dietro l'uscio per proteggere la casa dalla folgore. Non per nulla, secondo alcune versioni, la notte di S. Giovanni è in grado di secernere un carbone che è efficace contro i fulmini, particolarmente protettivo se preso quella notte. Ancora una virtù ha l'artemisia: ed è quella di "donare l'incorruttibilità e di vincere la caducità delle cose". Si temperava, un tempo, l'inchiostro col succo di artemisia, per rendere la carta inattaccabile dalle tarme: la parola divina, il verbo deve durare al di là del tempo, oltre la caducità delle cose umane. La parola - quella portata da Giovanni, il Precursore - deve restare al di là della corruzione e della morte. Erba di vita, quindi, l'artemisia. Ma c'è l'assenzio, che può diventare erba di follia e di morte, veleno esiziale. Erba della luna, ma anche erba del sole; erba di Giovanni l'Evangelista, e insieme erba del Precursore. Più complessa quindi, la simbologia dell'artemisia, meno lineare di quanto si potesse inizialmente supporre. L'uso popolare le ha sempre riconosciuto capacità diverse, legate alle sommità fiorite. Ha sempre avuto, l'artemisia, spazio nell'immaginario magico, sin da quando ingentiliva le processioni per Iside, in mano ad antichi sacerdoti. Ha protetto, in passato, i parti. Però era nota per le capacità ipnotiche e abortive: le capacità sono di segno inverso e contrario. Se usciamo dalla visione dell'artemisia come erba giovannea, e teniamo presenti le sue radici greco-romane, la derivazione dalla dea delle belve - o dalle Amazzoni - ecco che è chiaro che l'artemisia è un'erba che presenta rischi, che può avere lati oscuri: molto dipendente dalle intenzioni, dall'uso che se ne fa. Pianta quindi, l'artemisia, di santi e di angeli, pianta del paradiso terrestre, aiuto per Eva, avversaria di Satana. E insieme, pianta delle ombre, della luna, delle ,inquietudini femminili, dei timori maschili in merito. Mazzetti di artemisia e di verbena sono stati gettati nel fuoco e bruciati per anni e anni, nella speranza che la sfortuna, le negatività della vita bruciassero con loro. (cortescontenti.it)
     
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  2. gheagabry
     
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    Il declino dell'assenzio fu rapido: scomparve da tutti i mercati d'Europa e d’oltre oceano in poco più di un decennio.
    Le ragioni sono essenzialmente riconducibili a tre:
    - il forte movimento che si batteva contro l'alcolismo e che attraversò tutta l'Europa nei primi anni del Novecento;
    - gli studi scientifici che individuavano il tujone quale neurotossina responsabile di provocare convulsioni e morte negli animali da laboratorio;
    - la pressione esercitata dai produttori di vino francesi preoccupati dalla crescente popolarità dell'assenzio.

    Nel 1905, a queste cause, il 28 agosto si aggiunse un fatto di cronaca che fece grande scalpore: in un cantone svizzero, un contadino di 31 anni dopo aver abusato di alcol in grande quantità, tra cui due bicchieri di assenzio, tornò a casa ed uccise a colpi di fucile la moglie e le due bambine. Proprio ai 2 bicchieri di Assenzio, sospettato di proprietà allucinogene, venne dato grande risalto. Così, questa efferata follia diffuse il terrore nel cantone svizzero, nel quale la gente vide materializzarsi l'incubo che in realtà l'assenzio non fosse una Fata Verde, ma un veleno verde.

    Nel 1907, la Ligue National Contre L’Alcoolisme (Lega Nazionale contro l'Alcolismo) francese iniziò una campagna contro il consumo di alcol in generale, ma con l'obiettivo principale della proibizione dell'assenzio, che schernivano come la causa di un delirio allucinogeno che avrebbe portato ad une correspondance pour Charenton (un biglietto per Charenton, il manicomio alla periferia di Parigi). In tutta la Francia, spuntò una campagna a base di cartelloni: alcuni promuovevano l'assenzio, altri ne mettevano in guardia dai suoi mali e nel 1915 venne soddisfatto il desiderio dei nemici dell'assenzio. Con la guerra mondiale l'absinthe precipitò lentamente nell'oblio.

    Il nuovo assenzio




    Nel 1998, Radomir Hill nella Repubblica Ceca, alla ricerca di idee per rilanciare la distilleria di famiglia ormai in declino, rivolse la sua attenzione ad una bottiglia di Absenta importata dalla Spagna, ed ebbe così l'idea di produrre l'Hill's Absinth. Benché la singolare bevanda avesse poco ha a che vedere con l'antico absinthe consumato dagli artisti, non ci volle molto per diffonderla: la frenesia e la curiosità degli abitanti e dei turisti di Praga, ha fatto sì che l'Hill's Absinth pur non essendo un vero Absinthe abbia ottenuto un successo strepitoso, allargatosi anche a Londra.
    Con l'unione Europea, altre ditte come la Pernod hanno ripreso a produrre Absinthe, limitando con mezzi moderni la concentrazione di tujone, l'alcaloide contenuto nell'assenzio responsabile delle allucinazioni e dell'assuefazione.

    Il fascino dell'assenzio è anche legato al suo particolare modo di consumarlo, che ne costituisce un rituale.
    In effetti, esistono diversi modi per berlo ed il sapore varia di conseguenza: assenzio liscio, assenzio francese,
    assenzio flambè o bohemiènne, liscio, alla francese, flambè o bohemiènne.



    liscio: si beve direttamente come tale, preferibiolmente servendolo in un bicchierino da liquore.

    alla francese: è il rituale classico. Si versa nel bicchiere una dose di assenzio, si appoggia un cucchiaino apposito, forato con una zolletta di zucchero sopra, e con una brocca, si fa gocciolare dell'acqua ghiacciata (5 parti per 1 parte di assenzio) sullo zucchero per stemperarlo dolcemente.
    L'acqua e lo zucchero hanno la funzione di diluire ed addolcire la proverbiale amarezza dell'assenzio, e si dice, anche di aumentare gli effetti del tujone (ma questo è più verosimilmente un effetto dovuto alla suggestione indotta da quello che è considerato un rituale).
    L'assenzio bevuto in questo modo, rimane fresco e con un gusto dolce al punto giusto; inoltre, diventa bianco trasparente... diversamente, non è assenzio: questa è una proprietà degli alcaloidi dell'artemisia, ed è l'unico vero metodo per scoprire se quello che si stà bevendo è assenzio o un surrogato. Dopo aver fatto scivolare lo zucchero in fondo al bicchiere si deve agitare un po' e sorseggiare pian piano.

    flambè o bohemiènne: si mette prima di tutto il cucchiaino con lo zucchero sopra il bicchiere, si versa l'assenzio bagnando la zolletta di zucchero e successivamente avvicinandola al liquore.
    Fatto questo si incendia la zolletta in modo che il fuoco caramelli lo zucchero che gocciolando infiamma anche l'assenzio. Fatto caramellare per una quindicina di secondi si spegne il fuoco e si allunga la miscela con acqua. Questo metodo rende l'assenzio caldo e inebriante.


    Preparazione del liquore e proprietà farmacologiche



    La magica pozione venne commercializzata da Henri-Luis Pernod che, nel 1805, aprì la famosa distilleria Pernod-Fils Absinthe a Pontalièr, in Francia, e venne chiamato Absinthe, Assenzio in italiano. La ricetta di questa prima proposta commerciale della "Fata Verde", risale al 1855:

    Mettete a macerare per un minimo di 12 ore, in 95 litri di alcol (85 per cento di gradazione), le seguenti piante essiccate: 2,5 kg di artemisia absinthium (assenzio maggiore o romano), 5 kg di anice e 5 kg di finocchio - altre fonti aggiungono issopo, succo di limone, angelica, anice stellato (che, all’epoca, contribuì alle fortune del mistrà marchigiano), dittamo (pianta erbacea aromatica della famiglia delle Rutacee), ginepro, noce moscata e veronica. Aggiungete 45 litri di acqua e distillate. Dal liquido ottenuto (circa 95 litri), prelevatene 40 litri, e aggiungete un altro chilogrammo di assenzio, un chilogrammo di issopo e 500 chilogrammi di succo di limone; scaldate a moderata temperatura, filtrate, e aggiungete i rimanenti 55 litri di distillato. I circa cento litri finali di assenzio saranno ricondotti a una gradazione alcolica di 75 per cento con un’ulteriore diluizione in acqua.

    Quando la clorofilla delle piante non era sufficiente a conferire al prodotto la giusta tonalità di verde, si aggiungevano solfato di rame, anilina verde, curcumina e altri coloranti, non tutti genuini e quindi corresponsabili della tossicità della bevanda.



    Il liquore può essere preparato:

    per distillazione del decotto;
    tramite decantazione dei rami in soluzione alcolica di qualsiasi tipo (solitamente liquori aromatizzati simili alla Grappa alla Ruta);
    mediante la macerazione delle piante durante il processo di distillazione, che non è il modo più rapido ed economico di produrre assenzio, però è fedele alla ricetta originale.
    L'ingestione del decotto di Assenzio, ottenuto per ebollizione e successivo riposo dell'infuso o tisana, successivamente filtrata, non deve superare i 10 g di pianta fresca di Assenzio per dose singola giornaliera del decotto stesso, per non incorrere in sovraccarico epatico o addirittura tossicità.

    Anticamente il decotto era utilizzato nei pediluvi come analgesico per rinfrancare dopo un lungo cammino. Viene utilizzato anche come antipulci per i cani, come antitarmico per la lana e contro le cocciniglie parassite da giardino.

    Le proprietà officinali trovano largo impiego nei soggetti inappetenti (è un forte stimolante dell'appetito), con problemi digestivi e come vermifugo (insieme all'aglio).
    Le molte specie del genere Artemisia hanno uno spettro d'azione comune: tonico-stimolante generale, eupeptico, emmenagogo. Si è notato un effetto protettivo dell'Assenzio sull'epatotossicità animale; esperimenti dimostrano che esso cura i danni da intossicazione con acetaminofene e CC14 nel ratto (tale effetto sembra dovuto all'inibizione da parte dell'assenzio degli enzimi microsomiali epatici metabolizzanti i farmaci).
    E' controindicato per chi soffre di ulcera, infiammazioni gastriche o soggetti tendenti a congestione, donne in gravidanza e allattamento (il latte è amaro), soggetti biliosi e sanguigni.

    Sia l'olio (molto volatile) che l'essenza madre di Assenzio sono del colore dei marroni, e vengono solitamente solubilizzate in farmacologia ed in omeopatia con etanolo al 20% ca.
    Comunque, ha una discreta solubilità anche in acqua, e deve essere conservato ben sigillato, al buio ed in luogo fresco. La densità è circa 1 - 1.03 g/ml, residuo secco 8-13 % p/v e pH tra 4 e 5.5. La dose massima è 20-40 gtt ai pasti (l'effetto tossico è certo sopra una soglia di 60 gtt al giorno), sciroppo 2%, tintura 20%.




    L'assenzio, è un liquore con delle proprietà particolari, dal momento che l'erba utilizzata è una sostanza psicoattiva. L'Assenzio è presente nell'allegato (Legge del 6 gennaio 1931, n°99) delle piante officinali non vendibili in erboristeria.

    La dose varia da soggetto a soggetto, ma non si devono superare l'equivalente di due bicchierini colmi di wisky che diluiti (come nel rituale classico) diventano una quantità notevole. Occorre tenere a mente che si può avere intossicazione da assenzio, e quindi si deve evitare di abusarne, anche perché un solo bicchierino dovrebbe essere sufficiente a produrre gli effetti attesi.

    I princìpi attivi dell'assenzio sono: il tujone ed il glucoside amaro (che hanno proprietà alteranti bipolari del sistema nervoso centrale, leggermente psicotrope, con effetto permissivo sulle catecolamine, midriasi, aumento del battito cardiaco, euforia, proprietà afrodisiache), il guaranolide dimerico, ed alcuni narcotici analgesici quali la codeina e l'idrobromuro desotrometorfano (Romilar).

    Il principio attivo è a e b-Tujone, il nome scientifico è: 4-Methyl-1-(1-methylethyl)biciclo[3.1.0]hexam-3-one, la formula: C10H16O
    Tossicità: LD50 (topo, s.c.) 134 mg/kg
    Meccanismo di azione: antagonista serotoninico presinaptico come il THC.
    L'assenzio contiene una sostanza chimica chiamata tujone (contenuto anche nella salvia) che è molto simile alla sostanza chimica attiva nella canapa indiana, THC (tetraidrocannabinolo). Studi effettuati negli anni '60 e '70 mostrano che entrambe le sostanze chimiche sono terpenoidi. Questo - secondo un articolo sulle affinità tra gli effetti psicologici attributi all’assenzio e a quelli della marijuana - significa che sia tujone sia THC esercitano i loro agenti psicotomimetici interagendo con un recettore comune nel sistema nervoso centrale.

    Il tujone agisce sul sistema nervoso centrale contrastando l'azione dell'acido gamma-aminobutirrico o GABA, un inibitore dell'attività elettrica neuronale. Le cellule nervose, non più protette dal GABA, subirebbero il bombardamento di una moltitudine caotica di impulsi e ciò determinerebbe uno stato di euforia, accompagnato da apparente lucidità, ma anche da allucinazioni, convulsioni e delirio.

    Effetti negativi: disturbi gastrointestinali, gastroenterite, nervosismo, problemi muscolari, convulsioni, stordimento, morte, defecamento involontario, respirazione anormale, schiuma alla bocca, urina rossa, congestione renale, allucinazioni visive ed uditive. L'effetto tossico è certo nell'assunzione cronica a lungo termine, o nell'abuso sopra una soglia di 60 gtt al giorno.
    Effetti "positivi": svariate doti curative (per lo più vantate), poi: afrodisiaco, stimola la creatività, allucinogeno, psicoattivo, vermifugo.

     
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  3. gheagabry
     
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    Cloe, la fata verde i

    di Paolo Cossi Scritto da L'Académie d'Absomphe



    Edizioni Segni d'Autore il nuovo fumetto di Paolo Cossi dedicato all'assenzio dal titolo Cloe, la fata verde con una prefazione di Andrea Sica de L'Académie d'Absomphe dal titolo "L'assenzio e l'estro se fate".

    La storia racconta di Cloe, la fata verde che, al pari di una musa, appare ai più svariati personaggi della Parigi di inizio '900 che, per la voglia di giovamento o di un'ispirazione, la ricercano bevendo assenzio. Tra questi vi troviamo anche Paul Verlaine, Arthur Rimbaud, Henri de Toulouse-Lautrec, ma la storia è ricca di citazioni artistico-letterarie e di concetti storico-sociali.

    “Cloe” è un personaggio ispirato al mito della fata verde e all’atmosfera leggendaria che la circonda. La storia, ambientata a Parigi, ci porta nel mondo dell’assenzio riscoprendone i riti e i personaggi. In una Parigi dei primi del ‘900 Cloe, fata ispiratrice di poeti e pittori, si destreggia tra le storie intime degli umani, tra i loro drammi e le loro miserie. L’assenzio è una bevanda la cui fama è legata a molti artisti parigini. Questo distillato ebbe una grossa popolarità in Francia nella seconda metà dell’ottocento, fino al 1915 quando venne bandito. Per il suo particolare colore verde veniva spesso chiamato “Fata verde”. Per questo la nostra fata dell’assenzio ha questo nome, un nome legato saldamente al colore verde, agli artisti, alla giovinezza ma anche al problema dell’alcolismo.






    Per distinguere un Assenzio autentico e di qualità da uno falso e scadente ci sono alcuni elementi che si possono osservare:

    Il colore: come già menzionato gli assenzi autentici possono essere incolori, verdi, marroncini, giallini e, con la sola eccezione dell’Un Emile Rouge, rossi. Si può anche aggiungere che nonostante alcuni assenzi di bassa qualità siano di colore verde, è facile riconoscerli perché il colore è eccessivamente brillante, smeraldino, simile allo sciroppo di menta, in sostanza palesemente artificiale. L'assenzio autentico non contiene coloranti. Se sull'etichetta sono presenti le sigle tipiche dei coloranti non si tratta di assenzio autentico.

    L’odore: la maggior parte degli assenzi di bassa qualità contengono anice stellato, ed in quantità tale che all’olfatto è l’unico elemento che si riesce a distinguere. Un Assenzio che odora solo di anice stellato sarà molto probabilmente di bassa qualità.

    Nella preparazione: un Assenzio autentico deve intorbidire quando si aggiunge acqua. L’intorbidimento può essere molto leggero (come nel Montmartre e nel vecchio Un Emile) oppure abbastanza rapido ed intenso (come nei La Bleue svizzeri). La mancanza di louche è sicuro indizio di un Assenzio non autentico, e spesso anche un luoche troppo violento è indice di una forte quantità di anice stellato, tipica degli assenzi di bassa qualità.

    Nella degustazione: un Assenzio autentico deve essere caratterizzato da un equilibrio di tutti gli aromi, nessuno deve prevalere prepotentemente sugli altri. È amaro, ma non più di un vermouth come il Martini, l’anice è perfettamente bilanciata con le altre erbe; in bocca deve essere morbido e non dare la sensazione di “oleoso” tipica dei prodotti di bassa lega, causata dall’aggiunta di oli essenziali. In sostanza se quello che bevete è amaro come il fiele, ha sapore unicamente di anice oppure vi vien voglia di sputarlo, sicuramente non state bevendo un buon Assenzio, anzi, probabilmente non ha proprio nulla a che vedere con l’Assenzio.

    Zucchero. L'assenzio autentico non contiene mai zucchero. Se la bottiglia che avete di fronte contiene zucchero non si tratta di assenzio autentico.

    Gradazione. Diffidate dai prodotto con gradazione troppo alta o troppo bassa. Gli assenzi autentici hanno gradazione alcolica compresa tra i 45 ed i 75 gradi, unica eccezione è il Blanche Traditionelle 'Brut d'Alembic' con 81 gradi.
    Tujone. Diffidate dai prodotti che riportano il contenuto di tujone, che fanno riferimento a "alto contenuto di tujone", "massimo contenuto di tujone" o in genere qualunque riferimento all'assenzio come una bevanda dotata di particolari proprietà psicotrope. Nessun distillatore di assenzio autentico farà mai uso di questi mezzucci per vendere.

     
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2 replies since 25/9/2013, 10:43   992 views
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