ETIMOLOGIA delle parole

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  1. gheagabry
     
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    Che cos’è l’etimologia



    L’etimologia di una data parola, non è altro che la sua origine antica, la storia dal suo inizio e la sua evoluzione fino alla forma attuale della parola che stiamo usando. La convenzione ci dice che la radice delle parole della nostra lingua è da cercarsi nelle lingue considerate classiche o antiche: greco, latino. Ci sono studi che però datano le parole attuali ancora più indietro nel tempo (filologia), infatti moltissime parole possono essere fatte risalire a lingue antiche come il sanscrito, la antica lingua parlata in Egitto o a quella parlata dai Babilonesi.
    Se si parla di parole che definiscono città e luoghi spesso i filologi con i loro studi possono far risalire la parola anche a periodi remoti fino ad origini indoeuropee e anche a epoche preindoeuropee.
    Qual’è l’obiettivo che si prefigge l’etimologia? Semplicemente riuscire a far comprendere il significato più profondo di una parola, tutte le sue connotazioni differenti, come viene e veniva utilizzata spiegando come si è evoluta attraverso il tempo e la storia con gli usi e i costumi dei vari popoli e dei vari periodi.

    L’etimologia aiuta a comprendere le piccole sottigliezze e i vari utilizzi che sono stati fatti di questa parola attraverso il tempo. Se il senso di una particolare locuzione è troppo ambiguo, la descrizione etimologica dovrebbe aiutare a comprendere l’utilizzo corretto, ovviamente tutto questo va fatto seguendo fonti e date precise.





    fonte: ita.rhapsodoioralgreekandlatin.org/
     
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  2. gheagabry
     
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    MOSTRO



    Il termine latino monstrum indica essenzialmente un segno divino, un prodigio, e deriva dal tema di monere: avvisare, ammonire.
    Il mostro, nel significato originario, è l’apparire, il manifestarsi, il mostrarsi improvviso di qualcosa di straordinario, di divino, che viola la natura e che è un ammonimento e un avvertimento per l’uomo. Il presagio suscita un senso di meraviglia e di stupore e può essere fasto o nefasto, generando perciò rassicurazione o spavento. (AZ)



    La maggior parte delle auctoritates che hanno scritto sul tema dei prodigi nel mondo romano, ha sottolineato che l'uso delle quattro parole latine monstrum, portentum, prodigium e ostentum era pressoché intercambiabile nei primi prosatori. C'erano, tuttavia, delle differenze, seppure sottili tra i quattro termini: monstrum è una cosa contro natura; portentum indica qualcosa nel futuro prossimo; prodigium è il segno di
    un danno futuro; ostentum è ciò che è inconsueto, insolito.
    L'evoluzione della parola latina monstrum si avvicinerà al senso della parola greca téras («termine di origine oscura, che indica prima il segno divino,
    inviato in particolare da Zeus e che spesso implica un'atmosfera di terrore») L'evoluzione semantica, essenzialmente metaforica delle due parole, rivela che il solo elemento principale è «ciò che esce dal comune», «l'essere straordinario». Il significato traslato di “essere mostruoso” è attestato in Plauto e in Terenzio, ma prima ancora in Lucrezio, che definisce monstra ac portenta gli androgeni e gli esseri deformi, e in Catullo. Nella storia della parola “mostro” rimane perciò il significato di essere anormale, contrario alle leggi della natura.



    Marco Tullio Cicerone, tra le ragioni che dimostrano l’esistenza degli dei include gli eventi terrificanti; tra questi
    la nascita di mostri umani e animaleschi in contrasto con l’ordine naturale” (Sulla natura degli dei).

    Virgilio, ne L’Eneide descrive un fatto prodigioso: un ramo da cui sgorga sangue. Il fenomeno viene definito con il termine monstrum.

    […] Era nel lito
    Un picciol monticello, a cui sorgea
    Di mirti in su la cima e di corgnali
    Una folta selvetta. In questa entrando,
    Per di fronte velare i sacri altari,
    Mentre de’ suoi più teneri e più verdi
    Arbusti or questo, or quel diramo e svelgo
    Orribile a veder stupendo a dire,
    M’apparve un mostro, chè divelto il primo
    Da le prime radici, uscir di sangue
    Luride gocce, e ne fu il suolo asperso.
    Ghiado mi strinse il core; orror mi scosse
    Le membra tutte, e di paura il sangue
    Mi si rapprese. […]


    Eneide, III, 38-51, trad. Annibal Caro

     
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  3. gheagabry
     
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    La distanza tra una parola e l’oggetto a cui essa si riferisce non è sempre una linea retta. Tra le circa 250.000 voci del dizionario italiano spuntano diverse irregolarità…espressioni che nel tempo ha cambiato significato, termini entrati per sbaglio nel linguaggio quotidiano, sostantivi derivati da nomi di inventori e località.

    Un saluto amichevole che evoca deportazioni e persone in catene: l’espressione “ciao” deriva dal veneziano s-ciào o s-scàvo, che si potrebbe tradurre con “sono vostro schiavo”. Oggi ciao è una formula meno impegnativa, ma altri termini, come “ministro”, si sono nobilitati in seguito ad un’inversione a U che ne cambiano i connotati sematici. Da servo a onorevole, la voce ministro è passata da “minister” , che in latino indicava il servitore nel senso di “minus” (meno) “magister (maestro), alle più alte cariche del governo italiano. Così come in latino il verbo minestrare , da cui “minestra, significava servire a tavola. La parola “ragazzo”, che oggi indica una persona giovane, è sbarcata nel vocabolario dall’espressione araba “garzone” , che indica un’apprendista o la bassa manovalanza.



    Alcune espressioni sono arrivate nel vocabolario per caso. Sono i risultati di refusi, errori di copiatura o scambi di parola. Come “tulipano”, per esempio, un nome affibbiato al fiore a metà del ‘500 dall’ambasciatore olandese a Istanbul (Ogier-Ghislian de Busbecq) che confonde lâle (tulipano) per l’espressione tülbent, turbante, il copricapo tradizionale in Oriente. Acne è dovuto da un errore di trascrizione del VI secolo d.C. di “akmé”, “apice”, divenuto poi macchia.

    Altre parole del nostro vocabolario richiamano località e dinastie. I “deponimi” sono termini della lingua italiana legati ai nomi propri. Come “ciarlatano”, che proviene da cerretano, abitante del comune di Cerreto dove, nel seicento, risiedevano diversi prestigiatori, maghi e saltimbanchi. La “campana”, invece, deve il sio nome alla città di Nola in Campania dove è stata prodotta per la prima volta. Per risalire alle origini di “meandro”, l’ansa di un fiume, bisogna spostarsi in Turchia dove scorre il Büyük Menderes, che i greci chiamavano Meandro: il termine indicherà poi tutti di corsi non lineari dei corsi d’acqua….Lavagna, dal comune di Lavagna in Liguria, dove si estrae…Moka, dalla omonima città nello Yemen, dove si produceva caffé.

    Altri termini entrati oggi nel linguaggio quotidiano sono dovuti a cognomi: Jacuzzi, per esempio, il nome di una famiglia di emigranti italiano che costruisce la prima vasca a idromassaggio a partire dalla tecnologia aeronautica. Anche lo “zampirone, quella spirale verde che sembra un disco volante, ma serve a tenere a bada gli insetti, viene brevettata nell’800 dal farmacista di Mestre Giovanni Zampironi. Il vocabolo “biro”, invece, deriva dal nome del suo inventore, l’ungherese László Biró, mentre il “negroni”, il cocktail a basa di vermouth rosso, dal conte fiorentino Camillo Negroni.



    Alcune parole….. Adepto, dal latino “lapis”, indicava chi in origine era iniziato ai segreti della pietra filosofale….Bagordo, da “lancia per giocare” a sinonimo di “eccesso”…..Bastian contrario, dal gergo artigianale, l’asta di chiusura del portone……Cafone, dal centurione romano Cafo-Cafonis, che ottenne molte terre da Marco Antonio in modo sospetto…..Fante, da infante, bambino fino al ‘400, poi soldato di fanteria….Frisbee, dal vassoio di latta utilizzato per il trasporto delle torte della “Frisbie baking company”….Ok, da Old Kinderhook Club, un associazione di sostenitori del candidato democratico Martin Van Buren alle presidenziali negli Stati Uniti del 1840…..Pantalone, da “pianta leone”, una bandiera con i leoni di San Marco dei commercianti veneziani….Stravizio, dal croato “zdravica”, brindisi…..Teppista, dal dialetto milanese “teppa”, “muschio”, per indicare le gallerie dove si incontravano delinquenti e sabotatori….Treno, fino al 1839 significa “corteo”, gruppo di persone in marcia.

    (tratto da “Airone” marzo 2010)


     
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    Italiano: più emo, meno scherno
    Zingarelli, ecco le nuove parole





    Ce n'è un po' per tutti i gusti, da "apericena" a "impanicarsi", da "enoturismo" ed "emo" a "tankini": sono le parole più o meno nuove che conquistano un posto nell'ufficialità della lingua italiana, entrando a far parte dell'edizione 2011 del Vocabolario della Lingua Italiana Zingarelli, la storica opera di consultazione pubblicata dall'editore Zanichelli, che conta in tutto 143mila voci e 377mila significati. Ma per tante parole nuove in arrivo, in effetti sono oltre 1500 le new entry, ce ne sono altre in via di estinzione e tutte da salvare, da abulico a zuppo.

    Sono moltissimi gli esempi di come il costume, la cronaca, la società, la cultura e i media hanno trasformato il linguaggio corrente, tanto da creare neologismi degni da apparire nel vocabolario. Uno di questi è il tormentone. "Resta di stucco, è un barbatrucco", celebre formula dei Barbapapà, popolari personaggi dei cartoni animati lanciati nella seconda metà degli anni Settanta. Tra le varie espressioni ufficializzate dallo Zingarelli 2011 ci sono il "gollonzo", nato dallo slang nelle trasmissioni della Gialappa's e adottato nel giornalismo sportivo per indicare il goal ridicolo e fortunoso. Anche la moda e la musica "Emo" trovano posto nel vocabolario, con il significato di "appartenente ai gruppi giovanili che vestono di nero".

    Molte nuove parole arrivano dal linguaggio giovanile, come "shonen" e "shoujo", che in giapponese indicano le riviste (Manga) e film (Anime) rispettivamente per ragazzi e ragazze; tra i nuovi generi musicali lo Zingarelli 2011 segnala il "patchanka". E quando poi si vuole nominare un architetto di grande fama e successo, si può parlare a buon diritto di "archistar", qualifica che spetta, ad esempio, a Massimiliano Fuksas o Renzo Piano.

    Viene invece dal linguaggio cinematografico il nuovo di zecca "cinecocomero", versione estiva del già conosciuto, e accolto nel dizionario, "cinepanettone" natalizio. Per restare in tema estivo, lo Zingarelli 2011 consacra i "fantasmini", ossia quei calzini minuscoli che scompaiono all'interno delle scarpe, il "pinocchietto', ossia il pantalone "alla pescatora" e il "tankini", cioè il costume da bagno femminile costituito da slip più canotta. Sdoganata anche una serie di nuovi modi di dire, tra i quali "arcisicuro", "impanicarsi" (cadere in preda ad una crisi di panico), "inguattare" (termine usato nel significato di "nascondere").

    Tra apericena, arcisicuro, crunch e un altro migliaio di nuove parole, ce ne sono però altre prossime a venir meno per mancanza di utilizzo. Insomma, oltre ad essere portabandiera delle innovazioni linguistiche, lo Zingarelli si propone anche come paladino difensore dell'italiano a rischio estinzione, continuando la campagna "Salviamo l'italiano della memoria" come l'ha definita il linguista Massimo Arcangeli, coordinatore dell'Osservatorio di Zanichelli sulla lingua italiana. E a conti fatti le parole da salvare sono più delle new entry: sono state identificate come "a rischio" ben 2900 voci di cui, purtroppo, si sta perdendo l'uso. Tra queste: ginepraio, aulico, scherno, uopo, zelo. Si tratta di parole necessarie per ricordare il passato e nello stesso tempo per scrivere il futuro, parole ricche di sfumature, affascinanti ma che vengono correntemente sostituite da sinonimi più comuni.

    Eppure, un destino cupo non può non essere definito "nefasto" Che cosa ruberanno i banditi d'ogni thriller che si rispetti se non "il malloppo"? Peccato anche che la polizia non potrà più "sgominare" queste bande. Allo stesso modo, che mondo sarà senza un capo "carismatico" e un eroe "intrepido"? Insomma, per parlare bene e fare memoria dei tesori della nostra lingua, val sempre la pena dare un'occhiata al vocabolario. E poi lo Zingarelli, che quest'anno festeggia i 150 anni dalla nascita del suo autore, Nicola Zingarelli (31 agosto 1860), è disponibile, oltre che nel tradizionale volumone con cofanetto, anche in dvd-rom, per iPhone, iPad, e iPod Touch.




    da Diario di bordo, isolafelice, TOMIVA57 -3 ottobre 2010
     
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  5. gheagabry
     
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    L'IMBUCATO




    Come rifl., con riferimento a persona, rintanarsi in luoghi angusti o remoti: non riesco a capire dove si sia imbucato; anche, entrare, infilarsi in un luogo per restarvi a lungo: S’imbuca ne’ caffè, nell’osterie (Giusti); in partic., introdursi in un locale senza pagare l’ingresso o partecipare a una festa e sim. senza essere stati invitati: erano arrivati nei dintorni del cinema ... lì avevano cominciato a fare la ronda, cercando d’imbucarsi (Pasolini); adesso ti dico dove andare, come imbucarsi al ricevimento giusto (Tiziano Scarpa).[enc. Treccani]


    ...nella storia...

    Gli imbucati alle feste esistevano già 1000 anni fa. E’ stato recentemente tradotto il libro di un religioso musulmano risalente al XI secolo, dedicato proprio all’argomento, il testo rinvenuto a Baghdad, ricostruisce l’immagine di un mondo islamico tutt’altro che austero. Alcol, cibo, flirt, risate e divertimenti vari trovavano posto nelle serate dell’Iraq medioevale. L’autore, al-Khatib al-Baghdadi, raccoglie anedotti, storie e consigli sulle feste dell’epoca, dalle barzellette da raccontare agli scherzi da fare, persino a cosa mangiare. Per esempio, troppo pane era sconsigliato: riempiva la pancia e non permetteva di aprofittare dei cibi più prelibati. E perchi si intrufolava senza essere invitato forniva alcune scuse da sfoderare nel caso fosse scoperto. Alla domanda “chi sei tu?” posta dal padrone di casa, si suggeriva di rispondere sfacciatamente “quello che ti ha risparmiato la fatica di inviare un invito”


    Identikit dell’imbucato ovvero l’arte dell’imbuco

    Possiamo distinguere la categoria in due specie: l’imbucato convinto e l’imbucato colpevole.

    Il primo si caratterizza per il fatto che mentalmente sa di imbucarsi ma non si sente imbucato. Per l’imbucato convinto essere a quel determinato evento non è una priorità personale, ma è un favore che fa agli altri omaggiandoli della sua presenza. Si tratta di un chiaro sintomo di deformazione mentale ... Il secondo invece è consapevole di essere imbucato, lo sa bene tutto il suo corpo, dalla punta dei piedi fino ai capelli che vengono tirati all’indietro, o attorcigliati all’orecchio, da mano fremente e nervosa.
    L’imbucato convinto è molto spavaldo, guai se all’ingresso provano a chiedergli l’invito. E’ il tipo che utilizza la frase: ma lei non sa chi sono io! E’ sempre in prima fila, cerca di entrare tra i primi ed al buffet fa piazza pulita. Il suo abbigliamento è trasandato, sarebbe rischioso essere eleganti quindi osservati. Lui lo sa benissimo: meno si da nell’occhio meglio è. Indossa jeans o pantalone scuro (col buio si mimetizza meglio), giacca pendant. Vorace nel cibo quanto spugna nel bere. Poi a lui dell’evento non gli importa un bel fico secco. Atto finale fa mambassa di omaggi. Non uno, ma furbamente riesce, non so come, ad eludere i severi controlli.
    L’imbucato colpevole invece all’inizio è meno mitomane, fa quasi compassione. Si posiziona ai lati dell’ingresso ed attende con aria spazientita, che passi qualcuno di conoscenza per accodarsi. Lo riconosci dall’abbigliamento che solitamente consiste in jeans camicia bianca e giacca blu. Capello medio-lungo all’indietro, età dai 30 ai 45, single,ma la sua peculiarità è il telefonino in mano o all’orecchio. Sembra che abbia da parlare di questioni importantissime, il governo si regge quasi sui suoi assensi! Una volta che è dentro termina la sua timidezza e diventa anche lui spavaldo. Prima azione: postare su facebook una foto dell’evento, tutti devono sapere che lui c’è. Come se tutti i suoi amici di facebook non sapessero che lui è imbucato!

    L’imbucato convinto invece non lo fai mai, ha altre cose a cui pensare, oltretutto meglio non fare sapere niente a nessuno altrimenti possono farti domande imbarazzanti. Invece per il colpevole l’importante è l’apparenza. Popolo io sono dentro e voi no! Si aggira con aria annoiata e se qualcuno lo ferma per salutarlo e gli chiede “anche tu qui?”, lui sospirando risponde “che noia, non volevo neanche venire, ma alla fine ho pensato di fare un salto, non c’è mai niente da fare in questa città”.

    All’imbucato colpevole, poiché lui fa e si sente figo, del cadeau non importa all’apparenza, anzi se gli dici “hai visto che carino l’omaggio”, lui ti guarda dall’alto in basso e le sue risposte sono di due tipi “ho la casa piena e non so che farne” oppure “a me all’altro evento ne hanno dato uno migliore”. Poi però lo vedi a fine serata che si avvicina alle hostess, con fare da “lumacone” e cerca di “intortare”, fare inutili complimenti per avere anche lui ciò che prima ha bistrattato falsamente.

    L’evento termina. L’imbucato convinto rientra a casa, la sua giornata è terminata ed è più che soddisfatto. Quello colpevole solitamente si dirige in un locale alla page per raccontare di essere stato ad un evento super esclusivo e che gli inviti erano davvero ristretti…ma lui c’era!
    (Creato il 22 ottobre 2012 da Glieventidelmarchese, http://it.paperblog.com/)

     
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  6. gheagabry
     
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    LE PAROLE...

    "Il caldo scema le forze di agire, e nel tempo stesso ne ispira ed infiamma il desiderio,
    rende suscettibilissimi della noia, intolleranti dell'uniformità della vita,
    vaghi di novità, malcontenti di se stessi e del presente"
    (Giacomo Leopardi)


    CANICOLA


    Il termine canicola deriva dal latino Canicula ("piccolo cane"), ed era utilizzato per indicare Sirio, la stella più luminosa della costellazione del Cane Maggiore nonché del firmamento, dopo il Sole, che dal 24 Luglio al 26 agosto sorge e tramonta pressoché con il Sole. Sirio, trae le origini dal termine greco seirus che significa “che fa appassire” o “che fa inaridire, ciò evidenzia il periodo molto caldo, i cosi detti “Giorni del Cane”, la levata eliaca di Sirio, che sorge all’alba insieme al Sole.

    Nella versione della mitologia greca il Cane Maggiore sarebbe, Lepalo, il cane di Procri, figlia del re ateniese Eretteo. Lepalo era così veloce che nessuna preda poteva sfuggirgli. A Procri era stato donato da Minosse, re di Creta, che nei confronti della fanciulla nutriva tenere speranze. Minosse lo ereditò dalla madre Europa, che a sua volta lo ebbe in dono da Zeus, innamoratosi di lei. Sirio è diventata la "stella del cane", perché secondo la tradizione greca rappresenta uno dei due cani che accompagnavano il gigante Orione nelle sue battute di caccia.
    Nell’antico Egitto, Sirio, identificava Iside, dea della maternità e della fertilità, la stella rivestiva un ruolo ancor più importante e vitale. Si pensava infatti che fosse proprio la levata eliaca di questa stella il fattore scatenante delle piene del Nilo, evento che gli egiziani attendevano con grande favore, poiché le sue esondazioni andavano a fertilizzare i terreni irrorati, permettendo quindi il sostentamento della popolazione.
    Nel medioevo la "Canicola" iniziava il 25 luglio, in cui cadeva la festa di San Cristoforo e terminava il 24 agosto. Questo periodo dell’anno aveva una particolare attrazione simbolica nella cultura popolare, un esempio è il fatto che vi cadeva la festa di San Guinefort, il santo cane.
    Il forte simbolismo di questo periodo era derivato da varie credenze: si pensava per esempio che la presenza di Sirio nel cielo fosse la causa della calura, sommandosi il suo calore a quello del sole; aveva risvolti malefici per il "surriscaldamento del sangue" che facilitava le malattie, in realtà causate dall’aumento delle zanzare malariche.
    Il caldo canicolare influenzava, sempre secondo le credenze medievali, anche la riuscita di alcune ricette tecniche, per cui era il periodo propizio per procurasi alcuni ingredienti e lavorarli adeguatamente per ottenere particolari sostanze.

    A F A



    Da un punto di vista etimologico, afa è, per lo più, considerata una voce di origine espressiva, onoma-
    topeica.
    Esistono due ipotesi molto complicate. Secondo qualcuno potrebbe venire da un latino tardo (e regionale) "hapha", che deriverebbe dal greco "apto" che significa "afferra". In questo caso starebbe a indicare la polvere gialla di cui di cui si cospargevano i lottatori dopo essersi unti per potersi afferrare nella lotta. Sicché per una via un po' contorta il termine sarebbe diventato "polverio" e quindi "aria irrespirabile" a catena. Secondo altri la nostra afa verrebbe sempre dal latino regionale "apha", il quale invece deriverebbe dal greco "aphe", con il significato di "accendere" e dunque, per successiva deduzione, starebbe per una sorta di "aria accesa". Accanto al significato proprio se ne sono sviluppati altri due, entrambi oggi disusati: un primo estensivo "affanno prodotto dall'aria opprimente", (già riportato nella prima impressione del Vocabolario degli accademici della Crusca, 1612, dove, alla voce affanno, si legge: "afa è un certo affanno, che, per gravezza d'aria, e soverchio caldo, pare che renda difficile la respirazione"), e da questo un secondo, figurato, "noia, tedio, oppressione dell'anima", oggi ancora vivo in Toscana nell'espressione, di registro familiare, fare afa "dare fastidio, noia" della quale, il Tommaseo, nel suo Dizionario della lingua italiana (1865), offre il seguente, interessante, esempio proverbiale: "Gli fanno afa i beccafichi, A chi fastidisce eziandio le cose più squisite, A chi pretende d'esser molto dilicato in qualsivoglia genere di cose. In questo senso anche si dice: Gli puzzano i fior di melarancia"

    Quando l'aria calda è soffocante, produce un forte senso di oppressione parliamo di afa, in alternativa vi sono una serie di termini più o meno equivalenti, ciascuno con una sua propria sfumatura: bollore, caldo, calore, cociore (di uso antico) e vampa. Numerosi sono anche i sinonimi regionali di afa, fra i quali spiccano, nell'area centro-meridionale, il pistoiese mafa, il romano e laziale bafa (usato anche dal Belli nel sonetto 868, Er callo: "Uff! che bafa d'inferno! che callaccia!"), il toscano bafore, prodotto dall'incrocio di bafa con vapore, e il napoletano bafogna, probabilmente generato dall'incrocio di bafa con il sostantivo latino favonius, che designa un vento caldo tipico del Sud.
     
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    Da Rita Testa

    "L'atto di saltare la scuola per uscire con gli amici o per evitare un compito in classe è detto in italiano “marinare la scuola”: un’espressione già di per sé curiosa, perchè rimanda alla marinatura, una pratica utilizzata in cucina. La marinatura viene effettuata su carni, pesce e verdure con olio, aceto e spezie, in modo da renderli più morbidi e saporiti: letteralmente può essere intesa come un sistema di conservazione o di cottura, visto che un tempo veniva utilizzata a questo scopo. In questo senso, marinare la scuola può significare “rimandarla a dopo, conservarla”

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    Il paziente



    Il termine deriva dal verbo latino patire, che significa soffrire, sopportare. Un paziente è quindi una persona che soffre, ma anche che ha pazienza. Infatti, da patire deriva anche la parola pazienza.


    Il termine paziente si è conservato simile in moltissime lingue. In inglese (patient), francese (patient), tedesco (Patient), olandese (patiënt) e danese (patient) la parola è sostanzialmente identica. Mentre in spagnolo e portoghese si dice paciente. Altre lingue usano termini comunque molto simili a questi: pacient (ceco), pacjent (polacco).

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    "Non a tutti è dato cantare, non a tutti è dato cadere
    come una mela ai piedi degli altri.
    È questa la confessione più grande
    che possa mai farvi un teppista."
    (Caparezza)


    TEPPISTA

    teppa


    L'etimologia della parola teppista risale alla voce dialettale ottocentesca milanese tèpa (italianizzata in teppa) che indicava il tappeto erboso, misto a pietre ed a muschio, che cresceva sul terreno attorno al castello Sforzesco di Milano.

    Il termine deriva dalla "Compagnia della teppa", una banda di giovani milanesi, dediti a vandalismo, prepotenze, bravate e bagordi. Tale gruppo, così popolarmente denominato in quanto si radunava abitualmente sui prati adiacenti Piazza Castello, ricoperti di muschio (il dialetto milanese tèpa), si formò nel 1817 e fu bloccato dalla polizia nel 1821.

    La parola teppismo inizia ad essere associata alla violenza negli sport, in particolare dagli anni '70 nel Regno Unito al teppismo calcistico. Il fenomeno, tuttavia, ha preceduto di molto il termine moderno; ad esempio, uno dei primi casi conosciuti di violenza della folla durante un evento sportivo ebbe luogo nell'antica Costantinopoli. Due fazioni di corse di carri, i Blues e i Greens, furono coinvolte nelle rivolte di Nika che durarono circa una settimana nel 532 d.C.; quasi metà della città fu bruciata o distrutta, oltre a decine di migliaia di morti.

    LA-COMPAGNIA-DELLA-TEPPA



    In epoca di dominazione austriaca a Milano si aggirava una banda conosciuta come la "Compagnia della Teppa". Tale banda era composta da giovani che organizzavano scherzi ai danni degli austriaci.

    La Teppa nacque nel 1817 e aveva per quartier generale Villa Simonetta, ancora esistente in via Stilicone 36, famosa per l’eco che produceva. Era celebre per le cene e per le feste che finivano in danze e in orgie, con tutto il gran casino che si può ben immaginare venisse dalla villa grazie all’eco, e venivano etichettati come “balabiott” ovvero quelli “che ballano nudi” (che in senso esteso indica il comportarsi come degli scemi).
    L’attività distintiva della Compagnia della Teppa era bastonare i mariti. Spesso mariti ben più anziani delle giovani mogli. Quando un membro della Teppa metteva gli occhi sulla moglie di qualcuno e quella sembrava interessata, preparavano un agguato al marito di notte, lo bastonavano di buona lena e quando quello tornava a casa la moglie non c’era. Poteva fare due più due e tenersi le corna senza rompere le scatole o altre bastonate sarebbero piovute, come la prima lezione serviva a insegnare.
    Ovviamente non sempre i bastonati rimanevano quieti. Molte volte tornavano alla carica, con gli amici, e spedivano a casa con la gobba frollata i membri della Teppa. La popolazione di Milano in generale non era meno agguerrita della Teppa, solo meno organizzata in squadracce di bastonatori. Il bastone da passeggio della Milano dell’epoca non era solo un elemento del vestiario, era pensato prima di tutto come arma.
    I membri della Teppa non si limitavano a rapire ai mariti le mogli più o meno consenzienti, ma comunque molto ben disposte a farsi rapire: qualche volta facevano anche qualcosa di "utile". La Teppa sfruttava le squadracce armate di bastoni anche per fare giustizia… sommaria, ovviamente. Una giustizia biblica: a chi faceva il male e la Legge non poteva raggiungerlo, erano le bastonate a colpirlo. Tra questi giovinastri amanti della baldoria, del fracasso, della rissa e della derisione dell’aristocrazia, su cui si preoccupavano di far girare ogni informazione scandalosa scoperta, spiccava Mauro Bichinkommer, un falsificatore professionista di origine svizzera tedesca. Era capace di imitare ogni firma e realizzare identico all’originale ogni documento.


    Il loro capo, Ciano, che però era conosciuto ai più come Barone Bontemp, decise di organizzare uno scherzo ai danni delle ragazze milanesi che erano accusate dalla banda di essere un po’ troppo svenevoli nei confronti delle truppe austriache. Barone Bontemp decise di pagare un gran numero di storpi, nani e deformi promettendo loro una cena che si sarebbe conclusa con tante donne compiacenti. Contemporaneamente la banda raccolse varie fanciulle della Milano ‘bene’ dicendo loro che le avrebbero portate a una cena elegante. La cena si svolse proprio a Villa Simonetta. In questo luogo la banda della Teppa aveva preparato tavoli imbanditi a cui furono fatte accomodare le ragazze. Ad un segnale convenuto furono fatti entrare ‘i signori’, abbigliati con vestiti di gala recuperati nelle sartorie della città.

    A quel punto la scena divenne folle: le giovani ragazze erano rincorse da nani e storpi, capitanati dal Gasgiott, ai tempi il nano più famoso di Milano. Lo scherzo volse al peggio nel momento in cui proprio Gasgiott estrasse un coltello e iniziò a menare fendenti. La serata si concluse con qualche ferito lieve e le ragazze salve. Tra di loro però c’era la figlia di un nobile amico del vicerè austriaco che fu quindi chiamato a prendere provvedimenti. Molti giovani furono esiliati in Svizzera o arruolati a forza.

    Corrado D'Errico diresse un film del 1941 da titolo "La compagnia della teppa"


    teppa2

     
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