CHEF e CIBI nella STORIA

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  1. gheagabry1
     
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    La pastasciutta antifascista



    Il 25 luglio del 1943, a seguito della riunione del Gran Consiglio del Fascismo, Mussolini viene destituito e arrestato. Dopo 21 anni terminava il governo del Partito Fascista. Il Re designò il Maresciallo dell’esercito Pietro Badoglio come nuovo capo del governo.

    Nonostante la caduta del Fascismo, la guerra continuava a fianco dei tedeschi: nei giorni successivi l’arresto vi furono numerose sollevazioni popolari.

    Era comunque un evento da festeggiare e i fratelli Cervi si procurarono la farina, presero a credito burro e formaggio dal caseificio e prepararono chili e chili di pasta (380 chili di pasta al burro). Caricarono il carro e la portarono in piazza a Campegine pronti a distribuirla alla gente del paese. Fu una festa in piena regola, un giorno di gioia in mezzo alle preoccupazioni per la guerra ancora in corso: anche un ragazzo con indosso una camicia nera (forse era l’ultima rimasta?) fu invitato da Aldo a unirsi e a mangiare il suo piatto di pasta.

    Un giorno di straordinaria generosità che ha dato vita alla pastasciutta antifascista, un piatto simbolo da non dimenticare mai per il suo valore intrinseco. Infatti, il Duce preferiva una dieta sana a base di cereali, il riso aveva spodestato la pasta, praticamente bandita - così come si evince anche da “Il Manifesto della cucina futurista” di Tommaso Marinetti - “A differenza del pane e del riso, la pastasciutta è un alimento che si ingozza, non si mastica. Questo alimento amidaceo viene in gran parte digerito in bocca dalla saliva e il lavoro di trasformazione è disimpegnato dal pancreas e dal fegato (…). Ne derivano: fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo”.

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    “Il rapporto tra il fascismo e la pastasciutta era stato conflittuale ancor prima della Marcia su Roma – spiega il docente –. Lo stesso Mussolini, romagnolo di nascita, probabilmente era poco avvezzo al consumo di pasta, come quasi tutti gli italiani – esclusi i napoletani e i siciliani – fino alla prima guerra mondiale. Proprio nel primo dopoguerra, però, mentre il fascismo inizia la sua lenta ma inesorabile conquista del potere, gli italiani scoprono la pasta e se ne innamorano. La scoprono in America, dove le varie comunità italiane, così distanti nella madrepatria, si mescolano e creano una cultura nazionale che in Italia ancora non esiste. La pasta, in qualche modo, ne diventa il simbolo, e automaticamente viene associata al sogno americano”.

    Tutto questo spiega in buona misura l’ostilità del regime fascista che negli anni Venti considerava la pasta una sorta di moda americana di importazione, lontana dal ruralismo alla base dell’ideologia di regime. L’ostilità si fece via via più concreta soprattutto dopo il 1925, aggiunge Grandi, quando venne lanciata la famosa “Battaglia del grano”, che aveva lo scopo di far raggiungere all’Italia l’autosufficienza cerealicola. La pasta era un problema da questo punto di vista, dato che il grano duro per produrla è sempre stato coltivato in quantità insufficiente nel nostro Paese. Quindi meno pasta mangiavano gli italiani e meno grano duro si doveva importare.
    (DANIELE SOFFIATI -25/07/2022)


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