GENESIS - Copertine dischi in vinile

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    TRESPASS.
    Il disco esce il 22 Ottobre del 1970, presentato da una copertina con riferimenti mistico-religiosi, permeata da un colore azzurrino, e con un coltello che sembra " stracciare " una tela. Il coltello diventerà ben presto il simbolo del disco, anche perchè facilmente associabile al brano più significativo.
    Trespass è composto da sei capolavori.
    Ed è ingiusto stilare una classifica di merito o di bellezza: tempo fa avrei indicato in Looking For Someone la traccia meno incisiva, ma no, in un capolavoro del genere non si possono fare distinzioni.
    Già il grido di battaglia di Gabriel che declama il titolo stesso del brano varrebbe l'acquisto dell'intero album. Ma tutti, TUTTI i musicisti fanno un figurone nel pezzo, stradominato da un'atmosfera pomposa e spettacolare, che proietta verso mondi fantastici. Il finale? Forse poteva essere fatto con più cura, però non stiamo troppo a sottilizzare...
    White Mountain è una bellissima favola, anche se cruenta e immaginifica. A molti questo brano provoca peplessità, perchè giudicato piatto. In realtà è molto fine, molto ben fatto, e con intermezzi strumentali da brivido ( due interventi al flauto di Peter, e tappeto di tastiere magnetico ad inizio e fine pezzo ). Fantastico. Persino una grande interprete di casa nostra, cioè Ornella Vanoni, ha voluto interpretarlo e personalizzarlo in una riuscitissima versione, con testo di Claudio Rocchi.
    La genesi di Visions Of Angels si perde lontano nel tempo, fino al 1968. Creatura di Ant Phillips, è una incantevole canzone, caratterizzata da un tappeto di pianoforte su cui si intrecciano delicate chitarre, completate da dei ritornelli che hanno anche suscitato qualche critica, ritenendoli troppo " caricati ". E' una canzone lineare, sincera, che avrebbe funzionato anche come singolo, e che forse avrebbe permesso a Trespass di vendere diverse copie in più.
    Stagnation è uno dei master del prog. E' anticipatore del carillion, caratterizzato pure dallo stesso contrasto tra momenti calmi e più elettrici.Stagnation è anche tecnica purissina insieme a limpidezza del suono. E il merito in questo caso va alla coppia Phillips/Rutherford. Scarno invece il contributo di Gabriel, anche se il testo lo canta con la solita elasticità e la solita intensità. Nove minuti di grandiosa musica.
    Bello ed etereo, invece, Dusk. Il brano presenta solo parti acustiche, ma non perde un briciolo di fascino, ulteriormente impreziosito da delicate fasi di flauto. Il testo ha qualche richiamo al disco precedente, From Genesis To Revelation.
    The Knife, invece...beh, The Knife è The Knife!



    Pezzo di un'intensità veramente pazzesca, caratterizzato da tre parti diversissime e magicamente legate tra loro. Tony sembra spaccare tutto quando inzia il pezzo con il caratteristico giro di organo. Mayhew tiene magistralmente il ritmo, e Gabriel declama uno dei testi più cruenti che orecchio umano progressivo, e anche non progressivo, abbia mai udito! :shock: Un vero e proprio grido di battaglia, che ha dato luogo a diverse interpretazioni, molte errate, sul significato metaforico, e comunque sociale e politico. Già, la metafora, un termine che ritornerà spesso nei Genesis!
    La parte centrale è incredibile.
    Prima una stupenda combinazione di basso pulsante, tappeto di organo e poesia in flauto, poi un casino totale, pieno di voci, di scariche di chitarra e basso, di declamazioni di guerra, di incitamenti ad ottenere la libertà, e infine di strilli. Molti hanno accusato il gruppo, relativamente a questa fase, di presunzione ed eccessiva ambizione. Risultato per noi fans? Messaggio non ricevuto! ;)
    La tecnica, invece, la fa da padrone nell'ultima parte, sia con la coppia Banks/Mayhew, che procede alla grande e all'unisono, sia con un pregevole assolo di Ant, che dimostra al mondo che anche lui sa suonare la solista.

    Trespass vende pochino, è vero. Ma chissenefrega. L'importante è che i gagliardi tizi abbiano lasciato ai posteri una roba così. E' molto, molto difficile fare un disco più bello di questo.
    Voto 10 e lode..(Dal Web)


    Edited by loveoverall - 13/6/2013, 00:07
     
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    GENESIS: Nursery Cryme.
    Nursery Cryme è un album dei Genesis pubblicato nel 1971. È il terzo lavoro dei Genesis nonché primo inciso dalla formazione storica, con Phil Collins alla batteria e Steve Hackett alle chitarre, che resterà immutata fino all'abbandono da parte di Peter Gabriel nel 1975.
    Il titolo allude alle nursery rhymes, le filastrocche per bambini diffuse nella cultura anglosassone, e gioca con l'assonanza di rhyme (rima) con crime (crimine), da cui la particolare grafia di cryme. Il riferimento è soprattutto al brano di apertura The Musical Box, che narra di un bimbo "decapitato con grazia" da una coetanea mentre i due giocano a croquet.
    La poetica dei contrasti già introdotta in Trespass (con la copertina in stile primo '900 sfregiata da un coltello, e musicalmente con l'accostamento di temi acustici e pastorali ad altri più marcatamente rock) prosegue in quest'album a partire proprio da questo brano, il cui testo accosta il candore del mondo infantile (rappresentato appunto da filastrocche, come Old King Cole) al macabro e al sesso, incarnati nella figura del piccolo protagonista, tornato dall'aldilà sotto forma di un vecchio lascivo, che cercherà invano di soddisfare le pulsioni carnali di una vita intera proprio sulla piccola compagna che l'aveva ucciso.
    Benché incisa dalla nuova formazione, The Musical Box era stata composta per una buona parte dal precedente chitarrista, Anthony Phillips; nel suo album Archive Collection Volume One è possibile ascoltarne una versione embrionale, intitolata F Sharp. Il brano, per il suo climax e per l'interpretazione di Gabriel sul palco, rimarrà un caposaldo dei concerti dei Genesis sino all'abbandono del cantante nel 1975.
    For Absent Friends è un breve quadretto acustico il cui testo raffigura due vedove che rimpiangono i giorni con i loro mariti; è al contempo il primo brano cantato da Phil Collins e la prima composizione di Steve Hackett nella storia dei Genesis.
    The Return of the Giant Hogweed è un altro lungo brano che lascia largo spazio alla perizia dei musicisti. È ritenuto assieme a The Musical Box uno dei primissimi esempi dell'uso, nel rock, della tecnica esecutiva detta tapping, qui inaugurata da Steve Hackett e sviluppata ampiamente da vari chitarristi in anni seguenti. Il testo è la storia surreale di una pianta erbacea che, introdotta in Inghilterra da esploratori vittoriani, si propaga a dismisura fino ad ordire "un assalto, minacciando la razza umana". La storia trae spunto da una specie botanica realmente esistente, l'Heracleum Mantegazzianum (il testo cita persino la nomenclatura in latino), pianta dagli effetti urticanti sull'uomo che ancora oggi va diffondendosi nell'Europa continentale e costituisce realmente una minaccia per la biodiversità, specialmente in Inghilterra.
    Il lato B si apre con Seven Stones, brano melodicamente complesso con arrangiamenti e produzione molto vicini ai King Crimson più sinfonici di In the Wake of Poseidon (in particolare per l'uso del Mellotron) e dal testo in stile narrativo sull'influsso del caso nell'esistenza umana.
    A seguire, Harold the Barrel: sorta di mini-operetta comica in tre minuti, con temi musicali ripartiti tra i vari personaggi, racconta di "un noto ristoratore di Bognor" braccato da polizia, stampa e "opinione pubblica" poiché "si è tagliato le dita dei piedi e le ha servite per il tè". Tra flash di inviati della TV e invettive moralistiche del sindaco della città e dell'uomo della strada, il protagonista finisce sul cornicione di un palazzo minacciando il suicidio; sua madre, dalla finestra accanto, lo rimprovera: "hai la camicia tutta sporca, e qui c'è un tipo della BBC", frecciata satirica all'ossessione degli inglesi per l'apparenza, anche in circostanze tragiche. Musicalmente, il brano ha probabilmente - nel repertorio dei Genesis - il primato di racchiudere il maggior numero di temi diversi nel minor tempo totale: un livello di sintesi che avrà pochi riscontri nello stile dei Genesis futuri.
    L'album prosegue con Harlequin, altro interludio acustico dal testo impressionistico, e si chiude con la lunga The Fountain of Salmacis, nuova narrazione "epica" in chiave rock: stavolta del mito Ovidiano di Ermafrodito e Salmace.



    La copertina
    Autore della copertina è il disegnatore Paul Whitehead che per i Genesis aveva già realizzato Trespass l'anno prima. Soggetto principale dell'illustrazione è la bambina di The Musical Box che sorridendo brandisce la mazza da croquet con la quale ha già decapitato diversi bimbi, le cui teste giacciono sparse attorno a lei; alle sue spalle, una bambinaia accorre su strani pattini a rotelle ed un frustino in mano. Il resto della scena raccoglie riferimenti ad altri brani dell'album: sul retro compaiono il già citato Heracleum Mantegazzianum, una statua di Afrodite (madre di Ermafrodito in The Fountain of Salmacis), l'albero ed il vecchio citati in Seven Stones (il vecchio gioca anche lui a croquet con una testa di bimbo), in lontanza sullo sfondo: le due vedove e il parroco di For Absent Friends e, in bilico su un cornicione, Harold The Barrel. Lo stile a pastello è intenzionalmente antiquato, con finte crepe nel colore e buffi errori prospettici e di proporzione; l'autore si firma in un angolo, aggiungendo ironicamente al suo nome un copyright retrodatato di un secolo ("© 1871").
    Il soggetto della bambina sul campo da croquet verrà ripreso da Whitehead l'anno seguente, in miniatura, anche sulla copertina di Foxtrot, in cui il testo di Willow Farm dal brano Supper's Ready cita proprio The Musical Box. (Wikipedia)
     
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    GENESIS: Selling England By The Pound.
    Quello che viene considerato dalla maggioranza relativa (me compreso) degli appassionati il miglior disco dei Genesis, consta di otto brani. Uno di essi è un breve e infelice riempitivo, si intitola “More Fool Me” ed è cantato dal batterista Phil Collins, data la rinuncia del frontman Peter Gabriel a interpretarlo visto che lo detestava. La musica è flebile, un grumo di accordi di chitarra 12 corde suonata dall’autore Michael Rutheford, una debole melodia ed un banale testo d’amore, interpretato “di testa” da Collins, in una velleitaria ricerca di dolcezza e romanticismo: inutile.

    Altro riempitivo è lo strumentale “After The Ordeal”, questo però più che dignitoso: si divide in due parti, il primo è un intreccio tardo romantico fra pianoforte e chitarra 12 corde, brillante ma didascalico, che si risolve in un tema condotto dal chitarrista Steve Hackett sulla sua Les Paul iperdistorta, con quel suono dal sostegno infinito mutuato dal maestro Fripp dei King Crimson, però più dolce e rotondo, che diverrà uno dei suoi marchi di fabbrica. Stavolta è il tastierista Tony Banks a detestare il brano, pur suonandovi attivamente.

    Vi è poi un episodio assai più ambizioso e abbondante, progettato bene ma finito maluccio, a colpi di rivalità fra i membri del gruppo: “The Battle Of Epping Forest” voleva/doveva essere un grande, ironico e brillante affresco descrittivo di una battaglia, fra nemici molto buffi e buontemponi. Il grande cantante Gabriel piscia però fuori del vaso, crogiolandosi troppo con la sua recitativa voce e guarnendo i quasi dodici minuti del pezzo di un testo chilometrico, che finisce per sovrapporsi anche a certi passaggi concepiti dai compagni per restare strumentali, con grande scorno soprattutto del tastierista: non male, ma un mezzo fallimento rispetto alle premesse.

    Il brevissimo pezzo di chiusura “Isle Of Plenty” riprende melodie già presenti nell’album ed ha mera funzione di epilogo e commiato, nulla aggiungendo o togliendo a quanto lo precede.

    “I Know What I Like” è il singolo (abbastanza) trainante: bell’arrangiamento, con un ipnotico riff di Hackett al sitar elettrico, creativi giri di basso di Rutheford, ritornello ruffianetto e facile facile. In un contesto così progressive, ci sta proprio bene questa spruzzata di pop (ancor lontani i futuri abusi in proposito che il gruppo deciderà di perpetrare, una volta ridotto a trio).

    Le restanti tre composizioni sono tutte squisiti capolavori e rappresentano una cospicua fetta della torta Genesis, in bella mostra nel frigorifero storico della pasticceria progressive. La prima che si incontra apre spettacolarmente l’album ed è “Dancing With The Moonlight Knight”. La voce inestimabile di Gabriel intona a cappella i primi versi e crea da sola subito l’atmosfera, così incredibilmente adulta (Peter ha ancora 23 anni) e dolente. La melodia cambia continuamente, il supporto strumentale è ora delicato, ora fragoroso e ritmicamente spezzato, non si capisce dove si andrà a parare ma a quel punto risolve Collins: parte in shuffle terzinato a 190 battute al minuto, sparato, in maniera inaudita.

    Gli salta allora addosso Hackett che, aiutandosi anche colla mano destra sulla tastiera (tecnica “tapping”, con i suoi campioni Van Halen e Steve Vai ancora ben di là da venire), rovescia semicrome come se piovesse. Stacco di Collins ed arriva un gigantesco mellotron, la chitarra continua a furoreggiare anche sopra di esso, stavolta con note staccate e lancinanti: si gode di brutto, è l’acme del pezzo. Poi ritorna Gabriel per continuare la storia e portarla verso una nuova sezione strumentale, stavolta più singhiozzante, a botte e risposte di sintetizzatore e ancora chitarra solista, finché tutto si acquieta, per una (troppo) lunga coda eterea a sfumare. Un minutino di troppo forse, per una minisuite comunque sensazionale, innovativa, affascinante, dinamicissima.

    Una mirabile fughetta al pianoforte, che diverrà esercizio obbligato per legioni di praticanti di questo strumento, inaugura la monumentale “Firth Of Fifth”. Preludio difficilotto da eseguire anche per il suo autore: Banks lo sopprimerà ben presto nelle esibizioni dal vivo, dopo un rovinoso incespicamento occorsogli una sera. Quando entrano gli altri strumenti l’andamento diviene solenne e marcato, Gabriel vi declama a tutto andare il tipico testo medievaleggiante e glorioso dei Genesis di allora, inaugurando poi la sezione strumentale con il suo più celebre tema al flauto, contrappuntato dagli altri con competenza.

    Il pallino passa quindi all’ombroso ma geniale Tony Banks, che prima suona un pianoforte andante, incrociando le mani per creare arpeggi amplissimi, e poi esplode su furiosissimi tempi dispari un super arpeggio di sintetizzatore, a tutto volume, spalleggiato da una gran ritmica, impetuosa soprattutto in Collins. Sembra l’apoteosi e invece è solo l’introduzione al solo di Steve Hackett, giustamente fra i più celebrati di tutto il progressive.

    L’omino (allora) con baffi, pizzo e occhiali, nei precedenti dischi ultima ruota del carro Genesis, stampa qui l’assolo della vita: armato di Gibson, di doppio distorsore “dolce” in grado di prolungargli il suono all’infinito senza però inasprirlo, nonché di pedale del volume, Hackett parte dallo stesso tema eseguito al flauto da Gabriel tre minuti prima e lo sviluppa in completa gloria, vera e propria canzone dentro la canzone, con le note di chitarra che danzano sinuose e rotonde e poi lancinanti sul tappeto di mellotron, reso in certi punti tonitruante dalle bordate della pedaliera di bassi di Rutheford. Talmente bello questo assolo che, quando si smaterializza e ritorna la stessa parte cantata dell’inizio, adesso invece che solenne e gloriosa essa sembra farraginosa e opaca, fino a risolversi e terminare di nuovo col solo pianoforte: meraviglia.

    Basterebbe questo, invece c’è ancor di meglio: “The Cinema Show” illude con una prima parte quieta e romantica, disegnata dagli arpeggi della 12 corde e dalla delicatezza degli interventi di tutti gli altri. Gabriel narra di questa coppia (Romeo e Giulietta…) che parla di andarsene al cinema ma forse progetta un incontro sessuale e quando ha finito di cantare parte anche un assolino di chitarra, un poco dimesso. Ma l’hanno fatto apposta perché un’improvvisa pennatona di Rutheford sulla 12 corde determina il cambio di ritmo, di atmosfera, di tutto.

    Parte il Cinema Show, o meglio il sesso fra i due protagonisti ed è una magnifica cavalcata in sette ottavi, eseguita in trio senza Gabriel e senza Hackett. Banks, Collins e Rutheford (in pratica i futuri Genesis degli anni ottanta e novanta…) si scatenano: Rutheford è alla 12 corde ritmica, poi passerà al basso; il batterista viaggia pulito, tecnico e creativo nelle compatte sincopi del tempo dispari; Banks volteggia con quello che oggi potrebbe essere considerato un giocattolo: un sintetizzatore ARP presettato, con poche decine di suoni fissi e immutabili. Il tastierista ne usa cinque o sei, spalleggiandoli con l’organo Hammond od il mellotron, alternando veloci scale ad accordi potenti e chiesastici. I fuochi d’artificio durano quasi cinque minuti e rappresentano a mio giudizio il meglio del meglio di questo gruppo, almeno dal punto di vista strumentale.

    Ho sperimentato più volte, con immenso piacere, l’effetto che il primo ascolto di quest'album può creare ad un quindicenne a digiuno di buona musica. Non capita a tutti, certamente, ma vedere ogni tanto una giovine mandibola bloccarsi e gli occhi farsi vitrei, come davanti ad un nuovo mondo che si sta dischiudendo, è sempre consolante. Uno su mille ce la fa.
    (storiadellamusica.it / Recensione: Pier Paolo Farina)


    Curiosità sulla Copertina

    In occasione di una mostra londinese della pittrice inglese Betty Swanwick (1915-1989), il leader dei Genesis, Peter Gabriel, rimase incuriosito da un suo quadro dal titolo “The Dream” al quale si ispirò per comporre il testo di “I Know What I Like”. Pensò bene in seguito di chiedere all’artista di utilizzare l’opera per il loro nuovo album dal titolo “Selling England By The Pound”. Inizialmente Swanwick non si presentò particolarmente entusiasta della proposta di prestare una sua opera per la copertina di un gruppo rock, ma quando conobbe la loro musica rimase estasiata che accettò, non solo di prestare la sua opera, ma anche di aggiungere all’immagine originale un tosaerba di fine ‘800 che richiamava un verso della canzone (...io sono solo una falciatrice / mi riconosci da come cammino), presumibilmente dedicata a Jacib Finster, il roadie di quel periodo, noto ai componenti del gruppo per i suoi svariati lavori tra cui il tagliaerba. (dal web)
     
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2 replies since 12/6/2013, 22:29   1538 views
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