IL GIORNALE DELL'ISOLA FELICE ... ANNO 4° ... SETTIMANA 020 ...

LUNEDI' 13 MAGGIO - DOMENICA 19 MAGGIO 2013

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    BUONGIORNO GIORNO ... BUONA SETTIMANA ISOLA FELICE …


    Edizione Giornale Anno 4° SETTIMANA 020 (13 Maggio – 19
    Maggio 2013)





    BUONGIORNO GIORNO … BUONA SETTIMANA ISOLA FELICE …






    RIFLESSIONI


    ... VIOLENZA E CECITA’ …
    ... Forse mi ripeto ma davvero questo nostro mondo stento a capirlo. Il comune denominatore sul quale si basa la nostra civiltà è la violenza; la sola risorsa alla quale tutti fanno riferimento come unica soluzione. Anni fa erano i rottweiler che aggradivano le persone. Bastava un caso pubblicato e ogni giorno si susseguivano notizie di aggressioni di quel tipo di cane ovunque. Violenza! Ora sono iniziate le aggrassioni con il lancio di acido corrosivo a rivali o ex fidanzati o sposati. Da un caso di qualche giorno fa, ora non c’è giorno che questi episodi non si ripetono. A Milano giorni fa una persona ha iniziato a brandire un piccone ed ha scatenato la sua violenza repressa contro passanti ignari, uccidendone uno e ferendone gravemente due. Violenza! Una cosa però da ancor di più lo sconcerto e la dimensione del nostro mondo. In America, è notizia di questi giorni, è stato scoperto un uomo che insieme ai suoi due fratelli ha sequestrato tre o quattro ragazze al tempo minorenni e le ha tenute segregate per oltre dieci anni infliggendo loro ogni tipo di sevizie e di abuso. Sapete quale è la cosa che più mi fa rabbia, oltre al senso di orrore e delicata vicinanza per le ragazze? La cosa che mi fa rabbia è che la prigione nella quale erano segregate e vituperate quelle giovani ragazze è una villetta in mezzo a tante altre; al centro di un quartiere abitato con gente che in dieci anni non ha visto né sentito nulla! Violenza e cecità! Purtroppo siamo tutti troppo attenti al nostro destino alla nostra salvaguardia da non accorgerci di quanto accade intorno a noi. Forse se riuscissimo a rendere più bello ed accogliente il mondo intorno a noi, anche il nostro piccolo microcosmo sarebbe più bello e vivibile .... Buon Maggio a tutti e, come sempre, Buon risveglio amici miei …
    (Claudio)






    Aggressione a picconate a Milano paziente dimesso, un altro è grave.
    Ventenne ancora in condizioni critiche, ha già subito due interventi. La prognosi resta riservata. N.F.A., il cinquantenne tra le vittime dell'aggressione a picconate ieri a Milano, è stato dimesso stamani dall'ospedale Niguarda di Milano, dove era ricoverato nel Pronto Soccorso con una diagnosi di trauma cranico e facciale con diverse fratture. Dopo un periodo di osservazione, l'ospedale ha giudicato buone le sue condizionI e gli ha permesso di tornare a casa.

    Un secondo Paziente C.D. di 20 anni, è stato ieri sottoposto a due interventi di neurochirurgia per trattare le lesioni subite. Il giovane si trova ancora nel pronto soccorso dell'ospedale, le sue condizioni generali permangono gravi, e la situazione, secondo i medici, è ancora critica: la prognosi è riservata.(Ansa)




    CAREZZE AL RISVEGLIO


    ... POESIE E FIABE AL RISVEGLIO…
    ... L’esperimento fatto da più di un anno mi è piaciuto e credo sia piaciuto a molti. Per cui continuerò ad alleggerire questo mio spazio di riflessione utilizzando il metodo più antico del mondo, le fiabe e le poesia. Credo sia giusto provare a tornare alle vecchie care abitudini di questa mia “rubrica” cercando di regalare un sorriso ed una carezza a chi avrà la pazienza di leggere ciò che scrivo e propongo. Così da oggi inizieremo un viaggio nella poesia; da quelle dell’antichità a quelle più recenti. La poesia è sempre stato il modo con cui il cuore e l’anima hanno cercato di comunicare; la veste visibile delle emozioni. Credo quindi che ogni mattina leggere una poesia ed una favola, soprattutto in questo periodo estivo, sia una bella spinta per tutti ad iniziare con una carezza la giornata … Buon risveglio e buona giornata a tutti … .
    (Claudio)





    Le Poesie più belle di tutti I tempi

    Poesie di primavera

    Maggiolata

    Maggio risveglia i nidi,
    maggio risveglia i cuori;
    porta le ortiche e i fiori,
    i serpi e l'usignol.
    Schiamazzano i fanciulli
    in terra, e in ciel gli augelli;
    le donne han nei capelli
    rose, ne gli occhi il sol.
    Tra colli, prati e monti,
    di fior tutto è una trama:
    canta, germoglia ed ama
    l'acqua, la terra, il ciel.

    (GIOSUE' CARDUCCI)



    Favole Dal Web

    VIOLETTA

    C'era una volta un pover'uomo che si chiamava Nicolino e aveva tre figlie, Zinia, Rosina e Violetta, e l'ultima era tanto bella che se ne era innamorato Pierone, figlio del re.
    Ogni volta che passava dalla casina dove lavoravano le tre sorelle, levandosi il cappello diceva:
    "Buondì, buondì Violetta".
    E lei rispondeva: "Buondì figlio del re, io ne so più di te".
    Su queste parole le sue sorelle avevano molto da dire, e la sgridavano:
    "Sei una maleducata e farai arrabbiare il figlio del re, vedrai così ti farà!".
    Siccome a Violetta i loro rimproveri non facevano né caldo né freddo, Zinia e Rosina fecero la spia al loro babbo, dicendogli che era una screanzata presuntuosa e rispondeva senza rispetto al principe come se fosse un pari suo; prima o poi lui si sarebbe arrabbiato e allora l'avrebbe fatta pagare anche a quelle che non avevano colpa.
    Nicolino ci pensò bene e decise di mandare Violetta da una sua zia che si chiamava Cucirina, perché imparasse a lavorare. Ma il principe, che passando davanti a quella casina non vedeva più la sua preferita, per un po' di giorni andò un po' in qua e un po' in là rammaricandosi perché l'aveva persa di vista, e aprendo bene le orecchie sentì dire dov'era andata a stare. Allora andò a trovare quella zia e le disse:
    "Signora, tu sai chi sono io, e sai anche che posso comandare quello che mi pare, quindi dammi retta, fammi un piacere e sarai ricompensata".
    "Se è una cosa che posso", rispose la vecchia, "son pronta a obbedirti".
    E il principe: "Voglio solo questo: che tu mi faccia dare un bacio a Violetta, e poi chiedimi quello che ti pare".
    La vecchia rispose:
    "Per servirti ti reggerò il moccolo, ma non voglio che lei si accorga che ci siamo messi d'accordo e sparga la voce che faccio la ruffiana; perché tu possa avere questo piacere ti puoi nascondere nella mia camera che dà sull'orto, io manderò giù Violetta con qualche scusa, e a quel punto sono fatti tuoi, se con la canna e l'amo non ti riesce pescare non dare la colpa a me".
    Il principe la ringraziò del favore che gli faceva e s'infilò subito in quella stanza, e la vecchia, con la scusa che voleva tagliare un vestito, disse alla nipote:
    "O Violetta, se mi vuoi bene, vai giù a prendermi il metro".
    Ma Violetta, entrando in quella stanza per obbedire alla zia, si accorse del tranello, e afferrato il metro, agile come una gatta saltò fuori dalla camera, lasciando il principe rosso di rabbia e con un palmo di naso per la vergogna.
    La vecchia, che la vide arrivare così alla svelta, pensò che il principe non ce l'aveva fatta, e dopo un po' le disse:
    "Dovresti andare, cara nipote, nella stanza dell'orto a prendermi il rocchetto di filoforte su quel comodino".
    E Violetta, corse, prese il filo, e sgusciò come un'anguilla tra le mani di Pierone. Dopo un po' la zia tornò a dirle:
    "Violetta mia, se non mi prendi le forbici giù non posso fare più nulla".
    Violetta scese giù e subì il terzo assalto, ma come un cane preso dalla tagliola con tutte le sue forze diede uno strattone e scappò.
    Quando arrivò su con le forbici tagliò le orecchie alla zia, dicendole:
    "Questa è la ricompensa che meriti, e se non ti taglio anche il naso è perché tu possa sentire la puzza della tua reputazione, donnaccia imbrogliona e ruffianaccia, che mi volevi far disonorare!".
    E subito se ne tornò di corsa a casa sua, lasciando la zia a medicarsi le orecchie e il principe che a tutti quelli che incontrava diceva solo:
    "Lasciatemi stare, lasciatemi stare, lasciatemi stare".
    Ma ripassando davanti alla sua casina e vedendola dove era sempre stata, ricominciò la solita musica:
    "Buondì, buondì Violetta", disse Pierone, e lei subito:
    "Buondì figlio del re, io ne so più di te".
    Le sorelle, non potendo più sopportare questa spregiudicata, si misero d'accordo per levarla di mezzo. Avendo una finestra che dava sul giardino di un orco, pensarono di sistemarla per le feste da quella parte, così, dopo aver lasciato cadere una matassina di filo col quale lavoravano una tenda per la regina, cominciarono a dire:
    "Oh! povere noi, siamo rovinate e non possiamo finire il lavoro in tempo se Violetta, che essendo la più piccina è più leggera di noi, non si fa calare con una fune e per andare a riprendere il filo che abbiamo perduto!".
    Violetta, per non vederle così tristi, si offrì subito di andarci; così la legarono con una fune e la calarono dalla finestra, e poi, appena sentirono che era arrivata in fondo, mollarono la fune.
    Proprio in quel momento arrivava l'orco per dare un'occhiata al giardino, e siccome aveva preso umidità sentiva un gran dolore alla pancia: credendosi solo lasciò andare una scorreggia così esagerata, tanto forte e rumorosa, che Violetta, per la paura, strillò:
    "Oh, mamma mia, aiutami!".
    L'orco allora si girò, e appena vide la bella fanciulla proprio dove aveva lasciato partire la scorreggiona, si ricordò che uno studioso gli aveva rivelato che le cavalle di Spagna s'ingravidano col vento, e fu certo che il soffio del suo deretano avesse ingravidato un albero, e così ne era nata questa splendida creatura. E perciò, abbracciandola con grande tenerezza, le disse:
    "Figlia, figlia mia, parte di questo corpo, alito dello spirito mio, e chi me l'avrebbe mai detto che a causa del freddo che ho preso avrei generato te, bel fuoco d'amore?".
    Dicendo queste e altre parole tenere e zuccherose, la affidò a tre fate di sua fiducia, perché avessero cura di lei e la crescessero con quanto di meglio esisteva al mondo.
    sole

    Il principe che non vide più Violetta, e per quanto domandasse da una parte e dall'altra non riusciva a sapere nulla di cosa le poteva essere successo, ne pativa tanto che gli vennero le occhiaie, impallidì fino ad avere un pallore cadaverico, le labbra divennero esangui, quando mangiava non digeriva e quando andava a letto non dormiva. Ma continuando la sua indagine e promettendo ricompense, tanto disse e tanto fece che finalmente ebbe l'informazione che cercava.
    Allora convocò l'orco e gli chiese, siccome era malato, come si poteva ben vedere, il piacere di lasciagli trascorrere almeno un giorno e una notte nel suo giardino, gli bastava solo una stanza per vedere se lo faceva stare un po' meglio.
    L'orco, che era un suddito del re suo padre, non avrebbe mai potuto negargli un piacere così da nulla, e gli offrì, se una non bastava, tutte le sue stanze, e la sua stessa persona per servirlo. Il principe, dopo averlo ringraziato, si mise in una camera che per sua fortuna era proprio vicina a quella dell'orco, che dormiva insieme a Violetta che considerava sua figlia a tutti gli effetti.
    Quando venne la notte il principe si alzò, e trovò aperta la porta dell'orco, che, non avendo paura di nessuno, amava così godersi il fresco: allora entrò piano piano e accostandosi al letto dalla parte di Violetta, le diede due pizzichi. Lei si svegliò di soprassalto e cominciò a dire: "Babbo, babbo, quante pulci!". L'orco fece subito passare la figlia in un altro letto, e siccome il principe tornò a pizzicarla e Violetta gridò la stessa cosa, l'orco le fece cambiare il materasso, e poi le lenzuola, e questo traffico continuò per tutta la notte, fino alle prime luci del giorno. Appena nella casa si fece giorno e scorse la fanciulla sulla porta, Pierone le disse come al solito:
    "Buondì, buondì Violetta", e appena lei rispose come sempre: "Buondì figlio del re, io ne so più di te", il principe ribattè:
    "Babbo, babbo, quante pulci!".
    Appena sentì questa battuta, Violetta mangiò la foglia e, rendendosi conto che tutto il tormento della notte era stato uno scherzo del principe, andò a trovare le fate e raccontò il fatto.
    "Se è così," dissero le tre fate, "con il pirata saremo pirati, e briganti con il brigante; e se questo cane ti ha dato un morso, vediamo di levargli il pelo, lui te ne ha fatta una e noi gliene faremo anche due! E per questo, devi chiedere all'orco di procurarti un paio di pantofole tutte guarnite di campanelli, e poi torna qua e lascia fare a noi, che lo vogliamo ripagare come si merita!".
    Violetta, che voleva vendicarsi, si fece fare subito le pantofole dall'orco, tornò dalle fate, aspettarono che fosse buio, e poi andarono tutte e quattro insieme nella casa del principe, e senza essere viste sgattaiolarono in camera sua.
    Dopo poco arrivò Pierone, si mise a letto, e cominciò a chiudere gli occhi: in quel momento le fate fecero un gran parapiglia e Violetta si mise a battere i piedi, così che al rumore dei calcagni e al tintinnio fragoroso dei campanelli il principe si svegliò di soprassalto, gridando:
    "Mamma, mamma, aiuto!".
    E dopo aver ripetuto questo fracasso appena Pierone si assopiva altre due o tre volte se la svignarono tornando a casa loro.
    Il principe la mattina dopo bevette un bicchierone di succo di limone e semesanto, come rimedio per la paura, e poi andò a fare una passeggiata nel giardino dell'orco, perché non poteva stare neanche un minuto senza vedere quella Violetta, che gli piaceva troppo, e vedendola sulla porta, le disse:
    "Buondì, buondì Violetta", e Violetta: "Buondì figlio del re, io ne so più di te", e il principe:
    "Babbo, babbo, quante pulci!", e lei: "Mamma, mamma, aiuto!".
    Sentendo queste parole il principe rimase stupefatto e disse:
    "Me l'hai fatta, m'hai sistemato! Lo ammetto, hai vinto! E siccome devo riconoscere che ne sai davvero più di me, basta: ti voglio sposare!".
    Violetta però pensando a tutti i dispetti che aveva fatto a Pierone non si sentiva tranquilla, e chiese alle tre fate di formare per lei una grande statua di zucchero che le somigliasse, la nascose in una cesta e la coprì con dei vestiti.
    Si fece una grande festa per le nozze del principe Pierone e di Violetta, ma dopo i canti e i balli lei, fingendo un po’ di mal di testa, andò a letto prima di tutti, si fece portare la cesta in camera con la scusa di cambiarsi d’abito, e dopo aver messo la statua sotto le lenzuola, si nascose dietro i tendaggi per vedere come andava a finire.
    Dopo poco Pierone arrivò in camera e, credendo che nel letto ci fosse Violetta, disse:
    "Ora non mi scappi più, birbante maledetta, ora la paghi cara! Ora si vedrà come va a finire quando una femmina qualunque pretende di tener testa a un re come me!".
    E così dicendo estrasse un pugnale e la passò da parte a parte, poi, non contento, disse ancora:
    "E ora ti voglio anche succhiare il sangue!".
    Ed estratto il pugnale dal petto lo leccò, e sentì un sapore dolcissimo e un profumo di muschio che faceva inebriare. Allora, pentito di aver pugnalato una fanciulla così dolce e profumata, cominciò a rammaricarsi della sua collera, dicendo parole che avrebbero commosso le pietre, accusandosi di avere il cuore crudele e il sangue velenoso, se aveva potuto far tanto male a una creatura così buona e dolce. Poi, dopo aver pianto ed essersi strappato i capelli, in preda alla nera disperazione, alzò la mano col pugnale per metter fine alla sua vita.
    In quell'istante Violetta uscì da dietro le tende, gli prese la mano e disse:
    "Fermati Pierone, abbassa questa mano, ecco qui la dolcezza che rimpiangi! eccomi sana e salva per stare con te vivo e vegeto, e non mi considerare dura come il muro se ti ho fatto patire con qualche dispetto, perché è stato solo per capire e sperimentare la tua costanza e la tua fedeltà".
    Gli disse che aveva pensato all'ultimo trucco per trovare un rimedio adatto a un cuore orgoglioso come il suo, e infine gli chiese perdono per tutte le volte che lo aveva fatto soffrire. Lo sposo, abbracciandola con tanto amore, se la fece venire accanto nel letto, fecero la pace, e dopo tanti patimenti la dolcezza gli sembrò ancora più grande.

    (Gianbattista Basile)



    ATTUALITA’

    Se mi lasci ti cancello, Fb quando finisce l'amore.
    Non sempre chi rimuove soffre meno, da psicologi consigli utili. Conservatori, collezionisti o intenzionati a disfarsi di tutto subito. Quando finisce un amore gli atteggiamenti sui social network possono essere diversi: c'e' chi proprio non riesce ad eliminare foto, ricordi e contatti in comune con la persona amata, chi ''sfoggia'' appartenente senza problemi sul proprio profilo intere collezioni di ex fidanzate o fidanzati e, all'estremo opposto, gli integralisti del ''se mi lasci ti cancello'' (per citare un famoso film) pronti a rimuovere con precisione chirurgica ogni traccia di precedenti relazioni. Soprattutto se siete tra coloro che pensano istintivamente alla ''rimozione'' completa e immediata della vostra ultima fiamma dal profilo Facebook, pero', e' bene che sappiate che questa non e' l'unica strada per non soffrire. A dirlo e' una ricerca di un team di psicologi della University of California, che ha fornito alcuni consigli utili per ''depurare'' i social network dei ricordi senza stare male. Definirsi ''single'' aiuta qualunque sia l'atteggiamento scelto il consiglio e' quello di cambiare il prima possibile lo status di relazione in ''single''. Questo aiutera' ad avere un punto fermo da cui ripartire. In piu', almeno per un po', e' meglio non avere alcuna interazione con l'ex partner, anche se si e' deciso di non rimuoverlo dalle amicizie.

    Gli autori dello studio propongono di fare un ''vaso di Pandora'' virtuale, nel quale inserire tutte le foto, le email e i ricordi relativi alla persona di cui si era innamorati. Lo si puo' tenere in un angolino nascosto del pc, in modo che non capiti di rivederlo spesso, oppure farlo tenere ad un amico fidato, dandogli eventualmente il permesso di cancellare tutto in futuro.(Ansa)




    Alpini a Piacenza 'Papa uno di noi'.
    Festa delle penne nere, sfilata per le vie della citta'. Si tiene a Piacenza la sfilata che conclude la tre giorni dell'80/ma adunata degli Alpini.

    Ad aprire lo sfilamento il Reggimento Artiglieri di montagna, con la loro bandiera di guerra, da poco tornati dalla missione in Afghanistan. Ma a sorpresa nelle prime file del corteo anche uno striscione: "Gli Alpini salutano Papa Francesco come uno di noi", in ricordo del fatto che un cugino del Papa, Giovanni Bergoglio, era sopravvissuto all'affondamento del piroscafo Galilea, affondato nel Canale di Otranto nel '42. Gli Alpini, in armi e in congedo, sfilano lungo un percorso di circa un chilometro e mezzo. Presenti, tra gli altri, il presidente della Regione Emilia Romagna, Vasco Errani, e il ministro della Difesa, Mario Mauro. Nel messaggio portato dagli alpini della sezione estera argentina si leggeva: "Gli alpini salutano Papa Francesco, Pontefice dal gesto semplice... Praticamente alpino".

    "Gli alpini e l'Associazione Nazionale Alpini 'sono' la Protezione Civile, nel senso che sono un asset fondamentale del nostro sistema" ha detto il prefetto Franco Gabrielli, capo della Protezione Civile, a chi gli ha chiesto a Piacenza, dove sta sfilando il corteo dell'Adunata nazionale degli alpini, quale sia il contributo dei militari alla Protezione Civile. "Lo sono stati nel territorio emiliano per il terremoto e prima per il 'nevone', come lo sono in ogni parte del territorio nazionale e non solo. Se pensiamo che in questo momento l'ospedale da campo dell'Ana sta operando in Giordania per assistere i profughi siriani si può comprendere quanto è importante il ruolo dell'associazione".

    Il ministro della Difesa, Mario Mauro, chi gli ha chiesto se ci saranno delle difficoltà nel "tenere insieme le due anime del governo", ha ricordato che "rappresentando la terza, speriamo che questa terza possa essere un punto di amalgama". "La realtà degli alpini - ha proseguito il ministro - è una testimonianza al popolo di come venir fuori dalla crisi. Una crisi che non è solo economica, ma ha sempre un risvolto educativo - ha spiegato - e gli Alpini, con i loro valori ed azione, possono essere l'esempio di una scommessa vinta". "Mi sono molto piaciute le parole dell'alpino Don Carlo Gnocchi - ha aggiunto il ministro - che parlando degli Alpini dice: 'Sono uomini degni di Dio'. Credo non ci siano parole migliori".(Ansa)





    Alimenti: 7 mln di italiani saltano colazione, +50% ultimi 10 anni.

    Gli italiani fanno meno colazione rispetto a 10 anni fa (92% nel 2004 contro l’86% del 2013), ma la fanno qualitativamente meglio, ovvero tutti i giorni e a casa. E sono quasi raddoppiati (dall’8% al 14%) quelli che la saltano del tutto, i cosiddetti 'breakfast skipper' che hanno raggiunto la quota di 7 mln di persone. Le ragioni per cui non si fa la colazione sono: stomaco chiuso (50%), si preferisce mangiare qualcosa a metà mattina (47%, in crescita rispetto al 41% del 2004), non si ha tempo (34%), si preferisce fare un pranzo più abbondante (37%). A fotografare le abitudini degli italiani al mattino è un’indagine della Doxa, promossa dall'Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane (Aidepi), presentata oggi a Milano.
    Secondo la ricerca aumenta l’attenzione per la colazione salutista: quasi la metà degli italiani (44%) si dichiarano molto interessati a quei prodotti che riducono la quantità di grassi, zuccheri e cercano di tenere sotto controllo le calorie. Chi la fa tutti i giorni (o quasi) sale dal 79% all’84%, mentre si registra un +20% nel numero di quanti preferiscono consumarla solamente a casa (dal 70% del 2004 si arriva all’85% di oggi).
    Inoltre scende da 4 a 3 mln il numero degli italiani che dichiarano di fare colazione, ma poi si limitano ad un caffè e via senza mangiare nulla. Da rilevare infine la notevole crescita di quanti consumano frutta: si sale dal 3,5% circa del 2004 all’8% di oggi.
    L'Aidepi ha pensato di dare vita ad un progetto che promuove la cultura del valore della prima colazione attraverso il lancio del blog 'Io comincio bene', on-line da oggi, e di una pagina Facebook tramite i quali condividere le 'buone' storie di prima colazione. "Un luogo virtuale dove chi 'comincia bene' - sottolinea l'associazione - racconta i suoi riti, le esperienze e i piccoli segreti legati a questo momento, estremamente piacevole per ben 35 mln di persone".
    Inoltre in collaborazione con Andrea Ghiselli, nutrizionista dell'Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (Inran) e l’antropologo alimentare Sergio Grasso, è stato sottoscritto il manifesto 'Io comincio bene', un decalogo con 10 consigli pratici "per trasformare la propria colazione in una buona colazione o, magari, scoprire - suggeriscono gli esperti - quegli accorgimenti utili per vincere le difficoltà che spingono gli italiani a saltare questo pasto fondamentale per la nostra dieta alimentare".(Adnkronos)




    ANDIAMO AL CINEMA




    Effetti collaterali




    locandina


    Un film di Steven Soderbergh. Con Jude Law, Rooney Mara, Catherine Zeta-Jones, Channing Tatum, Vinessa Shaw.


    Emily Taylor è una giovane donna, esaurita dalla depressione. Ora che il marito Martin è finalmente fuori di prigione, dovrebbe lasciarsi il buio alle spalle ma il suo stato emotivo peggiora invece ulteriormente, fino a spingerla sull'orlo del suicidio. Inizia così il rapporto con il dottor Banks, psichiatra di successo, con le pillole e i loro effetti collaterali, blackout compresi. Un giorno, Martin viene trovato esanime in casa, pugnalato a morte. Le tracce conducono alla moglie ma lei non ricorda nulla.
    Più passa il tempo e s'impilano i suoi film, nella memoria e nella storia del cinema, più due aspetti s'impongono con evidenza riguardo a Steven Soderbergh: innanzitutto, la stretta continuità tematica, sotto la multiforme declinazione formale che le sue produzioni assumono di volta in volta, e, in secondo luogo, la riuscita del contorno più e meglio che del piatto principale.
    Side Effects non fa differenza: simile per molti aspetti al precedente Contagion, anche ma non solo per l'utilizzo di Jude Law nella posizione di chi è costretto ad inventarsi mezzi non sempre leciti per il bene della verità (e dunque eroe ma non senza ombre, personaggio sempre un po' scomodo e ambiguo, specie in materia di insider trading), il film esordisce in maniera superbamente accattivante per poi non riuscire a mantenere lo stesso livello di interesse e adagiarsi su percorsi a dir poco scontati. Eppure non c'è dubbio che Soderbergh sappia dov'è la piaga e sappia come muovere il dito (ovvero la macchina da presa) al suo interno. Pochi come lui riescono ad avere una visione macro della società e micro del virus che circola in essa e sanno restituire entrambi i piani, magistralmente amalgamati, nel contesto di un film narrativo cosiddetto tradizionale. Pochi come lui, ancora, sanno assortire cast così oculati, anch'essi trasudanti uno spirito del tempo, in bilico tra aderenza allo show business e critica allo stesso.
    Probabilmente, è proprio la formula narrativa obbligata a stare stretta al regista, sembra infatti che lui per primo perda interesse nella chiusura del film e si affidi per svolgere questo compito alla via più rodata, per quanto prevedibile. In fondo, ciò che gli premeva fare a quel punto l'ha già fatto, perché il suo è un cinema che pone le domande, che scandaglia le questioni, che -soprattutto- le approccia (spesso per primo) in termini squisitamente filmici.
    Side Effects , da questo punto di vista, parla chiaro: non è il cinema che si fa giornalismo d'inchiesta, denunciando i complotti e gli affari dietro le cure del bene più fragile e insondabile, e cioè l'anima, ma, all'esatto contrario, è la perversione della società e della cronaca che si offre al cinema come occasione perfetta, sfaccettata ed intrigante quanto basta per costituire una sfida allettante per un regista come Soderbergh.


    Video


    (Lussy)





    ... CURIOSANDO E RACCONTANDO …


    "Delle città dove sono stato, Matera è quella che mi sorride di più, quella che vedo meglio ancora, attraverso un velo di poesia e di malinconia."
    (Giovanni Pascoli)


    MATERA


    La città si trova nella parte orientale della Basilicata a 401 m s.l.m. Sorge proprio al confine tra l'altopiano delle Murge ad est, e la fossa Bradanica ad ovest, solcata dal fiume Bradano. Il torrente Gravina di Matera, affluente di sinistra del Bradano, scorre nella profonda fossa naturale che delimita i due antichi rioni della città.
    Le sue parti appartengono a epoche diverse: la più antica è quella dei ”Sassi” che lo sperone della Civita congiungono con il Duomo; la parte medievale-rinascimentale si estende lungo "il Piano", ai bordi dei Sassi; e infine, la città nuova, con rioni eleganti realizzati dai più noti architetti italiani.


    I Sassi rappresentano la parte antica della città di Matera. Sviluppatisi intorno alla Civita, costituiscono una intera città scavata nella roccia calcarenitica, chiamata localmente “tufo”, un sistema abitativo articolato, abbarbicato lungo i pendii di un profondo vallone dalle caratteristiche naturali singolari e sorprendenti: la Gravina. Strutture edificate, eleganti ed articolate si alternano a labirinti sotterranei e a meandri cavernosi, creando un unicum paesaggistico di grande effetto. Il sovrapporsi di diverse fasi di trasformazioni urbane sull’aspra morfologia murgica originaria, il raffinato dialogo tra rocce ed architettura, canyon e campanili, ha creato nel corso dei secoli uno scenario urbano di incomparabile bellezza e qualità. Un tempo cuore della civiltà contadina, oggi, ristrutturati e rinobilitati, i Sassi rivivono e lasciano senza fiato soprattutto di sera quando le piccole luci di residenze, botteghe di artigiani e ristoratori li rendono come un presepe di cartapesta. I Sassi si compongono di due grandi Rioni: Sasso Barisano e Sasso Caveoso, divisi al centro dal colle della Civita, l'insediamento più antico dell'abitato materano, cuore della urbanizzazione medioevale. Un incredibile complesso di grotte, cavità naturali e scavate dall'uomo, piccole costruzioni addossate le une alle altre e interdipendenti, fatte della stessa roccia calcarea che forma la montagna. Sul versante opposto si possono vedere nella roccia della montagna numerose altre grotte che furono abitate da eremiti. Domina l'abitato la Cattedrale, un pregevole esempio di romanico pugliese, con un rosone sulla facciata in pietra locale....la Chiesa di San Pietro Caveoso del XII secolo, costruita a strapiombo nel sasso omonimo, mentre nel sasso opposto si trovano San Pietro Barisano che risale originariamente all’XI secolo ed è in gran parte scavata nella montagna, e Sant'Agostino della fine del XVI secolo, edificata su una cripta rupestre del XII secolo.
    Le numerose Chiese Rupestri che si incontrano lungo il cammino; alcune di esse oggi ospitano importanti esposizioni d'arte contemporanea, soprattutto nella stagione estiva. Sono state censite quasi 130 chiese, molte con affreschi, altari e sculture. Sono in parte scavate, in parte completate da strutture murarie o ipogee. La maggior parte di esse risalgono alla civiltà monastica greco-bizantina fra l'VIII e il XIII secolo. Il fronte opposto a quello abitato offre un’uguale ricchezza di testimonianze .. San Nicola dell'Ofra, la Madonna delle Croci, le cripte di Sant' Eustachio, la Madonna di Monteverde, la Madonna degli Angeli, la Madonna del Giglio, Santa Barbara e i bellissimi affreschi di San Nicola dei Greci. Altre chiese punteggiano il tessuto cittadino: San Giovanni Battista, del XIII secolo, così come San Domenico, o San Francesco d'Assisi, in gran parte modificata nel corso del XVIII secolo, periodo cui risale anche la Chiesa del Purgatorio. La piccola chiesa della Mater Domini appartenne all'ordine dei Cavalieri di Malta e risale al XVII secolo. Il complesso di Santa Chiara, invece, risale al XVI secolo, ma fu ampiamente ristrutturato due secoli più tardi. All'infelice vicenda del conte Tramontano si lega anche quella del castello che egli decise di far erigere durante il suo dominio, e che rimase incompiuto.
    Reagendo a secoli di povertà e di isolamento, Matera è diventata una città vivace, aggiornata, cordiale, con una cultura che vive di fatti contemporanei e di storia. In essa senti ovunque l’antico richiamo della roccia e ti muovi in un paesaggio incantato, senza tempo. Dai Sassi ai dintorni ricchi di natura e storia, tutto a Matera parla con il linguaggio delle emozioni e della cultura. Aspetti diversi e al tempo stesso preziosi, facce di un unico prisma, di una stessa città, che accolgono e incantano.

    « La città è di aspetto curiosissimo, viene situata in tre valli profonde nelle quali, con artificio, e sulla pietra nativa e asciutta, seggono le chiese sopra le case e quelle pendono sotto a queste, confondendo i vivi e morti la stanza. I lumi notturni la fan parere un cielo stellato. »
    (Giovan Battista Pacichelli, Il Regno di Napoli in Prospettiva)


    ...Castello Tramontano...


    La costruzione di massicci torrioni ebbe inizio nei primi anni del ‘500 ad opera del Conte di Matera Gian Carlo Tramontano. Di stile aragonese, fu ideato con lo scopo di difendere la città lungo il lato più esposto, ma è rimasto incompiuto per l’uccisione del Conte, avvenuta durante una violenta sommossa popolare il 29 dicembre 1514. L’altissimo costo dell’opera, pari ad oltre 25 mila ducati e la bassissima paga di 6 soldi al giorno, contribuirono ad inasprire gli animi dei materani, che misero fine ai soprusi in una delle pagine più violente della storia cittadina.
    L’anno 1495 segna per Matera l’inizio di un periodo oscuro e triste a causa delle vicende che la vedranno sottomessa per la prima volta alla servitù feudale. Proprio in quel periodo, la figura di Giancarlo Tramontano, originario di Sant’Anastasia, vicino Napoli, umile popolano sostenitore degli aragonesi, emerge fra tumulti e tensioni per il dominio sulla città partenopea, tra i francesi di Carlo VIII e gli spagnoli, a seguito della morte di Ferdinando I d'Aragona, avvenuta nel 1494. Nonostante avesse una carica importante quale Mastro della Regia Zecca, ritornò a Matera colmo di debiti pretendendo dall'aristocrazia locale, sempre più offesa e derisa, altre gabelle e tasse per colmare le casse vuote. La sua triste fine era, ormai, imminente…Il 28 dicembre del 1514 chiese al popolo 24 mila ducati per sanare un debito con il suo creditore catalano Paolo Tolosa. Esasperati dai continui soprusi, alcuni popolani e nobili, riunitisi nel Sasso Barisano nei pressi della Parrocchia rupestre di San Giovanni Vecchio, nascosti dietro un masso, “u pizzone du mmal consighj” - il masso del mal consiglio -, che fungeva da testimone, organizzarono l’uccisione del Conte. L’agguato si sarebbe svolto l’indomani in Duomo, poiché la chiesa era l’unico posto dove il Conte era costretto, dalle usanze del tempo, a disarmarsi. La guarnigione armata lo avrebbe atteso all’esterno come sempre. D’altronde le sue guardie, mercenarie, si potevano corrompere facilmente. E così fu…
    La morale di questo episodio si può leggere nel motto sullo stemma cittadino, che recita “Bos lassus firmius figit pedem”, letteralmente a significare la carica di violenza che può manifestarsi in un popolo pacifico, ma stanco di vessazioni. Per l’ironia del destino..il luogo dove fu trucidato ha preso il nome di Via Riscatto a ricordare la vittoria del popolo e la caduta del tiranno.... curiosamente, a Napoli la commissione toponomastica del Comune ha intitolato una strada a Gian Carlo Tramontano, molto centrale, vicino a Via Duomo, Via Seggio del Popolo e Piazza Nicola Amore, per ricordare la sua elezione democratica, la prima nella storia di Napoli, per rappresentare il popolo nel parlamento partenopeo.

    «... quando uscii dalla stazione ... e mi guardai intorno, cercai invano con gli occhi la città. La città non c'era. Ero su una specie di altopiano deserto... In questo deserto sorgevano, sparsi qua e là, otto o dieci grandi palazzi di marmo... Mi misi finalmente a cercare la città... arrivai a una strada, che da un solo lato era fiancheggiata da vecchie case, e dall'altro costeggiava un precipizio. In quel precipizio è Matera... La forma di quel burrone era strana; come quella di due mezzi imbuti affiancati, separati da un piccolo sperone e riuniti in basso in un apice comune... Questi coni rovesciati, questi imbuti, si chiamano Sassi. Hanno la forma con cui, a scuola, immaginavamo l'Inferno di Dante ...».
    (Carlo Levi descrive Matera, nel suo celebre romanzo del 1945: Cristo si è fermato a Eboli)


    ...la storia...


    Matera è considerata una delle più antiche città del mondo. Le ricerche e i relativi reperti dimostrano che i primi insediamenti umani nel suo territorio risalgono al Paleolitico. Le prime popolazioni, probabilmente costituite da cacciatori nomadi, furono seguite da altre, dedite alla pastorizia, che si stanziarono soprattutto sulla Murgia Timone, sulla Murgecchia e sul colle della Civita, zone di facile accesso all’acqua del laghetto naturale chiamato Jurio: qui furono occupate le grotte esistenti e numerose altre furono scavate nella roccia tufacea. Nel periodo Neolitico gli insediamenti diventarono più stabili; lo dimostrano tracce evidenti di diversi villaggi trincerati. Con l’Età del ferro nacque il primo nucleo urbano, quello dell'attuale Civita, sulla sponda destra della Gravina.
    Molti secoli passarono in questo ambiente, lontano dai grandi centri e caratterizzato da pochi eventi eccezionali e da una singolare continuità di vita. La vita cittadina proseguì con stratificazioni successive, come ha dimostrato lo studioso Domenico Ridola ai primi del Novecento. Scavi effettuati presso la Cattedrale misero in luce i vari periodi della storia della città. Oltre a questa documentazione stratigrafica, le vicende storiche di Matera sono raccontate dalle abbondanti testimonianze raccolte nel Museo Nazionale Archeologico Ridola, che, partendo dai reperti del paleolitico inferiore, giunge a quelli di epoca storica, greca e romana. La città doveva aver raggiunto una sua precisa fisionomia, quando vi si insediarono le prime colonie greche. Nel periodo greco Matera non ebbe particolare importanza, pur mantenendo stretti rapporti con le colonie situate sulla costa metapontina. A quest’epoca risale il nome. Sembra che la città fosse chiamata Mataia ole dai Greci, che deriva da Mataio olos, il cui significato è "tutto vacuo", con riferimento alla Gravina; altra ipotesi è che il nome derivi da Mata (cumulo di rocce); ma potrebbe anche derivare dalle iniziali di Metaponto e Heraclea, avendo accolto profughi delle due città dopo la loro distruzione; infine Mateola, nome antico della città, potrebbe derivare dal consolato romano di Quinto Cecilio Metello.
    La dominazione romana – iniziata nel 272 a.C. – durò a lungo, ma non lasciò grandi tracce: Matera fu solo centro approvvigionamento e di passaggio. In questo periodo, la distruzione di antichi monasteri e la successiva chiusura di altri hanno contribuito a disperdere documenti di grande valore. Si rilevano perciò grandi lacune di notizie storiche prima del Mille. Dopo la caduta dell’Impero romano d’occidente, nella seconda metà del VI secolo, Matera è dominata dai Longobardi, che non lasciarono una particolare impronta e furono cacciati nel 612 dai Bizantini. Nel 664 Matera, riconquistata dai Longobardi, entra a far parte del Ducato di Benevento. Nell' 867, i Longobardi, molestati dai Saraceni, chiedono l'intervento dell'imperatore Ludovico II, imperatore dei Franchi, il quale la mette a ferro e a fuoco per cacciare i Saraceni e poi provvede a riedificarla. Nel 938 la città subisce altre incursioni e spoliazioni da parte dei Saraceni. Contesa dai Salernitani, conquistata da Ottone Il e quindi da Benevento, Matera è nuovamente espugnata dai Greci (978). Ricostruita nel 994 dopo un disastroso terremoto, è per lungo tempo assediata dai Saraceni.
    Intorno al Mille, i Normanni tengono la Contea materana, come stato indipendente, al centro di vaste terre e di numerosi castelli. Il primo conte, nel 1043, è Guglielmo il Normanno. Poi seguono gli Altavilla: al comando di Roberto, escono dal Castiglione i crociati materani, in partenza per la liberazione del Santo Sepolcro. Fedele a Federico II, Matera si adatta malvolentieri al dominio degli Angioini e spera la tregua sotto gli Aragonesi. Gli Aragonesi promisero formalmente di mantenerla nella regia dipendenza, ma spesso vennero meno agli impegni presi: gravi conseguenze si ebbero con la vendita della città al conte Giancarlo Tramontano che, resosi inviso a tutta la popolazione, fu trucidato nel 1514.
    Fra un alternarsi di libertà e di soggezione con varie vicende di riscatti e di vendite, Matera, che faceva parte della Terra d'Otranto, nel 1663 fu scelta a sede della Regia Udienza di Basilicata e, aggregata a questa regione, ne rimase capitale fino al 1806, quando Giuseppe Bonaparte trasferì le competenze regionali a Potenza. Nel 1927 Matera divenne capoluogo di provincia, ora composta di trentun comuni.
    Matera fu la prima città del Mezzogiorno a insorgere contro i nazisti. Il 21 settembre 1943, dieci materani furono mitragliati dai tedeschi in ritirata. La giornata raggiunse il culmine con la feroce rappresaglia nazista che costò la vita ad altri dodici materani, fatti saltare in aria nel "palazzo della milizia".
    Nel 1948 nacque la questione dei Sassi di Matera, sollevata dal leader comunista Palmiro Togliatti, e poi dal democristiano Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio. Nel 1952 una legge nazionale stabilì lo sgombero dei Sassi e la costruzione di nuovi quartieri residenziali che svilupparono la città nuova nella quale confluirono i 15.000 abitanti dei Sassi. Nel 1986 una nuova legge nazionale finanziò il recupero degli antichi rioni materani, ormai degradati da oltre trent'anni di abbandono. Nel 1993, infine, i Sassi di Matera furono dichiarati dall'UNESCO Patrimonio mondiale dell'umanità.

    Un posto unico al mondo. [...] Come non ricordare quando venni a Matera con Francesco De Gregori, a luglio del 2010. Il concerto fu rinviato per pioggia e io ne approfittai con Francesco per conoscerla da vicino e recuperarla nella memoria. Fu un giorno importante perché scoprii da vicino l’unicità di Matera, un miracolo del tempo, di una felice armonia fra la storia e la contemporaneità.
    (Lucio Dalla)


    ....scenario cinematografico....


    Differenti motivi hanno spinto numerosi registi a girare i loro films nei Sassi di Matera. Nel '49 ad esempio, Carlo Lizzani realizza un documentario cercando di indagare su quel mondo contadino descritto da Carlo Levi e ne coglie le contraddizioni. E' l'unica volta che i Sassi di Matera non fingono di essere qualcos'altro o una mera scenografia e raccontano la loro storia. Da qui in avanti infatti i Sassi saranno adattati alle varie esigenze. Lattuada li sceglie per girarvi la Lupa, ed i Sassi diventano un misero paesino siciliano.
    Dagli anni 60 i Sassi sono ormai completamente disabitati ed il forte senso di degrado, a seguito dell'abbandono, viene utilizzato pretestuosamente per mostrare l'arretratezza meridionale, come ne "Gli anni Ruggenti", "Il demonio", "I basilischi", "Qui comincia l'avventura", "Cristo si è fermato ad Eboli" e "Terra bruciata". I Sassi, senza vita, sono ormai una scenografia senza un preciso tempo storico. Pasolini nel suo "Vangelo secondo Matteo" del 1964 ne consacra questo ruolo: ai Sassi viene dato un senso solo se avulsi dal presente periodo storico, e proiettati in un mondo immobile, metafisico, senza tempo. E' il solo modo per farli vivere, altrimenti è nettissima la loro separazione dal presente, sembra dirci Pasolini. Curiosamente, una seconda volta i Sassi nell'85 diventano Gerusalemme, con King David, (Richard Gere era l'attore protagonista), ed una terza volta nel 2002 con il film "La Passione di Cristo" di Mel Gibson.
    Il tempo che non muta nei Sassi sfollati favorisce gli scenari piu' disparati: un paese meridionale del Settecento (il sole anche di notte), di inizio Ottocento (Allonsanfan con Mastroianni), un paese basco del Novecento (L'albero di Guernica), un paese siciliano degli anni Cinquanta (L'uomo delle stelle di Tornatore). Un posto surreale, adatto anche al fiabesco "C'era una Volta" con Sofia Loren o allo stravagante "Il tempo dell'inizio".
    Mai, comunque, sono tornati ad essere i Sassi. Grazie alla splendida scenografia che offrono, assieme al territorio circostante, e grazie all'assenza di popolazione e quindi di trasformazioni, hanno costituito negli ultimi cinquanta anni un ottimo set per decine di registi. (sassiweb.it)

    (Gabry)





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    (Redazione)





    L’ISOLA NELLO SPORT


    CRONACA SPORTIVA

    Ferrari show in Spagna: vince Alonso.
    Asturiano riduce distacco da Vettel nella classifica. Secondo Raikkonen, terzo Massa". La Ferrari di Fernando Alonso ha vinto il Gp di Spagna, secondo Raikkonen, terzo Felipe Massa sull'altra rossa.

    Quinta piazza nel Gran Premio di Spagna per la Red Bull di Mark Webber che precede la Mercedes di Nico Rosberg e la Force India di Paul di Resta. Ottava la McLaren di Jenson Button davanti all'altra Freccia d'Argento di Sergio Perez e alla Toro Rosso di Daniel Ricciardo che chiude in zona punti. Solo dodicesima al traguardo la Mercedes di Lewis Hamilton.

    Grazie alla vittoria nel Gran Premio di Spagna il pilota della Ferrari Fernando Alonso ha ridotto il suo distacco nel Mondiale piloti da Sebastian Vettel: da 30 a 17 punti. Ora lo spagnolo a quota 72 punti è in terza posizione preceduto anche da Kimi Raikkonen (85 punti per il finlandese).

    "Grazie a tutti voi, avete fatto anche uno sforzo economico per essere qui, siete stati ripagati con una vittoria, speriamo che non sia, l'ultima....". Fernando Alonso sprizza gioia da tutti i pori salutando il suo pubblico dal podio del Gran Premio di Spagna che lo ha visto trionfare. "Sono molto contento della vittoria, é speciale vincere in casa. L'ultimo giro è stato molto lungo. Abbiamo una macchina molto forte, tutto è andato bene e sono felice per il tema e il pubblico".

    "E' stato fantastico: con questa vettura possiamo lottare per il campionato, ma ora dobbiamo continuare così". Fernando Alonso punta dritto al suo primo titolo con la Ferrari grazie alla forza della sua f138 che gli ha permesso di dominare il Gp di Spagna: "Tutti nel team hanno dato il massimo per questo risultato straordinario. Siamo veloci, ma non vogliamo fermarci qui".

    "Dopo le qualifiche ero un po' deluso, ma avevo una macchina aggressiva fin dall'inizio e sono riuscito a recuperare qualche posizione". Felipe Massa é felice di essere riuscito a completare la festa della Ferrari nel Gran Premio di Spagna partita con la vittoria di Alonso: "Ho fatto un po' di fatica con le gomme, ma credo che la corsa sia stata molto bella per noi".(Ansa)




    Volley | La favola di Jack Sintini: dal cancro allo scudetto da Mvp.
    Commovente la dedica del palleggiatore di Trento neo-campione d'Italia, nominato Mvp della finale Scudetto. Mvp della finalissima Scudetto e non doveva nemmeno esserci… Jack Sintini ha ammesso solo alla fine di Gara 5 tra la sua Itas Diatec Trentino e la Copra Elior Piacenza che durante la settimana che ha preceduto il match ha avuto paura: paura perché per un palleggiatore non è facile sostituire il titolare in una partita decisiva, paura perché l’intesa con i compagni è tutto e si costruisce gara dopo gara.

    Per lui che ha giocato poco durante la stagione era dunque un’impresa ardua prendere il posto di Raphael, uno dei migliori palleggiatori al mondo, infortunatosi in Gara 4 della finale e costretto a subire un’operazione a un dito che lo costringerà a un riposo forzato.
    Raphael era quasi in lacrime all’inizio di Gara 5, seduto in panchina quando avrebbe voluto essere in campo, ma sapeva che al suo posto c’era un campione all’altezza della situazione. “A Jack Sintini ho detto soli di fare il Jack Sintini” ha spiegato Raphael prima della partita a chi gli chiedeva che consiglia aveva dato a colui che si apprestava a prendere il suo posto. E dopo il match il brasiliano ha aggiunto: “Jack si merita questo trionfo, è una persona meravigliosa, ha lavorato sodo tutto l’anno, è giusto che si goda questo momento”.

    E certamente quello di Raphael si è dimostrato il miglior consiglio possibile perché Jack Sintini è un combattente, è uno che non molla mai e la sua caparbietà è servita a Trento per lottare fino all’ultimo pallone contro gli straordinari campioni di Piacenza e vincere lo scudetto al tie-break di Gara 5.

    Durante la partita si è visto che Jack, abituato ad allenarsi con le riserve, aveva più intesa con Lanza, partito dalla panchina, che con i super-uomini titolari, ma nonostante questo, nonostante gli schemi, nonostante la tattica, ha dimostrato di essere all’altezza dei migliori palleggiatori al mondo.

    Alla fine del match le parole di Jack hanno commosso tutti perché ha ricordato che fino a poco più di un anno fa lottava ancora contro il tumore al sistema linfatico che gli è stato diagnosticato alla fine della stagione 2010-2011 e che lo ha costretto ad abbandonare l’attività agonistica per un anno intero, ma l’8 maggio 2013 ha ottenuto l’idoneità alla pratica sportiva agonistica e Trento lo ha ingaggiato.

    Dopo la vittoria di oggi Jack, con le lacrime agli occhi ha ricordato che stava per morire e ha incoraggiato tutti i malati di cancro a lottare perché se ce l’ha fatta lui, che è “solo un uomo”, a rivedere la luce e a passare da un letto d’ospedale al gradino più alto del podio del campionato di pallavolo italiano, venendo anche eletto miglior giocatore del match, ce la posso fare anche tutti gli altri con la determinazione e con l’aiuto dei propri cari e dei medici.

    E proprio alla sua famiglia, ai dottori e agli infermieri che lo hanno aiutato durante la malattia, oltre che a tutti i malati di cancro, Jack Sintini ha dedicato il suo scudetto.

    Il palleggiatore di Trento dall’anno scorso ha avviato l’Associazione Giacomo Sintini che raccoglie fondi a favore della ricerca medica in campo onco-ematologico.

    Ecco le dichiarazioni di Giacomo Sintini dopo la conquista dello Scudetto:

    “Questo è veramente il lieto fine di una storia stupenda. Ho passato un anno meraviglioso qui a Trento che mi ha accolto dopo la mia lunga malattia. È stata una partita durissima, io sono entrato in campo all’inizio pensando solo ad una palla alla volta. Poi pian piano mi sono sciolto prendendo confidenza con il campo che avevo calcato poco in questa stagione; siamo stati bravi a fare squadra giocando uniti senza abbatterci davanti alle difficoltà e ad una Copra Elior che non ha mai mollato. Con concretezza siamo riusciti a vincere una gara combattutissima e questo mio secondo Scudetto ha per tante ragioni un sapore davvero unico e speciale. Lo dedico a mia moglie, a mia figlia, a tutta la mia famiglia, ai medici che mi hanno curato, agli amici e a tutte le persone che mi sono state vicine durante il mio periodo difficile. Spero che questo successo possa essere un messaggio ulteriore per le persone che stanno male e che cerco di aiutare tramite l’Associazione che ho creato: il messaggio che vorrei lanciare ancora una volta è che guarire è possibile, bisogna crederci, credere che è possibile rialzarsi. Un ultimo grazie lo vorrei dare al mondo della pallavolo che mi è sempre stato vicino facendomi sentire il suo sostegno”.(www.outdoorblog.it)




    Sir Alex saluta l'Old Trafford.
    Game over, sir Alex. Dopo 26 anni densi di successi nazionali ed internazionali, Ferguson ha salutato il 'suo' stadio. L'Old Trafford, gremito da oltre 75.000 spettatori, gli ha risposto con commozione e calore. La pioggia battente ha forse aiutato il boss a mascherare una lacrima, prima di sedersi in panchina per la partita numero 1499 alla guida dei Red Devils, la penultima della sua era, l'ultima in casa. Chiusura il 19 maggio in casa del West Bromwich Albion. I gallesi dello Swansea hanno cercato di rovinargli la festa, ma la rete a tre minuti dal termine di Rio Ferdinand ha aperto allo United (già laureatosi campione d'Inghilterra per la 13/a volta sotto la guida di Ferguson) le porte della vittoria: 2-1, 902ma del baronetto scozzese, che a 71 anni ha deciso di lasciare la panchina per passare a vestire i panni di ambasciatore del club nel mondo.

    MANCINI AL CAPOLINEA, FINITA L'AVVENTURA AL CITY - E' tempo di addii a Manchester: a pochi giorni dall'annunciato ritiro di Sir Alex Ferguson, anche Roberto Mancini sta per preparare le valigie. Ma nel caso del manager del Manchester City non si tratta di una scelta personale quanto di un licenziamento. Fatale la sconfitta nella finale di Fa Cup che ha fatto precipitare una situazione, già critica ormai da mesi. Nonostante i buoni risultati conseguiti nei suoi tre anni e mezzo all'Etihad stadium, e l'incondizionato affetto dei tifosi, tra Mancini e la dirigenza del City i rapporti erano freddi e tesi da tempo. Sin dalla scorsa estate quando Mancini, fresco di titolo nazionale (il primo dopo 44 anni) e di rinnovo (scadenza 2017), aveva chiesto (invano) cospicui rinforzi. Il tecnico italiano non aveva nascosto il suo disappunto quando nessuno dei suoi consigli era stato ascoltato, così quando negli scorsi mesi sono cominciate a circolare le voci sul suo possibile esonero, i dirigenti si erano "vendicati" rispondendo con un assordante silenzio alle indiscrezioni. Una situazione sempre più incerta e destabilizzante che ha finito per condizionare anche il rendimento della squadra.(Ansa)




    Giro: a Firenze vince il russo Belkov.
    Ancora pioggia, Nibali conserva maglia rosa. Il russo Maxim Belkov (Katusha) ha vinto per distacco la 9/a tappa del 96/o Giro ciclistico d'Italia, da Sansepolcro (Arezzo) a Firenze, lunga 170 chilometri. Vincenzo Nibali (Astana) ha conservato, per il secondo giorno consecutivo, la maglia rosa conquistata ieri a Saltara (Pesaro-Urbino).

    Maxim Belkov ha ricoperto i 170 km della 9/a tappa in 4h31'31", precedendo di 46" i colombiani Carlos Betancur (Ag2R), secondo, e Jarlinson Pantano (Colombia), terzo. Al quarto posto si è piazzato lo svedese Tobias Ludvigsson (Team Argos-Shimano), quinto a 1'03" l'australiano Cadel Evans.

    SALVARONO UOMO DA SUICIDIO, PREMIATI AGENTI POLSTRADA - Era il 19 novembre del 2011 quando due agenti della polstrada, Massimiliano Berni e Gabriele Torzini, salvarono un uomo che, fermata l'auto in un'area di servizio dell'Autosole, aveva collegato il tubo di scappamento con l'interno dell'abitacolo con l'intenzione di suicidarsi. Oggi i due agenti sono stati premiati da Autostrade per l'Italia alla partenza della tappa del Giro Sansepolcro-Firenze. L'allarme era arrivato alla polizia stradale da un altro automobilista in transito sull'A1: i due agenti arrivati nell'area di servizio Lucignano, dove si trovava l'uomo ormai incosciente, adagiato sul sedile: portato fuori l'uomo dall'auto i poliziotti lo sottoposero ad una respirazione artificiale, riuscendo a rianimarlo in attesa del 118. La loro è una delle sei storie di coraggio degli agenti della polstrada premiate da Autostrade per l'Italia, sponsor del Giro, con il 'Premio sicurezza'. Oltre alle targhe per gli agenti, Autostrade fornirà al Compartimento della polizia stradale della Toscana un tablet.(Ansa)

    (Gina)



    MOSTRE E...... SAGRE

    Alla scoperta dell'arte e delle tradizoni



    MOSTRE



    I Macchiaioli 1850-1874. Impressionisti italiani?



    Nella seconda metà del XIX secolo, tra i tavoli del caffè Michelangiolo a Firenze, i Macchiaioli, un gruppo di pittori tra le cui fila non militano soltanto esponenti toscani ma anche artisti provenienti da svariate città italiane da Venezia a Napoli, danno vita a un movimento che si oppone alle convenzioni accademiche.
    Chi sono veramente i Macchiaioli il cui nome è intraducibile in lingua francese? Il nome "macchiaioli", usato per la prima volta in senso dispregiativo in un articolo sulla Gazzetta del Popolo del 1862 in cui i pittori toscani sono accusati di ridurre il quadro a un semplice abbozzo, fu successivamente adottato dal gruppo stesso. Questi artisti, rompendo con il classicismo e il romanticismo imperanti e rinnovando così la cultura pittorica italiana, donano alla stessa un nuovo respiro. Questi artisti sono pertanto considerati come i promotori della pittura moderna italiana.
    Il museo d'Orsay, che si prefigge di mostrare la magnificenza della pittura della seconda metà del XIX secolo, aveva il dovere di far conoscere al suo pubblico uno dei movimenti più poetici di questo periodo e che presenta molte affinità con le ricerche plastiche condotte dagli artisti impressionisti.
    Questo tipo di pittura esercitò un influsso fondamentale sui registi italiani del calibro di Luchino Visconti e Mauro Bolognini che trovarono in questo genere un'ispirazione iconografica e un linguaggio particolare dell'immagine.
    (beniculturali.it)


    “I musei d’Orsay e dell’Orangerie, uno dei cui scopi è quello di contribuire alla diffusione della pittura della seconda metà del XIX secolo, hanno l’obbligo di far conoscere al pubblico uno dei movimenti più poetici di questo periodo, che presenta molte affinità con le ricerche plastiche degli artisti impressionisti”, così la nota ufficiale dell’istituzione museale, a commento di quella grande mostra che porta nella capitale francese un’ampia panoramica sull’arte dei Macchiaioli. E li chiamano “impressionisti italiani”, a elevarne il grado ad artisti straordinari, anche se maltrattati dalla stessa critica italiana. Le differenze tra i due movimenti esistono, eccome, ma pure le similitudini, e se non è secondario il fatto che i Macchiaioli precedono l’Impressionismo di oltre un decennio, è vero che a lanciare nel mito questi ultimi fu soprattutto la città di Parigi, l’aria di modernità che vi si respirava, il suo essere internazionale e cuore culturale del mondo…
    A disposizione i Macchiaioli hanno invece la tranquillità provinciale della piccola Firenze, che è sì capitale culturale, ma di un Paese ancora tutto da costruire. Nei suoi caffè e nei suoi salotti vengono elaborati cambiamenti politici di rilievo e nel 1865, Vittorio-Emanuele v’insedia la capitale del nuovo regno. I Macchiaioli sono già nati da qualche anno, intorno al 1855, quando un gruppo di artisti ribelli, toscani e non, mettono a punto la loro “rivoluzione”. Sono giovani e noti per il loro impegno politico, in diversi hanno partecipato attivamente alle guerre d’Indipendenza dal 1848 al 1859 e ne hanno dipinto le battaglie (Solferino, Magenta).


    A partire dal 1855, il Caffè Michelangiolo in via Larga, animato dal critico e mecenate Diego Martelli, diventa il loro luogo di ritrovo e sede di vivaci discussioni che ne accrescono la fama. Vi passa Edgar Degas nel suo primo viaggio in Italia (1856-1860), come del resto molti altri artisti francesi tra cui James Tissot, Gustave Moreau, Marcelin Desboutin. Nel 1861, Martelli eredita il Castello Pasquini a Castiglioncello, in provincia di Livorno, un terreno agricolo affacciato sul mare. Questo luogo dalla natura selvaggia e incantata diventa così il rifugio estivo di alcuni Macchiaioli (Fattori, Signorini...); Silvestro Lega, invece, preferisce la tranquillità della campagna di Piagentina, a sud di Firenze. E sarà la smania della campagna il loro limite. Come dopo di loro gli impressionisti, i Macchiaioli sono osservatori scrupolosi del mondo contemporaneo, della nascente borghesia così come delle scene campestri, sono, in breve, cacciatori di realtà. E la rappresentano evidenziando il contrasto tra le macchie di colore e il chiaroscuro, come nei loro paesaggi, dipinti sovente su tavole di legno e giocando con le venature del supporto. Preferiscono formati che si sviluppano in lunghezza dalle dimensioni spesso modeste, a testimonianza del loro lavoro all’aperto. Amano definirsi “puristi” per lo stile incisivo e dai toni contrastati. Il termine Macchiaioli, utilizzato per la prima volta dalla stampa nel 1862 in occasione di una mostra e con connotazioni alquanto dispregiative, venne in un secondo momento adottato dai diretti interessati. Sono i pittori del Risorgimento italiano, specchio di un rinnovamento che dilaga a tutta la cultura nazionale. E rompendo con il neoclassicismo e il romanticismo, allora dominanti, si propongono di fatto come iniziatori della moderna pittura italiana.
    (daringtodo.com)


    Il movimento dei Macchiaioli nasce di fatto nel 1856, affermando che la forma non esiste, ma è creata dalla luce, come macchie di colore distinte o sovrapposte ad altre macchie di colore, perché la luce, colpendo gli oggetti, viene rinviata al nostro occhio come colore. Il termine macchiaioli venne usato per la prima volta sulla Gazzetta del Popolo nel 1862. I giovani pittori proveniente dalle esperienze della guerra che gli italiani avevano combattuto per l'Unità d'Italia, avvertivano, impellente, la necessità di confrontare il loro lavoro artistico con i cambiamenti artistici in ambito europeo, soprattutto con quanto stavano facendo i pittori in Francia. Molti furono i pittori italiani che lavorarono in questo senso, ma questo è l'unico movimento che merita il nome di scuola, sia per la comunità di intenti che legava i componenti del gruppo provenienti da diverse regioni e tradizioni artistiche, sia per l'alta qualità complessiva dei risultati pittorici raggiunti. Infatti dalle teorie elaborate dai Macchiaioli, prende le mosse il movimento degli Impressionisti Francesi, nato ben più tardi ed informato delle nuove tendenze dalle frequentazioni dei nostri artisti a Parigi. Teorici e critici dei Macchiaioli furono Diego Martelli ed Adriano Cecioni che dettarono le regole basilari dello "stile". Secondo i teorici, l'arte di questi pittori, consisteva: "nel rendere le impressioni che ricevevano dal vero col mezzo di macchie di colori di chiari e di scuri". In effetti il colore è, per l'individuo, l'unico modo di entrare in contatto con la realtà, che dovrà, per i macchiaioli, essere restituita nel quadro come una composizione a macchie. Questo interesse per l'effetto della luce-colore e per la macchia costruttiva, scuro su chiaro, già si avvertono sia in opere di tradizione romantica, sia in opere di intonazione verista e naturalista (paesaggi, bozzetti di genere) dal pittore verista Domenico Morelli, da Saverio Altamura, dall'intimista Serafino De Tivoli e Silvestro Lega (1826-1895), in ambienti che, seguendo altri percorsi artistici, ne avevano iniziata la sperimentazione.



    FESTE e SAGRE






    BIBLIOTECHE



    BIBLIOTECA del COLLEGIO ROMANO



    La Biblioteca della Pontificia Università Gregoriana è stata istituita nel febbraio del 1551 unitamente al Collegio Romano, fondato da S. Ignazio di Loyola. È universalmente nota come grande istituzione culturale di notevole prestigio particolarmente sotto il profilo culturale, teologico, filosofico e letterario.
    Ignazio di Loyola, fondando nel 1549 il collegio di Messina, aveva aperto alla Compagnia di Gesù un nuovo campo d’apostolato: l’insegnamento, opera essenziale, soprattutto in quel periodo di Controriforma. Il 18 febbraio 1551, per supplire alla carenza di scuole pubbliche a Roma e per provvedere a una migliore formazione del clero sia secolare che regolare fu fondato il Collegio Romano. Questo è stato realizzato grazie a una donazione fatta l’anno precedente, nel 1550, da Francesco Borgia, Duca di Gandia, professo della Compagnia di Gesù fin dal 1548, ma che con dispensa papale, occultamente, conservava ancora il suo rango nell’attesa di sbrigare i suoi obblighi e di sistemare i figli. Nel 1551 il Collegio Romano era appena una piccola casa in affitto situata ai piedi del Campidoglio, in Via di Nuova Capitolina attualmente piazza dell'Ara Coeli. Secondo il Polanco, si incominciarono subito le lezioni di latino e greco e poco dopo anche di ebraico: “vi si insegnava ancora la dottrina cristiana e sopra la porta delle scuole vi era scritto in una tabella: scuola di grammatica, d’umanità, e di dottrina cristiana, gratis”. Primi alunni gesuiti furono Edmond Auger, francese, Emmanuel Gomez, portoghese, Giovanni Egnazi, fiorentino, ed Emerio de Bonis mantovano. Ben presto però, diventando lo spazio esiguo per il notevole afflusso di studenti.
    Il numero crescente di alunni costringe Sant'Ignazio, nel settembre del 1551 a trasportare il Collegio in un'abitazione più ampia, nella casa dei Frangipane (oggi via del Gesù, all'altezza di Via della Pigna). Nel 1557 il Collegio e la sua Biblioteca si spostano nella casa Salviati, in Piazza dell'Olmo (oggi Piazza del Collegio Romano), all'angolo tra via Lata (oggi Via del Corso) e via della Gatta. Qui rimangono fino al 21 aprile 1560, quando la signora Vittoria della Tolfa marchesa della Valle dona al Collegio il possesso delle case situate nell'attuale area di Piazza del Collegio Romano. Nel 1584 il Collegio e la sua Biblioteca si trasferiscono nel grande Palazzo che Gregorio XIII fa appositamente costruire da Bartolomeo Ammannati sulla Piazza del Collegio Romano.
    Qui l'Università Gregoriana rimane fino al 1873, anno in cui la Biblioteca viene incamerata con i suoi 45.000 volumi, i manoscritti e gli archivi nella Biblioteca Vittorio Emanuele II. La Biblioteca viene con il tempo ricostituita e si sposta con l'Università nella sede del Palazzo Borromeo (via del Seminario) fino al trasferimento successivo, nel 1930, nell'attuale sede in piazza della Pilotta, sede costruita sul terreno dell'ex Caserma dei Dragoni Pontifici, ex giardini di Palazzo Colonna, sui resti dell'antico Tempio di Serapide.


    Essa ha sempre pienamente condiviso la storia dell'Istituzione cui appartiene e di cui è al servizio, l'ha seguita nei suoi molteplici spostamenti causati dalla necessità di trovare spazi funzionali adeguati alle esigenze di un numero di studenti e docenti in costante crescita, di un'offerta formativa in continuo ampliamento per il numero di discipline e specializzazioni coperte.
    Non si conoscono con precisione l'ampiezza ed il valore della Biblioteca del Collegio Romano, ma Girolamo Tiraboschi parlando delle Biblioteche del secolo XVI in Italia dice "Quella che aveano i Gesuiti nel loro Collegio Romano, divenne presto una delle più rinomate, per le copiose raccolte che vi si unirono di libri sì stampati che manoscritti, di Marcantonio Mureto, del P. Francesco Torriano, di Giambattista Coccini Decano degli Auditori di Rota, de' Padri Giovanni Lorino, Benedetto Giustiniani, Giacomo Lainez, Pietro Possino, de' Cardinali Bellarmino e Toledo, e poscia ancor di più altri" (G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana", v. VII, I, Roma, 1784; p. 213).
    Molte sono infatti le raccolte lasciate da privati ai Gesuiti, e fra queste quella, parziale, del celebre umanista francese Marc'Antonio Muret vissuto a lungo in Italia e quella di Giovanni Battista Coccini, Decano degli Auditori di Rota, lasciata in eredità nel 1640.
    Nel corso dei secoli XVII e XVIII la Biblioteca del Collegio Romano aumenta il suo patrimonio librario sia per sempre nuove donazioni di fondi librari sia per lascite di denaro o rendite da parte di benefattori che le vogliono espressamente destinate all'acquisto di nuove opere. Nascono per questo anche alcune controversie fra il Padre Prefetto della Biblioteca e il Padre Procuratore del Collegio riguardo alla possibilità di destinare totalmente tali lascite e rendite al funzionamento della Biblioteca o invece di utilizzarle per il "bene comune" del Collegio. Una pietra miliare nella storia della Biblioteca del Collegio Romano è proprio rappresentata dalla soluzione data a questa annosa controversia dal Rettore P. Angelo Alamanni, il quale in data 1 aprile 1695 stabilisce che annualmente si assegni alla Biblioteca, a partire dall'anno 1694, la somma di 200 scudi, di cui 175 destinati all'acquisto di nuovi libri e 25 per spese connesse alla rilegatura dei libri, alla stesura e copiatura di indici, a scaffalature per la conservazione del patrimonio librario.
    Il Padre Prefetto della Biblioteca è in questo periodo il combattivo Giovanni Battista Tolomei, che sempre continuerà ad amare la "sua" Biblioteca e a "battersi" per i suoi diritti e la sua crescita; più tardi, insignito della porpora cardinalizia, egli non la dimentica e nel testamento che stende il 27 ottobre 1719, sei anni circa prima della sua morte, fa dono della sua raccolta personale di libri alla Biblioteca del Collegio Romano, ponendo però una clausola molto importante: che si mantenga nel Collegio Romano in modo permanente una persona impiegata, diremmo oggi full time, per il servizio e la cura della Biblioteca, un impiegato "compagno e subordinato" al Padre Prefetto, ovvero una persona distinta dalle altre impiegate nel Collegio per lo svolgimento di altre funzioni.
    Nel 1748 Papa Benedetto XIV loda la cura con cui tutti i collegi della Compagnia di Gesù, in particolare il Collegio Romano, mantengono le loro biblioteche. All'interno del Collegio coesistono una Biblioteca Maior curata e mantenuta dal Padre Prefetto e da un suo assistente ed un certo numero di biblioteche minori, in un certo senso le definiremmo oggi "specializzate", utilizzate direttamente dai docenti, studenti e studiosi delle varie discipline, biblioteche da cui è consentito prendere in prestito i libri per la consultazione e lo studio personali, a differenza della Biblioteca Maior, che non concede prestiti di alcun tipo. La Biblioteca Maior era anche chiamata Bibliotheca Secreta anzi era forse questo il temine con cui veniva chiamata la Biblioteca del Collegio Romano, non nel senso di "segreta" ma nel senso di "separata" (e pubblica), distinta da ogni altra biblioteca privata della Compagnia. Al momento della soppressione della Compagnia di Gesù nel 1773, la Bibliotheca Maior possiede circa 80.000 volumi ed ammontano a circa 30.000 unità i volumi posseduti dalle biblioteche minori. Nel 1824 quando il Collegio viene restituito alla Compagnia il numero complessivo di volumi non ha subito aumenti rilevanti. Le opere riguardano principalmente i settori della Sacra Scrittura, della Teologia, della Storia Ecclesiastica, la letteratura classica greca e latina, la "storia profana", l'arte e l'archeologia, le scienze.


    Oggi il catalogo è conservato nella Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele, la quale venne formata inizialmente con i volumi del fondo della Bibliotheca Maior del Collegio Romano. Non si sa se si giunse a redigere anche un catalogo dei libri posseduti dalle biblioteche minori, ma dal documento che attesta la sopracitata controversia fra il Padre Prefetto della Biblioteca e il Padre Procuratore del Collegio Romano emerge l'intenzione di procedere, dopo la realizzazione del catalogo della Bibliotheca Maior, anche alla redazione di un catalogo delle biblioteche "comuni" e alla registrazione di tutti i libri presenti nelle varie stanze del Collegio. Esiste notizia anche di un altro catalogo, organizzato per materia, in quattro volumi in folio redatto per ordine del P. Tolomei durante il suo rettorato (1698-1701).Ne parla il P. Pietro Maria Salomoni (1698-1768) nella biografia del Tolomei "...il dar moto alla sola scuola era poco al nostro rettore: ...che la libreria del Collegio, oltre che alle antiche impressioni di vari autori classici, che vi mancavano, fornita fosse e rifatta di quanto allora trovavasi di buon gusto, e di tuti quegli scelti volumi che in qualunche materia e lingua andassero di mano in mano. Ottenne egli pertanto che a quella si fermasse annuale assegnamento, acciocché i professori non avesser che desiderare sì dell'antico che del moderno. E per risparmiare agli stessi la fatica di rintraciar nelle classi particolari gli scrittori in esse eccellenti fe disporre i 4 grossi volumi in folio gli indici sterminati delle materie, che da se nel corso letterario aveva compilati con incessante travaglio".(unigre.it)
    Il Collegio Romano fu sede dal 1876 al 1931 del Regio Ufficio Centrale di Meteorologia, che costituì il primo nucleo dell'attuale Servizio Meteorologico dell'Aeronautica Militare

    (Gabry)





    PAROLE IN MUSICA



    Parole In Musica

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    Come le cose che non mi aspetto
    Come quel “grazie” che arriva dritto
    O quell’abbraccio che non smette mai
    Di dare affetto
    Come il profumo di una sorpresa
    Di una speranza che si è accesa
    Qualsiasi posto insieme a te è sempre casa





    Video


    (Lussy)





    ... PARLIAMO DI ...


    Le nuove...ARTI


    "Io uso filo per creare sculture. Ogni scultura che faccio è un disegno tridimensionale con i fili rappresentano una qualità della linea. Gli uccelli sono la mia ispirazione principale, catturando il loro movimento e carattere è la mia preoccupazione principale. Trovo che il filo ha una spontaneità che può dare le mie sculture una sensazione di vita e di energia."


    CECLIA SMITH


    Celia Smith, scultrice inglese del Wiltshire, che ha avuto l’idea originale di utilizzare i cavi telefonici per farne delle sculture. Non si tratta, però, di fantomatici totem modernisti. No, Celia Smith riproduce animali, e soprattutto uccelli, riuscendo a creare figure molto realistiche e dimostrando come da una materia prima che di vivente non ha nulla si possa arrivare a rappresentare con grande precisione anche la vita degli uccelli. Le sue sculture, realizzate grazie alla combinazione di una sviluppata abilità tecnica con una spiccata capacità di osservazione della natura, somigliano a disegni tridimensionali le cui linee sono create manipolando i cavi telefonici, appunto.
    Ciò in cui riesce la Smith è catturare il movimento degli animali, a trasferirlo nelle sue sculture, insieme alla loro vitalità ed energia. La Smith, che ha già partecipato ad alcune importanti mostre sia a Londra che in altri Paesi europei, tra cui la Germania, rappresenta, secondo alcuni, un esempio di arte post-moderna.

    HASAN KALE


    Per l’artista Hasan Kale sembra che nessun oggetto sia troppo piccolo per poterlo utilizzare come un pittore fa della sua tela.
    Le sue decorazioni sfruttano qualunque spazio. Sono miniature infinitesimali dedicate alla sua città: Istanbul.
    L’artista turca fa uso di qualsiasi cosa, da semi di frutta ad ali di farfalle imbalsamate. Partendo dal colore di fondo, sfrutta uno spettro cromatico il più possibile vicino ad esso.

    WANG YUE


    Non appena vede una cavità in un albero, la 23enne Wang Yue tira fuori dalla borsa pennelli e tavolozza e la usa come tela per disegnare paesaggi o animali che potrebbero abitare il tronco. La ragazza impiega circa due ore per portare a termine ogni lavoro. Entusiasta il quartiere di Shijiazhuang in cui Yue pratica la sua arte: è un modo per colorare le strade grigie afflitte dal problema delle polveri sottili. Circa 11 immagini sono state realizzate da febbraio su vecchi alberi di pagoda nei viali della città, rappresentanti paesaggi e maggiormente animali, figure tenere e belle che incuriosiscono i passanti e non solo… Il lavoro fatto dalla studentessa non è per niente improvvisato: un’amica l’aiuta a cercare i fori che possono essere dipinti, passando a perlustrarne molti e fotografarli. Scelti quelli più grandi (perchè più adatti ad un impatto visivo maggiore) Wang disegna le immagini sul suo computer e utilizza software adeguati per aggiungere la forma del tronco esposto, prima di inviare l’immagine completata al suo telefono, da cui attinge poi per il suo disegno, che verrà realizzato sull’albero scelto in precedenza con l’utilizzo di vernici che non intaccano la sopravvivenza degli alberi stessi.

    HEATHER JANSCH


    Heather Jansch, una artista che proprio dal mare recupera legni trasportati dalla corrente e con essi realizza opere sorprendenti, vere e proprie opere del mare, chiamate anche driftwood. I soggetti delle sue sculture rappresentano animali, per lo più cavalli, realizzati con cortecce di alberi. Opere naturali, sostenibili e ecologiche ottenute grazie al recupero degli elementi che costituiscono e raccontano la natura e a cui l’artista si ispira: animali, acqua, legno.

    (Gabry)





    STRISCIA FUMETTI





    I GRANDI DIRETTORI D'ORCHESTRA




    Riccardo Muti




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    Riccardo Muti (Napoli, 28 luglio 1941) è un direttore d'orchestra italiano. Dal 1986 al 2005 è stato direttore musicale del Teatro alla Scala di Milano. Dirige l'Orchestra Giovanile Luigi Cherubini che ha fondato nel 2004 e che ha sede a Piacenza e Ravenna; dal 2010 è Music Director della Chicago Symphony Orchestra.


    Formazione
    Muti, di padre di Molfetta e madre di Napoli, frequenta il liceo classico Vittorio Emanuele II di Napoli; studia pianoforte con Vincenzo Vitale nella stessa città, conseguendo il diploma con lode presso il Conservatorio di San Pietro a Majella. In seguito, dopo aver lasciato a Napoli la facoltà di Filosofia all'Università, si trasferisce a Milano, dove studia Composizione con Bruno Bettinelli e Direzione d'orchestra con Antonino Votto.

    Carriera
    riccardo-mutiDebutta nel 1967 al Teatro Coccia di Novara vincendo il Premio Cantelli per giovani direttori d'orchestra, violinisti e flautisti. Dal 1968 al 1980 è stato direttore principale e direttore musicale del Maggio musicale fiorentino. Durante il periodo fiorentino di notevole interesse sono state le rappresentazioni del Nabucco di Verdi con la regia di Luca Ronconi, in particolare i costumi del quarto atto riconducibili alle divise dei soldati italiani nel risorgimento nella replica nel Teatro Comunale di Firenze del 1977, il Guglielmo Tell di Rossini nella versione integrale e ancora di Verdi l'Otello con l'inedito finale del terzo atto.
    Nel 1969 dirige la prima rappresentazione radiofonica nell'Auditorium RAI del Foro Italico di Roma di "I puritani" di Vincenzo Bellini con Mirella Freni, Luciano Pavarotti, Sesto Bruscantini e Bonaldo Giaiotti.
    Nel 1970 dirige la ripresa nel Teatro Comunale di Firenze di "I puritani".
    Al Teatro La Fenice di Venezia dirige un concerto sinfonico con Cristina Deutekom nel 1970, uno nel 1971, Ivan il Terribile di Sergej Prokof'ev nel 1972, un concerto nel 1978, uno nel 1995, il Concerto straordinario a favore della ricostruzione del Teatro nel 1996 ed il concerto Riapre La Fenice - nella Settimana inaugurale il 14 dicembre 2003.
    Nel 1971 dirige la prima rappresentazione nel Kleines Festspielhaus di Salisburgo di "Don Pasquale" di Gaetano Donizetti con Rolando Panerai e Fernando Corena.
    Nel 1972 dirige la ripresa nel Teatro Comunale di Firenze di "Un ballo in maschera" di Giuseppe Verdi con Renato Bruson e Rolando Panerai.
    Dal 1972 al 1982 è stato direttore principale della Philharmonia Orchestra di Londra succedendo ad Otto Klemperer: con questa orchestra ha effettuato diverse registrazioni sia di opere italiane tra cui Aida di Giuseppe Verdi con Montserrat Caballé e Placido Domingo, che ad oggi risulta essere uno dei dischi d'opera più venduti al mondo, e il Macbeth nel quale riapre tutti i vecchi tagli aggiunti nel corso degli anni da vari direttori, sia lavori sinfonici tra i quali spiccano l'integrale delle sinfonie di Schumann e Čajkovskij.
    Al Wiener Staatsoper dirige Aida con Gwyneth Jones e Plácido Domingo nel 1973, La forza del destino con Cesare Siepi e Sesto Bruscantini nel 1974, il Requiem (Verdi) con Fiorenza Cossotto nel 1975, Norma (opera) con la Caballé e la Cossotto nel 1977, Rigoletto con Bruson ed Edita Gruberova nel 1983, Le nozze di Figaro nel 1993 e nel 2001, Così fan tutte con Barbara Frittoli e Cecilia Bartoli nel 1994 e nel 2008, Mefistofele (opera) con Samuel Ramey nel 1997 e Don Giovanni (opera) con Anna Caterina Antonacci nel 1999. Fino ad oggi Muti ha diretto 108 rappresentazioni viennesi.
    Nel 1975 dirige la ripresa nel Teatro Comunale di Firenze del Requiem (Verdi) con Fiorenza Cossotto.
    Dal 1980 al 1992 è stato direttore musicale dell'Orchestra Sinfonica di Filadelfia, che ha portato in diverse tournée internazionali. Nel 1979 ne è stato nominato direttore principale, nel 1982 direttore onorario. Nel 1991 proprio con questa orchestra ha eseguito la Tosca di Giacomo Puccini, primo titolo del compositore toscano diretto dal maestro Muti.

    Muti ed il Teatro alla Scala
    Al Teatro alla Scala di Milano dirige Le nozze di Figaro con Samuel Ramey e Frederica von topics_muti_190Stade nel 1981 e nel 1982, un concerto con la Philharmonia Orchestra, Ernani nella serata d'inaugurazione della stagione 1982/1983 con Placido Domingo, Renato Bruson, Nicolai Ghiaurov e Mirella Freni ed un concerto sinfonico nel 1982, un concerto con l'ouverture di Giovanna d'Arco di Giuseppe Verdi, lo "Stabat Mater" ed il "Te Deum" di Giuseppe Verdi alla presenza del Santo Padre Giovanni Paolo II con musiche di Giuseppe Verdi e Così fan tutte nel 1983, un concerto sinfonico con l'Orchestra filarmonica della scala nel 1984, uno con la Philadelphia Orchestra, tre concerti sinfonici nel 1985 ed uno nel novembre 1986.
    Dal 1986 al 2005 Muti è stato direttore principale dell'Orchestra del Teatro alla Scala, con la quale l'anno successivo ha ricevuto il premio Viotti d'Oro e che ha portato in tournée in Italia e in Europa.
    Per il Teatro alla Scala in seguito Muti dirige:
    Nabucco con Bruson e Ghena Dimitrova nella serata d'inaugurazione della stagione 1986/1987, un concerto nel dicembre 1986, Alceste (Gluck) con William Matteuzzi e Anne Sofie von Otter, I Capuleti e i Montecchi con June Anderson ed Agnes Baltsa, Le nozze di Figaro con Barbara Hendricks, il Requiem (Verdi) con Cheryl Studer e Luciano Pavarotti, un concerto con la Philadelphia Orchestra ed uno con la von Stade nel 1987;
    Don Giovanni con Edita Gruberova nella serata d'inaugurazione della stagione 1987/1988, un concerto con musiche di Mozart con Waltraud Meier e Josè van Dam nel 1987, Der fliegende Holländer, Nabucco con Giorgio Zancanaro e la Dimitrova alla Scala e nella prima rappresentazione nel Nippon Heika Kaikan di Tokyo, Requiem (Verdi) con Daniela Dessì nella Cathédrale Notre-Dame de Paris, con la Baltsa alla Hitomi Kinen Hall di Tokyo e nel Duomo di Milano, I Capuleti e i Montecchi al Teatro Bunka Kaikan di Tokyo ed al Festival Hall di Osaka un concerto con la prima esecuzione assoluta di Morte di Borromini di Salvatore Sciarrino con Tino Carraro nel 1988;
    Guglielmo Tell (opera) nella serata d'inaugurazione della stagione 1988/1989, Le nozze di Figaro con la Studer e Ferruccio Furlanetto, Così fan tutte con la Dessì, Don Giovanni con la Gruberova e Furlanetto, Orfeo ed Euridice (Gluck) con Bernadette Manca di Nissa, I Capuleti e i Montecchi al Teatro Bolshoi, Requiem (Verdi) con la Dessì nella Sala Tchaikovsky del Conservatorio di Mosca ed al Teatro Kirov di Leningrado, un concerto alla Scala nel 1989;
    I vespri siciliani nella serata d'inaugurazione della stagione 1989/1990, Lo frate 'nnamorato nel 1989, due concerti con l'Orchestra della Scala ed uno con i Wiener Philharmoniker, La clemenza di Tito, La traviata nel 1990;
    Idomeneo (opera) nella serata d'inaugurazione della stagione 1990/1991, Lodoïska con Mariella Devia, Lo frate 'nnamorato con Cecilia Gasdia e la Manca di Nissa, La traviata, la Sinfonia n. 3 (Beethoven), un concerto con la Philadelphia Orchestra, Attila (opera) con Ramey, Zancanaro e la Studer, un concerto con Maurizio Pollini, il Requiem (Mozart) nel 1991;
    Parsifal (opera) con Placido Domingo e la Meier nella serata d'inaugurazione della stagione 1991/1992, lo Stabat Mater (Rossini), Iphigénie en Tauride, La traviata, un concerto con la Filarmonica, uno con Radu Lupu e musiche di Beethoven, La donna del lago con Rockwell Blake e June Anderson, Requiem (Verdi) nel Teatro de la Maestranza di Siviglia, all'Auditorium Nacional di Madrid, al Teatro Liceu e nella Chiesa di San Marco (Milano) nel 1992;
    Don Carlo con Ramey, Pavarotti, Dessì e D'Intino nella serata d'inaugurazione della stagione 1992/1993, Don Giovanni con Cecilia Bartoli, Le Baiser de la fée e Pagliacci (opera), Falstaff (Verdi) con Juan Pons, Ramon Vargas la Dessì e Manca di Nissa, due concerti nel 1993;
    La Vestale (Spontini) con Denyce Graves nella serata d'inaugurazione della stagione 1993/1994, Don Pasquale, La Creazione, Rigoletto, un concerto con Gidon Kremer, uno con la Filarmonica della Scala, uno con i Wiener Philharmoniker, la trasferta alla Alte Oper di Francoforte sul Meno con il Requiem (Verdi), la Sinfonia n. 48 Maria Teresa di Haydn e lo Stabat Mater (Rossini) nel 1994;
    Die Walküre con Domingo e la Meier nella serata d'inaugurazione della stagione 1994/1995, Ivan il Terribile di Prokofiev nel 1994, Rigoletto, Mefistofele (opera), Requiem (Verdi) all'Accademia di Santa Cecilia ed al Teatro NHK Hall di Tokyo, un concerto, La traviata, Falstaff (Verdi) con Pons, Vargas, Dessì e Manca di Nissa nel 1995;
    Die Zauberflöte nella serata d'inaugurazione della stagione 1995/1996, Nabucco con Bruson e Maria Guleghina, cinque concerti di cui uno con l'Orchestra ed il Coro del Teatro La Fenice, Das Rheingold nel 1996;
    Armide di Christoph Willibald Gluck con Anna Caterina Antonacci e Juan Diego Florez nella serata d'inaugurazione della stagione 1996/1997, il Concerto di Natale trasmesso da Rai Uno, Sigfrido (opera), Le nozze di Figaro con la Frittoli e Bryn Terfel, un concerto con la Filarmonica della Scala, uno con i Wiener Philharmoniker con musiche di Schubert, Falstaff, La traviata con Andrea Rost, Requiem (Verdi) nella Chiesa di San Marco (Milano) nel 1997;
    Macbeth (opera) nella serata d'inaugurazione della stagione 1997/1998, il Concerto di Natale, Die Zauberflöte, il ciclo integrale delle Sinfonie di Beethoven, Manon Lescaut e tre concerti nel 1998;
    Il crepuscolo degli dei nella serata d'inaugurazione della stagione 1998/1999, il Concerto di Natale trasmesso da Rai Uno, La forza del destino con Leo Nucci, due concerti, l'Armide di Gluck, la Messa in Si minore, Nina, ossia La pazza per amore di Giovanni Paisiello, Don Giovanni, il ciclo integrale delle Sinfonie di Beethoven nel 1999;
    il 7 dicembre del 1999 apre la stagione scaligera dell'anno giubilare con il Fidelio di Beethoven con la regia di Herzog, il Concerto di Natale con la Messa in Do minore K 427, Tosca (opera) con la Guleghina, Salvatore Licitra, Nucci ed Alfredo Mariotti, un concerto con i Wiener Philharmoniker, I dialoghi delle Carmelitane (opera), Rigoletto con Vargas, Alberto Gazale e la Rost ed il Requiem (Verdi) al NHK Hall di Tokyo, un concerto con musiche di Haydn, La forza del destino al Bunka Kaikan di Tokyo, quattro concerti in uno dei quali dirige la prima esecuzione assoluta di Wanderer per grande orchestra di Luca Francesconi (compositore) ed uno con musiche di Verdi;
    Il trovatore nella serata d'inaugurazione della stagione 2000/2001, il Concerto di Natale trasmesso da Rai Uno, Requiem (Verdi) nella Chiesa di San Marco (Milano), al Musikverein, al Palazzo dei congressi di Bucarest ed al Teatro Bolscioi, Rigoletto, La traviata, Falstaff, Un ballo in maschera, il Requiem (Mozart), Stabat Mater (Rossini) nel Palazzo dei Congressi di Bucarest ed al Teatro Wielki di Poznań, Macbeth, la Messa solenne di Luigi Cherubini e dei concerti nel 2001;
    Otello (Verdi) con Domingo, Nucci e la Frittoli nella serata d'inaugurazione della stagione 2001/2002, il Concerto di Natale trasmesso da Rai Uno ed al Teatro degli Arcimboldi La traviata, Le nozze di Figaro ed un concerto nel quale dirige in prima esecuzione assoluta "Diario dello sdegno", per grande orchestra, di Fabio Vacchi, commissionata dallo stesso Riccardo Muti e dalla Filarmonica della Scala e trasmessa in differita su Retequattro nel 2002;
    al Teatro degli Arcimboldi il concerto d'inaugurazione della Stagione Filarmonica 2002/2003, Ifigenia in Aulide (Gluck) per l'inaugurazione della Stagione d'Opera, la Messa in La bem. magg. D 678 di Franz Schubert per il Concerto di Natale ripreso da Rai Uno, Fidelio, dei concerti, I due Foscari con Nucci e Dimitra Theodossiou, Macbeth con Leo Nucci/Alberto Gazale e Salvatore Licitra al Bunka Kaikan di Tokyo ed Otello (Verdi) nel NHK Hall di Tokyo nel 2003;
    al Teatro degli Arcimboldi Moïse et Pharaon nella serata d'inaugurazione della stagione 2003/2004, il Concerto di Natale trasmesso da Rai Uno, I dialoghi delle Carmelitane (opera), dei concerti, Falstaff, nel 2004;
    il 7 dicembre 2004 ha riaperto il Teatro alla Scala, dopo i lavori di restauro, dirigendo l'opera Europa riconosciuta di Antonio Salieri con Diana Damrau nella serata d'inaugurazione della stagione 2004/2005, la Messe Solennelle di Hector Berlioz per il Concerto di Natale trasmesso da Rai Uno ed infine un concerto con i Wiener Philharmoniker nel 2005.

    Muti nei principali teatri in Europa
    Oltre alla Scala, Muti ha diretto produzioni operistiche anche a Firenze, Napoli, Filadelfia, VERDI-articleLarge Monaco, Vienna, Londra, Liegi e al Festival di Ravenna.
    È spesso ospite della Filarmonica di Berlino e della Filarmonica di Vienna. Nel 1996 Muti ha diretto quest'ultima in occasione della chiusura della settimana del Festival Viennese, in un tour verso l'estremo oriente (Giappone, Corea, Hong Kong) e in Germania oltre che il Concerto di Capodanno nel 1993, 1997, 2000 e 2004.
    Nel settembre 2008 tornerà a guidare i Wiener Philharmoniker in una lunga tournée giapponese.
    Dal 1971, anno in cui vi ha debuttato con Don Pasquale di Gaetano Donizetti, su invito di Herbert von Karajan, è uno dei partecipanti abituali del Festival di Salisburgo, dove dirige opere e concerti ed è particolarmente apprezzato per l'allestimento delle opere mozartiane. In particolare l'allestimento di Così fan tutte è stato talmente acclamato che è stato ripreso ininterrottamente dal 1982 fino al 1988 ed è stato il direttore a cui il festival ha affidato la nuova produzione di Don Giovanni nel 1990 dopo la morte di Karajan. Nel 1991 declina l'invito a dirigere una nuova produzione della Clemenza di Tito a causa della regia che non ritiene confacente all'ultima opera scritta da Mozart. Inoltre, a causa dei dissapori con il nuovo direttore artistico di Salisburgo Gerard Mortier, Muti non dirigerà più opere ma solo concerti con i Wiener Philharmoniker. Fino al 2005 quando, scaduto il mandato di Mortier, tornerà sul podio per Il Flauto Magico e per l'Otello di Verdi previsto per il festival di Salisburgo 2008.
    Al Royal Opera House di Londra nel 1977 dirige Aida con Plácido Domingo, Fiorenza Cossotto e Montserrat Caballé e Macbeth (opera) con Renato Bruson e Renata Scotto nel 1981.
    Dirige le prime esecuzioni assolute nella Symphony Hall dell'American Academy of Music di Filadelfia di "Summer Solstice" per orchestra e del Concerto per violino e orchestra di Ezra Laderman nel 1980 e del Concerto per pianoforte e orchestra di Tina Davidson nel 1983.
    Nel 1984 dirige la ripresa nel Kleines Festspielhaus di Salisburgo di "Così fan tutte ossia La scuola degli amanti" di Wolfgang Amadeus Mozart con Kathleen Battle e Sesto Bruscantini.
    Nel 1987 dirige la prima rappresentazione nella Deutsche Staatsoper di Berlino di "Nabucco" di Giuseppe Verdi con Renato Bruson.
    Nel 1990 dirige la ripresa nel Großes Festspielhaus di Salisburgo di "Il dissoluto punito ossia Il Don Giovanni" di W. A. Mozart, con Carol Vaness, Edita Gruberová, Ramey e Furlanetto.
    È sposato con Cristina Mazzavillani Muti, direttrice del Ravennafestival[1] e da anni risiede a Ravenna. La coppia ha tre figli: Francesco, Chiara (nota attrice e moglie del pianista francese David Fray) e Domenico.
    Grande interprete verdiano e mozartiano, Muti è anche noto per le sue sempre interessanti esecuzioni operistiche di autori come Pergolesi, Gluck, Bellini, Rossini, Puccini e Wagner.
    Oltre ai capolavori di Giuseppe Verdi e Mozart, alla Scala, Muti ha voluto riportare all'attenzione del pubblico le opere di Gluck (Alceste, Orfeo ed Euridice e Armide) e quelle di autori del periodo storico neo-classico, quali Lodoïska di Luigi Cherubini e La Vestale di Gaspare Spontini. Inoltre il Maestro ha riportato alla scala dopo vent'anni sia Parsifal che l'intera tetralogia de L'Anello del Nibelungo di Wagner, ottenendo esiti contrastanti; sempre negli anni 90 ha avuto il merito di riportare alla Scala opere non più eseguite da svariati anni come La Forza del Destino che ha riscosso un trionfale successo nel 1999, la Manon Lescaut di Giacomo Puccini.
    Nel 2000 è stato chiamato a dirigere l'Orchestra Filarmonica di Vienna nel noto concerto di Capodanno di apertura del nuovo Millennio nella Großer Musikvereinsaal di Vienna; aveva avuto questo onore già nel 1993 (risultando il più giovane direttore ospite di questa manifestazione, a soli 52 anni) e nel 1997; è stato nuovamente chiamato a questo prestigioso incarico nel cinquantesimo concerto di Capodanno 2004 con musiche di Johann Strauss (padre) e Johann Johann Strauss (figlio).
    Nel 2001, il maestro ha ricevuto il "Premio Internazionale Medaglia d'Oro al merito della Cultura Cattolica" dalla Scuola di Cultura Cattolica di Bassano del Grappa. Ma il 2001 è soprattutto l'anno verdiano e il maestro regala ai milanesi in un'unica stagione Il Trovatore, Rigoletto, La Traviata, Un ballo in maschera, Macbeth infine l'Otello per il 7 dicembre del 2001 con Placido Domingo nel ruolo del protagonista, Barbara Frittoli nei panni di Desdemona e Leo Nucci come Jago. Il 27 gennaio 2001 dirige nella Basilica di San Marco a Milano il coro e l'orchestra del Teatro Alla Scala nella Messa da Requiem di Giuseppe Verdi proprio nel giorno un cui 100 anni prima moriva il compositore. Il concerto con le compagini scaligere sarà eseguito anche per due sere consecutive al Musikverein di Vienna.
    Nel 2004 ha creato l'Orchestra Giovanile Luigi Cherubini formata da giovani strumentisti scelti da una commissione internazionale.
    Il 16 marzo 2005, l'orchestra e lo staff della Scala hanno votato a larga maggioranza una richiesta di dimissioni di Muti, il quale cancellò un concerto prima della votazione e il 2 aprile diede le dimissioni.
    Poco dopo ha ricevuto a Brescia il Premio "Arturo Benedetti Michelangeli", secondo artista italiano ad averlo ricevuto dopo Maurizio Pollini.
    Il 2 marzo 2007 dirige l'Orchestra giovanile Luigi Cherubini in un concerto straordinario (Concerto in La minore per violoncello e orchestra di Schumann e Sinfonia n. 4 "Tragica" in Do minore di Franz Schubert) nella Basilica di San Francesco ad Arezzo di fronte agli affreschi di Piero della Francesca, nell'ambito del Festival musicale organizzato dall'Ente Filarmonico Italiano. Durante la serata viene insignito del premio "Il Filarmonico", consegnatogli da Lorenzo Arruga.
    Nel febbraio 2008 vince due Grammy Award (Best Classical Album e Best Choral Performance) con l'album Missa Solemnis in Mi di Luigi Cherubini con Orchestra Sinfonica della Radio Bavarese inciso per la EMI. Nel maggio 2008 firma un contratto quinquennale per 10 settimane di conduzione l'anno con la Chicago Symphony Orchestra, a partire dal settembre 2010. Muti dirigerà l'orchestra americana sia nelle tournée nazionali che in quelle internazionali. L'incarico di direttore musicale verrà ufficializzato nel gennaio 2009 con l'esecuzione della Messa da Requiem di Verdi.
    L’ultima volta che Muti diresse l’orchestra americana, a conclusione del prestigioso incarico, volle donare alla città di Molfetta la bacchetta rigorosamente in legno, esposta a Palazzo Giovene nella Civica Siloteca del Centro Studi Molfettesi dedicata a Raffaele Cormio.
    Sempre nel 2008, a dicembre, intraprenderà una nuova collaborazione con un teatro d'opera italiano: dirigerà infatti l'Otello di Giuseppe Verdi al Teatro dell'Opera di Roma, dove non ha mai diretto uno spettacolo operistico, nella produzione andata già in scena al Festival di Salisburgo 2008; dopo l'Otello il maestro è atteso con Ifigenia in Aulide (Gluck) nel marzo del 2009 e l'Idomeneo di Mozart 2010. Tali sono stati i successi di queste produzioni che il sindaco di Roma Gianni Alemanno, ha offerto a Riccardo Muti la direzione musicale del teatro capitolino, nomina che il maestro ha accettato nell'agosto del 2009 durante il festival di Salisburgo: l'accordo prevede la direzione di due opere e di due concerti sinfonici a stagione nonché la supervisione della scelta dei nuovi professori che compongono l'orchestra del Teatro dell'Opera di Roma; è già stato inoltre annunciato che Riccardo Muti dirigerà il Nabucco inaugurale della stagione 2011, spettacolo inserito nelle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia.
    A febbraio 2009 inaugura la nuova stagione sinfonica del Teatro di San Carlo, dopo un periodo di ristrutturazione e restauro del Massimo, eseguendo per l'occasione opere di Wolfgang Amadeus Mozart, Niccolò Jommelli e Giuseppe Verdi. Nel giugno 2009 dirige Demofoonte (Jommelli) all'Opéra National de Paris.
    Il 23 febbraio 2010, Riccardo Muti farà il suo debutto alla Metropolitan Opera House di New York, dirigendo una nuovissima produzione dell'Attila di Giuseppe Verdi con Ramón Vargas e Samuel Ramey; già viene comunicato che per la stagione successiva tornerà sempre al Metropolitan con l'Armida di Gioacchino Rossini. Sempre nel 2010 è uscita la sua autobiografia Prima la musica, poi le parole.
    Il 4 febbraio 2011 a Chicago, nel corso di una prova per un concerto della Chicago Symphony Orchestra della quale è direttore stabile, riporta, a seguito di una caduta, una frattura alla mascella per la quale è operato nei giorni successivi, al Northwestern Memorial Hospital[4]. Il malore che ha provocato la caduta era dovuto, secondo i medici dell'ospedale di Chicago, ad una irregolarità del battito cardiaco, per la qual cosa si è resa necessaria l'applicazione di un pacemaker.
    Il 13 febbraio 2011, in qualità di direttore della Chicago Symphony Orchestra, ha vinto 2 Grammy Award nelle categorie Best Classical Album e Best Choral Performance per la registrazione del Requiem (Verdi) con Barbara Frittoli.[5] Dirige Macbeth nell'agosto 2011 al Salzburger Festspiele ed in novembre/dicembre al Teatro dell'Opera di Roma.
    Nel 2012 in gennaio dirige il Requiem (Verdi) all'Opéra-Comédie di Montpellier, in marzo/aprile I due Figaro al Teatro Real di Madrid, in maggio/giugno Attila al Teatro dell'Opera, in luglio Sancta Susanna di Paul Hindemith al Teatro Alighieri ed in agosto/settembre I due Figaro al Teatro Colón.

    Riconoscimenti accademici
    Il 3 marzo 2007 la Facoltà di Lettere e Filosofia di Arezzo dell'Università degli Studi di Siena gli conferisce una laurea honoris causa in Letteratura e Spettacolo, consegnatagli dal Rettore Silvano Focardi. Secondo quanto ricorda la delibera della Facoltà di Lettere e Filosofia di Arezzo, "la sua arte interpretativa, la sua attività di svecchiamento di obsoleti canoni esecutivi, che ha influenzato positivamente schiere di giovani direttori, la diffusione della musica d'arte presso platee di giovani, la fondazione di importanti istituzioni musicali, le molteplici iniziative umanitarie, ne hanno fatto uno straordinario rappresentante della cultura italiana nel mondo". Camillo Brezzi, preside della Facoltà di Lettere e Filosofia di Arezzo, motiva così la decisione di conferire la laurea al Maestro Muti: "Ci possono essere numerose motivazioni per insignire una personalità artistica di rilievo della laurea honoris causa. Alcune di esse sono di immediata riconoscibilità: il livello artistico raggiunto, l'attività internazionale, nel caso di un musicista la produzione discografica, la capacità di far scuola, la riconoscibilità e l'originalità del metodo. [...] Proprio in questi anni il maestro Muti ha creato l'Orchestra giovanile Luigi Cherubini chiamando giovani musicisti selezionati da una commissione internazionale. All'inizio poteva apparire un atto di fede. Oggi, a soli due anni di vita, è un fenomeno unico in Italia e ammirato dal resto del mondo. La critica e il pubblico hanno notato che con la "Cherubini" Riccardo Muti fraseggia da par suo con toccante e sicura delicatezza e che i nostri migliori talenti - oramai orchestra - con lui e grazie a lui dimostrano di avere la capacità preziosa di mettere in evidenza, sotto una luce intensa, ogni minimo dettaglio timbrico e armonico delle opere. Riccardo Muti, nel momento della sua piena e riconosciuta maturità artistica, ha deciso di mettere a disposizione dei giovani la sua esperienza ed il suo talento. Un docente eccezionale, per capacità e motivazioni".

    La controversia con La Scala
    A seguito di gravi divergenze con il sovrintendente Fontana, il maestro si rifiutò di partecipare alla conferenza stampa di presentazione della stagione 2003; la nomina di Mauro Meli a nuovo direttore artistico aveva lo scopo di calmare il conflitto sorto tra le due figure di maggior spicco del teatro. In seguito, Fontana fu rimosso dall'incarico e Meli insediato al suo posto. A questo punto i musicisti si schierarono dalla parte di Fontana contro Muti che cominciò a meditare il suo addio all'orchestra. Il 16 marzo 2005 l'orchestra e lo staff votarono a grande maggioranza (cinque contrari su oltre settecento) una mozione di sfiducia nei confronti di Muti, il quale annullò un concerto già in programma; anche altre produzioni furono interrotte a causa dei continui contrasti. Infine, il 2 aprile Muti rassegnò le dimissioni, adducendo a motivo l'"ostilità" nei suoi confronti da parte dell'ambiente scaligero, nonostante le rimostranze di alcuni orchestrali che non volevano perderlo.

    CD parziale
    Beethoven, Conc. per vl. op.61 - Repin/Muti/Wiener Philharmoniker, 2007 Deutsche Grammophon
    Leoncavallo, Pagliacci - Muti/Dessì/Pavarotti/Pons, 1992 Decca
    Mozart Schumann Brahms, Sinf. n.35-41/Sinf. n.1-4/Sinf. n. 1-4 - Muti/Wiener Philharmoniker/Philadelphia Orchestra, Decca
    Puccini, Manon Lescaut - Muti/Cura/Guleghina/Gallo, 1998 Deutsche Grammophon
    Puccini, Tosca - Muti/Vaness/Zancanaro, 1992 Decca
    Rossini, Donna del lago - Muti/Blake/Merritt/Anderson, 1992 Decca
    Rossini, Guglielmo Tell - Muti/Zancanaro/Merritt/Surjan, 1988 Decca