CURIOSITA' dal MONDO VERDE

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  1. gheagabry
     
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    QUANDO LA NATURA RIPRENDE
    CIO' CHE E' SUO!


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    "Nella via dietro la ditta in cui lavoro non passa mai nessuno essendo il retro di un’azienda. Io ci passo ogni tanto per parcheggiare quando non trovo posteggio sul lato anteriore.
    Ho notato che da piccole crepe tra il marciapiede ed il muretto della recinzione aziendale già da qualche tempo spuntavano ciuffetti d’erba. Nel giro di un anno questi ciuffetti si sono trasformati in arbusti ed ora, dopo ancora qualche mese, ci sono alberelli nel vero senso della parola, alcuni direbbero “sterpaglie”, ma io preferisco chiamarli alberelli.
    Sono sicuro che tra qualche decina di mesi potrebbero spaccare l’asfalto con le loro radici e crescere ancora di più.
    Questo mi ha fatto riflettere sul fatto che la natura, senza le costanti opere di bonifica dell’uomo, ha comunque il sopravvento su tutto cio’ che costruiamo. Le nostre città senza bonifica continua nel giro di 20 o 30 anni sarebbero coperte dalla vegetazione.
    Ho pensato spesso al concetto di salvaguardia ambientale tanto sbandierato dal politicamente corretto, in realtà questo concetto mira non a salvaguardare l’ambiente in se stesso e naturalmente inteso, ma semplicemente a salvaguardare l’ambiente umano perché possa continuare a svilupparsi sulla terra.
    E’ un concetto umano a favore dell’uomo, non un concetto naturale a favore della natura.
    La natura sono anche i terremoti e le alluvioni.
    Anche il buco nell’ozono in quanto creato dalle emissioni industriali o comunque umane fa più danni all’uomo che alla natura.
    Scomparsa una specie se ne forma un’altra più adatta.
    Siamo noi a stabilire eticamente e in base alla cultura dominante che un topo che prolifica nelle nostre città invadendole è meno consono di un cagnolino tenuto al guinzaglio dal padrone che lo ha appena ritirato dalla toilettatura.
    Natura è per se stesso un concetto di “non intervento umano”.
    A me quegli arbusti che spaccano l’asfalto fanno tanta simpatia, a volte penso che il mio stile di vita sia però inconciliabile con il loro, come sarebbe inconciliabile con un terremoto di assestamento delle faglie la stabilità del mio palazzo.
    Eppure ho simpatia per la natura, la natura che, nonostante quello che ci vogliono far credere gli ambientalisti, se ne frega altamente di noi e delle nostre invasioni di campo, quando vorrà si riprenderà cio’ che è suo con un battere di ciglio."
    (Fabio, senecamilano, dal web)

    .....KLEVAN.....


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    Sembra uscito da una favola...ed invece, questo tunnel vegetale dove passano i binari del treno esiste veramente: si trovaa Klevan, in Ucraina. Talmente suggestivo da essere chiamato "Tunnel of Love". La natura ha le sue leggi..Nel corso del tempo, è in grado di ripristinare abilmente ordine in luoghi "metamorphosizzati" dall'uomo. Viene nuovamente fuori il concetto del Naturale che si ribella all'Antropico.
    "C'era una volta, in questo luogo incantato, un uomo che volle posare nuovi binari lucenti lungo, dando vita ad una lunga scia di traversine. Di tanto in tanto, la natura, mediante lunghi ed affilati rami, si intromettevano nel passaggio, insinuandosi sempre più lungo la via. Poi, nel bosco, venne sempre meno frequentemente sentito il rumore delle ruote di ferro, e la ferrovia venne infine abbandonata. E fu così che col passare degli anni, la natura si reimpossessò della sua cara e vecchia "via" ormai ricoperta di vegetazione."
    (paperblog)


    Edited by gheagabry1 - 13/2/2022, 00:02
     
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  2. gheagabry
     
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    La musica segreta delle piante: la linfa scorre e produce le noteLaura Silingardi, musicologa, e Tiziano Franceschi, programmatore informatico, accompagnati da un geranio odoroso, fanno sentire i suoni della pianta, la musica della natura. Aiutati da un apparecchio, un convertitore di impulsi, I vegetali suonano tutto il giorno, mentre di notte dormono: è il momento in cui "la linfa scorre talmente lenta che la macchina non riesce a percepirla".

    Da una foglia di graminacea a un albero secolare, tutto suona. La voce delle piante è una melodia che scaturisce dal movimento della linfa e si traduce in musica, diversa a seconda degli esemplari. Possibile?

    Sentire per credere quello che accade nel salone di Villa Giulia, a Verbania, dove "Editoria e Giardini", la rassegna di libri, appuntamenti e visite guidate (fino al 27 settembre) ospita un incontro speciale. Laura Silingardi, musicologa, e Tiziano Franceschi, programmatore informatico, accompagnati da un geranio odoroso, fanno sentire i suoni della pianta, la musica della natura. Aiutati da un apparecchio, un convertitore di impulsi.

    «Collegato alle foglie con i sensori è in grado di leggere il movimento della linfa, dal quale si può ricavare la melodia - spiega la musicologa - I primi esperimenti di questo tipo sono stati effettuati in America negli anni Settanta, quasi per gioco, quando un tecnico mise in comunicazione una “macchina della verità” a una pianta in vaso invece che a un essere umano». Si voleva osservare e verificare l’esistenza di una sensibilità di reazione del mondo vegetale di fronte a stimoli esterni.

    Così, da quasi un decennio, Laura, 47 anni e tre figli, che condivide questa ricerca a metà strada tra natura e spiritualità con il marito Tiziano, si muove in tutta Italia, gratuitamente e con scopi divulgativi, per far conoscere la musica delle piante: il convertitore di impulsi rileva le variazioni di movimento che vengono poi trasformate in suoni diversi per ogni specie . «Ho messo sullo spartito la melodia di una pianta e ho cercato di analizzarla da un punto di vista compositivo, di struttura - dice la Silingardi - Come grammatica musicale sono dovuta andare molto indietro nel tempo. Tecnicamente il mondo verde produce note attraverso tetracordi. Si tratta di melodie formate dalla successione di quattro suoni, come accadeva nella musica della Grecia antica. Ogni pianta gioca su questi quattro “accordi” che si intrecciano, si scambiano, tra melodie più gravi o acute a seconda delle caratteristiche organolettiche del vegetale, visto che non tutte le linfe sono uguali».
    I vegetali, aggiunge, suonano tutto il giorno, mentre di notte dormono: è il momento in cui «la linfa scorre talmente lenta che la macchina non riesce a percepirla». Laura Silingardi fa un esempio: la Rosa di Gerico, la pianta del deserto che solo con un po’ di acqua rinasce e diventa verde. «Quando la colleghi ai sensori e aggiungi l’acqua riprende subito suoni e vitalità, è molto affascinante ascoltarla». E racconta di come gli alberi manifestino “paura”, per esempio di fronte al fuoco: «Tendono a raccogliere la linfa verso il tronco, le radici, la parte vitale, mentre i suoni precipitano subito verso toni più gravi». C’è chi dice che il canto segreto delle piante possa essere ascoltato dall’orecchio umano anche senza apparecchi: una capacità, assicura, appannaggio solo di spiriti nobili, come il Dalai Lama.


    Se ci viene chiesto di pensare ai suoni della natura ci immaginiamo il canto di un torrente e degli uccellini a primavera o il suono delle fronde di un albero mosse dal vento. Ma la natura non "suona" solo così. C'è un universo di suoni nascosti che animano tutto il mondo vegetale: La Musica delle Piante.

    San Francesco scriveva del Canto del Creato e forse si riferiva anche ad una melodia non udibile da tutti a "orecchio nudo". Per ascoltare la Musica delle Piante occorre infatti un apparecchio in grado di registrare il flusso linfatico per convertirlo in impulso sonoro. Si tratta di un piccolo convertitore di impulsi che registra, attraverso due sensori, lo scorrere della linfa da foglia a radice sia di una pianta in vaso o di un albero ad alto fusto come dell'erba di un bel prato verde.

    Il meccanismo è paragonabile ad un elettrocardiogramma per un essere umano ed il risultato è una musica senza eguali, unica solo per il mondo vegetale.Per quanto sappiamo e possiamo più o meno immaginare che le piante siano vive, l'ascolto di questa musica non finisce di stupire. In pratica con questo apparecchio si offre la possibilità alla pianta collegata ai sensori, di suonare uno strumento musicale ma ciò che stupisce molti ascoltatori è l'armonicità dei suoni creati dalle piante.

    La melodia, secondo i parametri di ritmo, altezza e intonazione, cambia da pianta a pianta a seconda della specie, dell'età, delle stagioni, delle ore del giorno e della situazione logistica stessa.

    Volendo tentare un analisi musicologia della melodia delle piante, occorre risalire ad un sistema di scale arcaiche organizzate secondo i "modi" della musica greca antica e non sul sistema tonale della musica occidentale.

    Si tratta di una successione di più "tetracordi" (4 suoni) che per la musica greca avevano un particolare collegamento con l'ethos umano, cioè con lo stato d'animo, lo stato emozionale. I greci utilizzavano "modi" diversi per ogni ethos, allo scopo di riportare il soggetto in uno stato di sano equilibrio.

    Così potrebbe essere anche per la Musica delle Piante, una musica che vibra, risuona, vicino ad ogni essere vegetale come vibrazione di liquidi, la linfa, e che si propaga ai nostri liquidi corporei, sangue ed acqua, in modo assolutamente a noi inconscio ed udibile soltanto attraverso un apparecchio come quello da noi utilizzato. Così quando ci fermiamo su di un prato, sotto le fronde di un grande albero, ci sentiamo rigenerati in pochi minuti ma ciò può accadere anche se ci fermiamo un minuto di più vicino ad una pianta in vaso, magari vicino ad una di quelle che non dovrebbero mai mancare nelle nostre case.

    Attraverso il linguaggio dei suoni possiamo sentire quanto le piante siano sensibili ed interattive con il mondo circostante e con gli esseri umani. Sentire la melodia di una quercia centenaria, di un ulivo o di un giovane pioppo e percepire nei suoni la melodia che si ferma e si trasforma quando noi ci avviciniamo al fusto o ne accarezziamo le foglie, è certamente un'esperienza indimenticabile che porta l'ascoltatore ad una dimensione nuova di rapporto con il mondo vegetale,che tra l'altro rappresenta i 2/3 della biosfera del nostro pianeta.


    dal web

    Edited by gheagabry1 - 13/2/2022, 00:06
     
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  3. gheagabry
     
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    Gli elefanti del deserto

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    Questi cactus, sono così giganteschi arrivano fino a 13 metri di altezza.
    I saguari (Carnegiea gigantea) infatti, subito dopo le rare piogge - nel deserto del Sonora in Arizona dove vivono non piove quasi mai – succhiano dal terreno, attraverso le potenti radici, 5 tonnellate di acqua. Gli esemplari più “in carne” possono arrivare a pesare anche 12 tonnellate, come un elefante di grossa taglia.
    Questi giganteschi vegetali sono molto longevi: possono vivere fino 200, forse 300 anni. Una piccola pianta grassa d’appartamento come la Echinocactus (comunemente chiamata “cuscino della suocera”) vive al massimo 80 anni. (focus.it)

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    Edited by gheagabry1 - 13/2/2022, 01:07
     
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  4. gheagabry
     
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    L'OVERSHOOT DAY

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    Anche quest'anno è arrivata una data di cui non dobbiamo proprio andare fieri: oggi è l'Overshoot Day, il giorno nel quale si terminano ufficialmente le risorse rinnovabili che la Terra è in grado di rigenerare nell'arco di 365 giorni.

    In appena 7 mesi e 20 giorni abbiamo "fatto fuori" cibo, acqua e materie prime in misura superiore a quanto il nostro Pianeta possa sostenere senza andare in deficit, e abbiamo rovesciato in atmosfera una quantità di emissioni dannose molto più alta di quelle che la Terra è in grado di sopportare.
    Il tesoro è prosciugato

    Ogni anno la natura ci mette a disposizione un "budget" ricco - ma non illimitato - di risorse naturali cui attingere: riserve ittiche, acqua, foreste, terre da coltivare. Fino a qualche decennio fa (in particolare fino al 1961) bastava per tutti, ma poi la crescita demografica e lo sviluppo economico hanno moltiplicato la domanda di cibo e altre riserve al nostro Pianeta.

    Da oggi fino alla fine dell'anno vivremo a scrocco della Terra, pasteggiando sulle riserve sempre più scarse di pesce, impoverendo terre sempre più aride e accumulando tonnellate di CO2 che satureranno l'aria e acidificheranno gli oceani. Secondo il Global Footprint Network, un'organizzazione internazionale no-profit con base in Stati Uniti, Belgio e Svizzera che si incarica di calcolare ogni anno la triste ricorrenza, stiamo attualmente vivendo come se avessimo 1,5 Terre a disposizione, e prima della metà del secolo arriveremo a consumare come se ne avessimo 2.

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    Debitori oltre confine

    I giorni di "non ritorno"

    30 dicembre 1970
    20 dicembre 1971
    10 dicembre 1972
    26 novembre 1973
    27 novembre 1974
    30 novembre 1975
    17 novembre 1976
    11 novembre 1977
    7 novembre 1978
    29 ottobre 1979
    4 novembre 1980
    11 novembre 1981
    15 novembre 1982
    14 novembre 1983
    7 novembre 1984
    4 novembre 1985
    30 ottobre 1986
    23 ottobre 1987
    14 ottobre 1988
    11 ottobre 1989
    10 ottobre 1990
    9 ottobre 1991
    11 ottobre 1992
    11 ottobre 1993
    9 ottobre 1994
    3 ottobre 1995
    30 settembre 1996
    28 settembre 1997
    28 settembre 1998
    28 settembre 1999
    22 settembre , 2000
    21 settembre 2001
    18 settembre 2002
    8 settembre 2003
    30 agosto 2004
    24 agosto 2005
    18 agosto 2006
    13 agosto 2007
    13 agosto 2008
    16 agosto 2009
    6 agosto 2010
    3 agosto 2011
    2 agosto 2012
    1 agosto 2013
    2 agosto 2014
    3 agosto 2015
    3 agosto 2016
    30 luglio 2017
    25 luglio , 2018
    26 luglio 2019
    22 agosto 2020*
    29 luglio 2021

    *Il calcolo dell'Earth Overshoot Day 2020 riflette il calo iniziale dell'uso delle risorse nella prima metà dell'anno a causa dei blocchi indotti dalla pandemia. Tutti gli altri anni presuppongono un tasso costante di utilizzo delle risorse durante tutto l'anno.




    L'80% dei paesi del mondo vive consumando più risorse di quanto gli ecosistemi entro i confini della propria nazione non possano rinnovare. I giapponesi, per esempio, stanno sfruttando le materie prime di 7,1 "Giapponi", gli italiani di 4 "Italie". Mentre i tesoretti dei pochi paesi "creditori" dal punto di vista ecologico, come Brasile, Indonesia e Svezia, vanno assottigliandosi.

    Ogni anno l'Overshoot Day si presenta con qualche giorno in anticipo rispetto all'anno precedente (quest'anno siamo in anticipo di due giorni rispetto al 2012). Ma il vero problema è già solo il fatto che si presenta, e che ogni anno lo stiamo ad aspettare. La ricorrenza di questa data simbolica dovrebbe bastare a farci riflettere sul nostro uso dissennato delle risorse ambientali.

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    Elisabetta Intini, FOCUS.IT, 20 agosto 2013

    Edited by gheagabry1 - 13/2/2022, 01:24
     
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  5. gheagabry
     
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    UNA STRANA COLLEZIONE A VARSAVIA



    Era visibile in quel di Varsavia, almeno sino a una decina di anni orsono, ed era collocata nella villa del sig. Vetoheski. Consisteva in una raccolta di tuberi di patata sottoposti ad uno speciale processo di mummificazione. Si ignora la ragione che ha suggerito al signor Vetoheski di collezionare ben 2.800 esemplari di Solanum tuberosum provenienti da ogni parte del mondo, purchè avessero una forma strana o una dimensione eccezionale; la più grossa pesava 4 kg. La più nota era la "patata Pildsuski" che ricordava il profilo di un maresciallo polacco. Altrettanto curiosa la "Germania" che riproduceva esattamente il contorni della nazione tedesca e che pesava ben 3,5 kg. Nel 1937, con la morte del signor Vetoheski, la collezione divenne proprietà della città di Varsavia e pare che durante i bombardamenti del 1939 qualche esemplare sia andato disperso, proprio nella sezione scientifica che occupava sei sale. Ogni tubero era classificato ed accompagnato da una scheda completa di ogni possibile dato o notizia.




    da i miei appunti privati
     
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  6. gheagabry
     
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    STRING GARDEN di Fedor Van der Valk



    La potenza dell’arte è la capacità che ha di sovvertire le regole e cambiare così il nostro punto di vista sulle cose. E’ quello che fa Fedor Van der Valk con i suoi String Garden, letteralmente giardini appesi. L’artista indipendente olandese ha ideato questa singolare tecnica alternativa all’invasatura ispirandosi all’arte botanica giapponese. Gli String Gardens (letteralmente “giardini su corda”) sono complessi universi green fluttuanti, una delicata unione fra natura e arte, perfetta per colorare di verde gli spazi più inaspettati. L’idea del giovane artista-giardiniere-designer olandese s’ispira chiaramente alla tecnica giapponese del Koredama – la coltivazione delle piante in globi di terra e muschio che possono, alle volte, essere sospesi – aggiungendovi complesse geometrie 3D di corde intrecciate, incrociate ed annodate fra loro. Il risultato sono poetici microcosmi sospesi che sfidano la natura e le leggi della gravità, veri giardini che, pur nella loro complessità – visiva e di realizzazione - non richiedono cure diverse dalle normali piante: sole, acqua.
    Con questa modalità possono essere coltivate indifferentemente piante da fiore o da frutto, innaffiate tramite nebulizzazione. Un’idea potente e suggestiva: da una parte c’è l’impressione di stare di fronte a qualcosa di etereo e impalpabile, dall’altra la meraviglia quasi infantile che dà una visione così inusuale e affascinante, un a quinta di piante fluttuanti. (tuttogreen.it, grazia.it)
     
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  7. gheagabry
     
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    GLI ALBERI-BICICLETTA



    La bici scomparsa 50 anni fa e «mangiata» dall'albero
    La storia incredibile del piccolo Don e l'opera d'arte creata dalla natura


    Dove hai lasciato la bici? Me l’ha mangiata l’albero. Oltre cinquant’anni fa un ragazzino dello stato di Washington lasciò la sua bicicletta vicino a un albero. Andò a fare un giro con gli amici e al suo ritorno non la trovò più. Ora, trascorso quasi mezzo secolo, quella bici è ricomparsa: è stata inghiottita dall’albero - letteralmente.

    È un’opera d’arte come solo madre natura è in grado di creare. Le immagini di una bici oramai arrugginita, cresciuta dentro un albero. È quasi intatta; la ruota anteriore gira ancora. «Helen Puz, 99 anni di Vashion Island, è rimasta di sasso quando ha visto la foto sul giornale locale», aveva scritto Discover Washington State. Il motivo: si trattava proprio della bici che il figlio di otto anni Don aveva perso nel lontano 1954. «In quell’anno,» aveva spiegato la donna, «era morto mio marito e i vicini e l’intera comunità ci sostennero con diversi regali; ricevemmo anche una bici da una bimba, perfetta per mio figlio.» Meno contento di dover girare sull’isola, tra Seattle e Tacoma, con una bici da ragazza era evidentemente il figlio Don, che un giorno tornò a casa spiegando alla madre di aver perso quella bicicletta.
    (corriere.it)





    ..........ma esiste una altra bicicletta-albero. A Sitran di Puos d'Alpago, in un bosco affacciato sul lago di Santa Croce, una pianta di castagno è cresciuta "incorporandosi" una bicicletta appoggiata al tronco decenni fa.



    Albero&Bici Inc. Nel senso di «Incorporated»: sarebbe come dire Srl o Spa, ma preferiamo tradurlo «incorporato». Qui, a Sitran d’Alpago, albero e bicicletta, incorporati, hanno fatto società. Un mistero. Come quello della transustanziazione: trasformazione sacra (il pane e il vino che diventano carne e sangue), eppure anche qui due cose pur restando distinte diventano, trasformate, una cosa sola (carne più sangue, cioè corpo). Oppure, forse, trasformazione alchemica: da ferro in oro.
    Solo che in questo caso sono due metalli, uno dei quali si nobilita in un altro. Mentre nel caso nostro, quello di Albero&Bici Inc. c’è una cosa viva, l’albero, che si incorpora (si fa corpo) in una cosa inanimata: la bici diventa anima dell’albero. O non sarà che, viceversa, l’albero acquista anima e forma di bicicletta?
    Sia come sia, fa davvero pensare questo evento straordinario (miracolo) che si è materializzato sopra una radura di Sitran giusto sull’orlo di un burrone. Chissà come, un castagno s’è mangiato una bicicletta. La bici è un ferrovecchio, l’albero ha 80 anni. Sono cresciuti insieme, hanno condiviso tempi belli e tempi brutti, giovinezza e maturità, nuvole e cieli azzurri, nevi e siccità. La bicicletta si è fatta ramo e tronco, l’albero ha avviluppato il ferrame.
    Se il vino può farsi sangue e forse anche viceversa, vuoi che una bici non possa farsi albero? Perché qui non è che l’albero, crescendo, si sia portato in alto, con sè, la bicicletta appesa. Troppo semplice, che mistero sarebbe? Qui è successo che il ferro si è fatto radice e la radice ferro, si è fatto ramo, il legno vivo se l’è mangiata di gusto, forse l’ha digerita e poi risputata, la corteccia si è piegata seguendo le pieghe del telaio, si è fatta cartoccio. Anzi, quest’albero si è fatto trapassare. La bici è tra-passata. Morta? No: deve aver acquistato nuova vita succhiandola alla linfa dell’albero, altrimenti sarebbe già sparita, bucata dalla ruggine, forse sepolta senza onori in discarica durante qualche giornata di pulizia ecologica dei boschi, forse riciclata e rifusa. Quindi, è viva. Viva resta, certamente, nella percezione.



    Si danno in paese le seguenti ipotesi. O forse storie.
    Storia numero 1. Il povero soldato andò alla guerra, lasciò la sua bicicletta appoggiata e non tornò più. Cadde forse ignoto. Si vede che il bosco lo pianse e si curò della sua bicicletta, abbracciandosela. A perenne memoria, è un monumento al milite ignoto.
    Storia numero 2. C’era una volta un contadino che amava le biciclette. Comprarsene una era il suo sogno. Risparmia e risparmia e risparmia, riuscì alla fine a mettere insieme un gruzzolo e si comprò felice una bicicletta nuova fiammante. Ci teneva così tanto, alla sua bicicletta, che non la usava mai per non sporcarla e non rovinarla. Non la usò mai in tutta la sua vita, ogni tanto usciva di casa a rimirarsela. Poi morì. La bicicletta restò lì, lui non aveva eredi, un albero se la prese. Morale della favola: il contadino conosceva il valore di scambio ma non il valore d’uso. Sarebbe come il Pljuskin delle «Anime morte» di Gogol.
    Storia numero 3. E’ stato solo uno scherzo. Qualcuno ha preso la bicicletta a un amico e gliel’ha nascosta. Tutto qui. Si vede che se ne sarà poi dimenticato. O che l’aveva nascosta così bene che neanche lui è più riuscito a ritrovarla. La vittima dello scherzo si sarà disperata assai.
    A rigor di logica, nessuna di queste storie è vera. Non poteva essere né un soldato né un contadino né un amico. Perché quella è una bicicletta da donna e non si sono mai visti, ottanta anni fa (l’età dell’albero quindi anche della bicicletta), soldati e contadini andare in giro con una bicicletta da donna. Era da vergognarsi. Non era un povero soldato, ma una povera donna. Diciamo di più. Quella donna non era povera, aveva i soldi per comprarsi una cosa preziosa (all’epoca). Avete mai visto «Ladri di biciclette»? Al mercato i contadini andavano a piedi, mica in bicicletta.
    Però poco importa il cosa il come e il qualmente. Importa la percezione, che è molto più che sostanza. Se dalla storia di Albero&Bici Inc. sono pollonate altre storie qualcosa vorrà pur dire. Vuol dire che è diventata leggenda. Ma allora siamo in un altro terreno, in un mondo popolato di maghe, streghe, fate, stregoni, gnomi e chissà. Si sospetta qui che si tratti di un racconto di magia. Che la bicicletta sia un sostituto dell’uomo. Dunque l’albero si è mangiato un uomo (o donna, non importa), non una bicicletta. Poiché l’albero, di suo, cannibale non è, allora dici albero ma intendi... che cosa? Forse lo spirito del bosco (ogni bosco ne ha uno tutto suo, di spirito). E’ una forza della natura. Che qui sembrerebbe maligna. Siamo allora ben addentro al mondo «fatato» (ma le fate sono benigne) oppure «stregato» (streghe maligne). In un mondo di un’epoca lontana quando ti spedivano il ragazzino nella foresta, dove si perdeva, superava prove e pericoli, vinceva la strega cattiva e moriva resuscitandosi uomo. Cappuccetto Rosso mangiata dal lupo cattivo (che è anche sua nonna, quella strega). Hansel e Gretel. Vogliamo continuare? Riti di iniziazione sciamanica. Questo nel paleolitico, società di cacciatori e raccoglitori. Poi la storia si è mascherata come a carnevale ricoprendosi di orpelli: la bicicletta è un sostituto (domani, probabile, diventerà un computer), ma la sostanza, sotto sotto, resta. Come resta, da queste parti dell’Alpago, ad aggirarsi il cavarèr che grida nella notte come la civetta, insieme al cane che con gran stridore si strascina una gran catena.




    Qualcuno con la bicicletta è arrivato fin qui, dietro il cimitero di Sitran, sull’orlo del burrone dove vien su una bava dal lago di Santa Croce che te la raccomando. Qui sì che puoi diventare una statua di ghiaccio, quando giù al lago cambia il vento alle 11 e vedi da qui che la superficie si increspa, e quando non viene su puntuale è segno che il tempo si butta a brutto. Qualcuno, questo è certo, amministra questa metamorfosi del tempo e dello spazio e, forse, con un gesto rabbioso del braccio adunco scaglia la bava gelida sopra l’Alpago, su per il burrone. Fin qui, nel bosco, dove qualcuno da solo, ottant’anni fa, è in bilico con la bicicletta su una radura dove non ci sono ancora alberi e forse nemmeno virgulti. Forse non è una bicicletta, ma un destriero, un aiutante magico. Che però non risultò di grande aiuto, quella volta all’aspirante cacciatore del paleolitico, così solo e spaurito nel profondo della foresta. Perché alla fine fu trasformato in albero: forse quell’albero è proprio lui, ancora a cavalcioni della sua bicicletta. Uomo che si è fatto castagno. Dicono che nelle notti di luna piena si senta laggiù nel bosco dietro il cimitero un cigolio: è l’albero che pedala.
    - Toni Sirena, Corriere delle Alpi, 2003 -

     
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  8. gheagabry
     
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    L'isola di Shengshan in Cina

    Le isole Shengsi fanno parte dell'arcipelago Zhoushan, al di fuori della baia di Hangzho. Sono circa 400 isole, alla foce del fiume Yangtze, in Cina. Su una di queste si trova un villaggio abbandonato. Un tempo l’area era popolata da pescatori, ma oggi la natura sembra essersi riappropriata della zona.
    Nelle fotografie di Jane Qing, un fotografo di Shanghai, si ammirano Houtou Wan, sull’isola di Gouqi, fra le pietre che compongono le sue strade e fra i tetti e i muri oggi quasi completamente coperti dall’edera.



    Tradizionalmente in tutta la zona la pesca era l’occupazione primaria, ma con lo sviluppo delle industrie e del terziario l’economia dello Zhoushan si è ampiamente diversificata. Cantieri navali, trasporti, industria leggera, turismo e terziario hanno cominciato a divenire le principali fonti di reddito delle persone dell’area, cosicché i villaggi di pescatori sono stati progressivamente abbandonati. Soltanto 50 anni orsono il villaggio di Houtou Wan era un insediamento fiorente, ma oggi appare un borgo tradizionale dimenticato fra gli oceani del tempo. All’interno delle case capita ancora di trovare alcuni anziani che non vogliono lasciare il paese di nascita, ma le abitazioni e tutti gli edifici pubblici sono oggi praticamente deserti. Nelle splendide fotografie di Jane Qing, un fotografo di Shanghai, che ci portano in questo luogo troviamo la malinconica poesia dello scorrere del tempo, contrastata dallo splendido paesaggio oggi semi-naturale del villaggio, che nel tempo è stato quasi completamente inghiottito dall'edera.





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    Il giardino in bottiglia



    Quando David Latimer piantò un seme in una bottiglia di vetro la Domenica di Pasqua del 1960 non aveva idea che avrebbe prosperato per i decenni successivi arrivando a diventare una massa di vegetazione delle dimensioni attuali. Oggi, più di mezzo secolo più tardi, all’interno della bottiglia la vegetazione sta crescendo con più forza che mai, nonostante l’ultima volta che fu innaffiata risale al 1972. Il giardino fu creato grazie all’inserimento di compost all’interno della bottiglia, che venne poi seminato con della Tradescantia e innaffiata con circa mezzo litro d’acqua, e posizionato poi in un angolo al sole della casa al sole.

    La bottiglia fu innaffiata una sola volta nel 1972, e da allora è in regime di completo auto-sostenzamento. Grazie alla fotosintesi le piante acquistano l’energia sufficiente per crescere e prosperare, grazie all’ossigeno e all’umidità che vengono creati e consumati durante il processo. L’umidità si accumula all’interno della bottiglia e “piove dalla parte superiore a quelle inferiore. Le foglie che muoiono producono l’anidride carbonica necessaria alla fotosintesi e alla nutrizione delle altre piante. Latimer, che oggi ha 80 anni, spera di trasmettere questa passione ai propri figli, in modo che veglino su questo piccolo globo in miniatura unico al mondo.




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  10. gheagabry
     
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    L'ANGURIA NEL '600



    Giovanni Stanchi è un pittore italiano del Seicento, conosciuto soprattutto per le sue nature morte e i suoi quadri di fiori.
    Da uno di questi dipinti – venduto nel 2014 dalla famosa casa d’aste Christie’s – è partito il sito statunitense Vox per spiegare come dal Seicento a oggi le angurie siano state progressivamente selezionate e definitivamente modificate. Nel dipinto di Stanchi si vede infatti un’anguria molto diversa da quelle che siamo abituati a vedere oggi.



    James Nienhuis è un professore di orticoltura all’università del Wisconsin, negli Stati Uniti, e ha detto di avere usato il dipinto per spiegare la storia della selezione delle colture. L’anguria è originaria dell’Africa, ed è poi stata coltivata anche in Medio Oriente e nell’Europa del sud, dove ha iniziato a diffondersi nei primi anni del Seicento. Nienhuis ha spiegato a Vox che si ritiene che le angurie di più di quattrocento anni fa avessero già un ottimo sapore, non troppo diverso da quello attuale: erano però diverse nell’aspetto. Le angurie del Seicento erano di solito molto meno rosse e con molti più semi.
    Prima che l’uomo si accorgesse di quanto fosse saporito, il rosso dell’anguria aveva inizialmente lo scopo di fungere da placenta per i semi, conservandoli e proteggendoli. La selezione delle angurie ha permesso all’uomo di modificare e perfezionarle, aumentandone il rosso a scapito di tutto il resto.



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  11. gheagabry
     
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    L'albero che sopravvisse all'atomica



    Dal 1625, un antico bonsai ha attraversato quattro secoli di storia del Giappone. Si tratta di un pino bianco del Giappone in miniatura, invasato ben 390 anni fa e appartenuto a una famiglia che abitava a meno di tre chilometri dal luogo di impatto della prima bomba atomica della storia. La famiglia lo ha curato per cinque generazioni, finché, nel 1975, il pino fu donato negli Stati Uniti dal maestro di bonsai Masaru Yamaki, in previsione dei festeggiamenti per il bicentenario della fondazione del paese.

    Il dono "non aveva nulla a che fare con la bomba di Hiroshima", dice Kathleen Emerson-Dell, che lavora allo U.S. National Arboretum, l'arboreto nazionale di Washington, dove l'albero viene conservato. "Fu un gesto di amicizia, di connessione tra due culture diverse". Gli stessi responsabili dell'arboreto non seppero nulla del rapporto tra l'albero e la città bombardata fino al 2001, quando
    due nipoti di Yamaki vennero a visitare il locale museo dei bonsai (National Bonsai & Penjing Museum) proprio per vedere il pino del nonno.
    Da allora il National Arboretum non ha nascosto il fatto che l'albero fosse sopravvissuto a Hiroshima, "ma non abbiamo nemmeno messo i manifesti", dice Emerson-Dell.
    Quando, esattamente 70 anni fa, esplose la bomba, uccidendo 140 mila persone, l'albero era protetto in un vivaio circondato da alte mura, assieme alle altre squisite creazioni di Yamaki. Oggi il pino è alto poco più di un metro, ha un tronco spesso e aghi ormai ingialliti. Dei fili di metallo impediscono ai rami di crescere troppo verso la luce del sole. "Le rughe, le incrostazioni, le storture, sono tutte cose che gli danno carattere", dice Emerson-Dell.
    Oggi Dell spera che per la gente il bonsai diventi un simbolo di sopravvivenza. "Con un essere vivente che è sopravvissuto a chissà quante catastrofi si crea una sorta di connessione", dice. "Io sono alla sua presenza, così come l'albero è stato alla presenza di tanta altra gente vissuta tanto altro tempo fa. Toccare il vaso è come toccare la Storia".

     
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  12. gheagabry
     
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    Durante gli ultimi 70 anni la natura ha ripreso i suoi spazi inglobando un magazzino abbandonato
    nella città taiwanese di Tainan. La struttura è stata "mangiata" da un enorme albero di Ficus benghalensis.









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  13. gheagabry
     
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    Methuselah



    Una sorta di Jurassic Park degli alberi. Gli archeologi hanno ritrovato dei semi antichi e sono riusciti a coltivarli fino ad ottenere un esemplare di palma da dattero che risultava estinto dall'anno 500; i semi erano stati recuperati grazie ad alcuni scavi archeologici eseguiti negli anni Sessanta.

    Questa varietà di palma da dattero era stata distrutta più di 1500 anni fa nonostante la propria importanza strategica e il significato culturale ad essa correlato - o forse, proprio a causa di ciò. Già 3000 anni fa la coltivazione della palma da dattero era fondamentale per il sostentamento alimentare della popolazione del Regno di Giudea.

    Come emergerebbe dall'Antico Testamento, la palma da dattero di origine giudaica era considerata un simbolo di fortuna per il regno e per i governanti. Il Re Davide avrebbe chiamato la propria figlia Tamar per il desiderio di richiamare il nome ebraico di questa varietà di palma.



    Ai tempi dell'Impero Romano fiorivano in Giudea delle vere e proprie foreste e piantagioni di palma da dattero, i cui frutti rappresentavano uno degli elementi di base dell'economia locale. Con l'inizio delle invasioni romane, le palme vennero distrutte, per privare le popolazioni del luogo di una delle risorse principali sia dal punto di vista alimentare che economico.

    Attorno all'anno 500, le palme da dattero avevano ormai raggiunto l'estinzione, a causa della devastazione provocata dagli eserciti dei conquistatori. I loro semi sono rimasti a lungo a riposo, dapprima in un recipiente d'argilla, per almeno 2000 anni, e in seguito in un cassetto, per gli ultimi 40 anni.

    Nel 2005 la ricercatrice Elaine Solowey decise di provare a piantarne uno. Con grande sorpresa, il seme trasferito nel terreno iniziò a germogliare e diede inizio alla crescita di una nuova palma da dattero, un esemplare che si riteneva ormai scomparso. A distanza di otto anni, la palma è ormai cresciuta e nel 2011 ha prodotto i primi fiori.



    Nessuno pensava che in semi tanto antichi potesse nascondersi ancora la vita, ma la natura non smette mai di sorprenderci. Le palme da dattero giudaiche potranno ritrovare il loro habitat e, a poco a poco, gli esperti potrebbero riuscire a ricreare una foresta di alberi antichi, provando a seminare e riprodurre i semi risalenti ad epoche molto lontane. La nuova palma è stata chiamata - non a caso - Methuselah, in onore di Matusalemme, il personaggio più longevo della Bibbia, che avrebbe raggiunto l'età di 969 anni.




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  14. gheagabry
     
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  15. gheagabry
     
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    Amazon ha costruito tre sfere giganti a Seattle




    A Seattle, nello stato di Washington (Stati Uniti), Amazon ha inaugurato Spheres, una costruzione per ospitare un grande giardino botanico nei pressi della sua sede principale. Progettazione e costruzione delle tre grandi sfere hanno richiesto 7 anni di lavoro. Le tre serre, che comunicano tra loro, ospitano 40mila specie diverse di piante da 30 paesi in giro per il mondo. Le Spheres sono pensate soprattutto per i dipendenti dell’azienda, che potranno organizzare incontri e riunioni all’interno del giardino botanico, invece di restarsene sempre alla scrivania. Le piante sono collocate non solo al suolo, ma anche a diverse altezze lungo le pareti vetrate.



    (© Paul Gordon via ZUMA Wire)




    (AP Photo/Ted S. Warren)



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