MARTIN LUTHER KING

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    Ai nostri più accaniti oppositori noi diciamo: Noi faremo fronte alla vostra capacità di infliggere sofferenze con la nostra capacità di sopportare le sofferenze; andremo incontro alla vostra forza fisica con la nostra forza d'animo. Fateci quello che volete e noi continueremo ad amarvi. Noi non possiamo in buona coscienza, obbedire alle vostre leggi ingiuste, perché la non cooperazione col male è un obbligo morale non meno della cooperazione col bene. Metteteci in prigione e noi vi ameremo ancora. Lanciate bombe sulle nostre case e minacciate i nostri figli e noi vi ameremo ancora. Mandate i vostri incappucciati sicari nelle nostre case nella notte, batteteci e lasciateci mezzi morti e noi vi ameremo ancora. Ma siate sicuri che noi vi vinceremo con la nostra capacità di soffrire. Un giorno noi conquisteremo la libertà, ma non solo per noi stessi: faremo talmente appello al vostro cuore ed alla vostra coscienza che alla lunga conquisteremo voi e la nostra vittoria sarà una duplice vittoria. L'amore è il potere più duraturo che vi sia al mondo. (da La forza di amare)




    MARTIN LUTHER KING



    Martin Luther King nasce dopo un parto difficile ad Atlanta, Georgia, nel Sud degli Stati Uniti, dove il problema razziale è sentito con angoscia e urgenza particolari. Questo bambino che il 15 gennaio 1929 sembra entrare così malvolentieri nel mondo ha una storia le cui radici affondano nel suolo afro- americano.

    I suoi antenati erano stati catturati con violenza inaudita dai negrieri e portati dall'Africa in catene sul continente americano per esservi venduti nei mercati ai migliori offerenti. Milioni di neri, uomini e donne, venivano strappati alla loro terra e fatti schiavi per lavorare, fino allo stremo delle loro forze, nelle piantagioni di cotone. Sorse e tramontò il sole per 200 lunghi anni, giorno dopo giorno, e gli antenati di Martin Luther King venivano comprati, venduti, violentati e uccisi come fossero bestie. Dopo una cruenta guerra fra gli Stati del Nord, che volevano imporre il loro modello di sviluppo, e gli Stati del Sud, parve arrivare la libertà per i neri sul suolo americano. Ma dopo un periodo piuttosto favorevole, furono ricacciati, anno per anno, nella condizione servile, specialmente nel Sud. I proprietari terrieri avevano escogitato la maniera di fare indebitare sempre di più i lavoratori neri, ai quali era anche negato nella pratica di partecipare alle elezioni.



    «Lavorare dall'alba al tramonto per un anno intero incatenato alla terra dai conti da pagare al magazzino della piantagione, scacciare questi pensieri con cattivo gin, dimenticare nell'estasi del canto e della preghiera... piangere, maledire se stesso per la propria viltà, essere lo zimbello dei giudici e dei poliziotti, finire col credere alla propria indegnità... e infine cedere, inchinarsi, strisciare, sorridere e odiare se stesso per il proprio servilismo e la propria debolezza». Questo era il tormento del nonno paterno di Martin Luther King, James Albert, e di tutti i neri; questo era l'incubo che assillava i loro bambini I in casa e negli edifici fatiscenti della scuola, dove gli studenti di colore ricevevano un'istruzione che era di molto inferiore a quella dei bianchi. Nelle strade e nelle piazze delle città si vedevano dappertutto cartelli con la scritta «solo per bianchi», e la vita dei neri si consumava per lo più nei ghetti sudici e sovrappopolati privi di strutture e di servizi appena decenti. Qui Martin Luther King nasce, vive e comincia a lottare fin dalla sua fanciullezza.

    Fin dall'infanzia Martin Luther King deve subire i traumi I dei bambini che scoprono di essere diversi e discriminati in i una società razzista. Ha cinque anni quando la madre dei suoi compagni bianchi proibisce loro di giocare col piccolo Martin, perché «negro». A otto anni apprende dal padre con: dolore la tragica fine della sua prediletta cantante Bessie Smith, celebre interprete di spirituals, canti di fede e di speranza degli schiavi delle piantagioni del Sud: ferita in uno scontro automobilistico, muore dissanguata perché rifiutata dagli ospedali per bianchi di Atlanta. Ancora impreparato a reagire, queste ed altre esperienze amare gli rimangono scolpite per sempre nell'animo. La discriminazione che Martin Luther King deve subire e che vede colpire la sua gente gli consiglia gli studi di giurisprudenza. Entra nel Morehouse College di Atlanta (università per soli neri), ma, divenuto consapevole di essere chiamato da Dio al servizio pastorale, dopo qualche anno passa agli studi di teologia. Nel 1952, a 22 anni, tiene la sua prima predicazione nella chiesa battista di Atlanta.



    È un periodo di rivolgimenti storici profondi e di portata mondiale, come la Il Guerra Mondiale, nella quale gli Stati Uniti entrano il17 dicembre 1941, e la conquista dell'indipendenza delle colonie europee in Africa, Asia e America. Martin Luther King è affascinato dalla figura di Gandhi, dal quale apprende i principi della lotta non-violenta. Nel 1953 si laurea in filosofia a Boston e nel 1954 si trasferisce con la moglie Coretta Scott a Montgomery, Alabama, per svolgervi il ministero di pastore della chiesa battista. Martin Luther King coglie quello che il Nuovo Testamento chiama kairos, cioè il momento opportuno nel quale l'opera di Dio Viene colta nel mondo e sfida l'uomo a una scelta di fede che lo impegna a vivere con coerenza la volontà di Dio nella storia.

    La scintilla che dà inizio al Movimento per i Diritti Civili scocca a Montgomery, apparentemente per un banale incidente. Sugli autobus della città le prime tre file di posti sono riservate ai bianchi, le altre possono essere occupate da neri solo se non ci sono bianchi in piedi. Il pomeriggio del 10 dicembre 1955 un'impiegata nera, Rosa Parks, seduta dietro i posti riservati ai bianchi, rifiuta di alzarsi e cedere il posto quando salgono alcuni viaggiatori bianchi: viene arrestata e portata in carcere.

    La notizia si diffonde rapidamente, gli esponenti e i pastori della comunità nera s'incontrano e decidono subito di boicottare i mezzi pubblici di trasporto: propongono ai neri di non prendere più l'autobus e di recarsi al lavoro a piedi o con altro mezzo. L'esito appare incerto, perché altre volte simili iniziative non avevano avuto successo; intanto Martin Luther King è votato all'unanimità capo del movimento. La mattina del 5 dicembre tutti i neri vanno a lavorare a piedi, a dorso di mulo, su carri. Il boicottaggio è totale fino al dicembre dell'anno successivo: 382 giorni dura la lotta tutt'altro che facile, e il movimento ottiene la sua prima vittoria: l'abolizione della segregazione sui mezzi pubblici di trasporto.




    Le reazioni dei bianchi sono violente: hanno paura. La compagnia degli autobus ha perso 40 milioni di dollari. Martin Luther King diviene il bersaglio di minacce d'ogni genere e viene arrestato. Il 30 giugno, mentre si trova fuori fra la sua gente, un attentato dinamitardo gli distrugge la casa; la moglie e la figlia Yoki sono dentro, ma restano fortunatamente illese. Martin Luther King è ormai il simbolo della «rivoluzione nera».

    Teso fino al limite delle sue risorse fisiche e morali per tutti gl'impegni che deve assolvere, una sera del gennaio 1956 Martin Luther King è sul punto di crollare. L'atmosfera è densa di nubi e i pericoli sono molto reali, ed egli, seduto in cucina, confida a Dio di non farcela più. «Eccomi qui - prega - mi batto per ciò che credo giusto. Ma ho paura. Mi chiedono di guidarli, ma se mi presento loro senza forza e senza coraggio anch'essi vacilleranno. Ho esaurito le mie forze. Non mi rimane nulla». E mentre è lì, solo, sperimenta la «presenza di Dio», avverte «la promessa rassicurante d'una voce interiore che gli dice: "Lotta per la giustizia. Lotta per la pace. Dio sarà sempre al tuo fianco!"». L'esperienza di fede, caratteristica della tradizione evangelica battista, determina, come egli stesso dice, una svolta fondamentale nella sua vita: era giunto allo stremo delle sue forze, ora, però, si sente forte della forza di Dio ed è pronto a riprendere la lotta.



    Martin Luther King partecipa a manifestazioni di massa e a raduni, e viene spesso arrestato. E ogni volta si rafforza il suo impegno per la giustizia, si rinvigorisce la sua fede in Dio e nella Sua guida, e il suo coraggio di lottare e la sua certezza di vincere si comunicano ad altri esponenti del movimento e alla sua gente. Il movimento si estende ben presto a tutti gli Stati Uniti. Il pellegrinaggio di preghiera a Washington del 17 maggio 1957 per il pieno diritto di voto ai neri è una delle manifestazioni più importanti. Martin Luther King riesce a convogliare le forze disgregate dei neri nella lotta non violenta, ma ha anche oppositori che propugnano il ricorso alla violenza contro il razzismo bianco.

    Mentre si moltiplicano i sit-in nei locali pubblici per bianchi e i “viaggi della libertà” di bianchi e neri insieme in autobus attraverso gli Stati Uniti, Martin Luther King risponde ai detrattori «Non possiamo in coscienza obbedire alle vostre leggi Inique, perché la non cooperazione col male è un obbligo morale non meno della cooperazione col bene… Mandate a mezzanotte i vostri sicari incappucciati nelle nostre case, pestateci e lasciateci quasi morti, e noi vi ameremo ancora. Ma siate certi che vinceremo con la nostra capacità di soffrire. Un giorno conquisteremo la libertà, non per noi stessi solo... e la nostra vittoria sarà anche vostra".

    Nel 1963, centenario del proclama di Lincoln per l'affrancamento degli schiavi, la battaglia non violenta dilaga in più di 800 città. A Birmingham la polizia si scaglia con ferocia sui dimostranti che cantano We shall overcome, sguinzaglia i cani e aziona gl'idranti contro un corteo inerme di ragazzi. Sotto la pressione dell'opinione pubblica inorridita il Governo dichiara illegale la segregazione nei negozi e nei luoghi pubblici e decreta l'assunzione al lavoro per bianchi e neri su basi egualitarie.



    Arrestato, Martin Luther King scrive in cella d'isolamento una lettera rimasta famosa: «E facile dire: "aspettate". Ma quando avete visto una plebaglia inferocita linciare a volontà le vostre madri e i vostri padri... e i poliziotti pieni d'odio maledetto colpire e perfino uccidere impunemente i vostri fratelli e le vostre sorelle... quando sentite la vostra lingua torcersi se cercate di spiegare alla vostra bambina di sei anni perché non può andare al luna- park, e vedete spuntarle le lacrime quando sente che è chiuso ai bambini neri... quando vi perseguita notte e giorno il fatto di essere nero, non sapendo mai che cosa vi può accadere; allora voi comprendete perché per noi è tanto difficile aspettare».

    Il 28 agosto arriva a Washington la marcia dei 250 mila per chiedere l'approvazione della legge sulla parità dei diritti civili per bianchi e neri. Le telecamere di tutto il mondo sono puntate sulla marea di bianchi e di neri che cantano e pregano intorno al monumento a Lincoln, e riprendono anche quello che è stato definito il discorso profetico di Martin Luther King.

    «Il cammino è pieno di asprezze, ma nonostante le fatiche e le umiliazioni, ho ancora un sogno. Sogno che sulle rosse colline della Georgia i figli degli antichi schiavi e degli schiavisti possano sedere insieme al tavolo della fratellanza. Sogno che lo Stato del Mississipi, rigonfio d'oppressione e di brutalità, sia trasformato in terra di libertà e di giustizia. Sogno che un giorno l'Alabama sia trasformato in uno Stato dove bambine e bambini neri potranno dare la mano a bambine e bambini bianchi, e camminare insieme come fratelli e sorelle... Con questa fede torno nel Sud. Con questa fede staccheremo alla montagna dell'angoscia una scheggia di speranza. Con questa fede potremo lavorare insieme, pregare insieme, lottare insieme, andare in prigione insieme, sapendo che un giorno saremo liberi. Quando ciò avverrà, tutti i figli di Dio, bianchi e neri, ebrei e pagani, evangelici e cattolici, potranno giungere le mani e cantare l'antico inno degli schiavi: "Finalmente liberi! Finalmente liberi! Gran Dio onnipotente, siamo finalmente liberi!"».

    La legge per i diritti civili viene approvata il 10 febbraio 1964. Quella marcia pacifista e la figura di Martin Luther King hanno risonanza in tutto il mondo e le sue predicazioni e i suoi scritti vengono tradotti e letti in molti Paesi, ed anche in Italia: Il fronte della coscienza, Marcia verso la libertà, Perché non possiamo attendere, Dove stiamo andando: verso il caos o la comunità?, La forza di amare. Il 14 ottobre lo raggiunge un telegramma da Stoccolma: «Il premio Nobel per la pace è stato assegnato a Martin Luther King per aver fermamente e continuamente sostenuto il principio della non-violenza nella lotta razziale nel suo Paese». Coretta piange di gioia davanti ai giornalisti: «...valeva la pena di soffrire tanto. A Martin servirà per continuare gli sforzi nella lotta per l'uguaglianza dei neri», e i 34 milioni del premio vengono messi a disposizione della causa alla quale Martin Luther King ha dedicato la vita.




    Tra mille difficoltà e molti oppositori Martin Luther King corre da una parte all'altra degli Stati Uniti a premere per le riforme richieste e il movimento si allarga alla lotta contro la povertà e contro il coinvolgimento degli USA nella guerra del Vietnam. Nel marzo 1968 sta preparando «il pellegrinaggio della miseria nazionale»: poveri di tutte le razze muoveranno da tutte le parti degli Stati Uniti e contemporaneamente verso Washington con bambini e stracci sulle loro carrette. Il 27 marzo a Memphis, Tennessee, 6 mila nerj escono da una chiesa evangelica e attraversano in corteo la città per solidarietà con 1.700 spazzini neri in sciopero. Martin Luther King è in testa al corteo quando, all'improvviso, alcuni giovani ne escono per spaccare vetrine e saccheggiare negozi. La polizia interviene e carica i dimostranti: un morto e sessanta feriti.

    Il 4 aprile 1968 Martin Luther King è con altri leader neri in una stanza dell'Hotel Lorraine a Memphis, è sconvolto, teme per le sorti del movimento della non-violenza. Il giorno prima ha detto: «vivere a lungo ha i suoi aspetti positivi. Ma la cosa non m'interessa. Voglio solo fare la volontà di Dio». Esce sulla terrazza per una boccata d'aria, alle 18.01 si volta per rientrare e si accascia improwisamente al suolo: un colpo è partito, da una finestra 60 metri più in là un dito ha premuto sul grilletto d'un fucile.
    AI funerale sono migliaia le persone d'ogni ceto e razza: riconoscono in lui qualcosa di più d'un simbolo o di un lea-der, riconoscono in lui un profeta di Dio che ha interpretato il tormento d'un popolo e lo ha guidato con la non-violenza nella lotta dei propri diritti. Durante il rito, celebrato dal vecchio padre di Martin Luther King, risuonano nel silenzio della chiesa battista di Ebenezer le parole d'una sua predicazione registrate su nastro: «Se qualcuno di voi sarà qui nel giorno della mia morte, sappia che non voglio un grande funerale. E se incaricherete qualcuno di pronunciare un'orazione funebre, raccomandategli che non sia troppo lunga. Ditegli di non parlare del mio premio Nobel, perché non ha importanza... Dica che una voce gridò nel deserto per la giustizia. Dica che ho tentato di spendere la mia vita per vestire gl'ignudi, per nutrire gli affamati, che ho tentato di amare e servire l'umanità».
    (ANNA MAFFEI, martinlutherking.ucebi.it)




    Ogni uomo deve decidere se camminerà nella luce dell'altruismo creativo o nel buio dell'egoismo distruttivo. Questa è la decisione. La più insistente ed urgente domanda della vita è: "Che cosa fate voi per gli altri?"
    (da Il sogno della non violenza. Pensieri)


    IL SUO PENSIERO

    Vedeva l'egoismo come un qualcosa di distruttivo per l'essere umano, affermava che chiunque potesse essere grande anche senza istruzione o competenze bastava un animo gentile vedeva nel continuo progresso l'assenza dell'animo umano che diventava piccolo di fronte alle sue opere gigantesche, la ricchezza la si poteva ottenere soltanto se la povertà cessasse di esistere.

    Affermava che chi non fosse pronto a morire per un qualcosa in cui crede non possa essere «pronto a vivere» e che le qualità di un uomo si mostrano solo quando deve affrontare una situazione difficile, solo il coraggio poteva vincere la paura.
    Il pensiero di M. L.King si espresse criticamente, sia verso il capitalismo selvaggio sia verso il socialismo reale, realizzato in Urss ed in altri paesi. King sostiene nei suoi sermoni, in particolare un sermone dedicato alla giustizia e riportato integralmente nel libro "La forza di amare" (casa editrice SEI), la necessità di riconoscere il bene e il male in entrambi i sistemi economici che si fronteggiavano durante la guerra fredda. Partendo dalla convinzione che Dio desidera liberare dal peccato la stessa struttura sociale ed economica, descrisse come il capitalismo è fonte di libertà e ricchezza per l'uomo ma al tempo stesso fonte d'impoverimento spirituale perché produce materialismo e consumismo sfrenato, così come il comunismo sovietico è nato da giuste esigenze di eguaglianza ma distrugge la libertà individuale e annienta l'uomo con i suoi mezzi crudeli e aberranti. M. L.King credeva nel sogno della fratellanza umana tra i popoli della Terra, nella cosiddetta "beloved community" (comunità d'amore) che era ai suoi occhi la "sintesi creativa" della tesi (capitalismo) e dell'antitesi (comunismo), motivata da una profonda fede in Gesù Cristo.
    Un'altra polemica nacque dalla sua introduzione al libro Negroes With Guns (Neri Armati) di Robert Williams, un residente a Cuba, che trasmetteva regolarmente tre volte a settimana una trasmissione ad alta frequenza con messaggi ritenuti rivoluzionari ed insurrezionalistici. Ma King ribadì sempre la sua scelta di rifiuto totale di ogni forma di strumento violento.

     
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  2. gheagabry
     
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    «I have a dream»: «Ho un sogno». Era consapevole, il reverendo Martin Luther King, di incidere le sue parole nel marmo vivo della Storia? Sì, lo era. Quel 28 agosto del 1963, al termine di una marcia di protesta per i diritti civili, quando pronunciò il suo discorso davanti al Lincoln Memorial di Washington era consapevole di aver parlato con parole che avrebbero lasciato il segno: «Sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla Storia come la più grande dimostrazione per la libertà nella storia del nostro Paese» disse Luther King.

    ONE MAN. ONE MARCH. ONE SPEECH. ONE DREAM. Dal 28 agosto 1963 l'espressione «I have a dream» e diventata un'icona universale. In un discorso di 17 minuti (vedi un estratto video qui sotto), il reverendo Martin Luther King ha condensato la potenza del suo messaggio, affidandolo ai posteri. Da quel momento la lotta contro il razzismo e la segregazione razziale non è stata più la stessa. Ha trovato nuova forza, radici e soprattutto un simbolo. Il discorso pronunciato davanti a 250.000 persone è stato uno dei più studiati (e copiati) della storia. Linguisti, filosofi, ghostwriter, teologi, esperti di comunicazione lo hanno sezionato e analizzato da qualsiasi prospettiva.

    «Hanno cercato nel ritmo, nella circolarità, nelle ripetizioni da sermone, nella scelta di parole ricorrenti, nel tono e nell'impianto retorico gli ingredienti segreti di quel discorso immortale» scrive Mattia Ferraresi, autore del libro "Obama. L’irresistibile ascesa di un’illusione", ed esperto di comunicazione politica americana.
    Si racconta per esempio che quel 28 agosto il Presidente John F. Kennedy abbia seguito in Tv il discorso del reverendo King e abbia mormorato «È dannatamente bravo», mentre le immagini di un King trionfante, presentato come il leader morale della nazione, scomparivano dal teleschermo.


    «Non tutti lo sanno, ma soltanto i primi sette paragrafi del discorso erano preparati – racconta Jones - Avevamo selezionato insieme i temi e lui aveva steso il testo. Poi a un certo punto Mahalia Jackson, la grande cantante gospel che aveva aperto la manifestazione, ha iniziato a urlare: "Parla del sogno, Martin! Parla del sogno!". Ero a pochi metri di distanza e ricordo benissimo che King ha accantonato i fogli e ha preso a parlare a braccio. La parte che è entrata nella storia era in realtà improvvisata, ed è anche questa la sua forza. Con un discorso spontaneo ha espresso un concetto che si può riassumere in tre parole: All, Here, Now. Vogliamo tutto, qui e ora. Non possiamo tralasciare il valore che la spontaneità e l'improvvisazione hanno avuto quel giorno».

    La tesi di Jones è confermata da altri storici e testimoni oculari. Tra questi anche George Raveling, un ex giocatore di basket che si trovava sul palco. Fu lui a raccogliere pochi secondi dopo la fine del discorso i fogli originali che ancora oggi conserva gelosamente. «Mahalia Jackson continuava a ripeterlo "Parla del sogno, Martin!". Sembrava di essere alla messa della domenica in una di quelle "chiese gospel" nelle quali i fedeli fanno le loro osservazioni a voce alta. Da quel momento il reverendo King non ha più letto il discorso, ma lo ha usato solo come guida» racconta Raveling.
    Le proteste che hanno cambiato la storia recente
    Raveling - come centinaia di migliaia di persone di ogni razza ed etnia - era giunto a Washington per chiedere un salario minimo di 2 dollari, il passaggio di un disegno di legge significativo sui diritti civili, la fine della segregazione razziale nelle scuole, un programma di lavori pubblici federale e il blocco delle pratiche di lavoro scorrette. Ma la mattina del 28 agosto, a causa della sua prestanza fisica, fu arruolato come volontario nel servizio d'ordine.

    La sicurezza era infatti la prima preoccupazione degli organizzatori. La marcia era stata pubblicizzata come una protesta non violenta ed erano attesi numerose star (la cosiddetta delegazione Hollywood), da Bob Dylan a Johan Baez da Harry Belafonte a Marlon Brando, che si sarebbero dovuti esibire sul palco. Ma c'era anche molto nervosismo.
    Furono richiamati a Washington oltre 5.000 riservisti per fornire assistenza, vennero vietati gli alcolici. «Sembrava che ci fossero più poliziotti che manifestanti» scrisse il New York Times.
    Il presidente John F. Kennedy e suo fratello Robert, che allora era procuratore generale, si prepararono al peggio nel timore che qualsiasi incidente potesse innescare una rivolta di proporzioni mai viste in America.
    Furono smentiti dai fatti: la marcia fu una festa pacifica e il discorso di King entrò nella leggenda. «I have a dream» disse JFK accogliendo il reverendo King nello studio ovale alla Casa Bianca per un incontro poche ore dopo la marcia.

    La marcia - e il discorso di Martin Luther King che la concluse - fu trasmessa in diretta dalla televisione statunitense CBS. Nessuno notò - lo fece soltanto nel 2003 il premio Pulitzer David Garrow - che il reverendo aveva già usato la frase "I have a dream" in almeno 4 discorsi precedenti. Ma alle 250 mila persone presenti e ai milioni di persone che le ascoltarono in Tv, sembravano nuove di zecca.

    E sebbene oggi potrebbero non sembrarci più così nuove, toccano ancora le corde dei nostri cuori.




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