La dittatura di corpi perfetti La chirurgia estetica, che cos’è e le sue origini

tesina Esame di Stato 2012

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    La dittatura di corpi perfetti

    La chirurgia estetica, che cos’è e le sue origini


    tesina Esame di Stato 2012

    di Lilia Del Mauro


    La chirurgia estetica è quella parte della chirurgia plastica non volta alla ricostruzione di parti corporee precedentemente esistenti, ma finalizzata al cambiamento di parti del corpo al fine di apparire più belli. Essa si contrappone alla chirurgia ricostruttiva che ha come obiettivo la ricostruzione di una parte del corpo mancante o deformata dopo un incidente, infezione o dopo l'asportazione di tumori. Per quanto riguarda le tecniche chirurgiche utilizzate, la chirurgia estetica e quella ricostruttiva sono strettamente collegate tra loro perché qualsiasi ricostruzione funzionale vuole anche essere estetica e viceversa.

    La chirurgia plastica, sebbene negli ultimi decenni stia diventando sempre più popolare e richiesta, ha origini molto antiche. È difatti in India che si fa risalire la pratica chirurgica estetica: nei Veda, testi sacri risalenti al XX secolo a.C., vi sono riferimenti espliciti a svariati tentativi di innesti cutanei a fini ricostruttivi. Era infatti pratica usuale l'amputazione del naso in seguito alla trasgressione di alcune leggi e al tradimento da parte della donna del proprio marito. Il Sushruta Samhita, documento del chirurgo indiano Sushruta, è da considerarsi il primo vero trattato di chirurgia estetica. In Grecia, nel Corpus Hippocraticum, Ippocrate fa riferimento a deformità e malformazioni del volto, citando tecniche ricostruttive derivanti proprio dall’India. Nell’antica Roma poi, due dei più grandi medici del tempo, Galeno e Celso, si interessarono di ricostruzioni a fini estetici, tra cui correzioni del labbro, interventi alle orecchie, al naso. Con il crollo dell’impero romano la chirurgia, applicata nei campi di battaglia e sui gladiatori, ebbe una fase di stallo. (fonte: wikipedia)

    Successivamente, nel Rinascimento, apparvero due importanti figure della chirurgia Plastica: i Branca ed i Vaneo (siciliani i primi e calabresi i secondi) che seppero approfondire le tecniche chirurgiche più avanzate del tempo rifacendosi ai metodi indiani.

    Ma fu nel XVII secolo che, con il medico Gaspare Tagliacozzi, si ebbe una svolta importante per la medicina estetica. Egli pubblicò l’opera “De curtorum chirurgia per insitionem”, considerata il primo trattato di chirurgia estetica occidentale. In esso il medico descrive attentamente la tecnica di ricostruzione nasale che prenderà il nome di “metodo italiano”. Quest’ opera pose, per la prima volta, degli interrogativi etici: la medicina aveva il compito di curare, non di migliorare o modificare parti del corpo. A tali quesiti il medico bolognese rispondeva sottolineando come interventi di questo genere ridavano integrità ad organi che la natura stessa aveva fornito, permettendogli di compiere nuovamente le funzioni a loro attribuite.

    Nel XIX secolo si ebbe un’ ulteriore evoluzione di questo settore. Con il progressivo affermarsi della chirurgia e con la nascita dell’anestesia, la chirurgia estetica trasse un notevole impulso; andò avviandosi un vero e proprio riconoscimento scientifico di questa branca. In Svezia fu organizzato, nel 1955, il primo Congresso Internazionale di chirurgia estetica e in Italia fu inaugurato nel 1958 il reparto di chirurgia plastica nell’ospedale Sant'Eugenio di Roma. Nel 1928 Suzanne Noel pubblicò “La chirurgie esthètique. Son role social”. In esso la scrittrice sottolineava l’importanza, tanto per le donne quanto per gli uomini, della chirurgia estetica in rapporto alle prospettive lavorative. Oltre che per un miglioramento estetico, la chirurgia estetica fu vista, soprattutto nell’America di fine Ottocento e inizi Novecento, come possibilità di assimilazione sociale. Numerose erano infatti le minoranze etniche presenti nel territorio, le quali vedevano nella propria diversità culturale motivo di discriminazione razziale, in particolare gli ebrei. Costretti a vivere in un clima di anti-semitismo, alimentato da trattati fisiognomici che vedevano in particolare nella forma del naso determinati comportamenti morali, molti di loro fecero ricorso a interventi di rinoplastica. Se per gli uomini in particolare un fattore di disagio era creato dal naso, le donne si misuravano su un'altra parte del corpo: il seno. Da sempre considerato strumento di seduzione, con il passare del tempo e con mode che esaltavano sempre di più la figura femminile, tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento diversi trattati fisiognomici, tra cui lo studio di H.Ploss che classificava le donne in base alla forma del seno, alimentarono criteri di discriminazione razziale. Inizialmente, in virtù della considerazione che il seno piccolo fosse quello ideale per la donna del nuovo millennio, le prime mastoplastiche erano di tipo riduttivo.



    Chirurgia estetica e psicologica, corpo e mente. Cosa spinge a sottoporsi a un intervento estetico?

    Le statistiche ci dicono che ogni anno, solo in Italia, vengono eseguiti oltre 600.000 interventi di chirurgia estetica, per correggere piccoli o grandi inestetismi.

    I pazienti che decidono di sottoporsi a interventi chirurgici di questo tipo possono essere spinti da necessità fisiologiche, ovvero nel caso in cui il difetto fisico impedisca una vita corretta, oppure esigenze di tipo puramente estetico.

    La ragione di questo aumento di richieste per la chirurgia, che di anno in anno si fanno sempre più insistenti, dipende essenzialmente dagli aspetti psicologici, palesi e/o inconsci, che produce un intervento su di noi, in una società che, sempre più, si basa sull’immagine, dove ciò che conta è apparire, che fa della fisicità, piuttosto che dell’essere, un vero simbolo e ci rende schiavi della bellezza e sottoposti a servirla, anche a caro prezzo di vere e proprie privazioni e sofferenze fisiche.
    Perciò, l'importanza che riveste il nostro aspetto fisico, generalmente, è molta. Esso determina come noi ci vediamo allo specchio ed è la base su cui formuliamo il giudizio di noi stessi, e il giudizio che noi pensiamo che gli altri abbiano di noi.
    Ma il giudizio che noi diamo sul nostro corpo, ovvero sulla nostra immagine, talvolta può non essere veritiero, reale, concreto,
    ma semplicemente il frutto della percezione di noi stessi.

    Ed ecco allora come, il più delle volte, dopo un intervento di chirurgia estetica si assiste da parte del paziente ad una rielaborazione della propria immagine interiorizzata, dovuta al cambiamento del suo aspetto esteriore. Ne consegue per il paziente un’acquisizione di maggior autostima, maggior disponibilità a interagire con il mondo esterno e una maggior produttività in campo lavorativo o scolastico che sia. Tuttavia spesso si è più affezionati di quanto si creda alle nostre imperfezioni e svegliarsi un giorno, guardarsi allo specchio e non trovarle più, può causare uno shock psicologico. Le conseguenze per la psiche allora possono essere catastrofiche, portando il paziente ad avere una crisi di personalità e la necessità di dover ricorrere a un supporto psicologico.

    Ma quando, sembra lecito chiedere, il ricorso alla chirurgia estetica diventa un vero e proprio abuso? Quando si varca quella linea invisibile che separa il buon senso e la ragionevolezza dalla follia? Quando ci si spinge troppo oltre, con l’intento di perseguitare ideali di bellezza finti, plastici, estremi, troppo lontani da quello che si è?

    Uno studio britannico del 2009 condotto su un campione di oltre mille bambine e ragazze della fascia di età 7-21 rivela che la maggior parte delle giovani donne è insoddisfatta del proprio aspetto e si sottoporrebbe senza problemi a interventi di liposuzione, trattamenti laser o chirurgia plastica per ritoccare parti del proprio corpo ed apparire più bella. In pratica, la nuova generazione di donne considera questi ritocchi e modifiche come cose di tutti i giorni. E’ inoltre assai preoccupante che perfino le bambine siano ipercritiche nei confronti del proprio corpo e spesso insoddisfatte. Le origini di tale atteggiamento è da ricercare nella società e dai modelli trasmessi dai mass media.

    La nostra televisione (il cui pubblico è composto per il 60% da donne) espone e mette in mostra, come fosse una vetrina, sempre più corpi giovani di donne bellissime, “perfette” (talvolta volgari), tali da far sentire a disagio e non “all’altezza” le donne comuni, reali. La televisione seleziona accuratamente le sue immagini; i volti delle donne dello spettacolo appaiono sempre perfettamente truccati, depilati e telegenici, i corpi sempre più contraffatti, irreali, gonfiati a dismisura come fenomeni da circo. L’idea che ne scaturisce è quella di una donna finta il cui volto, reso inespressivo dagli innumerevoli interventi estetici, è condotto a una vera e proprio maschera della chirurgia.

    Dei 45 muscoli facciali, a parte quelli necessari per masticare, odorare, baciare e soffiare, tutti gli altri servono per esprimere emozioni: ne deriva che ogni volto umano è unico, particolare ed individuale, l’esatto contrario del “tipico”. Perciò perché nascondere il nostro volto e quelli che sono i nostri difetti? Perché modificarlo, renderlo inespressivo, falso, cioè similare a quello di una comune bambola giocattolo? Modificare il nostro volto equivale a rinunciare alla nostra unicità, alla nostra anima. La faccia si chiama proprio così perché la “faccio” proprio io, la costruisco attraverso le mie esperienze, le mie abitudini, il mio vissuto.

    Oggi l’ideale di donna a cui aspirano sempre più giovani, purtroppo, è quello delle “belle e mute in tv”. Sono queste le donne che piacciono.

    La chirurgia estetica tuttavia non ha conquistato solo la popolazione femminile, bensì anche quella maschile. Gli uomini che si sottoporrebbero a un intervento di chirurgia plastica sono sempre di più e le statistiche parlano chiaro: gli interventi di chirurgia plastica sugli uomini sono passati da un 1% del 2009 al 17% del 2011.

    Un’altra conseguenza di come i mass media e questo tipo di pubblicità influiscano negativamente sulla psiche umana, è il fenomeno dell’anoressia. Questa è una malattia, purtroppo sempre più diffusa, che colpisce soprattutto le giovani donne ed adolescenti. Secondo uno studio effettuato dalla Scuola di Medicina di Harvard condotto sottoponendo ad un test circa 7mila ragazze di età compresa tra i 9 e 15 anni, i modelli imposti dai mass media sarebbero tra i principali responsabili dell'anoressia. Le giovani si mettono sempre di più a dieta per provare a somigliare a modelli televisivi con conseguenze talora catastrofiche.

    Già Pier Paolo Pasolini, poeta, giornalista, regista, sceneggiatore e scrittore italiano, appassionato osservatore della realtà che lo circondava e che stava mutando così radicalmente, aveva osservato che l’Italia stava diventando un Paese consumistico ed edonistico. Questo “edonismo consumistico”, diffuso e incoraggiato nella società dai mass-media e dalla pubblicità, travolge e sostituisce ogni altro valore del passato e l’unico principio che viene perseguito è il benessere. Da ciò deriverebbero comportamenti profondamente amorali e immorali. Il bisogno continuamente stimolato dalla pubblicità per beni superflui e voluttuari non conosce più veri limiti. Più si ha e più si vorrebbe e si è sempre più disposti ad ottenere ciò che si desidera a qualunque prezzo e con qualunque mezzo. Agli occhi di Pasolini le vittime principali della nuova società del Mercato sono proprio i giovani. Egli aveva capito in anticipo che la televisione stava per distruggere la poetica potenzialmente espressa dal volto umano; aveva un senso acuto della realtà del volto, intesa come luogo di energie ineffabili che esplodono nell’espressione, cioè in qualche cosa di asimmetrico e di individuale. Che ne è allora dei volti delle donne? Che ne è dell’ espressività, che dovrebbe essere unica e caratteristica, dei volti umani?

    Da tutto ciò ne deriva che se nell’antica Grecia il modello di perfezione estetica femminile era scolpito nelle forme rotonde e nei fianchi pronunciati della ”Venere di Milo”, oggi esso è rappresentato da fisici esili e slanciati, seni pronunciati, labbra gonfiate e sorrisi smaglianti di donne plastiche e surreali. La “perfezione” a cui le donne aspirano è sempre più similare a quella di una bambola di plastica, spesso rappresentata da quella più famosa al mondo: la Barbie.

    La Barbie, oltre ad essere il giocattolo preferito di molte bambine, è diventata una vera e propria icona di bellezza che sempre più donne sognano di raggiungere.

    Questo è il caso, ad esempio, di Sarah Burge, 46 anni, che detiene il titolo di “donna più rifatta” del Regno Unito. Finora sono venticinque gli interventi di chirurgia plastica che questa Barbie vivente si è concessa. Ma non le bastano: "Andrò avanti fino a 80 anni, voglio rimanere per sempre giovane", ha confidato Sarah. Non le dispiace affatto di essere stata soprannominata la Barbie vivente: " Lo prendo per un complimento, la bambola Barbie non ha nemmeno una ruga". Ella è diventata una habitué dei chirurghi plastici di Londra e ne va orgogliosa: "Sono un canovaccio vivente per i migliori di loro. E devo dire che le operazioni non mi fanno soffrire. O perché ho un'alta soglia del dolore o perché sono ormai di plastica...".

    La bambola Barbie, divenuta oramai vera e propria icona estetica per numerosissime donne, nasce come rielaborazione statunitense di un modello di bambola (di nome Lilli) commercializzato in Germania nel 1955 da un’industria di giocattoli che aveva fatto fortuna vendendo soldatini nel periodo nazista. Lilli si rivolgeva a un pubblico adulto e impersonava il modello di bellezza promosso dall’ormai defunto regime hitleriano.

    Quel modello era ancora giudicato “ideale” dal tedesco medio di allora per la teoria della superiorità della razza che rendeva quella ariana superiore alle altre. Osservando una Barbie effettivamente non si possono non notare le caratteristiche della “fisicità ariana”: bionda e con gli occhi azzurri, alta, atletica, carnagione chiara. Scavando nell’ideologia di “razza perfetta” di Hitler espressa in “ Mein Kampf”, la storia è una lotta tra la razza ariana, creatrice di civiltà, e le altre razze, considerate inferiori sia culturalmente che biologicamente. L'ariano, la cui missione era quella di sottomettere o estinguere tutti i presunti popoli inferiori, veniva considerato sia fisicamente che mentalmente superiore rispetto agli altri. Hitler inoltre credeva che la perfezione dell’ariano non dovesse essere compromessa o contaminata dalle “razze inferiori”. Tale dottrina nazista è una teoria che non ha alcun fondamento. Addirittura, scientificamente non ha senso l’idea stessa che esistano differenti razze umane: il colore della pelle, gli occhi più o meno allungati, i capelli ricci o lisci sono solo caratteristiche estetiche che nei secoli e nei millenni si sono sviluppate in modo diverso ma non hanno niente a che vedere con le capacità e le qualità di ciascun individuo. Solo gli ariani riproducevano le “proporzioni assolute della bellezza architettonica” secondo il paradigma greco. Gli ebrei venivano invece paragonati a cimici e topi, animali nocivi e brutti che dovevano essere sterminati: la propaganda di massa provvedeva alla documentazione che mostrava le “tipiche” facce ebraiche accompagnate da didascalie indicanti la scarsa rassomiglianza dei loro volti ritratti con quelli degli esseri umani.

    fonte:http://www.atuttascuola.it

     
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