OPRAH WINFREY

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    OPRAH WINFREY



    La conduttrice televisiva Oprah Gail Winfrey nasce a Kosciusko, nello stato del Mississippi, il giorno 29 gennaio 1954. Sua madre, Vernita Lee, è figlia di allevatori di suini nel periodo in cui nello stato del Tennessee è ancora in atto la lotta per i diritti civili relativi alla segregazione razziale. La madre ha rapporti con parecchi uomini, e indica in un marinaio della Marina Militare degli Stati Uniti, Vernon Winfrey, il potenziale padre di Oprah.

    Oprah, fino all'età di sei anni, viene mandata a vivere con i nonni, dove impara a leggere e a recitare parti delle sacre scritture, per poi tornare successivamente dalla madre.
    Vive in un ambiente degradato e promiscuo, è ciò su di lei ha effetti infausti; subisce molestie sessuali da parte di un cugino e maltrattamenti da altri membri della famiglia. All'età di quattordici anni ha una gravidanza indesiderata da cui nasce un figlio morto la cui paternità non è accertata. Si trasferisce dal padre biologico nel Tennessee, e più precisamente a Nashville.
    È infatti grazie ad un rigida "rieducazione" da parte del padre, e della sua compagna Zelma che adora la bambina, che Oprah riesce ad conseguire i primi successi scolastici riuscendo ad ottenere una borsa di studio universitaria. Compie il suo percorso formativo alla Università del Tennessee ottenendo una Laurea in "Speech and Performing Arts".



    Nel 1971, grazie alla sua capacità di parlare in pubblico e di "tenere una platea", ma ancora studente, vince un concorso pubblico per giovani talenti che le da l'opportunità di condurre un notiziario in una stazione radiofonica locale. Da qui a condurre il telegiornale di Nashville per l'emittente WTVF-TV il passo è breve.

    Nel 1976 passa alla TV WJZ di Baltimora (Maryland), dove gli viene forse imposto addirittura un intervento chirurgico per avvicinarle gli occhi e rendere il suo aspetto più appetibile e gradevole al grande pubblico, ma lei si rifiuta. L'anno successivo passa a condurre un talk show nella fascia oraria mattutina ed è qui che grazie anche al coinvolgimento del pubblico trasforma una normale trasmissione in uno spettacolo. Nasce così il "Winfrey Show".

    Passano non pochi anni, e nel 1984, grazie all'intercessione di un ex produttore della TV di Baltimora, Debra DiMaio, che si è trasferita a Chicago (Illinois) ma si è portata una cassetta con gli show di Oprah, la conduttrice viene assunta alla WLS-TV per condurre l'ennesimo morning show (AM Chicago). In sole quattro settimane lo show di Oprah è il più seguito, abbatte tutti gli indici d'ascolto e tutti i tab che una persona di colore può creare alla popolazione di Chicago, perché oltre alla dialettica ed una forte personalità, Oprah, tratta nel suo show grandi temi sociali che stanno a cuore al grande pubblico, spesso facendosi forte delle sue esperienze infantili ed adolescenziali.

    Il talk show (che poi viene in seguito ribattezzato "Oprah") vince svariati premi nazionali, i libri presentati durante le sue trasmissioni diventano immediatamente best-sellers, i grandi temi sociali da lei trattati diventano argomenti di quotidianità da parte della popolazione statunitense. La conduttrice non fa segreto di devolvere gran parte dei suoi ormai lauti compensi ai più bisognosi.

    Al di fuori della carriera televisiva, Oprah Winfrey è a capo di un piccolo impero editoriale, e recita anche in un film, "Il colore Viola" (1986, di Steven Spielberg), con il quale ottiene anche una nomination per l'Oscar come miglior attrice non protagonista.
    È molto attiva nel sociale, fonda un ente no-profit per l'assistenza ai più bisognosi (The Angel Network), e apre, su insistenze di Nelson Mandela, la "Oprah Winfrey Leadership Academy for Girls" nei pressi di Johannesburg in Sud Africa, un istituto per bambine appartenenti alle classi meno abbienti.

    Il suo patrimonio personale viene stimato da Forbes in 2,4 bilioni di dollari di cui almeno 70 milioni sono devoluti per cause umanitarie internazionali.

    Il 9 settembre 2011 è la data annunciata, da Oprah Winfrey, dell'ultima puntata del suo venticinquennale show.
    (biografie online)



    The Oprah Winfrey Show
    Era il 1986 quando The Oprah Winfrey Show viene trasmesso sulla rete nazionale. Da allora, per 25 anni, ogni sera Oprah è in onda a raccontare e raccontarsi. Nel suo show, che ha tracciato la storia televisiva e insieme americana, sono accadute le cose più pazzesche. Davanti ad Oprah si sono sedute celebrità di ogni tipo: premi Nobel, attori, artisti e gente comune. Il salotto di Oprah è una delle sedute e vetrine più ambite: Tom Cruise ha dichiarato il proprio amore per Katie Holmes, Kirstie Alley ha comunicato l'inizio delle sue diete e fino alle ufficializzazioni dei fidanzamenti (ultimo in ordine di tempo quello di Robert Pattinson con Kristen Stewart) e delle separazioni. E nel 1993 Oprah ha condotto quella che è stata definita la più seguita delle interviste televisive: con Michael Jackson. Si contarono oltre 62 milioni di spettatori negli Stati Uniti e più di 100 milioni nel mondo.


    In guerra con il peso
    È leggendaria la sua battaglia contro il sovrappeso, di cui ha reso tutti partecipi. Le diete provate, gli esercizi fisici, i risultati raggiunti, nel bene e nel male. E le sue dichiarazioni in merito al proprio corpo hanno raggiunto livelli impensabili di popolarità televisiva. Ma per verificare, quanto il peso di Oprah sia argomento di dibattito e discussione, basta digitare le parole Oprah e Weight su Google per avere più di 4 milioni di risultati.
    Eletta da Forbes nel 2003 la donna afroamericana più ricca del pianeta (e più influente), Oprah, detta anche The Big O, ha creato un vero e proprio impero multimediale: canali satellitari, case di produzione, case editrici. Un vero e proprio colosso che ruota attorno al suo nome ed alla sua persona.


    Se lo dice Oprah
    La potenza e l'influenza di Oprah si esprimono attraverso la sua capacità di promuovere, scoprire e appoggiare personaggi, soprattutto scrittori, attraverso la sua benedizione. Se Oprah lo ha letto, e pubblicamente dice che le è piaciuto, allora milioni di americani compreranno quel libro, e così via. L'Oprah Winfrey's Book Club è un'appendice al suo show quotidiani che si occupa di promozione di libri. Da qui è passato anche Barak Obama, per presentare il libro autobiografico The Audacity of Hope e per dare di fatto avvio, nel salotto più influente del mondo, alla sua corsa presidenziale.


    6 settembre 2011
    Nel novembre 2009, una Oprah in lacrime annuncia la sua decisione di terminare lo show per dedicarsi esclusivamente al suo canale satellitare OWN: Oprah Winfrey Network. L'ultima puntata dello show che si preannuncia leggendaria andrà in onda il 6 settembre 2011.
    (dal web)

     
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  2. gheagabry
     
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    « Ho un sogno: che un giorno questa nazione
    si sollevi e viva pienamente il vero significato del suo credo..
    "Riteniamo queste verità di per sé evidenti: c
    he tutti gli uomini sono stati creati uguali" »
    (M.L.King)


    SELMA



    Titolo originale Selma
    Lingua originale inglese
    Paese di produzione Stati Uniti
    Anno 2014
    Durata 127 min
    Colore colore
    Audio sonoro
    Genere drammatico, biografico
    Regia Ava DuVernay
    Sceneggiatura Paul Webb
    Produttore Christian Colson, Dede Gardner, Jeremy Kleiner, Cameron McCracken, Brad Pitt, Oprah Winfrey
    Produttore esecutivo Ava DuVernay, Paul Garnes, Diarmuid McKeown, Nan Morales
    Casa di produzione Cloud Eight Films, Celador Films, Harpo Films, Pathé, Plan B Entertainment
    Fotografia Bradford Young
    Montaggio Spencer Averick
    Costumi Ruth E. Carter
    Trucco Beverly Jo Pryor

    Interpreti e personaggi

    David Oyelowo: Martin Luther King, Jr.
    Tom Wilkinson: Lyndon B. Johnson
    Tim Roth: George Wallace
    Common: James Bevel
    Carmen Ejogo: Coretta Scott King
    Lorraine Toussaint: Amelia Boynton Robinson
    Oprah Winfrey: Annie Lee Cooper
    Cuba Gooding, Jr.: Fred Gray
    Niecy Nash: Richie Jean Jackson
    Colman Domingo: Ralph Abernathy
    Giovanni Ribisi: Lee C. White
    Alessandro Nivola: John Doar
    Keith Stanfield: Jimmie Lee Jackson
    Andre Holland: Andrew Young
    Tessa Thompson: Diane Nash
    Wendell Pierce: Hosea Williams
    Omar Dorsey: James Orange
    Ledisi: Mahalia Jackson
    Trai Byers: James Forman
    Stephan James: John Lewis
    Kent Faulcon: Sullivan Jackson
    John Lavelle: Roy Reed
    Jeremy Strong: James Reeb
    Dylan Baker: J. Edgar Hoover
    Nigel Thatch: Malcolm X



    Premi e riconoscimenti

    2015 - Premi Oscar
    Nomination Miglior film a Christian Colson, Dede Gardner, Jeremy Kleiner e Oprah Winfrey
    Nomination Miglior canzone (Glory) a John Stephens e Lonnie Lynn
    2015 - Golden Globe
    Migliore canzone originale (Glory) a John Legend e Common
    Nomination Miglior film drammatico
    Nomination Miglior regista a Ava DuVernay
    Nomination Miglior attore in un film drammatico a David Oyelowo
    2015 - Satellite Award
    Nomination Miglior film
    Nomination Miglior attore a David Oyelowo
    Nomination Miglior regista a Ava DuVernay
    Nomination Migliore sceneggiatura originale a Paul Webb
    2014 - National Board of Review Award
    Premio per la libertà d'espressione



    Ambientato negli Stati Uniti, durante la presidenza Johnson, Selma - La strada per la libertà racconta la marcia di protesta che ebbe luogo nel 1965 a Selma, Alabama. Guidata da un agguerrito Martin Luther King, questa contestazione pacifica aveva lo scopo di ribellarsi agli abusi subiti dai cittadini afroamericani negli Stati Uniti e proprio per la sua natura rivoluzionaria venne repressa nel sangue.

    ..recensioni..



    127 minuti, durata del film Selma, per legittimare migliaia di morti, sembrano niente di fronte a secoli di scontri scioccanti, battaglie, soprusi, umiliazioni subite dal popolo afroamericano. Eppure in questi minuti, almeno si prende consapevolezza di tutto il dolore subito e della potenza delle anime dei neri!
    Il film, diretto da Ava DuVernay, narra l’intervento di Martin Luther King Jr. (David Oyelowo), carismatico leader pacifico della rivoluzione non violenta, nei tre mesi del 1965 in cui si oppose al regime bianco con una pericolosa campagna, per imporre l’imprescindibile diritto di voto anche ai neri.
    La sua battaglia organizzò una marcia pacifica in Alabama, da Selma a Montgomery, che culminò con la firma del presidente Johnson (Tom Wilkinson) del Voting Rights Act, una delle vittorie più significative per il movimento dei diritti civili, oltre che con la morte di King a soli 39 anni.
    Il film è interessante oltre che utile, non solo perché offre una lettura storica che non tutti conoscono, ma giocando sulla dualità tra mito e uomo in carne ed ossa, anch’egli con piccole angosce, errori, incertezze, timori e, inscenando anche le dinamiche personali, familiari che caratterizzarono King, la regista riesce a proiettare sullo schermo tutta quella forza interiore che ognuno avrebbe se fosse in grado di accedervi.
    Strano e spiacevole -dice la regista- è anche il fatto che non ci siano film su Luther King, già Nobel per la pace nel 1964, e la DuVernay ha cercato con Selma di ovviare a tale mancanza storica oltre che cinematografica.
    (gaiart,www.filmtv.it)


    Siamo nel marzo del 1965. Martin Luther King Jr., insieme ad altri membri del Southern Christian Leadership Conference più altri attivisti, hanno già tentato due volte di portare a termine quella che dovrebbe essere una tappa definitiva. Si tratta della marcia di protesta da Selma a Montgomery, al fine di ottenere l’estensione del voto per i neri, sulla carta esistente ma nella pratica sistematicamente disatteso.
    Mezzucci ve ne furono svariati, come quello secondo cui i neri che volevano presentarsi alle urne erano tenuti a compilare moduli in cui comparivano chiaramente nomi, cognomi e luoghi di residenza, sì da rendere agevoli potenziali ritorsioni ai loro danni. Una vicenda che definire scabrosa è un eufemismo, lì nella patria della democrazia, che ne ha tanta da esportarla pure fuori. Solo che la storia non la si fa con le frecciate o le velate antipatie, perciò Selma, che è un film fortemente incentrato su un evento storico, si dà ad un approccio differente.
    Ava DuVernay opera una scrematura netta, cercando di andare dritta al punto, segnalando e mostrando quelli che a suo parere sono stati i momenti chiave della pagina Selma. Un marcia riuscita al terzo tentativo, dopo il pestaggio della prima volta, quando la comunità nera intervenuta viene ricacciata verso dove era venuta a suon di botte e mazzate. Nel dare rilevanza a certi episodi specifici, la regista però risulta meno incisiva e più affabulatrice, ponendo una strana enfasi in particolar modo nelle scene di violenza, rallentate, “costruite”, quasi che il resto sia contorno.
    È evidente che la DuVernay non si limiti a questo, e che anzi cerchi di evitare l’esposizione del mito, specie in relazione a quello che a conti fatti è il vero protagonista di Selma, ovvero King. In una delle scene più riuscite, senza dubbio più intensa di tante altre, il matrimonio di Martin Luther King è appeso a un filo, mentre si tiene una conversazione dal tono dirimente a tu per tu con la moglie Coretta (brava Carmen Ejogo): si scopre allora che King ha più di un amante e che la moglie ne è perfettamente al corrente. Ciò che quest’ultima vuole sapere è se è la sola ad essere amata.
    Qualcuno, tuttavia, ci pare abbia un pelo ecceduto nel soppesare la portata di questa seppur intelligente mossa; vero è che così King ci viene consegnato meno divino e più umano, specie in considerazione del suo ruolo, oltre che dell’epoca, ma bastano poche scene successive a riportare il contesto su binari diversi. Non disturba per nulla tale trattamento, visto e considerato che la storia fino ad ora si è espressa in maniera poco equivocabile in tal senso. Ed è proprio sulla tale vocazione che è bene soffermarsi. Roger Ebert sosteneva che se avesse cercato di conoscere come e perché si sono svolti certi eventi, di certo non si sarebbe rivolto a un film.
    Selma è ciò che al cinema riesce meglio, ovvero la dramma-
    tizzazione di una vicenda, che a quel punto non funge che da incipit, quasi contorno di un avveni-
    mento per forza di cose manipolato, ricostruito, non per forza con l’intento di negarlo o avvalorarlo; semplicemente per farlo “funzionare” agli occhi dello spettatore. Ecco, è probabilmente questo il passaggio in cui il lavoro della DuVernay un po’ s’inceppa; qui la regista di Middle of Nowhere non riesce a tenere saldamente le redini, lasciando che Selma “sbandi” in poche ma rilevanti occasioni.
    Chiaro che negli USA un film di questo tipo attecchisca meglio, perché la pagina è di quelle importanti ed in un certo senso si ha l’impressione che la ferita sia ancora fresca. Ma allora va altresì detto che in tal senso permangono dei limiti. Proprio perché trattasi di una pagina forte, di personaggi forti, quella di muovere il pubblico diviene una priorità più quanto ai modi che altro. Anzi, ci si domanda fino a che punto una parabola così edificante, positiva al di là dei risvolti, possa beneficiare da ritratti così apparentemente composti. Una simmetria che anziché pacificare i sensi li mette lievemente in allerta, dato che oramai le dinamiche da Academy le conoscono anche i muri.
    Una correttezza, quella da Oscar, che prima ancora che indisporre lascia l’amaro in bocca proprio alla luce di film come Selma. Che non è affatto un film cattivo, né tantomeno lo si può considerare “poco urgente” nella misura in cui si mette costantemente in discussione la concreta applicazione di tutti quei concetti con cui, non di rado a sproposito, ci si riempie la bocca. Ma quando alla fine hai l’impressione che un’opera del genere poteva essere migliore di quanto in realtà non sia, concepita com’è secondo criteri che dovrebbero rilevare secondariamente, un po’ l’amaro in bocca rimane. Le coordinate sono quelle, alcune delle quali molto telefonate, come quando si sorride non appena compare J. Edgar Hoover, o quando non si può far altro che provare sdegno per un Wallace, governatore dell'Alabama, che provoca il presidente Johnson uscendosene con un «che ce ne frega di cosa dirà la gente fra vent'anni?».
    Insomma, Selma piace e piacerà perché è la storia che indigna e al tempo stesso conforta sentirsi raccontare. Manca però quel coraggio di andare oltre, di mettere in discussione un classicismo che non sempre ha ragione. I rischi in certi casi sono sempre molti (troppi); la DuVernay alcuni li evita, e con bravura (l’idea di fare un film “piccolo”, per esempio), altri invece non riesce proprio a sventarli – Selma verrà ricordato per il suo messaggio, che sarà pure indiscutibile, ma che ad ogni modo trascende l’operato degli autori, che se da un lato non lo sviliscono, dall’altro non ci pare nemmeno che lo elevino più di tanto. Da questa parte consideriamo tutto, ma da certi inciampi abbiamo fatto più fatica a rialzarci.(Antonio Maria Abate, www.cineblog.it/)




    "Ai nostri più accaniti oppositori noi diciamo: Noi faremo fronte alla vostra capacità di infliggere sofferenze con la nostra capacità di sopportare le sofferenze; andremo incontro alla vostra forza fisica con la nostra forza d'animo. Fateci quello che volete e noi continueremo ad amarvi. Noi non possiamo in buona coscienza, obbedire alle vostre leggi ingiuste, perché la non cooperazione col male è un obbligo morale non meno della cooperazione col bene. Metteteci in prigione e noi vi ameremo ancora. Lanciate bombe sulle nostre case e minacciate i nostri figli e noi vi ameremo ancora. Mandate i vostri incappucciati sicari nelle nostre case nella notte, batteteci e lasciateci mezzi morti e noi vi ameremo ancora. Ma siate sicuri che noi vi vinceremo con la nostra capacità di soffrire. Un giorno noi conquisteremo la libertà, ma non solo per noi stessi: faremo talmente appello al vostro cuore ed alla vostra coscienza che alla lunga conquisteremo voi e la nostra vittoria sarà una duplice vittoria. L'amore è il potere più duraturo che vi sia al mondo."
    (Martin Luther King)

     
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1 replies since 18/11/2012, 22:38   125 views
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