Antinori e la cantina «spaziale»

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    Antinori e la cantina «spaziale»


    Nascosta sottoterra ed estesa per 25mila mq «nasconde» nel suo ventre di ferro, 600 anni di vini: dopo 6 anni inaugura la cantina della storica casa vitivinicola toscana. In anteprima il video della prima cantina d'Italia sempre aperta al pubblico, in attesa dell'inaugurazione, a febbraio
    di Annamaria Sbisà


    antinori_225X349Maestosa come mille anni di storia, sottotono come i marchesi Antinori. Praticamente sottoterra, si trova nella Val di Pesa, vicino a Firenze, circondata da vigne e colline, rivestita di ferro, una linea fatta di curve. 25 mila metri quadrati e 6 anni di cantiere: il 25 ottobre, con un pranzo per gli amici, è nata la nuova cantina Antinori cui Albiera – con le sorelle Alessia e Allegra, e con il padre Piero – ha dato vita. Al suo interno, 600 anni di vini. E da febbraio, unica in Italia, la cantina sarà aperta a tutti.

    (Foto Wayne Maser)
    Qual è stata l’idea di partenza?
    «Far vedere il meno possibile. Materiali nei colori della terra, in modo da fondersi con lei».
    L’impressione è molto netta.
    «Non ci sono angoli, solo curve».
    Lei invece è una persona decisa, «angolare».
    «Ma il tondo mi dà tranquillità».
    Il vino è tondo?
    «Di fondo dovrebbe esserlo. Salvo poi avere alcuni spigoli che ti colpiscono».

    Entriamo nella pancia dell’edificio, in un tunnel. Maxi cerchi filtrano curve di luce.

    Chi è l’architetto?
    «Marco Casamonti: me l’ha fatto conoscere il proprietario del castello di fronte. Di contemporaneo non capivo molto».
    E dopo che cos’ha capito?
    «Che avremmo potuto lasciare un segno nel tempo, senza distruggere il paesaggio».
    Davanti a noi, la scala: una spirale che punta al cielo. Sbuchiamo sulla prima terrazza, affacciata sul Chianti. All’interno, gli uffici di Piero e delle figlie, scatole di vetro affacciate su una corte interna, dalla ghiaia bianca.

    Che cosa succederà in questo luogo?
    «Si potranno fare visite guidate, prendere lezioni, vogliamo raccontare che cosa c’è dietro al vino. Cibo, arte, architettura, clima e persone: la cultura del posto».
    Lei che cosa fa nel tempo libero?
    «Alle 7.30 monto a cavallo. È uno sport fatto a due, devi saper chiedere e farti capire».
    Nella vita, lei è più istintiva o logica?
    «Logica, anche se ogni tanto bisogna lasciarsi andare per decidere. C’è un punto in cui, fatti tutti i conti, ci vuole altro».
    Non sembra una donna che parla molto.
    «Passo giornate intere in silenzio».
    Che cosa le è stato utile nel suo lavoro?
    «Quattro anni in una piccola azienda in Piemonte. Ho visto che se tiravo da una parte, si accorciava la coperta dall’altra».
    Un’ossessione?
    «Lasciare un segno, pensare al futuro».
    Da bambina che idea aveva del mondo?
    «Di un posto semplice. Mi sono sposata
    a 21 anni, senza aver visto molto».
    È stato facile seguire le tracce di famiglia?
    «È stato bravissimo papà, usando un metodo dolce. Siamo tre figlie femmine, tutte nel campo vinicolo».

    Ci portano la chiave della vinsanteria, stanza che pare un’installazione di botti di legno, luci teatrali, chiave tipo castello di Barbablù. I numeri: 12 mila metri di cantina, 8 mila di spazio espositivo, 6 mila gli uffici, 200 i posti nell’auditorium. Proseguiamo la visita nel nero, sospesi su un ponte illuminato da sotto. Poi il ponte vola sui tini di fermentazione in tinta argento, fino a una nuova scala in ferro. Nessun angolo: la balaustra curva con noi, che saliamo.

    Un’azienda familiare è un equilibrio comodo, ma pericolante. Come si fa?
    «Prima regola: l’azienda passa davanti a tutto. Poi, ognuno ha chiaro quello che deve fare, e papà decide».
    Voi giovani Antinori provate la sensazione di dover in qualche modo ricambiare?
    «L’insegnamento che abbiamo ricevuto noi sorelle è che non si tratta di roba nostra, ma di qualcosa che dobbiamo “traghettare” nel migliore dei modi: quello che si prende va passato».

    In cima. A sinistra il tunnel per le macchine ha concluso il suo giro, a destra la scatola di vetro del ristorante si spalanca sulla terrazza. All’interno il museo con torchio leonardesco, ceramiche, quadri e documenti degli antenati, poi l’auditorium, il bookshop con librerie in cotto irregolare, il negozio.

    Come vi siete divisi i compiti?
    «Allegra si occupa della fattoria di
    Bolgheri, e di tutti i nostri ristoranti:
    Cantinetta Antinori (a Firenze, Zurigo, Vienna e Mosca), Procacci (a Firenze, Vienna e Singapore), Peppoli (California e Kazakistan). E adesso anche di questo nuovo».
    Alessia invece, laureata in Agraria?
    «Si è occupata del museo. Con Chiara Parisi ha scelto i cerchi di Yona Friedman, la meridiana di Rosa Barba, la video installazione di Jean-Baptiste Decavèle, che scorre da Palazzo Antinori alla nuova cantina. L’idea è unire passato, presente e futuro usando il concetto del tempo».
    Niente vino?
    «Da noi è difficile, ma sta trasformando l’azienda di Fiorano in un gioiello biodinamico fuori Roma».

    antinori_470x305


    Ripassiamo dal ponte nero tracciato di luce, e notiamo balconi in ferro sospesi tra botti e lo spuntare delle sale di degustazione, che volano sul vino in basso, foderate di vetro. Il tunnel sta per terminare.

    Che cosa c’è di Antinori in questo palazzo di ferro?
    «Non è un luogo pomposo».
    Come si decide un’operazione colossale come questa?
    «Con un tessuto familiare compatto».
    La sua estetica privata?
    «È cambiata con il cantiere. Ho comprato una ex vetreria a Firenze, sarà una casa di cemento e legni scuri: segni forti in un mare di nulla, in pieno centro».
    La bottiglia dell’inaugurazione vira al nero: sacchetto ed etichetta hanno un tratto quasi giapponese. Perché questo packaging?
    «C’è il segno della cantina con data e logo. Di più non serviva».
    Il punto forte di questo progetto?
    «Qualcosa che non verrà mai a noia».
    Ha più carattere lei o questo posto?
    «Forse questo posto».

    Forse.
    (05/11/2012 12:00)

    fonte:.vanityfair.it/

     
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