I Campioni Olimpici

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    I Campioni Olimpici

    Dorando Pietri


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    Dorando Pietri nasce a Mandrio, frazione del comune di Correggio (RE) il 17 maggio 1885. II padre Desiderio Pietri doveva provvedere al sostentamento della numerosa famiglia: la moglie Teresa e i figli Antonio, Ulpiano, Dorando e Armando, con le scarse entrate che provenivano dal lavoro della terra. Nel 1897 emigrò con la famiglia nella vicina Carpi dove aprì un negozio di frutta e verdura. Nel 1903 il giovane Dorando, dopo una breve esperienza come ciclista, si iscrisse alla Società "La Patria" di Carpi iniziando quell'attività sportiva che lo avrebbe portato alla conquista di ambiti e insperati traguardi. Dorando si occupò come garzone presso una pasticceria di Carpi e il tempo libero lo dedicava alla preparazione come maratoneta. L'attività agonistica intrapresa nel 1904 terminava con un bilancio nettamente positivo, infatti molte furono le affermazioni e i piazzamenti che stavano a confermare le qualità del giovane podista. Nel 1905 lo sconosciuto Dorando Pietri partecipò alla maratona per dilettanti di Parigi e sbaragliò la coalizione straniera vincendo con quasi 6 minuti di vantaggio sul secondo arrivato, il francese Bonheure. Sempre nello stesso anno l'atleta carpigiano attaccò il primato italiano dell'ora ma l'inclemenza meteorologica e non buone condizioni di salute non gli permisero di portare a termine positivamente il tentativo. Anche da militare continuò a vincere, Alla fine del 1905 il nostro podista fu assegnato al 25° Reggimento ria/ fanteria di stanza a Torino per compiere i due anni di servizio militare di leva. Pur non essendo dispensato dai normali servizi di caserma, Dorando continuò gli allenamenti sulle strade adiacenti la caserma e gareggiò per la Società Sportiva "Atalanta" di Torino. Nel 1906 fu organizzata una edizione straordinaria dei Giochi Olimpici ad Atene, manifestazione non riconosciuta ufficialmente, vi aderirono 22 nazioni fra le quali l'Italia. Dorando Pietri vinse la selezione a Roma il 3 aprile correndo la distanza in 2 ore, 42 minuti e 3/5. Sua Maestà il Rè d'Italia si congratulò personalmente con l'atleta soldato che fu iscritto alla maratona di Atene. Alla gara olimpica, disputata il 1° maggio sul percorso di Km. 41,860 dall'omonima città di Maratona ad Atene parteciparono 34 concorrenti in rappresentanza di 13 nazioni. Dorando, assistito e seguito dal ciclista Francesco Verri, colto da forti dolori addominali si ritirò al 24° chilometro quando era in testa con oltre 3 minuti di vantaggio sul secondo concorrente. Vinse il canadese William Sherring in 2 ore, 51 minuti e 23 secondi. Nel 1907, ultimo periodo del servizio militare, Dorando partecipò a poche gare poiché la sua preparazione era alquanto carente e la possibilità di usufruire di permessi per gareggiare fuori Torino era molto limitata. Primo incontro con Fortunato Zanti Congedato il 7 settembre 1907 e ritornato alla vita civile, intensificò la preparazione e partecipò a numerose gare vincendole tutte: il giro di Mirandola, il doppio giro di Intra dove incontrò e vinse Fortunato Zanti competitore in molte gare, il doppio giro di Modena e tante altre competizioni. Ai campionati Emiliani a Bologna il 20 ottobre Dorando si aggiudicò due titoli: quello dei 1000 metri e quello dei 15 chilometri. In occasione dei campionati podistici italiani (Roma, piazza di Siena 17 e 18 novembre) il campione carpigiano vinse i 5000 metri in 16 minuti 27 secondi e 1/5, primato nazionale, e i 20 mila metri superando nelle due gare proprio Zanti. Le sfide fra Dorando Pietri e famosi cavalli, gare a handicap, tutte vinte dal podista carpigiano sono ancora oggi motivo d'interminabili discussioni e non sappiamo a qual punto la realtà si confonda con la leggenda. Una realtà che trova conferma nelle sue affermazioni è il valore di questo piccolo grande campione. La Società "La Patria", come la maggioranza delle Società sportive di quei tempi, non disponeva di mezzi economici per assistere Dorando Pietri nelle sue vittoriose trasferte nel biennio 1907-1908, pertanto contrasse debiti cambiar! con la locale Cassa di Risparmio per complessive lire 810, in 5 effetti a firma del segretario Umberto Forti, del cassiere Pasquale Melli e del presidente Mario Marri, Roma 2 giugno, vinse il titolo dei 20 chilometri in 1 ora, 10 minuti, 54 secondi e 3/5, primato italiano sulla distanza. Nel campionato italiano di maratona 3 giugno si ritirò al 33° chilometro per insolazione quando era in prima posizione assieme ad Umberto Blasi II 7 luglio a Carpi, su un percorso di 40 chilometri, scrupolosamente misurato con cronometristi ufficiali, Dorando Pietri stabilì il primato italiano in 2 ore e 38 minuti, guadagnandosi l'iscrizione alla gara di maratona ai Giochi Olimpici di Londra. Qui iniziò il trionfo che si trasformò in "Via Crucis" II 9 luglio l'atleta partiva da Carpi per Torino dove era fissato il raduno degli atleti italiani in partenza per l'avventura londinese. I II 24 luglio, penultimo giorno dei Giochi Olimpici, era un venerdì caldo ed afoso, indubbiamente il clima era poco propizio per una corsa di maratona. Adunati nel piazzale antistante il castello di Windsor 55 atleti attendevano il segnale di partenza per gareggiare su un percorso di 26 miglia e 385 yards (km. 42,195), fino al traguardo posto allo stadio di Sheperd's Bush. Dorando Pietri, maglietta bianca e calzoncini scarlatti, con il numero 19 sul petto, doveva essere il grande e sfortunato protagonista della memorabile gara. Alle 14,33 il "via", gli inglesi Jack, Lord e Price presero la testa alternandosi al comando dalla gara fino al 14°miglio poi scomparvero dalla competizione. A quel punto passò in testa il sud-africano Hefferon mentre uno de favoriti, l'atleta Longboat, si ritirava. Pietri,dopo essersi mantenuto fra il terzo ed il quarto posto, al 18° miglio iniziò la sua offensiva passando al secondo posto. L'ultima segnalazione da Wimbledon dava primo Hefferon con circa 800 yards di vantaggio su Dorando Pietri, che aveva superato e poi distaccato di circa 100 yards l'americano Hayes. Le 26 miglia (km. 41,841 ) furono compiute dall'italiano in 2 ore 45 minuti; alle ore 17,18, preceduto dallo sventolio di bandiere, dal sottopassaggio che immetteva nella pista apparve, irriconoscibile, il nostro campione. Dorando avanzava con azione scomposta, barcollava e inconsciamente muoveva le gambe che piegate e doloranti stentavano a sostenerlo, solo il miraggio della vittoria lo faceva avanzare. Il nostro campione all'ingresso dello stadio cadde, si rialzò, proseguì per poi ricadere ancora quattro volte, a pochi metri dal traguardo cadde per la quinta volta e qui un megafonista generoso lo sostenne e gli fece tagliare il traguardo. Per percorrere gli ultimi 325 metri, che poi Dorando definì la sua "via crucis", aveva impiegato 9 minuti e 46 secondi. Oltre il traguardo svenne, una barella lo raccolse, mentre la folla temette che il cuore del generoso atleta avesse ceduto per l'immane fatica ripetendo dopo 24 secoli il sacrificio di Fidippide. Tutti lo ritennero il vincitore morale, "Dorando era l'atleta che aveva vinto la gara senza ottenere la vittoria". Lo statunitense Hayes, giunto secondo dopo aver superato Hefferon, presentò reclamo contro l'italiano che fu squalificato per l'aiuto ricevuto, aiuto non richiesto e non voluto. L'episodio procurò materia per i giornali e per lunghe critiche e discussioni. La regina Alexandra d'Inghilterra che aveva assistito all'epilogo della gara, saputo della squalifica di Pietri comunicò che il giorno seguente avrebbe premiato personalmente lo sfortunato atleta con una coppa. La coppa d'argento dorato, conservata presso la sede della Società "La Patria" di Carpi, che conteneva la bandiera inglese, e non sterline come qualcuno andava dicendo, sul piedistallo portava inciso: To Pietri Dorando In Remembrance of thè Marathon Pace From Windsor to thè Stadium July. 24. 1908 Queen Alexandra.

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    Abebe Bikila



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    Abebe Bikila è nato nel 1932 in una città chiamata Jato a 130 km da Addis Abeba, nel distretto di Nea Denba Debre Birhan. I suoi genitori erano Widnesh Menberu e Ato Bikila Demssie. Secondo la tradizione del suo popolo, passò la maggior parte della sua infanzia come pastore. All'età di 12 anni completa il tradizionale, "Qes" l'equivalente della nostra scuola. A questa età Abebe Bikila si era già distinto come un insolito "Gena" giocatore. Nel 1952, il giovane Abebe Bikila è stato arruolato dal Corpo Imperiale. Nel 1954, ha sposato Yewibdar Giorghis con il quale ha avuto quattro bambini. Abebe Bikila passò una gran quantità di anni con la Guardia Imperiale prima che riuscisse ha distinguersi come un atleta eccellente. La sua grande occasione viene quando, guardando una parata di atleti etiopici che avevano partecipato allora nel Melbourne Olympics, scatta una molla nel suo animo e capisce che vuole anche lui rappresentare la sua amata nazione l'Etiopia. Nel 1956, all'età di 24 anni, Abebe Bikila partecipa ai campionati delle forze nazionali armate. L'eroe del tempo era Wami Biratu che aveva vinto i 5.000 e 10.000 Metri. Durante la maratona, la folla allo stadio aspettava di vedere Wami Biratu arrivare come un vincitore. Negli ultimi chilometri infatti Wami conduceva ancora la gara, ma a un certo punto l'annunciatore radiofonico con voce concitata informava la folla che un atleta giovane e ignoto dal nome di Abebe Bikila lo aveva superato. La folla in delirio aspettava ansiosamente di vedere questo nuovo atleta vincere facilmente la sua prima corsa. Con questo risultato impressionante si era qualificato per le olimpiadi di Roma. Finalmente, il sogno di Abebe di rappresentare la sua nazione si era avverato. La partecipazione di Abebe nella Olimpiade di Roma fu un trionfo, proiettandolo di diritto nella leggenda. Non solo vinse la corsa, ma aveva anche battuto il record del mondo con l'incredibile tempo di 2: 16: 2, oltretutto Abebe Bikila era anche il primo africano ha vincere una Olimpiade. Fece scalpore anche il suo modo di gareggiare a piedi nudi e alla domande dei giornalisti rispose: "ho voluto che il mondo sapesse che la gente del mio paese, l'Etiopia, ha vinto con me questa gara." Quattro anni più tardi durante l'Olimpiade di Tokio, la fama di Abebe raggiunge tutti angoli del globo. Sei settimane prima della maratona, Abebe fu colpito da Appendicite, questo fatto non gli impedisce però di partecipare ancora convalescente a Tokio. Abebe si presenta alle olimpiadi non ancora pienamente ristabilito dall'intervento chirurgico e visibilmente zoppicante ma l'incredibile e calorosa accoglienza del popolo giapponese lo sprona a recuperare. Insieme con coi suoi colleghi, Mamo Wolde e Demssie Wolde ricomincia il suo allenamento regolare dopo pochi giorni dal suo arrivo. Corre la maratona, che vince solo dopo sei settimane dall'intervento chirurgico, e l'impresa di questo straordinario atleta è ora un'immagine classica incisa nelle menti di centinaia di milioni di persone, ingigantita anche dal fatto che per la prima volta questa massacrante corsa è stata vinta consecutivamente da un atleta. Batte anche il suo record precedente con lo straordinario tempo di 2: 12: 11 mettendo la classica ciliegina sulla torta. Nell' Olimpiade Messicana del 1968 la sfortuna si abbatte su di lui: nonostante il duro allenamento al 15° chilometro si deve ritirare per un malanno. Ne approfitta il suo connazionale, Mamo Wolde che vincerà la corsa. Abebe Bikila ha corso più di 26 maratone nella sua illustre carriera sportiva, vincendo anche due campionati del mondo nel 1960 e 1962, queste straordinarie vittorie meritano un riconoscimento speciale. Nel 1968, il leggendario Abebe Bikila fu coinvolto in un incidente stradale nella città di Sheno di 70 Km da Addis Abeba che lo lascia paralizzato nelle gambe. Viene curato senza successo dai migliori medici in Etiopia ed all'estero. Ma lo spirito competitivo di Abebe e il desiderio vedere la bandiera del suo paese innalzata alta, lo spinge a disputare perfino le Olimpiadi per paraplegici tenutasi a Londra, vincendo come consuetudine molte gare. Nel 1970, partecipa in Norvegia a una gara su un percorso di 25 Km trasportato con una slitta da competizione, dove vince la medaglia dell'oro. Di nuovo, nello stesso torneo, vince la gara dei 10 Km, dove gli viene consegnata una placca speciale. La vita del leggendario Abebe Bikila si interrompe dopo una lunga malattia, per emorragia cerebrale, nel mese di ottobre del 1973. Questo incredibile eroe Etiope è stato seppellito alla presenza di una folla enorme e commossa dove a rendergli omaggio c'era anche l'allora imperatore, Atse Haile Selassie.

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    Alberto Braglia



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    Alberto Braglia, indimenticabile campione Italiano degli inizi del 900 è vincitore di due medaglie d'oro e una argento ai giochi intermedi di Atene dove conferma tutta la sua classe e strappa applausi ad ogni esercizio sportivo. Solo la riduzione del programma della ginnastica a due sole competizioni (il completo individuale e quello a squadre), gli impedirà di mettere insieme un bottino maggiore, data la sua schiacciante superiorità in quasi tutte le discipline, anche se il meglio di sé (a detta di molti) riusciva ad esprimerlo nel volteggio a cavallo. Il suo fisico esprimeva la perfezione assoluta e la sua tenacia era così forte che poteva competere anche con atleti di stazza superiore. Era un ottimo marinaio e a La Spezia, al ritorno da Londra, gli vennero tributati tutti gli onori. Si mosse pure il re, che dopo averlo abbracciato gli regalò anch'egli una medaglia d'oro. Dicono che Vittorio Emanuele sorridesse compiaciuto davanti a quella figura esile, tanto come lui, capace però di soggiogare i giganti. Nome diverso ma stessa storia. Braglia vinse l'oro nel concorso generale della ginnastica. Movimenti da libellula, esecuzioni perfette. Si narra che avesse iniziato da solo, in una palestra di Modena, a praticare la ginnastica. Una inclinazione travolgente. Alcuni passaggi nei vari esercizi hanno portato per anni il suo nome. Iniziò un'epoca, la dominò da protagonista: vinse l'oro a Londra, lo bissò a Stoccolma. E pensare che a Modena non era arrivato oltre la terza elementare, faceva il garzone da un fornaio per guadagnare qualcosa. Fu amato, stimato, quasi mai battuto. Era troppo grande la sua classe. La ginnastica, però, non gli avrebbe mai garantito agiatezza per il resto della vita. Fu istruttore federale, caposquadra ai Giochi di Los Angeles del '32 nei quali gli azzurri, nella prova a squadre, sbaragliarono il campo. Fu l'ultimo acuto di una carriera straordinaria. Tornò alla Panaro, la storica società modenese, ma il suo sport non gli regalava più emozioni. Era iniziato il suo lento declino. Per sopravvivere fece l'acrobata nello show "Fortunello e Cirillino", poi il barista, poi il bidello presso una scuola di Modena. Morì nel '54, quasi in miseria, circostanza questa capitata a molti altri straordinari atleti... un fatto a cui in molti dovrebbero riflettere.


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    Jim Thorpe




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    Jim Thorpe, oppure Wa-Tho-Huch "Sentiero Lucente" nella lingua pellerossa. Proveniente dalla tribù Algonquin è sicuramnete stato uno dei più grandi e sfortunati atleti che abbiano gareggiato nei giochi olimpici. "Sentiero Lucente" è tutt'oggi considerato uno degli atleti più forti e completi del mondo. A soli ventitré anni partecipa alla quinta edizione dei giochi olimpici tenutasi a Stoccolma, domina ed ottiene la medaglia d’oro sia nel pentathlon che nel decathlon. Una cosa mai vista prima, un campione tra i più forti e perfetti che lo sport abbia mai visto, ma con una tragica beffa che gli comporta la squalifica dalle Olimpiadi e la riconsegna delle medaglie ottenute. Tutto perché pochi anni prima della prestigiosa manifestazione, aveva giocato a Baseball percependo un povero stipendio (60 dollari al mese) che gli servivano per mantenere la famiglia. Lui che era stato premiato dal re Gustavo V° di Svezia con le parole " Signore sono ammirato. Lei è il più grande atleta del mondo" fu costretto all'umiliazione di riconsegnare le medaglie al CIO. Divenne un giocatore professionista ma non gli rimasero molti soldi al momento del ritiro, ed il ricordo forte di quella sconfitta immeritata lo porta alla disperazione; lo troveranno morto in una roulotte il 28 marzo 1953. I suoi figli però non si arrendono, lottano per riammettere il nome del padre nelle classifiche olimpiche e ci riescono il 18 gennaio 1983 quando a Los Angeles il presidente del CIO riabilita Jim Thorpe e le medaglie vengono riconsegnate alla famiglia. In sua memoria gli viene dedicato anche un film interpretato da Burt Lancaster, "Il gigante dello stadio".

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    Carl Lewis



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    Come Owens, meglio di Owens. Nessun campione nella storia dell'atletica ha mai vinto tanto come Carl Lewis: 9 medaglie d'oro e una d'argento in tre edizioni delle Olimpiadi, 8 medaglie d'oro e due d'argento ai campionati del mondo (che ai tempi di Jesse Owens non c'erano). Carl Lewis ha eguagliato un primato che si pensava ineguagliabile: vincere quattro titoli olimpici nella stessa edizione dei Giochi. Quale impresa è la più significativa? Quella di Jesse a Berlino nel 1936 (dove però la concorrenza non era quella di oggi) o quella di Carl a Los Angeles nel 1984 (dove mancavano per il boicottaggio i Paesi dell'Est, ma i cui atleti non l'avrebbero impensierito?) impossibile dirlo. Entrambi sono risultati entrati di diritto nella storia dello sport. Ma il successo più straordinario di Carl Lewis è quello di essere riuscito a restare ai vertici dello sprint e del salto in lungo per 15 anni, passando attraverso infortuni e sconfitte, con le sue sole forze, senza prendere nessun tipo di sostanze proibite. Primo senza l'aiuto della chimica. Primo nel cuore degli sportivi. Tra i tanti articoli riguardanti Carl Lewis apparsi sulla Gazzetta dello Sport, proponiamo un estratto di quello pubblicato il 15 gennaio 1993 a firma di Gianni Merlo: «...nel 1983 la prima grande impresa: tre medaglie d'oro nell'edizione inaugurale dei Mondiali a Helsinki, prova generale per le Olimpiadi di Los Angeles. Pochi credevano che sarebbe riuscito a mantenere la promessa di eguagliare Owens, ma Carl, dopo avere vinto i 100 e nonostante un leggero infortunio patito nella finale dominata del lungo, riuscì ugualmente a trionfare nei 200 e quindi a proiettare anche la staffetta 4x100 verso l'oro, facendo poker. In quei giorni nella sua scia dello sprint puro, fece capolino un atleta che avrebbe avuto un ruolo importante nella carriera del fuoriclasse statunitense: Ben Johnson, bronzo nei 100 metri. I loro duelli hanno infiammato tre anni di storia dell'atletica moderna. Il balbuziente figlio di Giamaica, naturalizzato canadese, gonfiato di forza innaturale, a poco a poco ha incrinato la sicurezza di Carl, che ogni volta gli ha urlato in faccia il suo disprezzo. Il pubblico però aveva preso in simpatia Ben, perché non gradiva l'arroganza effervescente di Lewis, reduce da esperienze poco positive come cantante e attore. A Roma nel 1987 il primo scontro da leggenda. Johnson infilzò Lewis, schizzando come una pantera dai blocchi di partenza e costringendolo a un'affannosa quanto inutile rincorsa: tempo finale 9"86, nuovo primato mondiale. Subito dopo quella delusione, Carl cominciò a insinuare con più insistenza che il suo rivale era saturo di anabolizzanti. Non aveva prove ma l'anti-doping gli ha dato ragione dopo la finale olimpica di Seul: il giorno seguente alla vittoria l'analisi delle urine precipitò Johnson nell'inferno della vergogna...»

    HANNO DETTO DI LUI:
    Calvin Smith, ex primatista mondiale dei 100 metri: «A Lewis invidio le lunghe gambe da purosangue. Con quelle due leve Carl può permettersi di tutto. E' grandissimo, peccato sia capitato proprio nel mio periodo».

    Larry Myricks, medaglia d'argento nel salto in lungo ai mondiali del 1983: «Non si può certo dire che Carl non sia grande. Non posso neanche nascondere che mi sia sempre stato antipatico. Sì, Lewis è un campione eccezionale, ma non può mai essere un amico».

    CURRICULUM:

    Carl Lewis è nato a Birmingham (Alabama) il 1º luglio 1961. Tra gli innumerevoli successi della sua non ancora conclusa carriera ricordiamo i più importanti: 1983 Mondiali di Helsinki (oro nei 100 metri, nel salto in lungo e nella staffetta 4x100); 1984 Olimpiadi di Los Angeles (oro nei 100 e 200 metri, nel salto in lungo e nella staffetta 4x100); 1987 Mondiali di Roma (oro nei 100 metri, nel salto in lungo e nella staffetta 4x100); 1988 Olimpiadi di Seul (oro nei 100 metri, nel salto in lungo e nella 4x100; argento nei 200 metri); 1991 Mondiali di Tokyo (oro nei 100 metri e nella 4x100; argento nel salto in lungo); 1992 Olimpiadi di Barcellona (oro nel salto in lungo e nella staffetta 4x100); 1993 Mondiali di Stoccarda (argento nei 200 metri). Ex primatista mondiale dei 100 metri con il tempo di 9"86.


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    Yuri Chechi


    Yuri Chechi nasce a Prato il 11.10.1969. Sono passati alcuni anni nei quali la ginnastica in Italia non era presa molto in considerazione, o forse perché non vi erano atleti abbastanza bravi da far parlare di loro. Questa "carestia", se così si può definire è finita con l'arrivo del grande piccolo Yuri Chechi. C'è chi lo chiama "Mister Pollicino", per la sua ridotta statura, è infatti alto m 1.62 per 60 kg di peso, come si dice "nella botte piccola ci sta il vino buono". La sua enorme forza è concentrata in poche decine di centimetri; una potenza che non si esaurisce in una gara, che non trova ostacoli e non si impressiona davanti alle gare più importanti. Ha esordito la sua carriera sportiva vincendo il Campionato Regionale Toscano del 1977, ed è arrivato alle Olimpiadi di Atlanta del 1996 davvero preparato, vincendo la medaglia d'oro agli anelli, acclamato ed applaudito dal pubblico di tutto il mondo. Ma il capolavoro sportivo di questo straordinario atleta è arrivato alla rispettabile età di 34 anni. Yuri, ribattezzato il "signore degli anelli" ad Atene 2004 ha infatti vinto un bronzo che vale oro! Il campione inizia a raccontare e non si ferma più: "Ora basta, stavolta lascio sul serio, avevo però un conto in sospeso con le Olimpiadi dopo Barcellona e Sydney, ora sto' a posto. Sono appagato, sereno. Non volevo fare la figura dell'atleta patetico che non sa stare lontano dalla palestra, che vive solo di quello. Era un azzardo, ma nella vita bisogna confrontarsi con i rischi e con le strade in salita. Ho deciso di tornare un anno fa, prima dei mondiali. Nella scelta ha influito anche la malattia di mio padre. Un giorno era sedato, stavo accanto a lui in ospedale. Gli ho detto: se guarisci io torno a gareggiare. Non è retorica, è la verità. E' guarito. Glielo dovevo. Eccomi sul podio, dopo un anno infernale: il dolore al braccio che era insopportabile, i tanti acciacchi fisici per la mia età, l'impossibilità di reggere i carichi degli allenamenti di una volta. Ho passato tante ore ad allenarmi, calibrando tutto, cercando di non strafare, di non rompermi definitivamente. Mi sono spaccato di fatica che mi viene da piangere a pensarci, ma ne è valsa la pena. Avevo tutto da perdere, poteva essere un gigantesco flop. Ma a me non mi piacciono i calcoli. Sapevo di poter competere ad alto livello, ancora una volta. Mi dicevo: Atene e poi basta. Per sfida, non per la gloria e nemmeno per i soldi. Sono sempre arrivati dopo le prestazioni e i risultati che ho conquistato, mai prima...... ora finalmente ho potuto dire per sempre addio a quel senso di vuoto che mi ha tormentato negli ultimi anni! Noi della redazione, non possiamo che ringraziare questo piccolo grande uomo che con il suo coraggio, ha dato lustro a tutto lo sport nazionale. Yuri Chechi, sei grande!!!!

    LE MEDAGLIE:

    CAMPIONATI ITALIANI ASSOLUTI


    1° Concorso generale nel 1989 - 1990 - 1991 - 1992 - 1993 - 1995

    1° Campionato italiano a squadre 1994 (Panaro Modena)

    GIOCHI DEL MEDITERRANEO

    Latakia 1987

    1°Concorso a squadre

    1° Volteggio

    2° Concorso generale

    2° Anelli

    Atene 1989

    1° Concorso a squadre

    1° Concorso generale, corpo libero, cavallo con maniglie, anelli, parallele

    Nantes 1993

    1° Concorso generale

    1° Concorso a squadre, cavallo con maniglie, anelli

    2° Parallele

    Bari 1997

    1° Anelli

    UNIVERSIADI

    Buffalo 1993

    1° Concorso a squadre

    1° Anelli

    2° Concorso generale

    Catania 1997

    1° Anelli

    COPPA EUROPA

    Firenze 1988

    1° Anelli

    3° Corpo libero - parallele

    Bruxelles 1991

    1° Concorso generale anelli - sbarra

    Roma 1995

    3° Concorso generale anelli - sbarra

    1° Anelli

    CAMPIONATI EUROPEI

    Losanna 1990

    1° Anelli

    3° Concorso generale

    Budapest 1992

    1° Anelli

    3° Corpo libero

    Praga 1994

    1° Anelli

    Copenaghen 1996

    1° Anelli

    COPPA DEL MONDO

    Bruxelles 1990

    3° Corpo libero

    CAMPIONATI MONDIALI

    Stoccarda 1989

    3° Anelli

    Indianapolis 1991

    3° Anelli

    Birmingham 1993

    1° Anelli

    Brisbane 1994

    1° Anelli

    Sabae 1995

    1° Anelli

    San Juan 1996

    1° Anelli

    Losanna 1997

    1° Anelli

    OLIMPIADI

    Seoul 1988

    6° Anelli

    Atlanta 1996

    1° Anelli

    Atene 2004

    3° Anelli

    TORNEI INTERNAZIONALI

    1° Concorso generale Gran Prix Roma 1987 - 1989 - 1991 - 1994 - 1997

    1° Concorso generale Gran Prix Birmingham 1993

    1° Concorso generale Gran Prix Toronto 1993

    1° Internazionali di Chiasso 1990

    1° Internazionali d'Ungheria 1990

    1° Internazionali di Stoccarda 1993

    1° Memorial Blume Barcellona 1995

    2° Memorial Blume Barcellona 1990

    2° Memorial Blume Tokio 1990

    1° Internazionali di Francia 1996

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    small_55_sedutosmall_57_Yurismall_58_yuri2small_56_squadrasmall_54_scoresmall_46_abbraccio



    Fanny Blankers Koen




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    Fanny Blankers Koen (Francisca) nasce ad Amsterdam (Olanda) il 26 Aprile del 1918, ancora non sa che avrà davanti a se un futuro fatto di vittorie e di record mondiali nel campo dell'atletica leggera, e tutto questo quando la partecipazione delle donne ai giochi olimpici non era molto sentita e le donne erano escluse dalla maggior parte dei giochi, e anche le nazioni partecipanti non contavano molto su di loro. Ma queste discriminazioni hanno reso Fanny Blankers "la mamma volante", così fu soprannominata, ancora più forte e determinata, con una voglia di vincere che significava più di una vittoria, significava dominare in un campo, quello dello sport, che era considerata materia esclusiva degli uomini, e portare avanti l’idea dell’emancipazione femminile. Fece la prima comparsa nella scena delle olimpiadi nel 1936 a Berlino, dove non riuscì a guadagnare nessuna medaglia, senza però sfigurare nelle finali del salto in alto e della staffetta 4x100. Nel 1940 sposa il suo allenatore Blankers, ma la guerra avanza, e proprio in quegli anni bui e dolorosi, la giovane Francisca riesce a farsi un nome nell'atletica leggera. Inizia a collezionare record mondiali a ripetizione, arrivando a detenerne ben sette, quelle nelle gare veloci, dei salti, e del pentathlon. Finalmente la grande guerra finisce, possono così riprendere le grandi competizioni internazionali. Nel 1946, ai campionati europei di Oslo, la bella ragazza olandese, diventata nel frattempo una premurosa madre di famiglia, vince due finali: la gara degli 80 metri a ostacoli e la staffetta 4x100, mentre negli intervalli tra le varie prove non manca di allattare l'ultima figlia, nasce così la straordinaria leggenda della "Mamma volate" Ma la consacrazione definitiva arriva ben 12 anni dopo, all’età di 30 anni, presentandosi alla quattordicesima edizione dei giochi olimpici di Londra, aggiudicandosi ben tre medaglie d’oro individuali: rispettivamente nei 100, 200 metri e negli 80 metri a ostacoli, ed una medaglia di squadra nella staffetta 4x100 che ottiene con una rimonta strepitosa entrando di diritto nell'olimpo degli atleti più famosi della storia. Al ritorno in patria, mentre percorre le strade di Amsterdam su di una carrozza trainata da sei cavalli, i suoi connazionali le decretano il trionfo che meritava ampiamente. "Le mie vittorie e i miei primati", commenterà, "sono altrettante vittorie conquistate dalle donne per la loro emancipazione".

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    Domenico Fioravanti




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    Domenico Fioravanti nasce a Novara Il 31 Maggio 1977 sotto il segno Zodiacale dei Gemelli: un "dono del cielo" spiegano con emozione il padre Giorgio (nonostante la voce calma e pacata) e la madre Pinuccia, che insegna alle elementari. A 9 anni, Domenico comincia a fare le prime gare, a 10 inizia ad allenarsi tutti i giorni, spronato anche dal fatto che pure il fratello maggiore, Massimiliano, fa nuoto agonistico. La madre ricorda che quando Domenico e Davide Rummolo, bronzo sui 200 rana a Sydney, iniziarono da ragazzini a gareggiare insieme, a livello nazionale, vinceva sempre Rummolo. Finché, nel 1994, Fioravanti cominciò a superarlo. Ma l’agonismo è sempre rimasto solo in gara: fuori, erano e restano due amiconi, secondo la migliore tradizione. Il talento e il suo fisico possente (Domenico è infatti alto 186 cm. per 76 Kg.) sono sicuramente dalla sua parte: resistenza alla fatica e forza non gli mancano di certo, doti essenziali per un nuotatore di professione e, aggiungiamo, sportivo per passione. Atleta di successo dalla carriera più volte incoronata da medaglie d'oro (2 alle Olimpiadi di Sydney e 2 agli europei). Un mito con i piedi per terra. Uno che è entrato nella leggenda dello sport con le sue due medaglie d’oro olimpiche, ma anche capace di stupire tutti ammettendo candidamente: «Io ho paura di tuffarmi dove l’acqua è profonda, il mare mi impressiona», oppure: «Nuotare è di una noia mortale». Di Domenico Fioravanti, prima medaglia d’oro di nuoto nella storia dell’Italia alle Olimpiadi, non impressionano solo la forza e lo stile dentro l’acqua, ma anche l’aspetto e le parole da normale bravo ragazzo, che non si dà arie (ne avrebbe forse diritto: è infatti il più bravo al mondo nella sua specialità) e che sembra arrivato sul podio Olimpico quasi per caso. Nel 2004 Fioravanti purtroppo ha dovuto abbandonare il nuoto a causa di un'anomalia genetica riscontrata al cuore che di fatto gli hanno impedito di partecipare alle Olimpiadi di Atene. Non perdendosi d'animo ha deciso di ripartire da zero con ottimismo e determinazione (cosa questa che gli fa onore) intraprendendo percorsi di vita alternativi tanto da partecipare, senza alcun problema, a un reality show trasmesso dalle reti Mediaset, dimostrando di essere un vero campione anche nella vita. Di lui possiamo dire che è ben disposto verso questa nuova esperienza anche perchè adora gli animali tanto che a casa ha quasi un zoo! Ma gli piacciono anche le comodità, quindi è un modo di mettersi alla prova. Di bell'aspetto e dal fisico decisamente prestante, ha partecipato anche al calendario degli sportivi 2003. Un augurio di buona fortuna da tutta la nostra redazione.

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    Mark Spitz



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    Mark Spitz nasce il 10 Febbraio del 1950 a Modesto, California. Tanti sono stati gli atleti che nelle edizioni olimpiche si sono aggiudicati molte medaglie, ma mai nessuno è riuscito ancora ad eguagliare la straordinaria bravura e determinazione del campione Spitz, di nazionalità Statunitense, che ha vinto ben sette medaglie d'oro in una sola edizione dei Giochi olimpici. Don Schollander, che nel 1966 era considerato il più grande nuotatore del mondo, forte delle sue quattro medaglie d'oro ai giochi olimpici di Tokio, dopo averlo visto nuotare ebbe a dire: "Quello sarà l'eroe di Città del Messico" Anche gli osservatori hanno già notato nelle bracciate del sedicenne Mark Spitz le caratteristiche del fuoriclasse. Arrivano finalmente i giochi Olimpici Messicani, e Mark Spitz parte favorito nelle due gare dei 100 metri stile libero e i 100 farfalla. Ma in entrambi i casi sorprende in negativo: nei 100 farfalla è preceduto e surclassato dal compagno di squadra Russel, mentre nei 100 metri stile libero sono addirittura in due a precederlo: l'australiano Mike Wenden, medaglia d'oro, e il compagno di squadra Walsh. I due ori nelle staffette non lo ripagano delle delusioni subite, i record di Don Schollander rimangono per lui solo un sogno. Pochi pensano che con il suo carattere, sbruffone e instabile, riesca a mantenersi ai più alti livelli competitivi fino alle prossime Olimpiadi che si disputeranno a Monaco di Baviera. La doppia sconfitta innesca invece nel giovane nuotatore una caparbia voglia di riscatto. Anno dopo anno, Mark Spitz si reinventa: si allena con determinazione e modestia, aspettando che arrivi per lui il grande momento, la rivincita alle prossime Olimpiadi. Eccolo pronto a lanciare nuovamente la sfida, tra il 1971 e i primi mesi del 1972 conquista tutti e quattro i primati mondiali delle gare veloci a stile libero e a farfalla, annunciando che a Monaco correrà le quattro gare più le tre staffette, ovviamente per vincerle. Gli danno del pazzo, nessuno ha mai osato tanto. Ma una volta ai giochi Mark Spitz nuota inarrestabile e veloce come un motoscafo, sempre a tempo di primato del mondo, impossibile per tutti tenergli testa. Siamo finalmente nell’anno 1972 a Monaco di Baviera, quando il nuotatore Mark Spitz, che quattro anni prima, aveva deluso pubblico ed allenatore per le sue sconfitte, riconquista l’ammirazione ed il successo dominando in tutte le specialità stile libero e farfalla e nelle tre staffette, stabilendo record mondiali in ogni gara (100 e 200 metri stile libero – 100 e 200 stile farfalla – Staffetta 4x100 e 4x200 stile libero – Staffetta 4x100 mista). Dopo queste straordinarie vittorie, che lo rendono famoso in tutto il mondo, decide di ritirarsi dallo sport con la frase:" Che cosa potrei fare di più? Mi sento come un fabbricante di automobili che ha costruito una macchina perfetta".

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    Edited by gheagabry - 13/11/2012, 18:34
     
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    10_Top_campioni

    Campioni Olimpici



    Fratelli Abbagnale




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    La coppia formata da Giuseppe e Carmine Abbagnale è stata considerata da molti osservatori e esperti del settore come il miglior equipaggio in assoluto dell'intera storia dello sport remiero. Assieme a Giuseppe Di Capua ("Peppiniello" per gli amici), i due fratelloni di Castellamare di Stabia hanno dominato la scena internazionale per ben dodici anni nella categoria del due con timoniere ("due con") superando ogni volta gli equipaggi di tutto il mondo sull'onda di un affiatamento e una determinazione straordinaria, senza eguali. Sette titoli mondiali e due vittorie Olimpiche costituiscono un record quasi impossibile da superare, specialmente nella disciplina del remo, disciplina durissima dove l'impegno deve essere costante, sorretto da una abnegazione al sacrificio al limite della resistenza umana. I fratelloni di Castellammare giungono alla loro prima esperienza Olimpica dopo essersi già laureati in due occasioni campioni del mondo partendo favoriti, complice anche la mancanza di stati come la Germania Est. Ma alla vittoria annunciata aggiungono anche una superiorità schiacciante, coprono infatti i duemila metri di percorso in 7'05''99, lasciando il posto d'onore alla Romania con più di 5 secondi di distacco, terzi sono gli Stati uniti. Quattro anni dopo Carmine e Giuseppe Abbagnale arrivano a Seul oramai come miti del canottaggio mondiale. Nell'intervallo dei quattro anni che separano i giochi Olimpici non hanno quasi mai conosciuto la sconfitta, e già si stà facendo avanti un'altra generazione di atleti per lanciare la sfida ai fratelli più forti del mondo. La gara questa volta è più tirata, ma gli Abbagnale sotto la guida precisa del timoniere "Peppiniello" conquistano il loro secondo oro Olimpico con lo straordinario tempo di 6'58''79. Ad essere battuti sono invece i temuti tedeschi dell'est, secondi con il tempo di 7'00''63, e gli inglesi che ottengono la medaglia di bronzo con il tempo di 7'01''95. L'impresa che dovrebbe suggellare una carriera che ha dell'incredibile è programmata per l'Olimpiade di Barcellona. Alla loro terza partecipazione, Carmine e Giuseppe Abbagnale con l'inseparabile Giuseppe DI Capua vogliono una nuova straordinaria vittoria, quella che dovrebbe essere la decima in dodici anni di confronti mondiali che hanno entusiasmato le folle di tutto il mondo. Questa volta però sulla loro strada trovano altri due fratelli che sbarrano loro il passo, gli inglesi Jonathan e Greg Searle che assieme al timoniere Garry Herbert vincono gli italiani dopo una gara mozzafiato, con il favoloso tempo di 6'49''83 fatto segnare dagli inglesi, i Fratelli Abbagnale replicano con 6'50''98 mentre l'equipaggio rumeno conquista il terzo posto. Sarà sembrata una sconfitta per i fratelli più famosi dello sport mondiale, ma si tratta sempre di una straordinaria e meritata medaglia d'argento. Carmine Abbagnale è nato il 05.07.1962 a Pompei (NA) alto 1,82 per 90 kg di peso, sposato con Loredana ha una figlia che si chiama Virginia. Giuseppe Abbagnale è nato il 25.08.1959 a Pompei (NA) alto 1,88 per 96 kg, attualmente è celibe. Una menzione speciale va doverosamente fatta all'altro fratello Agostino Abbagnale (il più piccolo dei tre) che vanta nel suo palmares ben tre ori olimpici.... proprio una famiglia speciale! Un ringraziamento da tifoso è doveroso a questi straordinari atleti che ci hanno fatto sognare e essere orgogliosi della nostra nazione.
    CURRICULUM
    • 1981 - 1° nel 2 con ai Campionati Mondiali
    • 1982 - 1° nel 2 con ai Campionati Mondiali
    • 1983 - 3° nel 2 con ai Campionati Mondiali
    • 1984 - 1° nel 2 con ai Giochi Olimpici
    • 1985 - 1° nel 2 con ai Campionati Mondiali
    • 1986 - 2° nel 2 con ai Campionati Mondiali
    • 1987 - 1° nel 2 con ai Campionati Mondiali
    • 1988 - 1° nel 2 con ai Giochi Olimpici
    • 1989 - 1° nel 2 con ai Campionati Mondiali
    • 1990 - 1° nel 2 con ai Campionati Mondiali
    • 1991 - 1° nel 2 con ai Campionati Mondiali
    • 1992 - 2° nel 2 con ai Giochi Olimpici
    • 1993 - 2° nel 2 con ai Campionati Mondiali
    • 1994 - 2° nel 2 con ai Campionati Mondiali
    • 1996 - 2° nel 2 con ai Giochi Olimpici

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    Gelindo Bordin



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    Gelindo Bordin è Nato a Longare, Vicenza, il 2 Aprile 1959 e nel corso della sua carriera agonistica ha confezionato ben diciotto presenze in Nazionale. Il suo fisico è strutturato perfettamente per la maratona: è infatti alto 1.83 per 65 kg. di peso. Formatosi nelle corse su terra ha iniziato con il G.S. Montegalda passando poi alla Fiamma Vicenza ed al GAAC Verona, seguito da Giacomo Della Pria. Poi è passato sotto le cure di Giovanni Ghidini. Correva principalmente le campestri e le corse su strada (campione italiano allievi di maratonina nel 1976, successivamente nel 1978 è approdato nella Nazionale juniores di cross). Nel 1984 ha fatto il suo esordio nella maratona a Milano vincendola con 2:13:20. Dal 1985 fu seguito da Gigliotti ottenendo il 07° posto nella Coppa Europa e il 12° nella Coppa del Mondo a Hiroshima in 2:11:29. Nel 1986 fu campione Europeo a Stoccarda terminando la maratona in 2.10.53. Nel 1987 è 3° ai Campionati Mondiali di Roma in 2.12.40. Nel 1988, il suo anno d'oro, prima arriva quarto a Boston in 2.09.27 e poi conquista alle Olimpiadi di Seul in 2.10.31 l'oro. Memorabile la sua entrata nello stadio e il suo bacio alla pista dopo aver tagliato il traguardo. Gelindo Bordin è campione tra i campioni, l'Italia aggiunge così al suo carniere una medaglia d'oro storica e la città di Vicenza esulta per questo suo atleta umile e straordinario. Nel 1989 si piazza 3° alla maratona di New York in 2.09.40. Continua la sua ascesa nel 1990, vincendo tre maratone, iniziando con quella di Boston il 16/04 ed ottenendo la sua migliore prestazione nella distanza con il tempo di 2:08:19. Successivamente bissa la vittoria ottenuta quattro anni prima ai campionati europei e riaggiudicandosi l'oro europeo a Spalato il 01/09 in 2.14.02, la terza maratona vinta è quella di Venezia in 2.13.42. Da notare anche il titolo italiano di mezza maratona. Un ringraziamento sentito anche dalla nostra redazione per tutte le straordinarie emozioni che ci ha fatto vivere!
    CURRICULUM
    Titoli italiani: 1990 maratonina
    Giochi Olimpici: 1/1988 maratona, ritirato/maratona 1992
    Campionati Europei: 1/1986 maratona, 1/1990 maratona
    Campionati Mondiali: 3/1987 maratona, 8/1991 maratona
    Coppa Europa: 7/1985 maratona
    Coppa del Mondo: 12/1985 maratona, ritirato/1991 maratona
    PERFORMANCES MARATONA
    2:08:19 (1°) Boston 16/04/90
    2:09:27 (4°) Boston 18/04/88
    2:09:40 (3°) New York 05/11/89
    2:10:31.6 (1°) Seul 02/10/88
    2:10:53.4 (1°) Stoccarda 30/08/86
    2:11:29 (12°) Hiroshima 14/04/85
    2:12:40 (3°) Roma 06/09/87
    2:13:20 (1°) Milano 07/10/84
    2:13:42 (1°) Venezia 07/10/90
    2:14:02 (1°) Spalato 01/09/90

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    Vera Caslavska



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    Vera Kaslavska, di nazionalità Cecoslovacca (detta la "Libellula Boema"), nasce a Praga il 3 Maggio 1942, nel bel mezzo del conflitto mondiale. Agilità, forza, destrezza ma soprattutto un'incredibile grazia dei movimenti, queste sono le doti che la porteranno a diventare una dei più grandi talenti della ginnastica artistica femminile del nostro secolo. A soli diciotto anni, poco più che adolescente, partecipa ai giochi Olimpici di Roma dove è considerata per la sua giovane età, la mascotte della squadra, ma con la sua grazia e determinazione vince un argento nel Concorso Generale a squadre, alle spalle delle imbattibili sovietiche. In quella ragazza però c'è qualcosa di più, una straordinaria armonia dei movimenti che fa preconizzare a più di un critico la nascita di un nuovo grande talento, c'è solo da attendere che la farfalla apra le ali e prenda il volo. Nel frattempo la bellissima ragazza di Praga, grazie anche agli allenamenti massacranti, con davanti il mito delle ginnaste sovietiche, sta imparando a muoversi con una disinvoltura incredibile. Quattro anni di sacrifici, ma alla fine arriva il sospirato momento del confronto diretto con le avversarie. Si presenta così ai giochi olimpici di Tokyo, i suoi allenamenti danno ottimi risultati, pur essendo ancora molto giovane Vera Caslavska ora si muove con una grazia angelica e le sue interpretazioni degli esercizi ginnici, e i suoi gesti atletici, sono un vero concentrato di tecnica e bellezza, davanti al quale si inchina estasiato tutto lo stato Giapponese e il mondo intero. Da sola riesce a conquistare gli stessi successi delle rivali sovietiche. Vince tre medaglie d'oro, concorso generale individuale, volteggio, trave e un argento nel concorso generale a squadre. Successi che gli valgono il soprannome di "Libellula Boema" per la sua leggerezza ed eleganza nei movimenti. E' nata un'altra stella nel firmamento delle atlete. La dolce ragazza Vera Caslavska ora è diventata donna e simbolo della sua nazione, non manca infatti di firmare quel "Manifesto delle 2000 parole" con cui si chiede a tutti i cittadini cecoslovacchi di appoggiare la svolta democratica in atto nel paese. Costretta a scappare dalla Cecoslovacchia dopo l’invasione russa, si rifugia in Messico e per non perdere l’allenamento, inizia a fare lavori duri, che gli consentono di non perdere la forza nei suoi muscoli, forza ottenuta con grandi sacrifici e massacranti allenamenti. Malgrado le avversità che ha dovuto subire, Vera Caslavska si presenta con più determinazione, stile e grazia che ma alla diciannovesima Olimpiade di Città del Messico, dove ottiene il massimo del suo successo vincendo quattro medaglie d'oro: concorso generale individuale, parallele asimmetriche, volteggio e corpo Libero e due medaglie d'argento: concorso generale a squadre e trave. Dopo la manifestazione sportiva, al culmine della sua carriera agonistica, sposa nella cattedrale messicana il fidanzato mezzofondista Josef Odlozil. Vera Caslavska si ritira dalle competizioni internazionali avendo donato a se e al suo travagliato paese, prestigio e fama, con ben sette medaglie d'oro e quattro medaglie d'argento, in tre olimpiadi disputate.

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    Gabriella Dorio




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    Gariella Dorio è nata a Veggiano, Vicenza, il 27 giugno 1957; alta 1.67 per 55 kg. Presenze in Nazionale: 61. Emersa giovanissima, ha vinto i Giochi della Gioventù grazie alla sapiente guida degli allenatori Ugo Ranzetti e Felicino Santangelo. Tutto inizia nell’ inverno 1971 con la corsa campestre, ed in Luglio vince i 1000 metri su pista nella finale dei Giochi della Gioventù. Nei due anni successivi polverizza tutti i primati della categoria allieve, fa il suo esordio nella Nazionale assoluta e vince il primo titolo Italiano assoluto su pista. Allenata dal fratello Sante, entra in rivalità con la stella dell’ atletica italiana, Paola Pigni. Il ruolo di ragazzina-prodigio non ha pregiudicato la sua crescita, negli anni è stata infatti capace di restare al passo con le migliori tanto da essere stata l'indiscussa numero 1 del mezzofondo azzurro femminile. Indimenticabile campionessa Italiana ricordata per le sue imprese sportive e i tanti titoli vinti: senza aggettivi quello più grande di tutti, la medaglia d'Oro nei 1.500 metri piani alle Olimpiadi di Los Angeles (Usa) nel 1984. Il palmares di Gabriella è davvero impressionante: tre volte olimpionica (1° a Los Angeles, 4° a Mosca 1980 e 6° a Montreal 1976), settima ai Mondiali di Helsinki, medaglia di bronzo agli Europei di Atene e finalista in quelli di Roma e Praga, dieci volte primatista italiana negli 800, nei 1.500, nei 3.000 e nel miglio. In tutto Gabriella Dorio ha totalizzato 61 presenze nella squadra nazionale italiana. E' arrivata all'attività sportiva quasi per caso, al tempo delle scuole medie inferiori vincendo una campestre, così ha capito che quella era la sua strada. "A dire il vero non si è trattato di un grande sforzo (ha detto durante una conferenza nel 1988) eravamo in due, e nessun'altra voleva sperimentarsi sulla prova di resistenza. Ma il destino è il destino. Ho continuato con la campestre provinciale e poi, per un caso davvero fortunoso, ho sostituito in una campestre nazionale una concorrente ammalatasi. Dopo aver vinto questa rassegna mi sono indirizzata alle gare su pista, partecipando a Roma ai giochi della gioventù, dove ho vinto la gara sui 1000 metri. Non ho più smesso di correre. Mi piaceva e mi irrobustiva fisicamente e più ancora psicologicamente. Ero una ragazza molto timida, vorrei dire timidissima: quasi non parlavo. Correre significò per me anche crescere, aprirmi agli altri, maturare". E' stata la scuola dunque ad avviarla allo sport, tuttavia senza passione e dedizione individuale non avrebbe ottenuto i risultati raggiunti. E da allora, Gabriella si batte per diffondere sempre più lo sport all'interno delle scuole e nei programmi di educazione fisica. Memore dei suoi successi, la campionessa vicentina è più che mai convinta che l'educazione fisica insegnata in tenera età sia uno dei migliori viatici per crescere, fisicamente e psicologicamente. E, visti i suoi risultati, chi può darle torto? Il giorno 28 Aprile 1998 cinque classi del biennio hanno incontrato Gabriella Dorio per farle una bellissima intervista. Un garzie di cuore anche da tutta la redazione di www.olimpiadi.it.
    CURRICULUM
    Titoli italiani: 1974, 1975, 1976, 1980, 1981, 1982, 1983 - 800 all’aperto - 1973, 1976, 1977, 1978, 1979, 1980, 1981, 1982, 1983, 1984 - 1500 all’aperto - 1978, 1979 - 800 indoor - 1981, 1983 - 1500 indoor - 1976, 1983 - corsa campestre Giochi Olimpici: 6/1976 1500, 8/1980 800, 4/1980 1500, 4/1984 800, 1/1984 1500.
    Campionati Mondiali: 7/1983 1500, elim. batt./1991 800, elim. batt./1991 1500.
    Campionati Europei: 9/1974 1500, elim. sf/1978 800, 6/1978 1500, 3/1982 1500.
    Campionati Europei juniores: 8/1973 800, 3/1975 1500.
    Campionati Europei indoor: elimin. batt./1978 800, 1/1982 1500, 4/1983 1500, 8/1984 1500.
    Coppa del Mondo: 4/1981 800, 2/1981 1500.
    Coppa Europa: 7/1979 1500.
    PERFORMANCES
    800 metri
    1:57.66 (1°) Pisa 05/07/80
    1:58.82 (3°) Pescara 02/08/81
    1:58.99 (2°) Bucarest 26/07/81
    1:59.0e (5°) sf1 Mosca 25/07/80
    1:59.05 (4°) Los Angeles 06/08/84
    1:59.13 (3°) Tokyo 24/09/82
    1:59.16 (1°) b2 Bucarest 25/07/81
    1:59.2e (8°) Mosca 27/07/80
    1:59.43 (4°) Roma 05/09/81
    1:59.53 (2°) sf2 Los Angeles 04/08/84
    1500 metri
    3:58.65 (2°) Tirrenia 25/08/82
    3:59.02 (3°) Atene 11/09/82
    3:59.82 (1°) Roma 05/08/80
    4:00.3e (4°) Mosca 01/08/80
    4:01.25 (6°) Praga 03/09/78
    4:01.96 (4°) Rieti 02/09/84
    4:02.43 (2°) Udine 12/06/83
    4:02.70 (1°) Milano 03/07/80
    4:03.25 (1°) Los Angeles 11/08/84
    4:03.27 (1°) Torino 15/07/81
    LEGGENDA: e = cronometraggio automatico; sf = semifinale.

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    Emil Zatopek





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    Emil Zatopek (soprannominato "L'Uomo Cavallo") nasce in Moravia il 19 Settembre del 1922 da una famiglia umile dove il padre faceva come mestiere il calzolaio. Inizia a praticare l'atletica solo a 20 anni, in ritardo rispetto a gli altri atleti, ma grazie alla sua volontà di ferro recupera il tempo perduto tanto da far coniare il motto "la corsa come abitudine" per descrivere i suoi metodi di allenamento. In pratica si trattava di correre almeno quattro ore al giorno su qualsiasi tipo di terreno. Specializzato nelle gare di fondo, si classifica tra i migliori corridori del mondo conquistando una medaglia d’oro nei 10.000 metri e un argento nei 5.000 metri nell’edizione dei giochi olimpici di Londra nel 1948, ma il capolavoro lo compie quattro anni dopo vincendo di potenza 3 medaglie d'oro: nei 5.000 metri, 10.000 metri e maratona, nell’edizione dei giochi disputati a Helsinki nel 1952, nella patria di Paavo Nurmi e ville Ritola, risultati mai ripetuti da nessun altro atleta fino ad oggi. E’ stato il primo corridore della storia a vincere i 10.000 in meno di mezz’ora. Emil Zatopek aveva uno stile di corsa particolare e non bello da vedere, ma molto razionale e redditizio tanto che a Londra nel 1948 aveva rifilato quasi un minuto al secondo arrivato. Un'altra caratteristica della sua corsa è che mostrava in gara un volto trasfigurato dalla fatica, quasi disperato, come se stesse per sentirsi male, tutti si preoccupano per lui, ma non ce n'era bisogno, infatti beffava e vinceva gli avversari regolarmente, distaccandoli inesorabilmente con degli scatti poderosi che nessuno era in grado di poter reggere. Emil Zatopek si ritira da tutte le attività nel 1982

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    Maurizio Damilano



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    Maurizio Damilano, coriaceo piemontese di Scarnafigi, approfitta solo di alcune squalifiche eccellenti (che peraltro fanno parte del gioco) per vincere con un netto vantaggio sul sovietico Pyotr Pochinchuk e conquistare il primo alloro di una carriera destinata a regalargli ancora due bronzi olimpici, oltre a due titoli mondiali e uno europeo. ARTICOLO: di Maurizio Damilano. Sono giunto alla mia quinta Olimpiade, la prima alla quale non partecipo da atleta. In assoluto non è una novità. Ho difatti ormai seguito da "ex" (ma può un atleta diventare un ex? Io personalmente non penso possa accadere di sentirsi "out" dentro) due mondiali ed un campionato europeo. Devo dire che questa Olimpiade mi ha sinora parecchio deluso se vista dall'interno. Le gare sono state sinora eccezionali. Come si conviene per un evento importante qual è l'Olimpiade. L'aspetto organizzativo veramente deludente. Non certo all'altezza di quella che era stata presentata come l'Olimpiade che introduceva il 2000, l'Olimpiade della tecnologia. Vivendo al villaggio mi sono reso conto che è mancato completamente l'aspetto dei servizi. Il villaggio stesso è di una dispersione impressionante. E' quindi comprensibile che in una realtà del genere godere di servizi efficenti diventa indispensabile. Vorrei qui lasciare una mia sensazione che magari potrà aprire una discussione: questa è stata per il comitato organizzatore una grande occasione di fare businnes. E' stato curato con estrema attenzione l'aspetto promozionale (difatti i campi di gara sono sempre stati molto affollati) così come quello delle sponsorizzazioni e della vendita dei diritti, quelli che avrebbero portato profitto certo, mentre si è estremamente sttovalutato l'aspetto dell'attenzione per le necessità degli atleti. Se questa deve diventare l'Olimpiade, mi domando, vale ancora la pena di enfatizzarla come il massimo momento di aggregazione, simbolo di pace e di unione?

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    Jesse Owens



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    Jesse Owens indimenticabile campione detto anche "Lampo d'Ebano" alcuni anni fa, in un sondaggio mondiale, è stato indicato come il più grande personaggio sportivo del XX secolo". Prima di diventare il simbolo stesso dell'atletica e delle Olimpiadi, James Cleveland Owens, chiamato Jesse dalle iniziali J.C. (Jay Si), fece il lustrascarpe, il fattorino, il giardiniere, lo strillone e il gelataio. La sua storia all'inizio non è dissimile da quella di milioni di ragazzi neri del periodo della depressione. Miseria e povertà, arrangiarsi per trovare da vivere. Diventa campione di atletica quasi per caso: perché non ha i soldi per comprarsi le divise e le attrezzature per gli altri sport. Secondo il suo allenatore, Larry Snider, sarebbe stato il numero uno in qualunque disciplina si fosse cimentato. Il suo cruccio, infatti, è quello di non averlo mai allenato per il salto in alto. Owens è anche il simbolo dell'uguaglianza: le quattro medaglie d'oro sparate in faccia a Hitler resteranno un'immagine del Novecento. Anche se non è vero che il furher si rifiutò di stringergli la mano. Hitler nei primi giorni si congratulò personalmente con tutti i vincitori dell'atletica. Meno uno: il nero americano Cornelius Johnson vincitore del salto in alto. La gara finì tardi, di sera. Il capo del nazismo se ne era andato da tempo adducendo "motivi di governo". Forse veri, forse no. Il Comitato olimpico il giorno dopo lo invitò, per non far torto a nessuno, a complimentarsi con tutti o a lasciar perdere. Così fece, ma li ricevette in privato. Eccetto i neri. Molti gli articoli della Gazzetta dello Sport dedicati a Owens: tra questi quello storico di Elio Trifari apparso il 2 luglio 1993.
    HANNO DETTO DI LUI:
    "... Ann Arbor è una cittadina del Michigan dove, il 25 maggio 1935, si disputa uno dei tanti campionati interstato. Owens gareggia quattro volte nello spazio di 75 minuti, migliorando cinque primati del mondo ed eguagliandone un sesto....Berlino, 4 agosto 1936. Jesse è il primatista del mondo del salto in lungo con 8,13 (durerà 25 anni), ottenuto nel magico pomeriggio di Ann Arbor. Deve compiere una formalità, reduce com'è dal primo oro conquistato il giorno prima nei 100 metri, cioè saltare almeno 7,15 per qualificarsi per la finale. Con curiosità lo osserva o parlotta con lui uno splendido tedesco biondo, Luz Long. Jesse prova la rincorsa in tuta, finisce il salto camminando nella sabbia ma i giudici gli contano il salto, decretando un nullo. Inviperito, Jesse rimisura tutto, vola oltre il limite ma il giudice annulla ancora il salto. A un passo dalla catastrofe, e mentre incombe la batteria dei 200, Jesse decide di ignorare quel che sa, stacca lontanissimo dal limite e atterra molto oltre: quanto non è dato sapere, perché allora bastava qualificarsi, e i giudici valutavano a occhio...... Ma il ritorno a casa fu amaro. New York e Cleveland gli riservarono parate d'onore, ma il presidente Roosevelt si guardò bene dall'invitarlo alla Casa Bianca o a mandargli un biglietto di congratulazioni. E la Federazione Usa lo squalificò per aver rifiutato di gareggiare in un meeting post-olimpico in Svezia cui non aveva mai confermato la sua adesione. Incredibile, ma vero. Owens usciva, pochi giorni dopo il suo trionfo, dalla storia dello sport praticato...... Quel che aveva da dire l'aveva espresso volando sulla pista di Berlino, più in alto delle miserie di uomini che lo giudicavano inferiore, e che lui aveva guardato, per una settimana, dall'alto in basso".
    CURRICULUM:
    Jesse Owens nacque a Danville (Alabama) il 12 settembre 1913 e morì il 31 marzo 1980 a Tucson (Arizona) stroncato da un cancro al polmone. Vinse quattro medaglie d'oro ai Giochi olimpici di Berlino del 1936 nei 100 e 200 metri, salto in lungo e nella staffetta 4x100. Con Luz Long, nei pochi minuti delle qualificazioni del salto in lungo, nacque una sincera amicizia tra campioni. Fu il tedesco a suggerirgli come saltare per superare il limite di qualifica. Dopo la conquista della medaglia d'oro Lutz fu il primo a congraturlarsi e lo stesso Jesse descrive quella stretta di mano come sincera. Negli anni seguenti si scrissero più volte, finché Lutz morì il 14 luglio 1943 dopo essere rimasto gravemente ferito nella battaglia di Cassino.

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    Haile Gebrselassie



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    Può un'atleta essere una leggenda mentre è ancora in vita? Per Haile Gebrselassie, grazie alla sua enorme classe e il suo numero di vittorie, questo è possibile. Haile nasce a Arssi (Etiopia) il 18 Aprile del 1973, figlio di una famiglia di poveri contadini non avrebbe mai pensato di diventare un grande corridore. Ma nei ricordi della sua gente è ben radicata la leggenda del grande Abebe Bikila e questo, col tempo è servito a fargli trovare la sua vera vocazione. Da bambino doveva correre 6 miglia al giorno per andare e tornare da scuola. A l'età di 16 anni, senza alcun addestramento formale, è entrato "nell'Addis Abeba maratona", termina la sua prima corsa con il tempo di 2:42. (Non esaltante ma molto veloce, specialmente per un sedicenne) e tutto questo malgrado la massacrante corsa gli avesse prodotto vesciche sui piedi e escoriazioni con conseguente e abbondante sanguinamento. Dopo la corsa Haile Gebrselassie capì che quello era l'obbiettivo della sua vita e l'avrebbe inseguito seriamente. Haile Gebrselassie, secondo alcuni esperti, è strutturato fisicamente in maniera perfetta per le corse di lunga distanza. Infatti tutti i maggiori specialisti di medicina sportiva sostengono che le proporzioni bio-meccaniche dell'atleta sono perfette e queste misure gli consentono di avvicinarsi al reale limite del suo specifico settore sportivo. Haile Gebrselassie è alto 1.64 per 54 kg. Tra i sui ammiratori c'è un'altra leggenda dello sport, Emil Zatopek che in un intervista affermò: "Haile Gebrselassie mi entusiasma moltissimo, è un grande, quando corre mi immedesimo in lui". L'articolo fu pubblicato il Settembre 1997 quando Haile Gebrselassie aveva solo 24 anni. Le specialità di questo incredibile atleta sono: 5.000 metri, 10.000 metri.
    LE SUE MIGLIORI PRESTAZIONI:
    5.000 metri: 12'41"86
    10.000 metri: 26'31"32
    5.000 metri: indoor: 12'59"04 (RM)
    3000 metri: 7'30"72 (RM)
    I SUOI MIGLIORI RISULTATI:
    Giochi olimpici: 1996, 1° 10.000 metri
    Mondiali: 1993, 1° 10.000 metri - 2° 5.000 metri
    Mondiali: 1995, 1° 10.000 metri
    Mondiali: 1997, 1° 10.000 metri
    Mondiali juniores: 1992, 1° 5.000 metri - 1° 10.000 metri
    PROGRESSIONE:
    Anno 1992
    5000 metri 13'36"06
    10.000 metri 28'31"62
    Anno 1993
    5000 metri 13'03"17
    10.000 metri 27'30"17
    Anno 1994
    5000 metri 12'56"96
    10.000 metri 27'15"00
    Anno 1995
    5000 metri 12'44"39
    10.000 metri 26'43"53
    Anno 1996
    5000 metri 12'52"70
    10.000 metri 27'07"34

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    Campioni Olimpici







    Nedo Nadi




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    Com'è lontana la favola di Nedo Nadi, quasi agli albori dello sport moderno. Eppure le sue vittorie ancora palpitano, regalano forti emozioni: sei medaglie d'oro che rimangono nella storia dei cinque cerchi in una specialità, la scherma, che avrebbe regalato tante altre soddisfazioni all'Italia. Se qualcuno si domanda chi è il più grande schermidore di tutti i tempi, la risposta non può che essere che Nedo Nadi, il più grande, il più allenato, ma soprattutto lo schermidore per eccellenza. Un uomo che ha fatto della scherma, una specialità olimpica molto seguita, che è riuscito con la sua bravura a far sognare milioni di persone, con la sua classe e destrezza nei movimenti ha trasformato la scherma in una specie di danza senza uguali. Una danza che si concludeva sempre, o quasi, in una vittoria applaudita e meritata. Gareggia per la prima volta a diciannove anni, alle olimpiadi del 1912, dove esordisce con la vittoria del primo oro nella gara di fioretto. Allenato duramente e seguito dal padre Beppe, burbero e rozzo brigadiere dei pompieri che, implacabile, durante le lezioni trattava i figli con la stessa durezza riservata agli altri allievi. Nedo vanta una preparazione davvero eccellente sugli altri avversari, che nel 1920 ad Anversa sono surclassati e vinti in ben cinque gare: fioretto e sciabola individuali, fioretto, spada e sciabola a squadra. Ottiene molto successo e diventa allenatore di scherma in Argentina, e pochi anni dopo presidente federale nei giochi di Berlino dove fa guadagnare alla bandiera italiana ben quattro medaglie d'oro e due argenti. La sua grande forza non lo assiste però, nella battaglia con la vita, e muore a soli 46 anni stroncato da un ictus. Rimarrà in eterno nei cuori della gente come il più grande schermidore di tutti i tempi. La sua leggenda ce la racconta Aronne Anghileri, che di Nadi fece un ritratto il 28 maggio 1993. (Max De Stefano). "...Nadi è stato il più grande schermidore della storia. Ha cominciato da fanciullo prodigio, ha vinto la sua prima Olimpiade a 19 anni, e otto anni più tardi, vissuta da combattente la grande guerra, ha conquistato cinque medaglie d'oro in una sola edizione dei giochi combattendo indifferentemente nelle tre armi...... Ai gioghi di Anversa sarà lui stesso a formare la squadra, una specie di capitano-giocatore, iscrivendo se stesso nelle sei gare in programma. Cinque dei 18 azzurri sono livornesi, ma le scelte sono azzeccate: l'Italia conquista l'oro nelle tre gare a squadra, Nedo vince imbattuto il torneo di fioretto, sfinito e febbricitante rinuncia alla spada per ritrovare le forze, e si riprende tanto bene da dominare la finale di sciabola davanti al fratello Aldo, con 33 stoccate date e 4 al passivo. Cinque medaglie d'oro: Nadi e Paavo Nurmi sono i più famosi atleti dell'Olimpiade...... Pare sia stato il Duce a volerlo commissario tecnico degli azzurri a Los Angeles '32, poi a farlo nominare presidente federale nel '35: ai Gioghi di Berlino l'Italia vince quattro medaglie d'oro e due argenti. E' l'ultimo trionfo di Nedo Nadi...". (Aronne Anghileri).
    HANNO DETTO DI LUI:
    Rodolfo Terlizz, compagno d'arme di Nedo Nadi: "Nedo era uno schermidore immaginario, dotato di una forza divina. Da allora ogni mio affondo, ogni lezione erano rivolti sempre lui, nel sogno di divenire anch'io un campione di simile fatta".
    CURRICULUM:
    Nedo Nadi conquistò a soli 12 anni la sua prima gara. Nel 1912 alle Olimpiadi di Stoccolma vinse l'oro individuale nel fioretto. Nel 1920 ad Anversa vinse cinque ori: fioretto e sciabola individuali, fioretto, spada e sciabola a squadra. Nel 1930 ancora ad Anversa vinse il Mondiale di spada da terreno.

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    Maurizio Stecca


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    Maurizio Stecca nasce il 9 marzo 1963 a Santarcangelo di Romagna, nell'entroterra riminese. Nasce davvero piccolo il giovanissimo Maurizio, tanto piccolo da poter stare in una scatola di scarpe. Trascorre buona parte della sua infanzia di fronte al mare, prima a Torre Pedrera poi a Rimini dove frequentava la scuola elementare e passava il suo tempo libero con gli amici al porto. "Non aveva paura di niente" raccontavano i suoi genitori, andava ovunque con sicurezza e spavalderia. Da adolescente mostrò la sua propensione per l'attività sportiva portando a casa molte vittorie. Poi, seguendo l'esempio del fratello Loris, arrivò la Boxe. Fra preoccupazioni, ma anche enormi soddisfazioni, mamma Bruna e papà Luciano sono sempre stati vicini ai due figli seguendo, a volte, direttamente le loro gesta in prima persona. Storica fu una serata del 1979 quando sia Maurizio che Loris, a Fano, conquistarono il titolo italiano nelle rispettive categorie. La presenza del fratello Loris, infatti, fu molto importante per la sua professione. Un altro incontro fondamentale avvenne con il Maestro Elio Ghelfi. L'allenatore che lo accolse nella palestra della Libertas di Rimini. Elio seguì Maurizio con attenzione, aiutandolo a costruire la sua carriera. Grazie al suo contributo il giovane migliorò tecnica e tattica, ma non solo... Elio rappresentò un secondo padre e la sua palestra una seconda casa, un grandissimo sostegno sportivo ma soprattutto umano. Maurizio passa dalla categoria Gallo alla categoria Pesi Piuma sotto le ali protettive ed esperte dell'allenatore. Seguendo le scelte del fratello Loris ingaggiò Umberto Bianchini 'Il Cardinale' come proprio manager. Il primo incontro fu contro il francese Aparicio a Milano, era il 1 dicembre del 1984. La vittoria arrivò al 2° round per ko tecnico. 25 giorni più tardi sfidò lo spagnolo Garcia, vincendo ai punti dopo sei riprese. All'età di 21 anni si presentò per Maurizio l'occasione più attesa da tutti coloro che fanno sport, ovvero i Giochi Olimpici. Un sogno che inseguiva fin da bambino, quando in televisione guardava i tornei internazionali. Questo è quello che pensò salendo la scaletta dell'areo che da Fiumicino l'avrebbe portato a New York per poi raggiungere Los Angeles, dove il villaggio olimpico lo stava aspettando. Un atmosfera irreale, un entusiasmo inatteso. Il primo incontro venne fissato per il 2 agosto alle ore 12:00. Come avversario il sorteggio gli aveva destinato l'irlandese Sutcliffe. Potè così iniziare, ufficialmente, l'avventura olimpica. Il 4 agosto l'avversario di turno fu lo zairese Zulu. Quattro giorni dopo fu l'ora dei quarti di finale dove anche il colombiano Pitalua venne sconfitto. Era il bronzo, un risultato eccezionale per un ragazzo alla sua prima olimpiade. In semifinale, prevista per il 10 agosto, era atteso lo scoglio più duro per la vittoria finale, ovvero il dominicano Pedro Nolasco, il grande favorito. Il sudamericano era infatti all'apice della sua forma e quello contro di lui fu il migliore degli incontri che Maurizio disputò alle Olimpiadi. Il match fu molto tecnico e combattuto. La vittoria ai punti fu però netta, 5 a 0. In finale, il 12 agosto, lo attendeva il messicano Lopez. Alle ore 12:00 Maurizio sali sul ring, davanti a lui l'avversario messicano, attorno un palazzo dello sport stracolmo e chiassoso, al fianco i suoi allenatori che lo tranquillizzavano. La battaglia fu intensa ma alla fine ecco il verdetto: "The winner is blue corner, 4 at 1. Maurizio Stecca from Italy"! Tra le tante ricevette anche le graditissime congratulazioni di Mohammed Alì e Marvin Hagler, il quale gli profetizzò una grande carriera. Nel 1985, divenuto professionista, si recò a Reno nel Nevada (Stati Uniti). Emozioni e insicurezza per una tale trasferta non compromisero il risultato anche se il combattimento non gli piacque. Per alcuni anni disputò molti incontri, ma non per il titolo. L'obiettivo del suo manager era quello di rafforzare e mantenere l'immagine e la fama del campione, cercando borse sempre più alte. Tutto questo ebbe la sua naturale conclusione nella disputa per il titolo mondiale WBO svolta il 28 gennaio del 1989. L'avversario di turno è una vecchia conoscenza, ovvero il dominicano Pedro Nolasco l'avversario sconfitto nelle semifinali olimpioniche di cinque anni prima. Anche in questa occasione Nolasco fu battuto. La vittoria arrivò per abbandono alla 6° facendogli conquistare il titolo mondiale WBO Categoria Piuma. Dopo una difesa del titolo vinta contro Angel Levy Mayor, arrivò la tragica giornata dell'11 novembre 1989, in casa propria, a Rimini, contro Luis Espinoza. Sul ring quel giorno non salì il solito Maurizio Stecca, fisicamente in forma, ma non pronto a livello mentale. Di quella sera ricorda: "Alla 7° ripresa Espinoza mi colpi con un gancio destro all'occhio sinistro; per ripararmi il viso mi scoprii il fianco, così lui poté infilare un montante, e colpirmi al rene. A quel punto avvertii un gran dolore e mi inginocchiai, per recuperare le forze. Nonostante il pugno all'occhio destro riuscivo a vedere, con il sinistro, che il mio avversario si caricava proprio grazie alla mia difficoltà. Sentivo l'arbitro che contava: velocemente ragionai sul da farsi e, in soli 8 secondi, decisi di lasciare perdere, se non volevo terminare con un ko. Fisicamente ero distrutto, Espinoza mi aveva colpito proprio bene. Alzai la mano e lentamente me ne andai all'angolo, mentre il palazzetto dello sport di Rimini pareva tremare sotto uno scrosio fragoroso di applausi. Il mio pubblico capiva e ancora una volta mi era vicino." Una sconfitta è già dura di per sè. Perdere un titolo mondiale davanti ai propri concittadini ancora di più. Una di quelle cose che avrebbe abbattuto un toro e dal quale sarebbe stato molto difficile ricominciare. Ma Maurizio non si perse d'animo e in breve riacquistò volontà e pensiero positivo. Gli allenamenti ripresero e così anche gli incontri. Il tragitto verso la riconquista del titolo era iniziato. Già nel 1991, a Sassari, l'occasione di battere Armando Reies e riappropiarsi del titolo WBO non fu buttata e Maurizio prese nuovamente per mano la cintura mondiale grazie ad un KO tecnico al 5° round. Maurizio detenne il titolo per oltre un anno. La perse a Londra nel maggio del 1992 per mano del locale Colin McMillan. Nel dicembre 1992 Maurizio vinse il Campionato Europeo contro il franco-algerino Fabrice Benichou, in Francia, a Clermondt Ferrandt. Dopo tre vittoriose difese del titolo questo gli fu sottratto a Bolougne Sur Mer dal francese Herve Jacob, il 28 marzo del 93 per intervento medico all'11° ripresa. Una sconfitta pesante, dipesa da fattori incontrollabili, che aveva lasciato una ferita aperta nell'animo di Stecca che il maggio successivo ottenne però la sua rivincita, infliggendo a Jacob un ko al 10° round. Ma nel settembre dello stesso anno, ancora per mano francese (Stefan Haccoun), e sempre per un intervento medico, gli venne sottratto nuovamente il titolo continentale. A 30 anni la carriera comincia a pesare sulle spalle di un atleta, ma non su quelle di Maurizio che dopo aver conquistato il titolo mondiale e quello continentale vuole mettere nel mirino la conquista dell'unico titolo che gli è rimasto ovvero il titolo Italiano. Puntando molto sulle sue qualità tecniche e sulla sua esperienza, il 22 marzo del 95 sul ring di San Benedetto del Tronto a spese del detentore Atos Menegola, Maurizio, con una vittoria ai punti al 12° round conquista il titolo tricolore nella categoria Super Piuma. Con quella stessa cintura nazionale Maurizio deciderà di concludere la sua fantastica carriera. Tra il 1984 e il 1995 Maurizio ha affrontato 53 incontri da professionista vincendo 49 e perdendone 4, conquistando il titolo Italiano, il titolo Europeo, il titolo mondiale WBO e l’oro ai Giochi Olimpici disputati a Los Angeles del 1984.

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    Paavo Nurmi



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    Helsinki, 19 luglio 1952, cerimonia d’apertura dell’Olimpiade. Dalla porta di Maratona un uomo di mezz’età fa il suo ingresso a falcate leggere, tenendo in mano la fiaccola olimpica. Il pubblico si alza in piedi e applaude commosso. Quell’uomo è Paavo Nurmi, il più grande fondista mondiale nel periodo tra le due guerre, un uomo capace di primeggiare dai 1500 metri alla maratona. In poche parole una vera leggenda! Paavo Johannes Nurmi nasce a Turku il 13 giugno 1887 (che allora si chiamava Abo ed era la capitale della Finlandia) e muore a Helsinki il 2 ottobre 1973. Come un padre della patria ebbe i funerali di Stato e molte altre onorificenze. Tale trattamento era riservato solo ai grandi personaggi della nazione. A Nurmi successivamente furono anche dedicate molte importanti opere tra cui varie statue. La più famosa si trova all'ingresso dello stadio olimpico di Helsinki. Paavo Nurmi fu molto più che un semplice atleta del mezzofondo. Davvero rappresentò l'anima della Finlandia, Paavo il silenzioso, taciturno e introspettivo come il paesaggio finlandese con i suoi laghi e le immense foreste. Nurmi disputò tre Olimpiadi, vinse nove medaglie d'oro. Correva con un cronometro in mano, in lotta con se stesso e con il tempo, gli avversari erano di contorno. Anzi, i rivali più insidiosi venivano dalla sua stessa squadra: Ville Ritola (5 ori) e Loukola, che lo superò nei 3000 siepi ad Amsterdam nel 1928. Sì perché Nurmi si cimentava e dominava tutte le specialità del mezzofondo: dai 1500 ai 10 mila passando anche dalle siepi. L'accusa di professionismo lo escluse per squalifica dai suoi quarti Giochi, pochi giorni prima dell'inzio, quando era già arrivato in California. A Los Angeles avrebbe ancora potuto conquistare l'alloro della maratona. Infatti il suo ultimo trionfo fu nel 1933: la vittoria nei 1500 ai campionati nazionali. Si ritira dal mondo dello sport non concedendo più nessuna intervista ai giornalisti e ricompare soltanto 1952, dove, entrando in pista da tedoforo (podista incaricato di portare la fiaccola olimpica), viene circondato ed applaudito dal pubblico come se fosse ancora una volta il vero protagonista delle Olimpiadi. Sergio Zavoli nel 1960 (quando Nurmi ancora era vivo) scrisse su di lui un bellissimo articolo che noi vi proponiamo con immenso piacere. Buona lettura!
    HANNO DETTO DI LUI:
    "... Ottenne i primi successi internazionali nel 1920, conquistando tre medaglie d'oro e una d'argento ai Giochi olimpici di Anversa. Fu proprio l'unica sconfitta subita (per mano del francese Joseph Guillemot sui 5000) a farlo riflettere e indurlo a munirsi da allora in poi di un cronometro, in allenamento come pure in gara, per controllare il suo 'passo'. Fra il '21 e il '25 fu virtualmente imbattibile su tutte le distanze comprese tra i 1500 e i 10 mila. Cominciarono a cadere i "mondiali" e il '24 fu la sua stagione d'oro ai Giochi di Parigi, dove fece epoca soprattutto la sua doppietta 1500-5000 nel giro di poco più di un'ora...
    ...Questi trionfi gli valsero un invito per la tournée in America, all'inizio del 1925. In questa partecipò a 55 corse nel giro di venti settimane, al coperto e all'aperto, vincendo sempre tranne due volte: in un 5000 dal quale dovette ritirarsi a causa di un disturbo gastrico e in un mezzo miglio vinto dal campione americano di quella distanza: Allan Hellfrich. Quella tournée lasciò segni indelebili sulla macchina fino ad allora perfetta del campione. Dal '26 in poi Nurmi non fu più lo stesso, pur restando grande ancora per diverse stagioni. Nel '28, ai Giochi olimpici di Amsterdam, Nurmi tornò a primeggiare, vincendo tre medaglie. L'unica sconfitta gli venne da Ritola sui 5000 (una vendetta: quattro anni prima Ritola venne battuto in volata per soli due decimi di secondo)..."
    CURRICULUM:
    Alle Olimpiadi conquistò 9 medaglie d'oro e tre d'argento.
    Anversa 1920: oro nei 10 mila metri, nella corsa campestre (8 Km) e nella corsa campestre a squadre; argento nei 5 mila metri.
    Parigi 1924: oro nel 1500, nei 5 mila, nei 3 mila metri a squadre, nella corsa campestre (10 Km) e nella corsa campestre a squadre.
    Amsterdam 1928: oro nei 10 mila metri; argento nei 5 mila e nei 3 mila siepi. Migliorò 26 primati mondiali e stabilì 5 migliori prestazioni indoor in varie distanze comprese tra i 1500 metri e i 20 chilometri.

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    Novella Calligaris



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    Novella Calligaris è Nata a Padova nel 1954. Per gli addetti ai lavori è certamente stata la più grande nuotatrice italiana, basti pensare che era già in piscina dall'età di quattro anni. Esordì in nazionale a quattordici anni e ottenne il primo dei suoi 76 titoli italiani. A quindici anni, nel 1969, stabilì il primo dei suoi 21 record europei. E' un'atleta che va ricordata perché nonostante fosse esile e minuta non era certo intimorita dalle statuarie rivali tedesco-orientali e statunitensi quando, nel 1972, in occasione delle Olimpiadi di Monaco di Baviera, conquistò la finale dei 400 metri stile libero e si classificò seconda; giunse inoltre terza negli 800 metri stile libero e nei 400 metri misti. L'anno successivo, a Belgrado, divenne campionessa del mondo negli 800 metri stile libero; in quell'occasione stabilì il primo record mondiale nella storia del nuoto italiano. Vinse inoltre cinque medaglie ai Campionati Europei. Chiuse la sua splendida carriera a soli diciannove anni. Scrive di lei Stefano Vigorelli: "Sbiadite fotografie in bianco e nero ci parlano di Trebisonda Ondina Valla, medaglia d'oro negli 80 metri ostacoli ai Giochi Olimpici di Berlino 1936, e di Irene Camper, la triestina campionessa olimpica nel fioretto ad Helsinki nel 1952 come unici esempi in rosa di un mondo sportivo che in Italia è visto solo al maschile. Stiamo parlando solo di exploit isolati, in un tempo dove spesso negli impianti sportivi del nostro paese non esistono nemmeno le toilette separate per il gentil sesso. Ci vuole dunque una personalità di ferro, tutta la volontà di una donna decisa ad abbattere un muro ritenuto indistruttibile, e soprattutto prestazioni concrete e risultati sonanti per abbattere un tabù così radicato. Così non le si può chiedere di essere anche simpatica, e infatti non lo è. Carattere talmente fiero da risultare insopportabile a giornalisti e fotografi, Novella viene "premiata" per ben due volte con il Premio Limone, dedicato allo sportivo italiano più scontroso. La Calligaris è talmente avanti con i suoi tempi, che anche le sue performances non riusciranno ad attecchire e a creare un movimento femminile di massa nel nuoto agonistico. Senza potersi appoggiare ad alcuna tradizione o a un ambiente cui poter fare riferimento, Novella comincia la propria attività a Padova, dove è nata il 27 Dicembre 1954. E' magistralmente guidata da Bubi Dennerlein, il migliore allenatore italiano che trova in lei una fuoriclasse per intelligenza, costanza, impegno, ubbidienza e volontà di ferro con le quali si applica ai duri regimi di allenamento, un'ideale professionista che arriverà a raggiungere tutti gli obiettivi pianificati. Tra Europei 1970, Olimpiadi di Monaco 1972, Mondiali di Belgrado 1973 ed Europei 1974 fa incetta di medaglie, ma soprattutto di record: sono 1 primato mondiale e ben 21 primati europei ottenuti in una carriera così breve. Dunque, nonostante il carattere decisamente difficile, la Calligaris diviene popolarissima: è grazie a lei che le famiglie italiane scoprono il nuoto e gremiscono i corsi in tutte le piscine dello stivale. Piccola e minuta - solo 50 kg per 1,63 di altezza - Novella a inizio carriera è solo una gran combattiva, ma poi la tecnica si affina e l'azione si fa morbida e veloce. Il primo titolo italiano arriva a 13 anni, il primo record europeo a 14, le medaglie olimpiche di Monaco 1972 - un argento e due bronzi - a soli 17, e sono quelle che fanno esplodere la sua popolarità. Il titolo mondiale degli 800 stile libero - che arriva insieme ad altri due bronzi nei 400 s.l. e nei 400 misti - metterà fine a soli 18 anni al suo grande palmares. E' il grande giorno della sua carriera quel 9 Settembre 1973 a Belgrado, quando fugge e stacca le grandi australiane, le americane e le tedesche dell'est dominando gli 800 s.l. e battendo il record mondiale con 8'52"97. Al suo personale medagliere aggiungerà solamente un altro argento e un altro bronzo agli Europei dell'anno successivo. Dopo aver spesso battuto le fortissime americane e le tedesche orientali a casa loro, la Calligaris deve quindi rassegnarsi alla sproporzionata crescita muscolare delle sempre più mascoline atlete dell'est, che cominciano allora a monopolizzare il nuoto mondiale. Si ritira dunque non ancora ventenne, e ancora oggi stiamo attendendo nel panorama femminile italiano di questo sport un'atleta che possa almeno in parte emulare le sue gesta. Oggi Novella ricopre incarichi in federazioni sportive, e recentemente è stata commentatrice televisiva per la RAI.

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    Cassius Clay



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    Cassius Clay nasce il 17 Gennaio 1942 a Luoisville nel Kentucky, quando Cassius aveva dodici anni suo padre gli comprò una bicicletta, un regalo davvero grosso per una famiglia di condizioni modeste come la sua. La bicicletta venne rubata quello stesso giorno, lui la cercò ovunque senza risultati e un amico gli consigliò di rivolgersi a un poliziotto che frequentava una palestra, la Columbia Gym, e che forse avrebbe potuto aiutarlo. Clay andò alla palestra e per qualche minuto rimase incantato a guardare quei ragazzi bianchi e neri che si allenavano con i loro guantoni di, cuoio, poi trovò il poliziotto, Joe Martin, e gli parlò del furto della sua bicicletta. Nonostante non fosse in servizio, Joe stese un rapporto e poi chiese al ragazzo: "Sai tirare di boxe? Perché non provi ad allenarti? La palestra è aperta tutte le sere a parte il sabato e la domenica". Così iniziò la carriera di Cassius Clay, che avrebbe poi preso il nome di Muhammad Ali, "the greatest" e come si addice alle leggende vince a soli 18 anni la medaglia d'oro nei giochi Olimpici di Roma. Ma la sua definitiva consacrazione avviene a Miami Beach il 25 febbraio 1964, quando conquista il mondiale dei pesi massimi con una annunciata quanto sconcertante vittoria al settimo round sull'ex galeotto Sonny Liston, che abbandona la sfida per un singolare e misterioso infortunio alla spalla sinistra. Non meno curioso è l'esito della rivincita, Sonny Liston cade al tappeto dopo appena un minuto scarso, colpito da un innocuo destro di Clay. Si parla di match "addomesticato" e scoppiano polemiche a non finire, ma la storia ci confermerà abbondantemente che non era così. In seguito a questi eventi Cassius Clay si converte all'islam cambiando il suo nome in Muhammad Alì, mentre difende con onore il suo titolo mondiale spazzando via, uno aduno, tutti gli avversari che lo sfidano, dissipando tutti i dubbi sul suo reale valore di atleta. A Toronto batte ai punti il canadese Georges Chuvalo, sconfigge due volte Patterson, dapprima il 22 novembre 1965 al dodicesimo round poi il 20 settembre 1972 al settimo. Trionfa sul rude peso massimo inglese Henry Cooper, domina Brian London a Londra. Il tedesco Karl Mildenberger s'inchina davanti a lui a Francoforte, poi è la volta degli americani Ceveland Williams e Emie Terrel che viene sconfitto, alla distanza, il 6 febbraio 1967 a Houston nel Texsas. A New York, il 22 marzo 1967, abbatte Zora Folley al settimo round. Davanti a questi pugili, ridotti a semplici comparse, Muhammad Ali sviluppa una boxe sontuosa e poco a poco nasce l'ammirazione per l'atleta e per l'uomo, si comincia a capire che ha inventato un nuovo modo di boxare. Muhammad Ali non danza soltanto per sottrarsi ai colpi degli avversari, ciascuno dei suoi spostamenti è peraltro misterioso o imprevedibile , ma servono anche per costringerli a spostarsi, corrergli appresso, stancandosi e senza riuscire a sottrarsi ai suoi jab, i classici diretti sinistri che alla lunga fanno soffrire. Più che uno stilista, è forse innanzi tutto uno sguardo. In certi filmati questo aspetto è sorprendente, si ha veramente la sensazione che Muhammad Alì veda e inventi, nel senso latino del termine (invenire = scoprire) il suo avversario. Il suo sguardo difficile da descrivere, è fisso, eppure mobile. Il centro della difesa dell'avversario è sempre localizzato in modo preciso e ciascuno dei suoi movimenti captato dall'occhio scuro. La sua tecnica è sopraffina e inimitabile, potenza e leggerezza sono i suoi cardini. Improvvisamente però gli Stati Uniti entrano in guerra contro il Vietnam, Muhammad Alì si rifiuta di arruolarsi dichiarando "Io non ho nulla contro i Vietcong". Inizia con questa presa di posizione la sua "disobbedienza civile" che lo porterà a una sospensione per squalifica di due anni dalla attività agonistica. Questo comportamento fece urlare allo scandalo. E si sparò a zero sul pugile, sfogando su di lui le paure e le frustrazioni di un'America depressa e razzista. La giustizia americana lo dichiarò decaduto dal suo titolo, gli venne ritirato il patentino (quindi non poteva più boxare), il passaporto (era perciò costretto a risiedere negli Stati Uniti). Ma non bastava. Venne condannato al carcere e a un'ammenda astronomica di cinque milioni di dollari. Fortunatamente i suoi avvocati riuscirono ad evitargli la prigione, ma sul pugile si era sparato per davvero e bene. Muhammad Ali non era più niente, nessuno sapeva se sarebbe risalito ancora sul ring. La leggenda nera subì una battuta d'arresto. Ci fu un lungo intervallo che dopo però, alla sua ripresa, diventerà favola, mito. Torna sul ring nel 1970, quattro anni dopo, il pugile che ama definirsi <leggero come una farfalla e pungente come un'ape> riconquista, in una mitica sfida notturna in Africa, nella città di Kinshasa in Zaire, il titolo dei massimi con uno dei gesti atletici più belli e intensi della storia del pugilato, nel match contro George Foreman. In quell'incontro, nelle prime riprese, sembra che Muhammad Alì abbia la peggio sull'avversario, non fa altro che incassare colpi terribili e tutti pensano che sia solo questione di tempo prima che finisca al tappeto. Ma all'ottava ripresa contro ogni pronostico stende a terra un Foreman oramai stremato. E' l'incontro del secolo il più bello e intenso in assoluto! Ora è consacrato a leggenda, è lui il numero uno e lo sarà ancora per molto tempo, forse per sempre! Negli anni avvenire respinge tutti gli attacchi degli sfidanti, spazzandoli via uno dietro l'altro con estrema facilità. Mitici rimarranno anche gli incontri con Joe Frazier che passeranno alla storia del pugilato moderno. Il mito, oramai trentaseienne si incontra con un giovane e turbolento avversario Leon Spinks, e viene sconfitto, ma torna a ruggire ancora una volta umiliandolo nella rivincita. Ma Muhammad Alì è oramai sul viale del tramonto, tenta due patetici e sfortunati rientri nel 1980 e nel 1981 prima di arrendersi definitivamente al suo destino. Prima di farsi da parte però è riuscito a guadagnare qualcosa come 70 miliardi di lire combattendo ininterrottamente per venti anni e cambiando addirittura quattro mogli. Negli anni 90 però Muhammad Alì inizia una battaglia ancora più cruenta delle precedenti, questa volta con il morbo di Parkinson che lo limita nei movimenti e nella parola. Alì diventa così una malinconica controfigura dell'immenso fuoriclasse che ha impresso una svolta rivoluzionaria alla boxe dei colossi, affievolendone la brutalità ed incrementandone la fantasia. Nell'ultima apparizione, alle Olimpiadi di Atlanta, quando commuovendo il mondo intero ha acceso la fiamma che inaugurava i giochi, pur menomato nei movimenti ci è sembrato un gigante pronto a riprendere il combattimento. Siamo certi che il suo coraggio non andrà perduto, sarà un esempio per le future generazioni. Molto giornalisti tra cui Federico Jolli hanno scritto bellissimi editoriali sul suo conto. Un grazie di cuore da tutta la redazione a questo immenso campione!
    HANNO DETTO DI LUI:
    Sonny Liston: «E' soltanto uno spaccone, un fanfarone, non arriverà alla quinta ripresa» - «A forza di sbraitare, ha dovuto inghiottire dell'aria» - «E' un clown del ringh».
    Emanuela Audisio: «ATLANTA - Tremava come un budino. Con tutto il braccio sinistro morsicato dalla malattia, come se fosse attaccato ad un martello pneumatico invisibile. Un robot gonfio, goffo, malato, che a malapena riusciva a tenere in mano la fiaccola. Il pugno di Alì commuove il mondo con gli occhi fatti a pezzi dai medicinali chiedeva aiuto perché le fiamme gli stavano bruciando il braccio. Proprio lui, "The Greatest", il Più Grande. (dalla Repubblica, 21 luglio 1996)».
    CURRICULUM:
    Nato a: Louisville, Kentucky (Usa) il 18 gennaio 1942
    Altezza: cm. 191
    Peso: kg. 96
    Nazionalità: Statunitense
    Categoria: pesi massimi
    Professionista: dal 29 Ottobre 1960
    Record: 61 incontri disputati 56 vinti (37 per ko), 5 persi
    Mondiali sostenuti: 25
    Mondiali vinti: 22
    Altri titoli: Oro ai Giochi olimpici di Roma 1960 nei mediomassimi
    Frasi famose: "Io sono l'eccelso"

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    Patrizio Oliva



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    Patrizio Oliva nasce a Napoli (Italia) il 28 Gennaio del 1959. Si avvia a praticare e amare il pugilato grazie anche alla passione per questo sport di papà Rocco e il fratello Mario. Inizia da giovanissimo a fare incontri importanti, aiutato anche al suo fisico praticamente perfetto per questa disciplina durissima, Patrizio è alto 1,76 per kg. 68. Passa professionista il 23 Febbraio 1981 a soli 22 anni, avendo già vinto la medaglia d'oro ai giochi olimpici di Mosca del 1980. Le categorie nelle quali ha dominato sono i pesi leggeri, i super leggeri e i pesi welter, ha disputato 55 incontri di cui 53 vinti (21 per k.o.) e due sconfitte ai punti. Ha disputato 5 incontri per il mondiale: 4 per la categoria super leggeri, 1 per i pesi welter, vincendone tre per per la categoria superleggeri. Termina la sua bellissima carriera con il titolo europeo dei pesi welter nel 1990. Con questo ultimo titolo ha culminato la sua magnifica ed entusiasmante avventura di "sparviero" per lidi sempre più ambiti, affrontando le varie battaglie della vita per un onorevole posto nella rosa di quelli che con il loro apporto migliorano la qualità della vita di tutti noi. Consigliamo ai navigatori di leggersi la bellissima intervista fatta dal giornalista Bruno Carraro nel salotto della sua accogliente casa di uno storico palazzo di Pizzofalcone a Napoli, dove vive con la moglie Nilia e le loro due bellissime bambine.
    HANNO DETTO DI LUI:
    Rocco mi disse che ero il "Rivera del pugilato".
    CURRICULUM:
    Campione Europeo nei pesi leggeri dilettanti 1978
    Campione Olimpionico nei pesi super leggeri 1980
    Campione Europeo nei pesi super leggeri professionisti 1983
    Campione del Mondo nei pesi super leggeri 1986
    Campione Europeo nei pesi Welter 1990

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    Pietro Mennea


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    Manca qualcosa nei tabelloni luminosi di Atlanta: quello straordinario 19"72 conquistato sui 200 metri da Pietro Mennea a Città del Messico e detronizzato poco tempo fa da Johnson. Una magica combinazione numerica a cui eravamo abituati e affezionati. Ma non importa, perché l'irriducibile barlettano resterà per sempre nei nostri cuori. Ne ricordiamo il carattere levantino, acido, scontroso, che faceva scintille con quello del suo preparatore, il mitico professor Vittori. Ne ricordiamo il dito alzato, simbolo di potere, di privilegio assoluto, trasformato quasi in stupore nella memorabile finale dei 200 ai Giochi di Mosca. Come non dimentichiamo lo scontro verbale televisivo tra lui e il telecronista Rai Paolo Rosi in occasione dei Giochi di Montreal. E quella sua voglia di non smettere mai, di provare e riprovare fino alla clamorosa decisione di rifarsi vivo a Seoul per la sua quinta Olimpiade. Mennea, nel bene e nel male, rimarrà nella storia dell'atletica internazionale come il più controverso velocista, dotato però di una tenacia e di un'energia inesauribili di rara efficacia. Il 26 marzo 1993 Fausto Narducci ne ritrasse un profilo di cui ne descriviamo alcuni tratti (Max De Stefano). "Mennea primo, Mennea secondo, Mennea Terzo: non tre atleti ma tre vite atletiche in una. Mennea atleta, Mennea plurilaureato, Mennea avvocato e commercialista: sempre la stessa persona, il personaggio più controverso, ermetico e discusso che abbia mai calcato le piste italiane". Quando la gente mi incontra per strada si meraviglia che sono alto un metro e ottanta: neanche nel fisico, che era sotto gli occhi di tutti, mi hanno descritto bene", disse un giorno l'incompreso. "...Pietro, terzogenito di una famiglia con cinque figli cresciuti nella tranquilla sartoria di papà Salvatore a Barletta, voglia di emergere ne aveva tanta. "Il successo è dolore fisico" aveva insegnato mamma Vincenza a Pietro, Pino, Luigi, Angela e Vincenzo". Quello che resta di Mennea nell'atletica italiana è la sua abnegazione da certosino negli allenamenti, le indimenticabili sfide con Borzov e Ray, le immancabili bizze e le mezze farneticazioni in terza persona prima e dopo ogni vittoria, le rinunce dell'ultima ora e le squalifiche come quella communatagli per essersi rifiutato di partecipare a una tournée elettorale di Nebiolo in Estremo Oriente e infine, perché no, le sue polemiche infinite con Berruti che, in uno degli episodi più tristi legati a una rivalità sportiva, si ritrovò perfino minacciato a Formia dai fratelli del barlettano. E a quasi vent'anni dai suoi primi ori, nei 100 e 200 metri agli Europei di Roma '74, c'è ancora un mistero che sopravvive: cosa voleva dire Pietro Mennea, dopo ogni vittoria, con quell'indice destro alzato verso il cielo" (Fausto Narducci). Leggi la cronaca del record.
    HANNO DETTO DI LUI:
    Valery Borzov: Ucraino, rivale storico di Pietro: "Mennea era un atleta ben allenato, io credo che sia stato importante nella storia dello sprint mondiale, perché con me è riuscito a spezzare l'egemonia americana".
    Gianni Romeo: “Mennea mercoledì pomeriggio alle 15.15 ora messicana corrispondente alle 23.15 italiane, scrive il giornalista, ha compiuto due capolavori nel capolavoro: un’accelerazione di quaranta - cinquanta metri quale mai gli era riuscita in passato all’avvio dei duecento metri; una seconda accelerazione a settanta metri dal traguardo, quando il polacco Dunecki gli era abbastanza addosso, staccandosi con un cambio di velocità impressionante. Un uomo capace di questa cose, un uomo capace di correre per due volte di seguito i cento metri in 9”86, ha davvero finito di stupire?”
    CURRICULUM:
    Nato a Barletta il 28 giugno 1952, Pietro Mennea ha ottenuto 2 primati mondiali (lo storico 19"72 sui 200 metri e 1'21"5 nella 4x200 nel '72), 8 europei e 33 italiani. Ha partecipato a 5 Olimpiadi (Monaco '72, bronzo nei 200 metri; Montreal '76; Mosca '80, oro nei 200 metri e bronzo nella 4x100); Los Angeles '84 e Seoul '88. Sei medaglie agli Europei (3 ori, 2 argenti e 1 bronzo). Mennea ha annunciato tre volte il ritiro: nel marzo '81 (ritorno '82), nel 1984 dopo Los Angeles (ritorno '87) e nell'88 dopo Seoul.
    CRONOLOGIA:
    1971
    Campione Italiano nei 200 metri
    1° nei 200 metri
    1° nella 4x100 ai Giochi del Mediterraneo (Smirne)
    1972
    Campione Italiano nei 200 metri
    Primatista mondiale della 4x200 (1’21”5)
    Medaglia d’oro nei 200 metri
    1973
    Campione Italiano nei 200 metri
    1° nei 200 metri agli universitari di Mosca
    1974
    Campione Italiano nei 100 metri
    Campione Italiano nei 200 metri
    1° nei 200 metri agli Europei di Roma
    1975
    1° nei 100 e nei 200 metri ai Giochi del Mediterraneo (Algeri)
    1° nei 100 e nei 200 metri ai mondiali universitari di Roma
    1976
    Campione Italiano nei 200 metri

    1977
    Campione Italiano nei 200 metri
    1978
    Campione Europeo indoor nei 400 metri (Milano, 46”51)
    1° nei 100 metri ai campionati Europei (Praga)
    1° nei 200 metri ai campionati Europei (Praga)
    1979
    1° nei 100 metri alla Coppa Europea (Torino)
    Record mondiale nei 200 metri con il tempo di 19"72 (Città del Messico)
    1980
    Medaglia d’oro nei 200 metri alle Olimpiadi di Mosca con il tempo di 20”19
    1983
    A Febbraio è mondiale 200 metri indoor in 20”74

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    www.olimpiadi.it

    Edited by gheagabry - 13/11/2012, 18:41
     
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    Campioni Olimpici




    Edwin Moses



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    Edwin Moses nasce a Dayton (Ohio), 31 agosto 1955). Il suo palmarès è semplicemente impressionante: 122 vittorie consecutive, nove anni, nove mesi e nove giorni d’imbattibilità, quattro record mondiali, due medaglie d’oro alle olimpiadi (Montreal e Los Angeles). Sono tutti i numeri della incredibile carriera di Edwin Moses dominatore dei 400 metri ostacoli fra gli anni ’70 e ’80 con una caratteristica unica: gli bastano 13 passi tra una barriera e l’altra anziché 14 come gli altri. “La corsa all'inizio era un hobby” racconta in un’intervista rilasciata al settimanale L’Espresso. “A quei tempi i giovani non cercavano il professionismo a tutti i costi. Il mio scopo era diventare un ingegnere, uno scienziato. Per questo andai all'università. La corsa era un extra”. Tra tanti successi un’amarezza, quella di non aver potuto difendere l’oro olimpico conquistato a Montreal. “Mosca ’80 fu boicottata dagli Usa ufficialmente per l’invasione dell’Afghanistan da parte dell’Urss. Ma è anche vero che nel '79-80 ci fu il rapimento degli ostaggi all'ambasciata americana a Teheran e Carter decise di non dare un vataggio psicologico agli odiati avversari. "Fummo tutti molto delusi”. Los Angeles ’84. Le prime olimpiadi degli sponsor “Coca-Cola, Ibm, furono alcune delle grandi sponsorizzazioni che sostennero il comitato olimpico di cui facevo parte. Quelle olimpiadi, in questo senso, cambiarono il modo di intendere lo sport negli Usa, presto seguirono il football, il calcio, il basket. Moses è stato membro del Cio, con il quale ha più volte affrontato il problema doping. “Creammo il test antidoping a sorpresa. Su chi siano gli atleti che più hanno dato allo sport, nel XX secolo Edwin ha le idee piuttosto chiare, “Muhammad Ali: è quello che ha ottenuto di più e ha lasciato un segno nella vita di molti. Per lui contavano i principi. Oggi Edwin Moses (due lauree, fisica e business), attualmente è ambasciatore per lo sport e presidente della World Sports Academy della fondazione Laureus, organizzazione che ha lo scopo di fare dello sport uno strumento di cambiamento sociale e celebrare l'eccellenza sportiva.

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    Sara Simeoni



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    Non si sente parlare molto spesso delle vittorie delle donne nelle Olimpiadi, anche se ad oggi il numero delle partecipanti è incrementato molto, ma i trionfi della Simeoni non sono stati dimenticati da nessuno. Sara, recitava il titolo dell'articolo firmato da Gianni Merlo il 19 novembre 1993, "sognava la danza e l'Arena" per poi volare "sul tetto del mondo". Se non fosse stato per qualche centimetro in più, infatti, forse oggi racconteremmo di Sara come grande ballerina classica. Venne infatti scartata da un balletto dell'Aida perché era troppo alta, anche se fu ammessa subito dopo alla Scala. Ma alle scarpette bianche e al tutù preferì l'atletica. Guarda caso, tutta giocata ancora sui centimetri. E così Sara divenne la "dolce Sara", la magica libellula capace di far volare gli italiani: nel '76 medaglia d'argento a Montreal, nel '78 record mondiale con 2.01, nell' 80 medaglia d'oro a Mosca e nell' 84 ancora magico argento a Los Angeles. Di lei rimane un sorriso e un frenetico battito di mani come farfalle sotto l'asticella che immobile la incorona regina del salto in alto. Quando Sara aveva dieci anni, era un'anima lunga e sottile. Frequentava il Centro comunale artistico dove affinava le sue doti nella pittura e nella danza a Verona. Aveva talento e orecchio per la musica. Era davvero bravina, voleva diventare ballerina importante, ma uno dei responsabili dell'Arena involontariamente pugnalò il suo orgoglio quando la sua classe fu scelta per dare vita al "ballo dei moretti" dell'Aida e la escluse perché era troppo alta. Poco tempo dopo partecipò a un provino alla Scala di Milano e superò l'esame, ma, racconta, "avrei dovuto lasciare la famiglia". Nel 1965 l'insegnante Marta Castaldo l'indirizzò al campo scuola di Verona per provare la strada dello sport. L'attirava il salto in alto. Nella prima gara usò una tecnica che potremmo definire frontale, cioè si preoccupò solo di proiettare il suo corpo leggero oltre l'asticella. Risultato 1.25, non male per un debuttante. Il 1970 è stato il suo primo anno magico, perché in maggio a Padova aveva stabilito il suo primo primato italiano con 1.71. L'anno seguente affascinò il pubblico degli Europei di Helsinki. A Monaco, nella sua prima Olimpiade, portò il record a 1.85 e si installò al quinto posto davanti a quella che sarebbe diventata la sua grande avversaria: Rosemarie Ackermann, tedesca est della Pomerania che nel 1977 a Berlino scavalcò il muro dei 2 metri. Erano avversarie spietate in gara, però non hanno mai nascosto la loro simpatia reciproca. "Rosemarie era un mito per me", affermava Sara. Nel 1978 è avvenuto il sorpasso. Era il 5 agosto a Brescia, quando all'improvviso Sara ha scosso l'aria quieta della sera: erano le 19.56 quando superò al primo tentativo quello che allora era il tetto del mondo: 2.01...". Poi la medaglia d'oro di Mosca e quelle d'argento di Montreal e Los Angeles. Scrive Gianni Merlo: "La Simeoni è stata forse l'ultima interprete di uno sport romantico. Le sue lacrime di gioia hanno inondato il cuore di milioni di spettatori: ne sentiamo la mancanza".
    HANNO DETTO DI LEI:
    Rosemarie Ackermann, la grande rivale di Sara. "Con la Simeoni mi sono trovata bene fin dal primo momento, perché sa apprezzare e riconoscere i sentimenti delle altre. Sara ha anticipato il tempo dell'evoluzione...". La canadese Brill, ex ragazza dei fiori: "Sara aveva parole di incitamento per tutte. Sapeva apprezzare il valore delle altre. E' serena, sa affrontare la vita".
    CURRICULUM:
    Sara Simeoni è nata a Rivoli Veronese il 19 aprile 1953. E' stata primatista mondiale con 2.01, misura che ha superato due volte nel 1978. Ha vinto una medaglia d'oro alle Olimpiadi di Mosca, più due argenti a Montreal e Los Angeles. E' stata campionessa europea nel 1978 a Praga. Ha vinto 23 titoli Italiani, di cui uno nel pentathlon. Ora lavora per la Federazione, è sposata con Erminio Azzaro, ex campione di salto in alto e suo allenatore, ed è madre di un bimbo, Roberto, di quasi 7 anni.

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    Sergej Bubka


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    Sergej Bubka iniziò a dedicarsi al salto con l'asta all'età di nove anni. Nel 1978, quindicenne, Bubka si trasferì a Donetsk con il suo allenatore Vitalij Petrov. Fu conosciuto dal mondo dell'atletica nel 1983 quando vinse un meeting a Helsinki con la misura di 5,70 metri. Negli anni seguenti Bubka stabilì dei nuovi standard per il salto con l'asta. Oltrepassò i 6 metri, primo astista di tutti i tempi, il 13 luglio 1985 a Parigi. Questa altezza era stata per lungo tempo considerata irraggiungibile. Bubka migliorò il proprio record in molte occasioni e un po' alla volta. Nel 1988 ottenne 6,06 metri a Nizza e questo risultato aumentò la suspense sul fatto che potesse superare la soglia dei 6,10 metri ai Giochi Olimpici di Seul di quello stesso anno. Non raggiungendo quell'obiettivo in qualche modo deluse, ma vinse comunque la medaglia d'oro con 5,90 metri. Bubka migliorò il record del mondo di 21 centimetri nell'arco di quattro anni tra il 1984 e il 1988, più di quello che qualunque altro astista avesse ottenuto nei 12 anni precedenti. Fu il primo atleta a superare i 6,10 metri a San Sebastián (Spagna) nel 1991. Sorprendentemente non riuscì a piazzarsi sul gradino più alto del podio alle successive Olimpiadi di Barcellona nel 1992. Stabilì l'attuale record del mondo di 6,14 metri il 31 luglio 1994 al Sestriere in Italia, dopo che alcuni commentatori ne avevano già predetto il declino. Nel 1996 Bubka si qualificò per i Giochi Olimpici di Atlanta (USA), ma un infortunio gli impedì di prendervi parte. Detiene anche il record mondiale indoor, con 6,15 metri, stabilito nel 1993. Nel corso della propria carriera Bubka stabilì ben 35 nuovi record mondiali, 17 dei quali all'aperto e 18 indoor. Quasi sempre i nuovi record furono miglioramenti del proprio stesso record. Dato che l'Unione Sovietica era solita offrire consistenti bonus monetari per ogni record mondiale stabilito dai propri atleti, molti sostengono che Bubka addirittura abbia volontariamente centellinato per anni le proprie capacità per essere in grado di stabilire un nuovo record a un evento successivo. Ma anche se ciò non fosse vero, il dominio assoluto di Bubka nella propria disciplina ebbe ben pochi eguali nella storia dello sport moderno. La chiave del successo di fu la sua velocità e la sua forza fisica. Questo gli permise di usare aste più lunghe e rigide di quelle usate normalmente, ottenendo come risultato una migliore azione catapultante. Era anche famoso per la sua tecnica, impugnando l'asta più in alto dei suoi avversari. Venne nominato miglior sportivo dell'Unione Sovietica per tre anni di fila, dal 1984 al 1986. Dal 1999 è membro del Comitato Olimpico Internazionale. Dal 2002, è membro del parlamento ucraino ed è impegnato su questioni riguardanti le politiche giovanili, la cultura fisica, lo sport e il turismo.

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    George Foreman



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    George Foreman nasce il 22 Gennaio 1948 e diventa campione olimpico nel 1968. Straordinario atleta, è probabilmente il miglior pugile di tutti i tempi dopo l'immenso Cassius Klay. Sono passati tanti anni da quando combatteva per le strade di Houston capitale del Texas. Tre anni più tardi, nel 1968, vince sbalordendo il mondo con la sua grande classe e soprattutto con la sua straordinaria potenza, la medaglia d'oro ai giochi olimpici di Città del Messico. Nelle semifinali, Foreman incontra l'Italiano ventitreenne Giorgio Bambini, che terrorizzato dalla fama di terribile picchiatore del gigantesco atleta di colore statunitense, dopo un solo pugno si sdraia sul tappeto del ring, sordo alle indignate esortazioni degli allenatori Rea e Poggi, che gli urlano di rimettersi immediatamente in piedi. Passa alla storia quel "Fossi matto, quello mi ammazza" mormorato dal bambini letteralmente atterrito dall'avversario. Nella finale, con la consueta vittoria prima del limite, George Foreman intasca la meritata medaglia contro il sovietico Chepulis. Nel 1969, dopo lo straordinario successo olimpico diventa professionista. Quattro anni dopo diventa campione del mondo, atterrando al secondo round Joe Frazier, il campione olimpico di Tokyo 64. Quest'uomo incredibile ha seduto in passato sul trono del peso massimo due volte, ma la cosa straordinaria è che tutt'oggi a quarant'anni suonati è diventato campione del mondo di dei pesi massimi. La sua sfortuna (se così la possiamo definire) è quella di essere stato contemporaneo di Muhammad Ali e di aver subito il più straordinario gesto atletico della storia del pugilato, infatti nell'autunno del 1974 Foreman a Kinshasa, s'arrende a Cassius Klay subendo un drammatico Ko all'ottava ripresa. Paradossalmente però questa sconfitta lo ha consacrato alla storia, incatenandolo indissolubilmente alla vita del suo rivale. I suoi sostenitori, (e ce ne sono davvero tanti in tutto il mondo!) sostengono che George Foreman era oramai sul viale del tramonto quando ha affrontato quell'incontro, lo avrebbe vinto sicuramente se lo avesse combattuto uno o due anni prima. Comunque sia, l'anno successivo nel 1977, annunciò al mondo il suo definitivo ritiro dalla scena agonistica. Ma eccoci, dieci anni più tardi al clamoroso annuncio del suo rientro nel mondo del pugilato, siamo nel 1987. Certo, tutti gli addetti ai lavori più i suoi sostenitori, vedendolo calvo e ingrassato, atleticamente arrugginito hanno pensato subito ad una patetica trovata pubblicitaria del vecchio leone, ma effettuati alcuni incontri Geoge Foreman ha dimostrato che non stava affatto scherzando, ne sanno qualcosa i suoi avversari, Dwight Muhammad, Qawi Smile, Bert Fabbrica, Gerry Cooney ed Adilson Rodrigues, tant'è che contro il pronostico di tutti il 5 Novembre 1994 a Las Vegas è riuscito a riprendersi il titolo mondiale dei pesi massimi ai danni di Michael Moorer per il WBO. A 45 anni e 9 mesi di età, George Foreman diventa il campione del mondo più anziano della storia del pugilato, questa impresa è da considerarsi al pari di quella di Muhammad Ali quando lo sconfisse nel mitico incontro passato oramai alla storia. Noi persone comuni dobbiamo inchinarci di fronte a questi straordinari eroi del nostro tempo, per ringraziarli delle emozioni e i sogni che ci fanno vivere. Da loro attingiamo la forza e la speranza per elevarci da una vita spesso mediocre, facendoci migliorare giorno dopo giorno, con la consapevolezza che con l'impegno e il sudore anche noi potremo raggiungere traguardi impensabili. Un grazie da parte dello redazione di www.olimpiadi.it.
    HANNO DETTO DI LUI:
    Muhammad Ali "Robetta da poco, è un Belga"

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    Trebisonda Valla



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    Trebisonda Valla, detta "Ondina", nasce a Bologna il 20 Maggio 1916 e muore a L'Aquila il 16 Ottobre 2006. Nella sua luminosa carriera ha collezionato 18 presenze in Nazionale dove è stata allenata da Vittorio Costa e successivamente da Boyd Comstock. Il 5 Agosto 1936 ai Giochi Olimpici, in semifinale, corse gli 80 metri ad ostacoli in 11.6, tempo che fu omologato come primato mondiale anche se ventoso (allora non era ancora stata varata la regola che non accetta il vento oltre i 2 metri al secondo). Dotata di forte personalità fu "primadonna" sin da ragazzina, quando vinse i campionati interscolastici bolognesi. Tra le migliori d’Italia già a 13 anni, campionessa italiana assoluta a 14 anni, quando vestì anche la maglia della Nazionale. Eclettica, gareggiò per 15 anni ad alto livello sia nelle corse piane che nei salti e sugli ostacoli, con un leggero regresso dopo il 1936 per problemi alla schiena (spondilosi vertebrale). Famosa la sua rivalità con Claudia Testoni, l’altra fuoriclasse dell’atletica italiana dell’epoca. Il bilancio dei confronti diretti a fine carriera parla a favore di Ondina Valla: 60 a 33 (più 5 ex-aequo) su 98 duelli. Il riesame della fotofinish delle Olimpiadi di Berlino, ha evidenziato che, in base al congegno automatico allora in uso in funzione di sostegno, il suo tempo fu di 11.748. In quella edizione l'Italia conferma quanto di buono aveva fatto quattro anni prima. Non arriva a 36 medaglie come a Los Angeles, ma le 22 conquistate a Berlino valgono altrettanto. In Italia la preparazione preolimpica è stata accurata, con tutti i nostri migliori esponenti tenuti in raduno nelle settimane precedenti l'appuntamento a cinque cerchi. Il buon raccolto è quindi il logico risultato di questa felice intuizione del regime fascista, che in sostanza precorre i tempi. Per lo sport azzurro i Giochi di Owens passano alla storia per la prima medaglia d'oro al femminile. La conquista negli 80 metri ad ostacoli Ondina Valla, ventenne bolognese capace di primeggiare in varie specialità. Prima femmina dopo quattro fratelli maschi, si chiama in realtà Trebisonda: così ha voluto il padre, mutuando il nome della città turca di Trabsznospor, che a suo avviso rappresenta le meraviglie del mondo. Ondina non è magari quel che si dice una miss, ma nell'atletica è sì una piccola meraviglia. Si afferma giovanissima e già a 13 anni è tra le migliori in Italia, nelle corse piane come in quelle a ostacoli e anche nei salti. Per i Giochi sceglie gli 80 metri ad ostacoli e il 6 agosto, sulla pista dell'Olympiastadion, dopo aver eguagliato il record del mondo in semifinale il giorno prima con 11"6, s'impone di misura nella serratissima finale. Con lei piombano sul traguardo quasi simultaneamente altre tre atlete. Per ufficializzare l'ordine d'arrivo i giudici devono ricorrere alla Zielzeitkamera, cioè la foto d'arrivo (poi conosciuta come fotofinish), non valida per il cronometraggio ufficiale ma usata solo per decifrare gli arrivi incerti. Il successo della Valla è indiscutibile anche a occhio nudo, per quanto la separino solo 61 millesimi dalla tedesca Steuer; per assegnare le altre due medaglie, invece, non è altrettanto semplice. In un primo tempo l'altra italiana Claudia Testoni sembra addirittura seconda e la canadese Taylor quarta, al punto che questa, ignara di essere poi diventata terza, non si presenta sul podio per la premiazione. Ma lo spietato responso dell'infallibile occhio meccanico cambia le indicazioni dei giudici: tra la Steuer e la Taylor ci sono solo 2 millesimi di secondo, 7 separano invece la Taylor dalla Testoni, che resta quindi ai piedi del podio. Concittadina e quasi coetanea della Valla, con la quale battaglia per anni anche in altre specialità, la Testoni si consolerà parzialmente vincendo il titolo europeo nel '38, migliorando quattro volte il primato mondiale e battendo 16 volte la Valla nelle 18 successive sfide dirette. Ma, accecata dalla delusione per quell'amaro quarto posto, dopo la finale olimpica di Berlino non rivolgerà più il saluto a Ondina.
    CURRICULUM:
    Titoli italiani: 60m 1932 - 100 1933, 1936 - 80m hs 1930, 1931, 1932, 1933, 1934, 1937 - 4x100 1934, alto 1930, 1931, 1933, 1937, 1940 - alto da fermo 1930 - pentathlon 1935 Giochi olimpici: 1/1936 80hs, 4/1936 4x100 Giochi Mondiali: elim. sf/1930 80hs, elim. batt./1930 4 x 100, 10/1930 lungo, elim. batt./1934 100, elim. sf/1934 80hs, elim. batt./1934 4 x 100, elim. qual./1934 alto.
    PERFORMANCES 80 OSTACOLI:
    11.6 (2°) Firenze 21/07/1940
    11.6 (3°) Parma 28/07/1940
    11.7 (1°) Berlino 06/08/1936
    11.7 (4°) Dresda 13/08/1939
    11.8 (1°) Piacenza 01/08/1937
    11.8 (2°) Milano 30/07/1939
    11.8 (2°) Torino 09/05/1940
    11.9 (2°) Milano 05/07/1936
    12.0 (1°) Udine 08/10/1933
    12.0 (1°) b1 Londra 09/08/1934
    12.0 (1°) Vienna 23/09/1934
    12.0 (1°) Budapest 26/09/1934
    12.0 (1°) Piacenza 16/06/1935
    12.0 (2°) Parigi 08/08/1937
    12.0 (2°) Monaco 29/08/1937
    12.0 (1°) Roma 26/05/1940

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    Nino Benvenuti



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    Nino Benvenuti per gli sportivi italiani, insieme a Primo Carnera, è "LA BOXE". E' stato il primo campione del mondo italiano dei pesi medi, la categoria più prestigiosa del pugilato accanto ai massimi. Benvenuti è stato un personaggio controverso, amato e odiato. La sua rivalità con Mazzinghi malinconico toscano, negli anni Sessanta divise l'Italia come ai tempi di Bartali e Coppi. Così si prepara la strada a una grande sfida. Benvenuti e Mazzinghi sono divisi da tutto: stile, mentalità, modo di vivere. Una rivalità totale. Mazzinghi è amato dagli sportivi più ruvidi e genuini. Benvenuti dagli esteti ma anche dalla massa e soprattutto dalle donne, forse anche perché è il primo pugile a comparire costantemente sui giornali pettegoli che gli affibbiano flirt a ogni piè sospinto. Il match va finalmente in scena nel posto più inadatto alla boxe, ma perfetto per rendere la grandezza dell'avvenimento: lo stadio di San Siro. Sandro Mazzinghi per cinque round sembra dover asfissiare il triestino con la sua azione, il famoso gancio sinistro di Benvenuti non riesce a scattare, il campione lo tiene sotto controllo costante. Ma visto che il sinistro è imbrigliato, Nino nel 6º round spara un destro che sorprende e stende Mazzinghi. Benvenuti è campione del mondo. La carriera di Nino iniziò con il titolo europeo dei superwelter. Ma la consacrazione fu alle Olimpiadi di Roma del 1960, quelle che lanciarono un pugile allora sconosciuto: Cassius Clay. A Roma Benvenuti vinse la medaglia d'oro nei welter. Dopo passò al professionismo e il 18 Giugno 1965 divenne campione del mondo dei superwelter. Nel 1967 il salto nella categoria dei medi che lo consacrò campione in un mitico match contro Emil Griffith al Madison Square Garden di New York. Nella notte 18 milioni di italiani si svegliano per seguire l'incontro raccontato alla radio da Paolo Valenti. E' la prima delle tre sfide contro Griffith, potente pugile nero. Cinque mesi dopo Benvenuti è costretto a riconsegnare la cintura dei medi. «E' una sconfitta, ma anche il mio match più bello», dirà poi. «Avevo una costola rotta e la bocca piena di sangue che mi impediva il respiro. Non sapevo più se preferivo prendere i colpi al corpo o in faccia. Ma fui stoico e non andai k.o. Nel marzo 1968 Benvenuti battè Griffith nella bella vittoria ai punti dopo 15 riprese tiratissime. La parabola continuò tra alti e bassi, intermezzi di vario tipo (girò anche uno spaghetti-western insieme a Giuliano Gemma) fino a incocciare in uno dei più tremendi picchiatori mai salito sul ring: l'Argentino Carlos Monzon. Amaro l'epilogo a Montecarlo in un piovoso sabato di maggio del 1971: abbandono per lancio della spugna al terzo round. Ma Nino è rimasto nella memoria degli sportivi. Con gli anni il suo carattere istrionico si è addolcito, fatto questo che lo ha portato a rimanere tre mesi in un lebbrosario in India come volontario. «E' stata la mia più grande vittoria», ha detto dopo l'esperienza, «quella dell'umanità».
    HANNO DETTO DI LUI:
    Sandro Mazzinghi: «Nel match di rivincita a Roma il 17 dicembre 1965 fu molto scorretto, nessuna tecnica da parte sua, solo macroscopiche scorrettezze, mai rilevate dall'arbitro suo sicuro alleato. Dopo il match, dal suo camerino invocavano un medico. Mandai il mio. Mi avesse mai detto una parola per quella gentilezza».
    CURRICULUM:
    Giovanni «Nino» Benvenuti è nato a Isola d'Istria (Slovenia) il 26 aprile 1938. Sposato e separato, ha cinque figli. Da dilettante vinse la medaglia d'oro nei welter a Roma nel 1960, in carriera 119 vittorie e una sconfitta. Da professionista: 90 incontri (82 vittorie, 1 pareggio e 7 sconfitte). Campione del mondo dei superwelter e dei medi, campione europeo e italiano dei medi.

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    Edited by gheagabry - 13/11/2012, 18:36
     
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    Campioni Olimpici



    Nadia Comaneci



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    Le Olimpiadi del 1976 passeranno alla storia come i Giochi di Nadia Comaneci, la giovane ginnasta rumena. La fenomenale atleta vinse in quell'occasione tre ori, un'impresa che quasi replicò quattro anni dopo a Mosca con due vittorie. Nadia era una libellula, capace di incantare il pubblico per la sua classe innata. Forgiata da un allenatore-padrone, la ginnasta ne rimase a lungo succube. Con i suoi successi si ingraziò il regime di Ceausescu, ma, diventata l'amante del figlio del "Conducator", fu costretta a subire atroci soprusi che non volle mai ammettere. Un mese prima della caduta del regime fuggi negli Stati Uniti. Oggi vive a Montreal, nella città che l'ha glorificata, dove dirige una scuola di ginnastica. Leggiamo insieme alcuni passi tratti da un articolo che Carlo Gobbi scrisse per la Gazzetta il 20 marzo 1992. "... Naturalmente il regime del dittatore Ceausescu non poteva lasciarsi scappare un boccone così prelibato come la ginnasta più adorata nel mondo intero. Perciò fin dal '76 i rapporti fra la Comaneci e la famiglia Ceausescu diventarono molto stretti. Nadia venne colmata di onori, invitata più volte a palazzo, insignita delle maggiori onorificenze romene. Qualche favore come la casa, poi una villetta a Bucarest, poi una Fiat 127, l'iscrizione all'Università nella scuola di educazione fisica e la carriera di giudice internazionale. E viaggi, ovunque, un pacco postale da esibire a ogni occasione. Fu il periodo di maggior popolarità di Nadia. Nel mondo le palestre di ginnastica si affollavano di adolescenti, portate dalla mamma, nella speranza di trovare la nuova Nadia nella loro figlioletta. In Romania, tutte le bambine giocavano "a Nadia".

    HANNO DETTO DI LEI:


    Nelly Kim, tartara, grande rivale di Nadia agli inizi ella carriera di Nadia: "E' brava, ma antipatica. Vedremo fra qualche anno se riuscirà a mantenersi a questi livelli". Più secco il commento della Comaneci: "Nelly Kim? E chi è?".

    CURRICULUM:


    Nadia Comaneci ha vinto tra Olimpiadi e Mondiali 15 ori, 8 argenti e 3 bronzi. A Montreal '76: oro assoluto, a trave, parallele asimmetriche, argento di squadra e bronzo al corpo libero. A Mosca '80: oro a trave e corpo libero, argento assoluto e argento di squadra. Oro a trave ai mondiali di Strasburgo '78, oro di squadra ai mondiali di Fort Worth '79.

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    Klaus Dibiasi



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    Libellula o angelo? O forse è meglio dire una sorta di superman capace di librare nell'aria senza mantello? Klaus Dibiasi è più forte di qualsiasi appellativo: Klaus Dibiasi è Klaus Dibiasi e basta! Lo straordinario atleta, che vinse tre Olimpiadi, rivoluzionò con il suo stile la specialità dei tuffi. Per quella sua capacità di entrare nell'acqua senza fare spruzzi. Klaus fu il più grande in assoluto: per la sua classe cristallina, per la sua serietà. Lui con il sorriso che lo accompagnava anche quando la tendinite devastava le sue estremità. Eccolo Dibiasi, che ancora vola e si lascia andare a carpiati e piroette. Per comprenderne l'essenza andiamo a leggere un frammento di un articolo che Aronne Anghileri scrisse il 17 aprile 1992, nel punto in cui viene ricostruita la sua prima finale olimpica che gli permise di conquistare a 17 anni la medaglia d'argento a Tokyo nel 1964. "La gara della piattaforma durò tre giorni e due notti, un'eternità per un ragazzo di 17 anni che affrontava il campione olimpico in carica e tutto il meglio al mondo. Due tuffi il primo giorno: Dibiasi è diciottesimo, presentando salti di basso coefficiente. I più importanti giornalisti Italiani, accorsi in massa, erano delusi: "Ce ne avevano parlato tanto bene". Il solito bidone, pensavano. Non conoscevano i meccanismo di gara, i coefficienti di difficoltà, le tattiche. Una notte nel bungalow e altri due tuffi. Klaus passa all'ottavo posto. Al pomeriggio tre salti di maggior difficoltà, e la scalata continua: quinto, secondo, primo posto. Klaus va a letto con questa responsabilità, ci dorme sopra e al mattino del terzo giorno, per la finale, tutte le grandi firme del giornalismo tornano a veder Klaus. Ancora primo all'ottavo salto, è un po' scarso nel tre e mezzo avanti raggruppato e Webster gli passa avanti. Klaus a 17 anni è medaglia d'argento olimpica..." (Aronne Anghileri). Di se scrive...

    HANNO DETTO DI LUI:

    Giorgio Cagnotto, primo, unico avversario italiano e grande amico di Dibiasi: "I tuffi prima di Klaus erano un'altra cosa. Lui li ha cambiati, come i Beatles hanno cambiato la musica. Le sue entrate in acqua, silenziose e fruscianti, che non sollevavano spruzzi, hanno fatto la rivoluzione...faceva "ciuff" e dominava il mondo".

    CURRICULUM:

    Klaus Dibiasi è nato a Solbad Hall, Austria, il 6 ottobre 1947. Ha vinto tre ori olimpici e un argento dalla piattaforma, un altro argento dal trampolino, due mondiali (piattaforma), due europei (piattaforma e trampolino), 18 titoli italiani assoluti e 11 indoor. Klaus esordì nel 1963 e chiuse la carriera nel '76 a Montreal con il terzo alloro olimpico.

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    Valery Borzov



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    Valery Borzov è il primo sprinter sovietico capace di salire sul gradino più alto del podio. Infatti insieme a Pietro Mennea è stato l'ultimo bianco a dominare la pista nelle gare veloci. Nato in Ucraina nel 1950, Valery Borzov si affaccia alla ribalta delle grandi competizioni olimpiche poco più che ventenne, ma sa che mai nessuno della sua amata nazione a mai insidiato la leadership degli atleti statunitensi, che si aggiudicavano sistematicamente, quasi con arroganza, tutte le medaglie in palio. Per raggiungere il sogno di battere sul campo gli avversari, il giovane Valery Borzov, si dedica con abnegazione a massacranti e evolute sedute di allenamento. Biondo e massiccio, è dotato di fasce muscolari possenti al di sopra della media, in grado di sopportare i pesantissimi carichi di lavoro. Così il giovane e determinato Ucraino si sottopone di buon grado a tutti gli allenamenti prestabiliti, che ne migliorano giorno dopo giorno lo scatto in partenza e l'accelerazione progressiva. Tra gli avversari c'è anche chi lo accusa di costruire in laboratorio la sua muscolatura e forza, usando anche sostanze illecite. Ma non mancano nemmeno gli ammiratori, che riconoscono, proprio nelle sedute metodiche di allenamento, l'arma vincente dell'Ucraino, e tra questi c'è proprio il velocista Italiano più rappresentativo, Pietro Mennea. In seguito Borzov disse dell'Italiano suo rivale storico: "Mennea era un atleta ben allenato, io credo che sia stato importante nella storia dello sprint mondiale, perché con me è riuscito a spezzare l'egemonia americana". Si avvicina il grande momento, la Russia mai avrebbe pensato di vedere un suo atleta vincere una gara di velocità, ma nel 1972 a Monaco di Baviera tutto cambiò in meglio. I frutti di un lavoro così massacrante e metodico arrivano a maturazione, l'atleta Valery Borzov, sovietico di soli ventidue anni, con glaciale freddezza e con se l'esperienza di un veterano consumato, vince senza far trapelare un'emozione, i turni eliminatori dei 100 e 200 metri. Nella finale dei 100 metri offre una dimostrazione di evidente superiorità e senza dare neanche l'impressione di spingere a fondo realizza lo straordinario tempo di 10"14 e vince a braccia alzate con oltre un metro di vantaggio sul secondo. Nei 200 metri è ancora più grande, liberato dall'emozione che inconsciamente ne poteva condizionare la prestazione, realizza vincendo di prepotenza, il tempo di 20"00 netti. Con questa straordinaria prestazione cronometrica, suggella la sua incredibile impresa olimpionica, che lo incorona come ultimo re bianco dello sprint mondiale. Si congeda dalle Olimpiadi di Monaco di Baviera aggiudicandosi l’oro nei 100 e nei 200 con delle gare che molti hanno definito "costruite in laboratorio", ma che in realtà non lasciavano spazio agli atleti con minor preparazione fisica.

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    Michael Phelps



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    Il grande nuotatore statunitense Michael Phelps nasce a Baltimora (Maryland, USA) il giorno 30 giugno 1985. Come atleta professionista il suo esordio internazionale arriva alle Olimpiadi di Sydney del 2000: dal 1932 il giovanissimo Phelps, a solo quindici anni, è il più giovane nuotatore statunitense a prendere parte ai Giochi Olimpici. In quella edizione dei Giochi non vince nessuna medaglia: inizierà da lì a poco l'interminabile raccolta di successi in ambito mondiale.

    A cinque mesi di distanza dagli eventi di Sidney, batte il record del mondo dei 200 farfalla. Lo migliora ulteriormente nel 2001 ai Campionati mondiali di Fukuoka (in Giappone). Nel 2002 ai campionati nazionali statunitensi di Fort Lauderdale, ottiene il record del mondo nei 400 misti, oltre ai record nazionali nei 100 farfalla e nei 200 misti.
    L'anno seguente migliora il proprio record sui 400 misti e nel mese di giugno ottiene anche quello dei 200 misti. Non si ferma: nel luglio del 2004 ritocca nuovamente il suo record sui 400 misti durante le selezioni olimpiche americane, che avrebbero portato gli atleti verso i Giochi Olimpici di Atene 2004.

    Ed è proprio ad Atene che ha la ferma intenzione di scolpire il proprio nome nella storia dello Sport. Il ragazzo è conscio che in questa disciplina il suo è uno strapotere: nessuno nasconde i paragoni con l'altro grande nuotatore statunitense di sempre, Mark Spitz, che nel 1972 - alle Olimpiadi di Monaco - vinse ben sette medaglie d'oro, un record mai eguagliato da nessuno. Phelps arriva dunque in Grecia con l'intenzione di infrangere il record di Spitz, forte dell'appoggio della squadra statunitense che nelle staffette è da sempre protagonista.

    Gareggia in otto specialità diverse: 200 stile libero, 100 e 200 farfalla, 200 e 400 misti, e nelle staffette 4x100 stile libero, 4x200 stile libero e 4x100 misti. Compie un'impresa, ma arriva solo vicino al record di Mark Spitz: vince 6 medaglie d'oro e 2 bronzi (nei 200 stile libero e nella 4x100 stile libero). Con un totale di otto medaglie in una sola olimpiade Phelps eguaglia il record del ginnasta russo Aleksandr Dityatin, ottenuto alle Olimpiadi di Mosca nel 1980.

    Relativamente agli eventi di Atene è doveroso riportare alcune annotazioni importanti: nei 400 misti sigla il nuovo record del mondo; nella finale dei 100 farfalla batte il connazionale Ian Crocker per soli quattro centesimi di secondo; il nuotatore che si piazza meglio nella gara individuale è solito compiere la corrispondente frazione nella staffetta 4x100 misti, ma Phelps esausto per le molte gare cede la frazione a farfalla a Crocker: la squadra statunitense vincerà la gara stabilendo il record del mondo, ma poiché, anche mancando nella finale, aveva partecipato alle gare di qualificazione della staffetta mista, a Phelps viene assegnata la medaglia d'oro assieme ai compagni che hanno disputato la gara finale.

    Nel 2005 partecipa ai campionati mondiali di Montreal, Canada, vincendo quattro titoli: due individuali (200 stile libero e 200 misti) e due in squadra (4x100 e 4x200 stile libero).

    Due anni dopo (2007) ai mondiali di nuoto di Melbourne in una sola settimana di gare stabilisce cinque primati mondiali: nei 200 stile libero (frantuma il precedente primato dell'australiano Ian Thorpe), nei 200 farfalla , nei 200 misti, nella staffetta 4x200 stile libero, e infine nei 400 misti. Altre due medaglie d'oro giungono dai 100 farfalla e dalla staffetta 4x100 stile libero. In totale porta a casa un numero complessivo di sette medaglie d'oro conquistate. L'obiettivo dichiarato delle otto medaglie d'oro sfuma a causa della squalifica della squadra americana dalla staffetta 4x100 misti, avvenuta nella batteria di qualificazione per una partenza anticipata di Ian Crocker.

    La sua rincorsa a Mark Spitz è uno dei temi più forti delle Olimpiadi cinesi di Pechino 2008. Il 10 agosto vince l'oro nei 400m misti stabilendo il record del mondo. Si ripete il giorno dopo con la vittoria ed il record del mondo nella staffetta 4x100m stile libero. Il 12 agosto vince l'oro nella prova dei 200m stile libero, segnando un nuovo tempo mondiale. Due ori il giorno successivo, sia nei 200m farfalla sia nella staffetta 4x200m stile libero: ancora con due nuovi record del mondo. Il 15 agosto domina la finale dei 200m misti conquistando anche in questa gara oro e primato mondiale. Il giorno dopo vince i 100m farfalla per un solo centesimo (questa volta senza record del mondo). Con questa medaglia eguaglia l'incredibile primato che era di Spitz. Ma il 17 agosto arrivano un nuovo record e l'ottavo oro nella finale della 4x100m misti.

    Michael Phelps entra definitivamente nell'albo delle leggende olimpiche come l'atleta che ha vinto più medaglie d'oro in una singola olimpiade. Diventa anche l'atleta ad aver vinto più medaglie olimpiche in carriera (sedici), superando il ginnasta sovietico Nikolay Andrionov.

    Un po' di clamore ha suscitato poi la sua rivelazione che la sua dieta conta circa 12000 calorie giornaliere, quasi sei volte la quantità standard di un uomo adulto.

    Un record che gli è sempre sfuggito è quello dei 100 metri farfalla: arriva finalmente nel mese di luglio 2009, nel corso dei campionati americani, quando Phelps ferma il cronometro sui 50"22. Il precedente primato mondiale era del 2005 e apparteneva a Ian Crocker (anch'egli statunitense).

    Alle Olimpiadi di Londra 2012 infrange un altro record: il 31 luglio ottiene un oro nei 4x200 stile e un argento nei 200 farfalla, raggiunge la quota totale di 19 medaglie olimpiche vinte in carriera entrando nella storia dei Giochi e dello sport come l'atleta più medagliato di sempre; incrementa poi il suo record nei giorni successivi portando il totale delle medaglie a 22.

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    www.olimpiadi.it - http://biografieonline.it

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    Edited by gheagabry - 13/11/2012, 18:39
     
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    Campioni Olimpici

    Graziano Mancinelli



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    Graziano Mancinelli nasce a Milano il 18 Febbraio 1937. Di lui si è detto tanto, forse troppo. Amato, odiato, esaltato, invidiato, ma soprattutto messo a confronto con i grandi dell'equitazione italiana: Piero e, soprattutto, Raimondo D'Inzeo. L'impressione su di lui è sempre stata una e sola: Graziano Mancinelli era simile a un cavallo, pensava, come un cavallo, era sensibile e diffidente come un cavallo, annusava l'aria, il campo di gara, come fa il cavallo, e tutt'uno con quell'essere che rappresentava una parte di sé sapeva cosa poteva chiedere fino a spingersi oltre, al limite del possibile, ma senza sforzo perché anche il cavallo voleva raggiungere lo stesso obiettivo: la vittoria! Questa sua profonda conoscenza dei cavalli e soprattutto questa sua capacità di penetrarli doveva derivargli dai suoi esordi, quando giunto a Roma, presso la Farnesina, pensava al governo e alla distribuzione della biada. Il battesimo della sella avviene una domenica d'Ottobre. Un vecchio animale della scuola dal nome spettrale, "Avvoltoio", si libera subito dell'intruso con una sgroppata secca e Graziano finisce a terra. È il momento in cui il giovane comprende quanta determinazione occorre per rimanere in sella, non solo nell'equitazione, ma anche nella vita e nel rapporto con la gente. Sono stati anni di sofferenze in sella a cavalli mediocri, bolsi, riottosi. Il ragazzo tutt'ossa però, con una gran testa coperta da un mucchio di capelli tagliati a spazzola, ambizioso, instancabile, sa farsi notare e fa parlare di sé quando cominciano ad arrivare le vittorie. Graziano ha talento, e più vince e più sorge il disappunto, l'incomprensione, l'invidia. Sente che l'atmosfera gli è ostile e di sicuro sarà questo a incidere nell'animo del giovane atleta lasciando un segno indelebile, rendendolo sempre più duro, affabile ma staccato, capace di porre sempre un diaframma tra sé e la gente ma sempre più vicino al silenzio e alla fiducia dei suoi compagni cavalli. L'atleta non ha tempo per le chiacchiere, parla poco con tutti, ogni parola gli costa fatiche inenarrabili, si esprime con scarni monosillabi pronunciati quasi senza voce. È tutto concentrato verso l'agonismo e l'affermazione: lui va, rischia e vince sui campi di tutto il mondo. Il suo stile non è spesso da manuale ma è entusiasmante, trascinante, indiavolato e nel suo genere perfetto. Le sue mani "tumultuose" sono sempre coerenti, mai contrastano il cavallo, perché la loro azione è del tutto indipendente dalle spalle, dal corpo che conserva l'esatta inclinazione intesa a non alterare mai l'equilibrio dell'animale e a non compromettere l'impulso. A volte sull'ostacolo la gamba "vola" indietro e così a metà della parabola pare quasi sfiorare la sella. Eppure non è mai staccato, non è mai indietro né avanti, è sempre insieme e questo non soltanto fisicamente ma anche mentalmente. Sostiene Mancinelli: "quando lavoro la mia gamba è a posto ma in gara è un'altra cosa, bisogna passare a tutti i costi e non si può fare dello stile. Lo stile, sovente, sui percorsi d'oggi provoca delle piantate". Mancinelli è un agonista straordinario, in apparenza freddo, ma in sostanza nervoso per ricchezza di temperamento, severo con sé ma capace anche di animare un grande ardore e di imporre una serietà profonda nei suoi collaboratori, nei suoi allievi. C'è in lui qualcosa di amaro e di ingenuo insieme, qualcosa di drammatico che rende i suoi percorsi persino allucinanti all'estrema tensione. In campo è sicuro, spavaldo, fiero, come dominato da un demone che lo anima e lo infiamma, poi finito quel breve momento nel quale non si accorge della gente che lo intimidisce. Fu Elke a lanciarlo nelle grandi gare, a passare i 2 metri e 18 in potenza. Debuttò con lei a Lucerna nella Coppa delle Nazioni. Alla prima manche solo tre netti: Winkler con Halla, Thiedemann con Meteor, lui con Elke. Nel frattempo il suo stile si faceva sempre più anti stile, nelle sue diverse "interpretazioni". Quasi un equilibrista: decisioni prese istante per istante, nella frazione di secondo e attuate come se fossero state meditate da sempre. Una posizione in sella mutevole, variabile consente la libertà assoluta e le sue mani scendono al compromesso, come quelle di un direttore d'orchestra nell'interpretazione di brani difficili. Poi fu la volta di essere Turvey, il suo capolavoro, un purosangue che gli morì in campo, terribile di carattere, ma che Mancinelli aveva compreso con estrema sottigliezza psicologica, con altissima bravura meccanica. La sua miglior interpretazione fu Ambassador, il cavallo del cuore con il quale raggiunse la "sua grande occasione", che lo portava a eguagliare i maestri. Oro olimpico nel 1972 a Monaco. Ambassador aveva otto anni, un grande cavallo grigio pomellato di origine irlandese, con una fluttuante coda bianca. Il suo precedente cavaliere, Tommy Brennan, lo aveva dichiarato "incedibile" ma Graziano lo volle a tutti i costi, un vero e proprio colpo "di fulmine", e lo ottenne grazie anche all'aiuto, a questo punto fondamentale, del suocero, senza il quale la sua storia sarebbe stata diversa. Nell'equitazione il binomio cavallo/cavaliere non è mai marginale, nel caso di questi due campioni, la gara del 1972 fu la sintesi di una grande intesa e forse, da parte del cavallo, di una opportuna riconoscenza. "Non dimenticherò mai quella medaglia d'oro, la porto nel mio cuore" ripeteva spesso. Graziano, in vita, era una persona generosa, aprì un negozio al fratello, dette un impiego a suo padre e lustro al tricolore italiano nel mondo, infine, permise ai suoi cavalli di entrare nella leggenda. Graziano Mancinelli si spegne a Concesio (BS), l'otto Ottobre del 1992 ma le sue gesta rimarranno per sempre nella storia dell'equitazione mondiale.

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    Vincenzo Maenza



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    Vincenzo Maenza, quando entrò in palestra aveva solo 12 anni, una lieve scoliosi e pesava 27 chili. Appena diciottenne partecipò alle sue prime Olimpiadi, quattro anni dopo, nel 1984 a Los Angeles, vinse la medaglia d'oro e sul gradino più alto del podio, a Seul '88, c'era di nuovo lui. A Barcellona, nel 1992, ha invece vinto l'argento. Categoria 48 Kg., perché un colosso Vincenzo Maenza non lo è mai diventato, ma un grande sì, in uno sport povero, uno sport da poveri che lascia poveri anche dopo le medaglie ovvero la lotta greco-romana. Nato nel 1962 a Imola, vive a Faenza con il padre barbiere e la nonna Provvidenza: la madre sedicenne lo ha abbandonato alla nascita; poi arriveranno una moglie per il padre e tre fratellini per Vincenzo e Antonio Randi che lo porterà in quella palestra dove sparirà la scoliosi e nascerà un campione. Ma che vita complicata quella di "Pollicino", come è stato ribattezzato per le sue dimensioni che lo collocano nella categoria dei minimosca. Dieta, sauna, allenamento, viaggi, gare: dieci mesi lontano da casa, dai tortellini della nonna, da Roberta e dai suoi bambini Yuri e Danny. Una vita dura e un coraggio che nasce da un rifiuto, come già accennato, della madre (che si farà viva solo dopo l'oro di Los Angeles) e che ricomparirà ogni volta che Maenza salirà sul materassino. Quel tarlo tornerà ciclicamente a torturarlo, dandogli quella potente motivazione che è necessaria per resistere in una disciplina così faticosa. Il suo ragionamento è questo: "Tutti gli altri sport, come il calcio, si fanno per piacere. La lotta no! La lotta o la si odia o la si ama. La lotta necessita di una convinzione sovrumana per fare bene e per riuscire. Di motivazioni che stanno dentro di te […] è la tua sfida contro il tuo malessere, contro i tuoi incubi, contro il nemico interno". Sono arrivate così le vittorie ai campionati italiani, agli Europei, ai Giochi del Mediterraneo, e quelle splendide medaglie olimpiche, grazie anche alla cura quotidiana di un direttore tecnico come Vittoriano Romanacci e all'allenatore bulgaro Guro Gurov. Le vittorie sono lì, eppure la vita continua a essere difficile: pochissimi soldi per gli sport poveri, nessuna garanzia per il futuro, quando arriverà l'ora di lasciare l'attività sportiva, la difficoltà di trovare un impiego, quando non si è andati a scuola e neppure le forze armate ti vogliono se non sei alto almeno un metro e sessantacinque. Pollicino è più piccolo e per anni crede alle lusinghe di una banca che gli ha promesso un posto, che non arriverà mai, a fine carriera. Si arrabbia Maenza, ripensando ai dirigenti sportivi presenti e commossi alle sue gare vittoriose, alla loro assenza nei quattro anni tra un'Olimpiade e l'altra. Mai una notizia di lotta greco-romana sui giornali, mai che si parli di questi sport che poi, al momento buono, riescono a risollevare il prestigio di una nazione. Non è facile fare i conti con il proprio orgoglio pensando a quanti guadagni e quante sicurezze abbiano sportivi che non hanno mai dovuto soffrire e lavorare quanto lui. Vincenzo Maenza è comunque stato, e sempre sarà, un grande e questo nessuno potrà mai toglierglielo. Leggi la cronaca di una delle sue più belle vittorie.

    Medagliere:

    1978 - 2° Posto Torneo MEC Olanda.

    1979 - Argento ai Giochi del Mediterraneo a Spalato.

    1981 - Bronzo Europeo – Bursa.

    1982 - Oro mondiale – Caracas.

    1983 - Oro ai Giochi del Mediterraneo a Casablanca.

    1984 - Oro olimpico Los Angeles.

    1984 - 1° Posto Coppa CEE Atene.

    1984 - Bronzo europeo in Svezia.

    1985 - Oro Supercampionato del Mondo a Tokyo.

    1986 - Bronzo europeo in Atene.

    1987 - Oro europeo a Tampere.

    1987 - Oro ai Giochi del Mediterraneo in Siria.

    1987 - Argento mondiale in Francia.

    1988 - Oro olimpico Seoul.

    1989 - 2° Posto Festival mondiale – Colorado.

    1991 - Bronzo ai Giochi del Mediterraneo.

    1992 - Argento olimpico Barcellona.

    Medaglia d'Onore al Merito Sportivo

    Su Internet si dice di lui:

    Virgilio.it: Il lottatore azzurro più famoso è Vincenzo Maenza, soprannominato da amici e tifosi "Pollicino" per la sua corporatura piccolina. Maenza vinse due Olimpiadi nel 1980 e nel 1984 nella categoria mini-mosca.

    Casaitalia: Vincenzo Maenza, lotta greco-romana, ha partecipato a quattro Olimpiadi, da Mosca a Barcellona e, tranne la prima dove era molto giovane, è sempre andato in finale, vincendo due volte l'oro e un argento rendendo, così, grande la disciplina della lotta greco-romana.

    Il Resto del Carlino (sito web): Tre medaglie olimpiche nel cassetto, due d'oro e una d'argento, fanno di Vincenzo Maenza lo sportivo faentino più grande di tutti i tempi. Nessuno in campo internazionale ha vinto quanto "Pollicino", che negli anni Ottanta vinse i Giochi di Los Angeles 1984 e di Seul 1988 nella categoria dei 48 chili della lotta greco-romana, perdendo la finale di Barcellona 1992 soltanto per una piccola ma fatale disattenzione.

    www.arti-marziali.com: Vincenzo è uno di quelli che ha vinto. Nonostante tutto.

    www.hapkido.it: Senza ombra di smentite stiamo parlando del più grande lottatore che l'Italia e, consentitemi, il Mondo abbia mai avuto. Grazie Vincenzo!

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    Edoardo Mangiarotti



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    Edoardo Mangiarotti nasce a Milano il 7 aprile 1919 e ad oggi è lo sportivo nazionale più prolifico di tutti i tempi. Figlio di Giuseppe Mangiarotti, maestro d'arme e schermidore di prestigio internazionale nel periodo del primo dopoguerra la quale importò in Italia le varianti della scuola francese di scherma, ne segue le orme mostrandosi fin da subito un talento naturale. Con i due fratelli crebbe sotto l'insegnamento severo del padre apprendendone alla perfezione le sofisticate tecniche. È l'italiano che ha vinto il maggior numero di medaglie nelle olimpiadi e nei campionati mondiali. Questo il suo straordinario palmares: 13 medaglie olimpiche (6 ori, 5 argenti e 2 bronzi) e 26 iridate (13 ori, 8 argenti e 5 bronzi). Mangiarotti, in tutto, ha vissuto sedici edizioni estive dei Giochi Olimpici. La prima a 17 anni (1936) nella Berlino nazista con un titolo a squadre, quindi altre quattro da atleta, di cui due come portabandiera (1956-1960), altre cinque come dirigente federale e giornalista della Gazzetta dello Sport e, per le sei seguenti, come invitato dal Comitato Olimpico. Nel 1959/1960 ha fatto parte del comitato di gestione della Federazione Italiana Scherma (FIS) nominato dal CONI insieme a Gastone Darè e Renzo Nostini. A 89 anni, compiuti il 7 aprile 2008, gli sono stati consegnati i biglietti aerei per Pechino. A fermarlo non è bastato il caldo afoso, il lungo volo e nemmeno l'ictus cerebrale che solo cinque mesi prima lo aveva inchiodato in un letto, incapace di qualsiasi forma di espressione. La forza di volontà, l'amore per lo sport e per i Giochi l'hanno fatto reagire, ricominciare a muoversi e parlare correttamente. Dopo 72 anni di cerchi olimpici, a Pechino, ha firmato il suo diciassettesimo sigillo consecutivo. Non esiste alcun dirigente né atleta che abbia presenziato, sotto varie vesti, tante edizioni. Pure questo è un record. Unico cruccio è quello di non essere mai riuscito a sconfiggere il fiorettista francese Christian d'Oriola. Edoardo Mangiarotti è il simbolo sportivo Italiano per eccellenza e con le sue gesta sarà ricordato come un uomo che con ardore professionale ha dedicato la sua forza e tecnica a uno sport nobile e romantico.

    Medagliere olimpico:

    Olimpiade di Berlino 1936: Spada - Oro a Squadre.

    Olimpiadi di Londra 1948: Fioretto - Argento a Squadre. Spada - Bronzo Individuale. Spada - Argento a Squadre.

    Olimpiade di Helsinki 1952: Fioretto - Argento Individuale. Fioretto - Argento a Squadre. Spada - Oro Individuale. Spada - Oro a Squadre.

    Olimpiade di Melbourne 1956: Fioretto - Oro a Squadre. Spada - Bronzo Individuale. Spada - Oro a Squadre.

    Olimpiade di Roma 1960: Fioretto - Argento a Squadre. Spada - Oro a Squadre.

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    Bud Spencer



    Bud_Spencer
    Bud Spencer (il cui vero nome è Carlo Pedersoli), nasce a Napoli il 31 ottobre 1929. La famiglia è discretamente benestante: il padre era un uomo d'affari che, malgrado i numerosi tentativi, non riuscì ad acquisire una vera ricchezza a causa soprattutto delle due guerre mondiali che dovette affrontare e che influirono non poco sull'andamento dei suoi affari. Bud Spencer ha anche una sorella, Vera, anch'essa nata a Napoli.

    Nel 1935 il piccolo Bud frequenta le scuole elementari nella sua città, con buoni risultati, poi, appassionato di sport, solo pochi anni dopo diventa membro di un club locale di nuoto, vincendo fin da subito alcuni premi.

    Nel 1940 la famiglia Pedersoli lascia Napoli per affari e si sposta a Roma. Il padre ricomincia da zero. Carlo inizia le scuole superiori ed entra contemporaneamente in un club di nuoto romano.
    Completa gli studi con il massimo dei voti. Non ancora diciassettenne passa un difficile esame all'Università di Roma e comincia a studiare Chimica. Nel 1947, però, i Pedersoli per ragioni di lavoro si spostano in Sud America e Carlo è costretto a lasciare l'Università. A Rio lavora ad una catena di montaggio, a Buenos Aires come bibliotecario, e infine come segretario all'ambasciata italiana in Uruguay.

    Un club di nuoto italiano lo reclama a gran voce e il futuro Bud Spencer torna in Italia, diventando campione italiano di nuoto a rana. In quegli anni (tra la fine degli anni '40 e l'inizio dei '50) vince il campionato nei cento metri stile libero, ed è il primo italiano ad abbattere la soglia del minuto. Deterrà il titolo fino alla fine della carriera.

    Carlo Pedersoli non dimentica però gli studi e si iscrive nuovamente all'Università, questa volta in Giurisprudenza. Contemporaneamente ha fortunosamente la possibilità di entrare a far parte del magico mondo del cinema, grazie al suo fisico possente e scultoreo. Ha così modo di recitare per la prima volta in un film di produzione hollywoodiana, il celebre "Quo Vadis" (nel ruolo di una Guardia Imperiale).

    Intanto, nel 1952 partecipa anche alle Olimpiadi di Helsinki come membro del team italiano (anche nella squadra di pallanuoto), che diviene campione europeo.
    Dopo le Olimpiadi, con altri promettenti atleti viene invitato alla Yale University. Passa alcuni mesi negli Stati Uniti e poi, quattro anni dopo, eccolo alle Olimpiadi di Melbourne dove raggiunge un rispettabile undicesimo posto.

    Dotato di una volontà di ferro, malgrado tutti questi numerosi impegni riesce a laurearsi finalmente in Legge. Da un giorno all'altro decide però di cambiare vita, quella routine gli sta stretta: in primis, comincia a non sopportare più i massacranti e monotoni allenamenti in piscina.

    Raggiunge quindi il Sud America, forse perché a quelle terre si sentiva particolarmente legato. Rivoluzionando davvero tutto il suo mondo e le sue priorità, lavora per nove mesi per una impresa americana intenta in quel periodo a costruire una strada che legasse Panama a Buenos Aires (la strada diventata poi famosa come la "Panamericana"). Dopo questa esperienza trova un altro lavoro per una ditta automobilistica a Caracas, fino al 1960.

    Agli inizi degli anni '60, il futuro attore, ritorna a Roma. Qui sposa Maria Amato, di sei anni più giovane, conosciuta quindici anni prima. Nonostante il padre di Maria sia uno dei più affermati produttori cinematografici italiani, Bud inizialmente non è interessato al cinema. Firma invece un contratto con la casa musicale RCA, e compone canzoni popolari per cantanti italiani. Scrive anche qualche colonna sonora. L'anno dopo nasce Giuseppe, il primo figlio, mentre nel 1962 arriva la figlia Christiana. Due anni più tardi scade il contratto con la RCA e muore il suocero. Carlo è spinto a buttarsi negli affari, producendo documentari per la RAI italiana.

    Nel 1967 Giuseppe Colizzi, un vecchio amico, gli offre un ruolo in un film. Dopo qualche esitazione, accetta. Il suo partner di lavoro sul set è uno sconosciuto Mario Girotti, in procinto di diventare per il mondo il ben noto Terence Hill, scelto per sostituire Peter Martell (Pietro Martellanza) vittima di un incidente a cavallo durante alcune riprese. Il film è "Dio perdona... io no!", la prima pellicola di quella che diverrà la coppia più spassosa e divertente per questo nuovo genere western.

    Le due star, però, nelle presentazioni in locandina cambiano i nomi, considerati troppo italiani per la provinciale Italia di allora. Per fare colpo, per rendere più credibili film e personaggi ci vuole un nome straniero ed ecco allora che Carlo Pedersoli e Mario Girotti diventano Bud Spencer e Terence Hill. Il cognome è scelto dallo stesso Carlo, che da sempre è un fan sfegatato di Spencer Tracy. "Bud", invece, che in inglese significa "bocciolo", è scelto per puro gusto goliardico, ma si intona perfettamente alla sua corpulenta figura.

    Nel 1970 la coppia gira "Lo chiamavano Trinità", con la regia di E.B. Clucher (Enzo Barboni), un vero e proprio "cult" che non solo ebbe un enorme un successo in tutta Italia, ma che tutt'ora viene annualmente replicato sulle televisioni nazionali, sempre con ottimi indici di ascolto, a testimonianza dell'amore e del gradimento che il pubblico manifesta per i due. A detta degli storici del cinema, inoltre, questo divertente western (a dispetto del titolo, si tratta di una spassosa commedia ambientata nel west che prende un po' in giro gli stereotipi del genere), segna la fine dei brutali "Spaghetti-western" precedenti.

    L'anno successivo la consacrazione assoluta arriva anche con il seguito del film; "...Continuavano a chiamarlo Trinità", sempre con la regia di E.B. Clucher, che sbanca i botteghini del cinema europeo. Ormai Bud Spencer a Terence Hill sono delle vere e proprie star internazionali.

    Finita l'ondata western c'è il pericolo che la coppia non sfondi in altri generi cinematografici, ma presto questa ipotesi viene smentita e, tra il 1972 e il 1974, con "Più forte ragazzi", "Altrimenti ci arrabbiamo" e "Porgi l'altra guancia" di nuovo sono ai primi posti dei film visti nelle sale cinematografiche italiane.

    Nel 1972 nasce Diamante, la seconda figlia di Bud. L'anno dopo gira il primo film della serie "Piedone lo sbirro", creato a partire da una sua stessa idea (Bud Spencer collaborerà alla stesura di tutti gli episodi seguenti).

    Fra le varie passioni dell'attore c'è anche il volo (nel 1975 ottiene una licenza di pilota per l'Italia, la Svizzera e gli Stati Uniti), ma c'è anche la mai dimenticata canzone. Nel 1977 scrive per il suo film "Lo chiamavano Bulldozer" alcune canzoni (una di queste viene cantata da lui stesso).

    A sei anni di distanza dal successo dei due Trinità, Bud e Terence ritornano a essere diretti da E.B. Clucher nel film "I due superpiedi quasi piatti", riscuotendo un buon successo di pubblico, mentre negli anni seguenti girano altri due film insieme: "Pari e Dispari" e il mitico "Io sto con gli Ippopotami" del compianto Italo Zingarelli.

    Dopo vari progetti andati a vuoto per far riunire la coppia, Bud Spencer e Terence Hill si ritrovano sul set diretti dallo stesso Terence Hill per un altro western: "Botte di Natale", che non riesce a rinverdire i vecchi fasti.

    Nel 1979 Bud Spencer ottiene il premio Jupiter come star più popolare in Germania, mentre nel 1980, a circa dieci anni di distanza dall'ultimo film western, torna al vecchio genere con il film "Buddy goes West".

    La sua ultima pregevolissima interpretazione risale al 2003, nel film "Cantando dietro i paraventi" di Ermanno Olmi.

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    Livio Berruti



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    Campione italiano di atletica leggera, Livio Berruti nasce a Torino il 19 maggio 1939. Il suo nome è inciso in modo indelebile nella storia dello sport nazionale dal 1960, quando vinse alle XVII Olimpiadi di Roma la gara dei 200 metri. Quella vittoria fu simbolica anche perchè Berruti spezzò il dominio statunitense in quella specialità e fu il primo atleta italiano a gareggiare e vincere una finale olimpica.

    La famiglia apppartiene alla buona borghesia piemontese; Livio inizia a praticare sport al Liceo Cavour di Torino. Presto attratto dall'atletica leggera, la disciplina che più lo appassiona è il salto in alto.
    Inizia anche a frequentare il centro sportivo della Lancia nella speranza di poter praticare il tennis. Poi a diciassette anni sfida per gioco il campione della scuola nei 100 metri piani: lo batte.
    Scoperto il proprio talento nella velocità, si dedica a questa specialità. Alla fine dell'anno scolastico sarà uno dei migliori velocisti dell'Italia intera. Quell'esplosività nelle caviglie covata con il salto in alto sarà una qualità che si renderà preziosa nelle partenze.

    Ha solo diciotto anni quando nel 1957, a quasi 20 anni di distanza, eguaglia il record italiano dei 100 metri (10"4) stabilito nel 1938 da Orazio Mariani.
    Il padre Michele quando viene a sapere che facevano provare i 200 metri al figlio, invia una lettera allo staff della Nazionale, diffidandoli dal proseguire, preoccupato per il gracile fisico di Livio. Non gli daranno retta.
    Nel 1958 abbassa il record di un decimo: il tempo di 10"3 vale a Berruti il primato mondiale juniores.

    Passa un anno ed eguaglia, prima, e migliora, poi, il record italiano dei 200 metri: a Malmoe in Svezia, porta il tempo a 20"8.
    All'Arena di Milano, su una pista di 500 metri (quindi con curva più breve), corre in 20"7. A Duisburg supera nei 100 metri il fortissimo Hary; nei 200 batte il francese Abduol Seye, detentore del miglior tempo europeo.

    Alla fine del mese di maggio 1960 corre a Verona in 10"2 i 100 metri, stabilendo un nuovo primato italiano; poi però viene sconfitto a Londra sulla stessa distanza da Radford. A Varsavia conferma il 20"7 nei 200.
    Si avvicinano le Olimpiadi: Aristide Facchini, tecnico della squadra delle Fiamme Oro e suo allenatore, convince Berruti a puntare solo sulla gara dei 200 metri, senza correre i 100.

    Arrivano finalmente i Giochi Olimpici di Roma: i principali antagonisti sono i tre statunitensi Norton, Johnson e Carney, oltre ai due europei Radford e Seye. Berruti gioca "in casa" e, forte dell'incitamento del pubblico, realizza i migliori tempi sia in batteria, sia nei quarti di finale. Il grande favorito sembra essere comunque Seye, il quale domina la prima semifinale; nella seconda semifinale Berruti deve lottare anche mentalmente con il fatto di trovarsi ai blocchi con a fianco tre detentori del primato del mondo: Norton, Johnson e Radford. Corre una curva perfetta e quando entra nel rettilineo, una colomba si leva in volo proprio dalla corsia dell'italiano. Berruti, che è solito farsi notare indossando occhiali scuri e calzini bianchi, domina la corsa e, pur non spingendo sino in fondo sul suo acceleratore, conclude eguagliando il vigente record mondiale di 20"5.
    Sono passate solo poche ore dalla semifinale: sono le ore 6 nel pomeriggio di sabato 3 settembre quando parte la finale. Berruti, 180 cm per 66 kg, sembra divorare la curva: all'ingresso del rettilineo è in testa. Seye e Carney stanno rimontando, ma è Livio Berruti che taglia il traguardo del filo di lana per primo. Fa segnare nuovamente il tempo di 20"5.
    Prima di questo giorno nessuno sprinter azzurro è mai riuscito a entrare in una finale dei Giochi Olimpici. Bisognerà attendere Pietro Mennea nel 1980 per eguagliarlo.

    A coronamento della sua Olimpiade, Berruti parteciperà (con Sardi, Ottolina e Colani) alla staffetta 4x100: la squadra manca per un centesimo la medaglia di bronzo, ma stabilisce con 40"0 il nuovo primato italiano.

    Per la sua storica prestazione riceve una "500" dalla Fiat, 800.000 Lire dal CONI per la medaglia d'oro e 400.000 Lire per il record mondiale.

    La carriera agonistica di Berruti attraversa poi fasi alterne. Si presenta nella sua forma migliore alla vigilia dei Giochi Olimpici di Tokyo 1964: corre la semifinale in 20"78 arrivando quinto nei 200 metri, primo bianco e primo europeo. Con la squadra di staffetta 4x100 arriva settimo e abbassa il record nazionale a 39"3.

    Il 1968 è il suo ultimo anno ad alto livello. Corre i 200 m in 20"7 a Trieste e partecipa alle Olimpiadi di Città del Messico: ancora una volta con la staffetta 4x100 arriva settimo e ottiene un nuovo primato italiano (39"2). I problemi ai tendini si fanno più acuti e decide di ritirarsi.

    A 45 anni di distanza in occasione delle Olimpiadi invernali di Torino 2006, Berruti è uno degli ultimi tedofori che apre la manifestazione.

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    Edited by gheagabry - 13/11/2012, 18:43
     
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    10_Top_campioni

    I Campioni Olimpici



    Suzanne Lenglen



    Suzanne_Lenglen
    Suzanne Rachel Flore Lenglen, prima grande campionessa internazionale del prestigioso sport del tennis, nata a Parigi il 24 maggio 1899, in dodici anni di carriera (dal 1914 al 1926) non fu mai battuta.
    Ha vinto sei titoli di singolare e sei titoli di doppio a Wimbledon, sei di singolare e tre di doppio al Roland Garros, oltre a tre medaglie alle Olimpiadi di Anversa 1920 (oro nel singolare, oro nel doppio misto, bronzo nel doppio).
    Suzanne Lenglen vince il suo primo titolo mondiale all'età di quindici anni.
    Il suo gioco non aveva niente di quello blando e fragile delle giocatrici del suo tempo.

    Suzanne serviva dall'alto, giocava palle violente e precise e, anche grazie alla sua coordinazione acquisita alla scuola di danza, scendeva a rete con rapidità e leggerezza.

    La straordinaria elevazione le consentiva inoltre di raggiungere agevolmente gli ingenui pallonetti che le avversarie le indirizzavano.

    Nonostante il suo tennis atletico e potente, Suzanne Lenglen era molto femminile. Scendeva in campo con elegantissime creazioni del sarto Patou ed avvolgeva il capo con turbanti di seta.

    La sua avvenenza era proverbiale a dispetto di un viso non bellissimo.

    La carriera della francese ebbe fine a Wimbledon il 28 giugno 1926, dopo essersi rifiutata di giocare alla presenza della Regina per una questione di orari.
    Suzanne Lenglen se ne andò da Londra avversa da tutti: dal pubblico, dalla stampa e dalla stessa famiglia reale.

    Rientrata a Parigi dopo la parentesi matrimoniale negli Stati Uniti, aprì una scuola di tennis che diresse applicando le metodologie proprie della danza.

    Suzanne Lenglen moriva di leucemia il 4 luglio 1938, nei giorni in cui si stava giocando il torneo di Wimbledon.

    Ai suoi funerali partecipò tutta Parigi. Poco dopo la sua scomparsa, in una via di Nizza apparva una nuova targa, "Avenue Suzanne Lenglen": l'ultimo omaggio della Francia per un mito sportivo destinato a giungere sino ai giorni nostri.

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    Johnny Weissmuller



    Johnny_Weissmuller
    Figlio di Petrus Weissmüller e Ersebert Kersch, János Weißmüller nasce il 2 giugno 1904 a Freidort, città parte dell'Impero austro-ungarico che oggi si trova in Romania sotto il nome di Timisoara. A pochi mesi dalla nascita del piccolo János la famiglia emigra negli Stati Uniti partendo dal porto di Rotterdam. Sono i primi giorni del 1905; dopo una traversata di dodici giorni arriva a New York. Nei registri dell'immigrazione vengono iscritti come Peter, Elizabeth e Johann Weissmuller.

    Johnny ed il fratello sin da piccoli mostrano una grande passione per il nuoto ed in seguito al trasferimento a Chicago frequentano molto spesso le spiagge del Lago Michigan. Johnny frequenta la piscina dello "Stanton Park" vincendo tutte le gare di nuoto a cui partecipa. A dodici anni entra nella squadra della YMCA. Weissmuller abbandona presto gli studi e comincia a lavorare al "Plaza Hotel" di Chicago come fattorino e addetto agli ascensori.
    Continua ad allenarsi all'Illinois Athletic Club, sognando di poter un giorno partecipare alle Olimpiadi, e mette a punto il suo rivoluzionario crawl.

    Il 6 agosto 1921 debutta ai campionati statunitensi per dilettanti e vince le 50 yard a stile libero. Johnny è convinto che l'essere nato in Europa possa precludergli la convocazione nella squadra olimpica statunitense, di conseguenza dichiara di essere nato a Windber, in Pennsylvania, e dà come data di nascita quella di Peter Jr., suo fratello minore. Così facendo ottiene il passaporto e la possibilità di partecipare alle Olimpiadi.

    Il 9 luglio 1922 arriva il primo grande successo: batte il record del mondo dei 100 metri stile libero dell'hawaiano Duke Kahanamok. Alle Olimpiadi del 1924 vince tre ori: nei 100 m stile libero, nei 400 m stile libero e nella staffetta 4 x 200 m. Si aggiudica anche una medaglia di bronzo come componente della squadra di pallanuoto. Alle Olimpiadi del 1928 si aggiudica altri due titoli olimpici.
    La sua carriera agonistica si può riassumere così: 5 ori e un bronzo alle Olimpiadi, 52 titoli nazionali statunitensi e 67 record mondiali. Non perde mai una gara, rimanendo imbattuto.

    La fama ottenuta porta Johnny Weissmuller nel mondo delle sponsorizzazioni e nel 1929 firma un contratto con una marca di costumi da bagno, come modello e uomo immagine, girando il paese per fare esibizioni di nuoto, distribuire volantini promozionali, firmare autografi e partecipare a trasmissioni televisive. Sempre nello stesso anno fa la sua prima apparizione cinematografica nel film "Glorifying the American Girl" in cui indossa solo una foglia di fico. Interpreta sé stesso nel primo episodio di "Crystal Champions", una serie di cortometraggi dedicati ai campioni olimpici girati a Silver Springs, in Florida.

    Attore di limitate capacità, ma perfetto nei ruoli che gli vengono affidati, la Metro Goldwyn Mayer lo ingaggia all'ultimo momento in sostituzione di Herman Brix, che si infortuna poco prima delle riprese, e lo mette sotto contratto per sette anni segnando l'inizio della sua grande carriera cinematografica scritturandolo per il ruolo di Tarzan nel film "Tarzan l'uomo scimmia" (del 1932) dandogli pronta fama in tutto il mondo.

    Weismuller conferisce al personaggio nato dalla fantasia di Edgar Rice Burroughs una naturale spontaneità, unendo alla prestanza fisica e all'agilità atletica la giusta dose di lealtà e simpatia che lo spettatore medio si aspetta di scoprire nella figura ideale dell'eroe buono e generoso. Il successo supera ogni previsione e Weissmuller con la Metro Goldwyn Mayer gira i primi sei film di Tarzan; nel 1942 cambia casa cinematografica passando alla RKO, con cui interpreta altre sei pellicole nel ruolo del popolare "uomo scimmia".

    Con questi dodici film girati tra il 1932 e il 1948, Weissmuller guadagna circa 2 milioni di dollari e diventa il più famoso degli interpreti di Tarzan tant'è che nell'immaginario popolare, ancora oggi, quando ci si prefigura Tarzan lo si visualizza con il volto di Johnny Weissmuller.

    Nel 1948 esce "Jim della jungla" per la Columbia Pictures, a cui fanno seguito ben altri dodici film con lo stesso personaggio. Nello stesso periodo Weissmuller interpreta sé stesso in altre tre pellicole. Nel 1955 comincia a produrre la serie televisiva di "Jim della jungla": i 26 episodi che compongono la serie verranno replicati per anni.

    Weissmuller si sposa tante volte quanti sono gli ori vinti alle Olimpiadi: nel 1931 sposa la cantante Bobbe Amst; nel 1933 l'attrice Lupe Vélez; nel 1939 sposa Beryl Scott; nel 1948 sposa Allen Gates ed infine Maria Bauman nel 1963, con la quale rimarrà fino alla morte. Alcune voci vedrebbero Johnny sposato anche con Camilla Louiee ma non tutte le fonti concordano su questo fatto: secondo alcuni Weissmuller ha rivelato di essere stato abbandonato dalla donna prima delle nozze per sposare poi un altro uomo.

    Dalla terza moglie ha tre figli, Johnny Scott Weissmuller (anche lui attore con il nome di Johnny Weissmuller Jr.), Wendy Anne Weissmuller e Heidi Elizabeth Weissmuller.

    Alla fine degli anni Cinquanta lascia il mondo dello spettacolo - anche se farà un cameo nel film "La Sfinge" nel 1970 - e torna a Chicago. Apre una piscina e presta il suo nome ad altre attività commerciali senza ottenere grandi successi. Nel 1965 si ritira in Florida a Fort Lauderdale. Fonda la "International Swimming Hall of Fame", la "Hall of Fame" internazionale del nuoto, diventandone presidente. Nel 1970 presenzia ai "Giochi del Commonwealth" in Jamaica e viene presentato alla Regina Elisabetta II.

    Nel 1973 lascia la Florida per andare a vivere a Las Vegas dove si dedica per qualche tempo alle relazioni pubbliche per "MGM Grand Hotel". Nel 1974 si frattura un'anca ed una gamba; mentre è ricoverato viene a conoscenza che, nonostante la sua forza e una vita di esercizi quotidiani e nuoto, il suo cuore è in cattive condizioni.

    Nel 1976 appare per l'ultima volta in un film e fa l'ultima apparizione in pubblico quando è inserito nella "Hall of Fame" del Body Building.
    L'anno seguente viene colpito diverse volte da attacchi cardiaci; in seguito ad un lungo ricovero si trasferisce assieme all'ultima moglie ad Acapulco, in Messico. Qui muore il 20 gennaio 1984 a causa di un edema polmonare.

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    Joe Frazier



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    L'ex pugile Joseph William Frazier nasce a Beaufort (Carolina del Sud, USA) il 12 gennaio 1944. I suoi genitori Rubin e Dolly Frazier, possiedono una fattoria di dieci acri dove il piccolo Joe cresce assieme ai suoi dodici fratelli e sorelle. Il tredicesimo figlio, David, muore sfortunatamente di difterite: Joe rimane così il membro più giovane della famiglia.

    Joe Frazier in famiglia viene soprannominato "Billy Boy"; lo ricorda lui stesso in una sua autobiografia dove parla del padre con queste belle parole "Mio papà era il mio eroe, il mio battito cardiaco. Eravamo sempre insieme.". La madre Dolly è una devota battista e insegna una rigida disciplina ai figli.

    L'infanzia di Frazier, passata nella vita rurale del sud, trascorre al fianco del padre, che aiuta a in tutte le sue attività quotidiane. Come i genitori e come i fratelli, anche il futuro pugile lavora nei campi.

    Quando la televisione negli anni '50 comincia a diffondersi per tutti gli Stati Uniti, la famiglia Frazier è la prima della zona ad averne una. Una delle pochissime trasmissioni televisive del tempo erano gli incontri di boxe: la famiglia assiste così a combattimenti, guardando le imprese sul ring di leggende come Sugar Ray Robinson, Rocky Marciano, Willie Pep, e Rocky Graziano.

    All'età di otto anni Joe non è particolarmente interessato alla boxe. Quando uno zio fa un commento riguardo alla sua corporatura descrivendolo come il "prossimo Joe Louis" (un campione di boxe di quegli anni) qualcosa scatta nella volontà del piccolo Joe, il quale inizia a lavorare sodo per diventare un pugile. Da solo costruisce un sacco costituito di iuta e stracci, pannocchie, mattoni, e muschio spagnolo. Appende il sacco al ramo di una quercia nel cortile e comincia a colpirlo quasi ogni giorno per diversi anni. Sono in molti quelli che lo deridono, anche nella sua stessa famiglia, soprattutto quando va in giro a dichiarare che sarebbe diventato campione del mondo come il "Brown Bomber" Joe Louis.

    Nella già citata autobiografia Joe Frazier ricorda che rispondeva a queste persone: "Voi tutti potete ridere, ma un giorno diventerò campione del mondo.".

    La sua Beaufort era una cittadina segregata degli stati del Sud e non aveva palestre; nemmeno i campi da gioco non potevano essere utilizzati da persone di colore. Nel 1961, quando ha appena 17 anni, si trasferisce a Filadelfia dove incontra la vera boxe: a notarlo è Yancey "Yank" Durham, un ex-pugile statunitense. Durham, insieme a Willie Rossastro, inizia a preparare Frazier per farlo combattere nella categoria dei dilettanti. In pochi anni il giovane Joe vince molti incontri; poco dopo il suo ventesimo compleanno, alle Olimpiadi di Tokyo del 1964 conquista la medaglia d'oro nella categoria dei pesi massimi. Durham sarà manager e allenatore di Joe Frazier per tutta la vita, fino al 1973, l'anno della sua morte.

    Dopo essere entrato nel prestigioso albo dei campioni olimpici, decide di diventare professionista; vince il suo primo incontro per KO nel 1965, contro Woody Goss. Nello stesso anno vince altre tre volte, trionfando sempre per KO e sempre prima della terza ripresa. Nel 1966 Duhrham contatta l'allenatore californiano Eddie Futch: i due non si erano mai incontrati, ma Durham aveva già sentito parlare di Futch per via della sua grande reputazione e poiché era considerato uno dei migliori istruttori in circolazione.

    Joe si reca a Los Angeles per allenarsi, fino a quando lo stesso Futch non decide di unirsi a Yancey come assistente-istruttore. Con l'assistenza di Futch, Frazier riesce a vincere tre incontri a Los Angeles contro Al Jones, il veterano Eddie Machen e George "Scrapiron" Johnson. Il soprannome "Smokin' Joe", con cui è noto, gli viene affibbiato da Yank Durham: prima di ogni match aveva sempre l'abitudine di dirgli: "Va' là fuori... E fai uscire fumo da quei guanti. Tu puoi fare fumo, ragazzo. Basta che non molli".

    Nel settembre 1966 combatte contro il campione argentino Oscar Bonavena. "Smokin' Joe" stava quasi per essere sconfitto per la prima volta, dopo essere caduto al tappeto per due volte nel 2° round. Secondo il regolamento di New York, un incontro finiva se uno dei due lottatori andava giù per tre volte nel giro di uno stesso round. Ciononostante Joe riuscì a rimettersi in piedi e a vincere la gara per "Split Decision" (punteggi: 6-4, 5-5 e 5-4).

    Dopo questo incontro cominciano a circolare voci secondo le quali Frazier avrebbe dovuto sfidare il detentore del titolo dei pesi massimi, la leggenda Muhammad Alì. Secondo Yank Durham non era ancora il momento per una tale sfida: voleva che Frazier potesse svilupparsi correttamente, in modo che quando Joe avesse affrontato sul ring il campione in carica, "Smokin' Joe" avrebbe vinto.

    Frazier inizia comunque a studiare Muhammad Alì. Quando assiste ad un suo incontro nel marzo del 1967, i due cominciano quella che sarebbe diventata una lunga e competitiva rivalità. Quando Ali cambia il suo nome da Cassius Clay a Muhammad Alì nel 1964, in seguito alla conversione alla fede musulmana, Frazier insiste nel chiamarlo Cassius Clay.

    Frazier vince tutti gli scontri che disputa quell'anno. Nel 1968 vince un incontro per il titolo vacante NYSAC contro Buster Mathis per KO all'undicesimo round. Nel 1970 diventa campione del mondo mettendo al tappeto Jimmy Ellis alla 5ª ripresa.

    Nel 1971 trova sulla sua strada Muhammad Alì, il quale ha appena avuto il permesso di tornare alla boxe, in un incontro in cui mette costantemente alle corde l'avversario per quindici riprese; l'ultimo round è il più emozionante: un gancio portentoso di Frazier raggiunge Ali che cade al tappeto, si rialza stordito, riuscendo miracolosamente a terminare la gara. Al verdetto finale è Frazier a vincer, per l'unanimità dei giudici.

    Nel 1973 arriva però la prima sconfitta per Frazier, contro un grande George Foreman.
    Il match Frazier-Ali trova seguito in due rivincite, nel 1974 e nel 1975. Nella prima vince Ali ai punti. Il 1º ottobre del 1975 si affronta per la terza ed ultima volta, mettendo in palio il titolo mondiale, per stabilire chi dei due sia definitivamente il più forte. L'incontro si tiene a Manila, nelle Filippine, e viene ricordato come "Thrilla in Manila".

    Il match è drammatico e vede i due pugili combattere con grande intensità, senza risparmio. Prima dell'inizio della quindicesima ed ultima ripresa l'allenatore di Frazier, Eddie Futch, ritira il suo atleta, vedendolo letteralmente distrutto dai jab di Ali. Lo stesso Ali dichiara che non avrebbe mai saputo se sarebbe stato in grado di continuare l'incontro qualora Frazier non si fosse ritirato.
    Ancora oggi, per la rara bellezza tecnica e per l'enorme coraggio dimostrato da questi due immensi campioni, questa sfida è ritenuta da molti il più grande incontro di boxe di tutti i tempi.

    Muhammad Alì e Joe Frazier in seguito affermeranno di avere avuto fortuna, ma soprattutto saggezza nel non proseguire l'incontro, poiché per via del calo di forze, della stanchezza e del gran caldo, in quell'incontro entrambi avrebbero rischiato la vita.

    Nel 1976 Frazier prova a prendersi la rivincita su George Foreman, ma subisce un KO alla quinta ripresa. Si ritira temporaneamente per rientrare il 3 dicembre 1981: a Chicago incontra Floyd Cummings. La sfida termina con un pareggio; dopo questo match Frazier decide di appendere definitivamente i guantoni al chiodo. Si ritira con un record di 32 vittorie (27 prima del limite), 4 sconfitte e 1 pareggio. Durante la sua straordinaria carriera ha vinto il 73% dei propri incontri per KO, contro il 60% di Muhammad Alì e l'84% di George Foreman.

    Nel 2011 gli viene diagnosticato un tumore al fegato: nel mese di novembre viene data notizia che Joe Frazier sta combattendo il suo ultimo match, lottando per la vita. Muore il 7 novembre a Filadelfia.

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    Tommie Smith




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    Tommie Smith nasce a Clarksville (Texas, USA) il 6 giugno 1944, settimo di dodici figli. Giovanissimo, si salva da un terribile attacco di polmonite; inizia ben presto a lavorare nei campi di cotone. Con determinazione porta avanti gli studi fino ad ottenere due lauree. Nell'ambiente accademico conosce l'atletica leggera, sport a cui si appassiona. Diventa un eccellente sprinter e fa registrare tredici record universitari.

    Il suo più grande risultato in carriera è la medaglia d'oro alle Olimpiadi di Città del Messico nel 1968, occasione in cui diventa anche il primo uomo al mondo a correre i 200 metri in meno di 20 secondi. Ma oltre al risultato e al gesto atletico, nella storia rimarrà per sempre il suo gesto, forte e silenzioso allo stesso tempo, rappresentante di una protesta politica e sociale.

    Il contesto storico in cui ci si trova è quello che vede le agitazioni del Sessantotto al loro culmine. Il 2 ottobre, mancano una decina di giorni all'inizio dei Giochi Olimpici, si consuma il Massacro di Tlatelolco che vede la strage di centinaia di studenti messicani ad opera delle forze dell'ordine.
    Da tutto il mondo piovono proteste e manifestazioni e si caldeggia l'ipotesi di boicottare le imminenti Olimpiadi. Il 1968 è anche l'anno in cui viene ucciso Martin Luther King, e a dominare la scena americana sono le Pantere Nere ("Black Panther Party", organizzazione rivoluzionaria afroamericana degli Stati Uniti).

    Nella gara dei 200 metri con il tempo di 19"83 Smith precede l'australiano Peter Norman e il connazionale statunitense John Carlos. Durante la cerimonia di premiazione gli afroamericani Tommie Smith e John Carlos salgono rispettivamente sul primo e terzo gradino del podio, senza scarpe. L'inno nazionale che risuona nello stadio è "The Star Spangled Banner" ("La bandiera adorna di stelle", inno degli Stati Uniti d'America). I due scalzi premiati ascoltano l'inno con il capo chinato e sollevano la mano, chiusa in un pugno, indossando un guanto nero: Smith alza il pugno destro, mentre Carlos il sinistro. L'implicito messaggio sottolinea il loro "orgoglio nero" ed è destinato a sostenere il movimento denominato "Olympic Project for Human Rights" (OPHR, Progetto olimpico per i diritti umani). Carlos dichiarerà alla stampa: "Siamo stufi di essere cavalli da parata alle Olimpiadi e carne da cannone in Vietnam". L'immagine fa il giro del mondo e diventa il simbolo del Black Power, movimento che in quegli anni lotta aspramente per i diritti dei neri negli Stati Uniti.

    Anche il secondo classificato Norman prende parte alla comunicazione di protesta, indossando sul petto un piccolo distintivo che riporta la sigla OPHR.

    Il gesto desta grande scalpore. Avery Brundage, presidente del CIO (Comitato Olimpico Internazionale), come molti altri condannano quel gesto ritenendo che la politica debba rimanere estranea ai Giochi Olimpici. Come c'era da aspettarselo, il gesto sarebbe stato deprecato da molti, che l'avrebbero ritenuto un danno di immagine per l'intera squadra rappresentativa statunitense nonché per la nazione intera. Altri invece avrebbero espresso la loro solidarietà ai due atleti, encomiando il loro coraggio.

    Per decisione di Brundage, Smith e Carlos vengono sospesi con effetto immediato dalla squadra americana ed espulsi dal villaggio olimpico. Tornati in patria, i due atleti avrebbero subito diverse ritorsioni, fino a ricevere addirittura minacce di morte.
    Più tardi Smith spiegherà che il suo pugno destro avrebbe rappresentato il potere nero in America, mentre il pugno sinistro di Carlos l'unità dell'America nera.

    La contestazione degli atleti neri all'Olimpiade messicana non si ferma con l'espulsione di Smith e Carlos: Ralph Boston, bronzo nel salto in lungo, si presenta scalzo alla premiazione; Bob Beamon, medaglia d'oro nel salto in lungo si presenta scalzo e senza la tuta di rappresentanza statunitense; Lee Evans, Larry James e Ronald Freeman, campioni nei 400 metri piani, salgono sul podio con il basco nero in testa; Jim Hines, medaglia d'oro nei 100 metri piani rifiuterà di essere premiato da Avery Brundage.

    Il gesto di portata mondiale di Tommie Smith, lo spinge alla ribalta come portavoce dei diritti umani, attivista, e simbolo dell'orgoglio afroamericano.

    Smith prosegue la sua carriera agonistica nel football americano giocando per tre stagioni con i Cincinnati Bengals. Raccoglierà inoltre discreti successi come allenatore, educatore e direttore sportivo.

    Dal punto di vista della cronaca sportiva ricordiamo che Tommie Smith aveva iniziato ad imporsi nel 1967 vincendo il titolo universitario sulle 220 yard (201,17 metri) e quindi il campionato americano AAU sulla stessa distanza. Si confermò campione AAU sui 200 m l'anno seguente, guadagnandosi la selezione per la squadra olimpica e stabilendo con 20" netti il nuovo record mondiale. In precedenza, Smith aveva fatto registrare altri due primati mondiali: correndo l'inconsueta distanza delle 220 yard in linea retta aveva fatto fermare il cronometro sul tempo di 19"5; inoltre, in una delle sue rare prestazioni sui 400 metri, aveva battuto il futuro campione olimpico Lee Evans, stabilendo il nuovo record mondiale con il tempo di 44"5.

    Il record del mondo nei 200 metri di Smith rimarrà imbattuto per 21 anni, fino al 1979, quando l'italiano Pietro Mennea conquisterà - sempre a Città del Messico - il nuovo record mondiale con il tempo di 19"72 (il record di Mennea si dimostrerà anch'esso molto longevo, rimanendo imbattutto per 17 anni fino alle Olimpiadi di Atlanta 1996, da parte dello statunitense Michael Johnson).

    Tra i riconoscimenti ricevuti da Tommie Smith ricordiamo l'iscrizione nella "National Track and Field Hall of Fame" nel 1978 e il premio "Sportsman of the Millennium" nel 1999.
    Eretta nel 2005, nel campus della San Jose State University troneggia una statua raffigurante Smith e Carlos durante la famosa cerimonia di premiazione olimpica.

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    Eddy Merckx



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    Eddy Merckx nasce in Belgio a Meensel Kiezegem, nei pressi di Bruxelles nella provincia del Brabante, il 17 giugno 1945.
    Alla luce dei risultati ottenuti durante la sua carriera sportiva nessuno può obiettare che sia stato il migliore ciclista di tutti i tempi. Va detto che, parte della tifoseria italiana, a lui affianca, per la straordinarietà di alcune imprese, il corridore Fausto Coppi, sebbene questi abbia vinto molto meno del belga. Invero, è significativo che Merckx conta 525 vittorie su 1800 gare su strada disputate: il 30%, una percentuale impressionante e distribuita lungo 17 anni di agonismo. Come dire che per una gara su quattro, gli avversari hanno corso per il secondo posto! In nessun altro sport si riscontra una superiorità così assoluta per un lungo periodo di tempo. E vi è di più: Merckx ha ottenuto i massimi risultati anche nell'attività su pista, vincendo le più prestigiose gare e siglando un Record dell'Ora, rimasto per molti anni imbattuto.

    Merckx disputò la sua prima corsa il 16 luglio del 1961, e l'anno successivo divenne subito campione nazionale degli esordienti: questo, oltre alle 23 vittorie ottenute gli consentì di passare alla categoria superiore. Nel 1963 vinse 28 gare, e nel 1964 divenne campione del mondo dei dilettanti, a Sallanches in Francia. L'anno seguente il debutto tra i professionisti sulla scia di 4 successi su 5 corse disputate nei mesi di marzo-aprile tra i dilettanti; nella massima categoria si mette subito in luce, saranno nove le sue vittorie tra i pro' a fine anno.

    Nel marzo del 1966 la prima grande affermazione, vince subito la Milano-Sanremo, e prosegue a suon di vittorie per tutto l'anno. Il 4 novembre raggiunge con il Trofeo Baracchi (importante cronometro a coppie, con Bracke) la ventesima vittoria dell'anno. Qualcuno già teme che questo ragazzo non ancora ventiduenne possa diventare imbattibile. E difatti, nel 1967 Merckx rivince subito la Milano-Sanremo, poi due classiche belghe, la Gand-Wevelgem e la Freccia Vallone; ed ha modo di presentarsi al Giro d'Italia con due vittorie di tappa, significativamente diverse: in volata al Lido degli Estensi, ed in salita per distacco sulla Majella. Dopo qualche mese ottiene il massimo: ad Heerlen diventa, per la prima volta tra i pro', campione del mondo confermando l'affermazione di tre anni prima tra i dilettanti.

    Da allora un crescendo di risultati impressionante che lo ha portato ad avere un palmares ricchissimo, e che, a circa trent'anni dal suo ritiro, appare addirittura inavvicinabile.
    Nel 1968 diventano suo terreno di caccia anche le grandi corse a tappe: vince, anzi stravince il suo primo Giro d'Italia, in una stagione ricca di 32 successi, tra i quali brilla la più affascinante gara in linea: la Parigi-Roubaix. L'anno che segue, le gare vinte sono 43, tra queste un'altra Milano-Sanremo, e le due più importanti classiche belghe: il Giro delle Fiandre (con 70 Km di fuga solitaria ed oltre 5 minuti di vantaggio sul secondo) e la Liegi-Bastogne-Liegi.

    Si presenta al Tour de France e lo vince con formidabile autorità, quasi venti minuti di vantaggio sul secondo, sei vittorie di tappa, e tutte le classifiche di contorno (a punti, il gran premio della montagna, la combattività, la combinata e quella a squadre). Per questa superiorità su tutti i fronti i francesi lo battezzano subito "Il Cannibale".

    Il 1970 è ancora più luminoso: conquista sia il Giro d'Italia che il Tour de France (nel tempo di due mesi). Nella corsa francese si corre ormai solo per il secondo posto, Merckx, infatti, si aggiudica la bellezza di otto tappe e trascina i propri compagni a vincere la cronosquadre. Tra i due grandi giri ha modo di trionfare nel campionato nazionale, mentre in primavera ha bissato i successi nella Parigi-Roubaix, nella Freccia Vallone e nella Gand-Wevelgem. In totale 52 vittorie. Che diventano 54 (su 120 gare, quasi una su due!) nel 1971. Tra queste: il Campionato del Mondo di Mendrisio, la Milano-Sanremo, la Liegi-Bastogne-Liegi, il Giro di Lombardia, il Giro del Belgio, un altro Tour de France, la Parigi-Nizza, il Giro del Delfinato, l'Het Volk e l'Henninger Turm.

    Il 1972 è l'anno delle seconda doppietta Giro-Tour, di un'ennesima Milano-Sanremo, ancora della Liegi-Bastogne-Liegi, della Freccia Vallone, del Giro di Lombardia, per un totale di 50 vittorie. Ed a fine anno, ancora non soddisfatto, vola a Città del Messico e sulla pista del velodromo ottiene in una prova sola il Record dell'Ora, ed i nuovi primati dei 10 e dei 20 chilometri.
    Nel 1973 le vittorie sono 51 e la doppietta riguarda Giro di Spagna e Giro d'Italia, con 12 vittorie di tappa, oltre alla Gand-Wevelgem, all'Amstel Gold Race, ad un'altra Parigi-Roubaix, ancora una Liegi-Bastogne-Liegi, ed alla Parigi-Bruxelles.
    Tre mesi assolutamente eccezionali caratterizzano il 1974; dal 16 maggio al 25 agosto vince a raffica il Giro d'Italia (con due tappe), il Giro di Svizzera (3 tappe), il Tour de France (8 tappe) e si laurea ancora Campione del Mondo a Montreal. Impressionante ed irripetibile.

    Il 1975 è l'anno che lo vede percorre il viale del tramonto...e si accontenta di 38 vittorie, tra le quali la sesta Milano-Sanremo, la seconda Amstel Gold Race, un altro Giro delle Fiandre e la quinta Liegi-Bastogne-Liegi.
    Nel 1976 soltanto 15 vittorie, ma un'altra Milano-Sanremo (7 su nove partecipazioni: impossibile per alcun altro), e nel 1977 diciassette successi minori. Decide il ritiro nel marzo del 1978.

    Oltre a vincere da febbraio ad ottobre le gare su strada, Merckx non si stancava nemmeno d'inverno quando correva nei velodromi. Sono 98 le sue vittorie su pista, tra queste i titoli di campione europeo e campione nazionale di varie specialità e 17 Sei Giorni (le più importanti, Grenoble, Milano, Monaco, Berlino, Zurigo, Gand).

    Non sono solo i risultati a dare a Merckx la definizione di ciclista più grande di tutti i tempi, ma anche le sue straordinarie doti di atleta completo e fortissimo su tutti i terreni. Il belga ha vinto molte corse per distacco, ha battuto allo sprint i migliori velocisti della sua epoca, in montagna ha trovato soltanto avversari occasionali e sulle grandi salite ha costruito le più prestigiose vittorie, è stato anche un ottimo discesista, un formidabile cronoman ed un passista d'eccezione. I giornalisti del tempo scrissero che per Merckx avevano esaurito gli aggettivi superlativi.

    La sua condotta di gara era battagliera, improntata sullo spettacolo e sulla generosità nella profusione dello sforzo: la presenza di Merckx era sinonimo di corsa d'assalto, di corsa in testa (da cui il titolo La course en tete di un film biografico sul campione).
    Tutto questo comportava che Merckx oltre alle numerose vittorie risultava altrettanto spesso piazzato tra i primissimi nelle gare che non riusciva a vincere. Una garanzia di risultato ed una preoccupazione per gli avversari che erano tutti di grande spessore: Gimondi, De Vlaeminck, Motta, Godefroot, Van Looy, Moser, Maertens, Ocana, Poulidor, Veerbeck, Fuente, Thevenet, Bitossi, Sercu.

    Campione di signorilità e di compostezza, Eddy Merckx ha sempre avuto parole di grande rispetto per tutti i suoi avversari, ed in particolar modo per Felice Gimondi, grande anche lui nell'accettare la superiorità del belga con dignità e compostezza. La guerra agonistica in corsa tra i due non comportò assolutamente mai ad alcun diverbio, ad alcuna incomprensione (il cantautore Enrico Ruggeri dedicherà a questa coppia la bellissima canzone "Gimondi e il Cannibale").

    Sposato con Claudine Acou, Merckx ha due figli, Sabrine ed Axel (ciclista professionista, medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Atene 2004). La sua fabbrica di biciclette avviata mentre era ancora in carriera, è oggi stimata ed apprezzata per la produzione di specialissime da corsa di alto livello.

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    Edited by gheagabry - 13/11/2012, 18:45
     
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    I Campioni Olimpici

    Bob Beamon



    Bob_Beamon
    Robert Beamon, meglio conosciuto più semplicemente come Bob Beamon, nasce a South Jamaica, nel Queens, a New York, il 29 agosto del 1946. Grande atleta statunitense, è passato alla storia del salto in lungo per aver conseguito il record mondiale alle Olimpiadi messicane del 1968, registrando una lunghezza di 8,9 metri: tale risultato è rimasto ineguagliato fino alla prova di Mike Powell del 1991. Il record di Beamon è il secondo più longevo di sempre, la cui imbattibilità è durata ben 23 anni.

    Una vita non facile, quella di Beamon, nonostante la gloria sportiva che si guadagna sul campo. A soli otto mesi, sua madre, allora venticinquenne, muore di tubercolosi. A prendersi cura del piccolo Bob è sua nonna, la quale non riesce ad impartirgli, nonostante gli sforzi e a causa del quartiere turbolento nel quale si trovano a vivere, una disciplina ferrea, in grado di tutelarlo sin da bambino.

    L'affidamento arriva perché il padre del futuro atleta è un violento, il quale sin dalla nascita di Bob non intende prendersene cura, allontanando moglie e figlio dalla propria vita. Come molti ragazzini infelici, il piccolo Robert è indisciplinato a scuola e non rende come dovrebbe. La svolta, come per molti altri ragazzi americani, soprattutto di colore, arriva attraverso lo sport.

    Quando il futuro atleta è al liceo, viene scoperto da un importante talent scout sportivo, oltre che noto allenatore di atletica: Larry Ellis. Questi lo fa diventare membro della "All American" di atletica su pista e a squadre, impartendogli i propri preziosi insegnamenti e togliendolo, per quanto possibile, dalla strada.

    Bob Beamon passa l'adolescenza tra le vie del suo quartiere, dove si rende protagonista di eventi spiacevoli: come accoltellamenti, risse e sbronze colossali. Di giorno però, lo sport sembra avere la meglio su di lui, e ben presto si rivela la sua attività principale. Ama l'atletica, ma è anche un bravo giocatore di basket.

    Ad ogni modo, la svolta, almeno all'inizio della sua carriera, si chiama Università del Texas. Beamon infatti, nel 1965, si classifica al secondo posto negli Usa nella disciplina del salto in lungo e vince così un biglietto per El Paso, forte di una borsa di studio che vince grazie ai suoi meriti sportivi.

    Passa circa tre anni a grandi livelli, allenandosi con attenzione e impegnandosi a lungo nella sua nuova disciplina, deciso a partecipare alle Olimpiadi di Città del Messico. Tuttavia, quando è ancora all'Università, Bob Beamon dimostra tutto il suo carattere, il quale, come in altre occasioni, gli costa caro, nonostante sia mosso da buone intenzioni. Durante una riunione di atletica, il futuro campione boicotta la gara, come segno di protesta nei confronti di alcuni partecipanti mormoni, il cui atteggiamento era apertamente razzista nei confronti delle persone di colore. A causa di questo comportamento e poco prima della sua partenza per Città del Messico, Beamon perde la borsa di studio e viene sospeso.

    Da questo momento, perso il suo allenatore ufficiale, è l'olimpionico Ralph Boston, suo compagno di squadra, ad occuparsi, in via del tutto ufficiosa, dei suoi allenamenti. Abbandonato dalla giovane moglie, oberato dai debiti, l'atleta statunitense si decide ugualmente ad andare alle Olimpiadi messicane del 1968.

    Sofferente d'insonnia, causa i suoi guai, il 17 ottobre del 1968, alla vigilia della finale olimpica, Bob Beamon decide di buttarsi in strada, nella metropoli messicana, alla volta di alcuni cicchetti di tequila, del tutto scoraggiato per la prova dell'indomani. Il 18 ottobre del 1968, si presenta dunque in pista un atleta frustrato, oltre che con la testa ancora annebbiata dai fumi della notte precedente.

    Le prove si tengono su una pedana devastata da un tempo inclemente, con vento forte e un temporale prossimo ad annunciarsi. A questi elementi negativi, si aggiunge l'altitudine messicana, di cui si teme la conseguente rarefazione dell'aria respirabile, a tutto svantaggio degli atleti.

    Beamon vede i tre atleti che lo precedono fallire le loro prove, tutti quanti, a causa delle cattive condizioni climatiche. Il giapponese Yamada, il giamaicano Brooks e il tedesco Baschert mancano il loro primo tentativo di salto. Ma quando Beamon parte, si avverte già nella corsa, nell'accelerazione prodigiosa, che l'americano ha qualcosa in più degli altri. Compie un lungo volo, con un prodigioso colpo di reni e due piccoli salti successivi, dopo aver marcato la storia e la terra battuta con il nuovo record mondiale di salto in lungo.

    Alle 15.45 di quel venerdì, dopo il salto di Beamon, il giudice non riesce subito a misurare la distanza, non disponendo di un apparecchio adatto alla lunghezza raggiunta dall'atleta. Passano alcuni secondi, si richiede l'intervento di un decametro a nastro, usato per la disciplina del salto triplo, fino a quando sul tabellone non compare il risultato, per tutti incredibile, di 8,90 metri.

    Il campione ci mette qualche minuto a rendersi conto, nonostante l'urlo proveniente dalle tribune. È il collega Ralph Boston a spiegargli la situazione, non conoscendo il sistema metrico decimale europeo: la gioia, condita da danze e preghiere, è incontenibile. Il temporale che segue, immediato, sembra addirittura un battesimo per quello che diventa un record straordinario, tale da scolpire il nome di Bob Beamon nella storia delle Olimpiadi e dello sport.

    Mai, infatti, un record era stato infranto con così tanto scarto: il miglioramento dell'atleta newyorchese è di 55 centimetri dal precedente. Prima di lui, il record del mondo di salto in lungo era stato rotto per ben tredici volte, ma con un aumento medio di circa 6 centimetri. Il più grande sfondamento del record, fino alla sua impresa, era di appena 15 centimetri; non sorprende così che il risultato di Beamon sia rimasto intatto per 23 anni, fino al 1991.

    Riferendosi al momento in cui l'atleta frana a terra, in ginocchio, sentendo dalla voce dell'amico e compagno di squadra Ralph Boston l'esito del suo risultato, un giornalista americano definisce Beamon con l'espressione di "Uomo che ha visto un fulmine", che da allora gli si incollerà addosso.

    Il campione olimpico uscente invece, il britannico Lynn Davies, riferendosi all'impresa del collega gli dice pubblicamente che ha "distrutto questa specialità". Da questo momento, nel gergo dell'atletica leggera si usa un nuovo aggettivo: "beamonesco" appunto, per definire qualsiasi tipo di impresa assolutamente fuori dal normale.

    Ad ogni modo, grazie a quel salto datato 1968, il giovane Bob si guadagna un posto tra i cinque più grandi momenti sportivi del XX secolo, stando almeno alla rivista "Sports Illustrated".

    Quel fatidico momento però, resta la vetta della sua vita, che da quel momento inizia una seconda fase, molto meno entusiasmante. Rientra infatti dal Messico e ritorna all'università, dove riprende con il basket, altra sua grande passione. Non riuscirà però mai a diventare un professionista. Nel 1972 si laura in sociologia, alla Adelphi University.

    Nell'arco dei quattro anni che lo distanziano dai successivi Giochi Olimpici del 1972 di Monaco, angosciato dalla sua stessa impresa, l'atleta di colore comincia a sperperare tutti i propri soldi. Quando riprende ad allenarsi, ormai nuovamente indebitato, si rende conto di non riuscire più a saltare come un tempo, a causa del suo piede destro, lo stesso che gli aveva consentito lo slancio al momento del suo grande storico salto.

    Alle Olimpiadi che si svolgono in Germania, la squadra americana parte senza di lui, che manca clamorosamente la qualificazione olimpica. Passano diversi anni, prima che qualcuno lo rintracci, a New York, dove si occupa di ragazzi disadattati.

    Nel 1979, torna a Città del Messico, in occasione dei Giochi Universitari Mondiali, e dove cerca di racimolare qualche dollaro ripercorrendo i luoghi del suo trionfo, raccontando particolari alla stampa.

    Il 30 agosto del 1991, prima Carl Lewis e poi Mike Powell battono entrambi il record di Bob Beamon, saltando rispettivamente 8,91 metri (ma con vento superiore ai 2 m/s, quindi non valevole per il record) ed 8,95. L'occasione in cui si registrano tali misure però, sono i Campionati del mondo di atletica leggera di Tokyo; Beamon pertanto perde il record assoluto, ma non quello olimpico, il quale di fatto resta ad oggi ancora nelle sue mani, anzi nelle sue gambe.

    Beamon viene successivamente assunto dalla Chicago State University, come direttore di atletica.

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    Dino Meneghin



    Dino_Meneghin
    Dino Meneghin nasce ad Alano di Piave, in provincia di Belluno, nel Veneto, esattamente il 18 gennaio del 1950. Ex cestista, dirigente sportivo, nel 2008 è stato nominato presidente della Federazione Italiana Pallacanestro. Alto 2,04 metri, di ruolo "centro", è considerato unanimemente il più forte giocatore italiano della storia del basket, famoso in tutto il mondo e unico cestista italiano presente nella Hall of Fame di Springfield, negli anni 2000 inserito anche nella Hall of Fame d'Europa, oltre che primo italiano ad essere scelto nel draft NBA.

    La sua carriera conta 12 scudetti, 6 Coppe Italia, 7 Coppe Campioni , 4 Coppe Intercontinentali, 1 Coppa Korac, 2 Coppa delle Coppe, 1 oro Olimpico a Francia 1983. È il cestista italiano che ha vinto di più.

    L'approdo alla pallacanestro professionistica arriva quando ha appena sedici anni. È il 1966 quando il giovane Dino viene notato e portato in prima squadra da Nico Messina, allora responsabile del settore giovanile della Ignis Varese. Il futuro coach della squadra intuisce le grandi qualità di Meneghin, il quale ben presto, con il collega Aldo Ossola, costituisce un tandem fortissimo, che riporta in alto il team di Varese.

    Dino milita e vince con la Pallacanestro Varese fino al 1981. Dal 1968 al 1978 vince per ben sette volte il campionato nazionale. Ma non è tutto: nelle stagioni 1970, 1972, 1973, 1975 e 1976, sempre con la maglia della Ignis, Meneghin vince la Coppa dei Campioni, affermandosi come uno dei giocatori più forti al mondo.

    È datata 1969 la prima chiamata in Nazionale. Nel 1971 si guadagna un bronzo agli Europei in Germania Ovest. Nel 1975 bissa il risultato in Jugoslavia. L'argento alle Olimpiadi arriva nel 1980, a Mosca e, nel 1983, vince l'oro agli Europei di Francia, nel pieno della sua forza e del suo splendore atletico, che trova riflesso tanto con la maglia azzurra che con le squadre di club nelle quali milita nel corso della sua lunga carriera.

    Con la nazionale italiana poi, prenderà parte a ben quattro Olimpiadi, scendendo in campo per 271 volte, secondo per presenze al solo Pierluigi Marzorati. I punti con la nazionale ammontano a 2.947, anche in questo caso secondo in classifica, dietro ad Antonello Riva.

    Dopo l'esperienza con Varese trova sulla sua strada l'Olimpia Milano, la cui maglia veste nel 1981. Anche in questo caso Dino Meneghin resta fedele ai colori del team rimanendo nel capoluogo lombardo fino al 1990, quando raggiunge l'età di quarant'anni. Il cestista però è un esempio di longevità agonistica e non smette con la pallacanestro se non nel 1994, all'età di quarantaquattro anni.

    Con il team di Milano, Dino Meneghin continua a collezionare trofei. Nel 1986 e nel 1987 vince altri due scudetti. Ma non solo, anche con l'Olimpia, sia nel 1987 che l'anno dopo, vince la Coppa dei Campioni. Nel 1987, altro anno magico per lui, si aggiudica anche la Coppa Intercontinentale, per la quarta volta, dopo le altre tre vinte con Varese.

    Dal 1990 al 1993 veste la casacca della Stefanel Trieste, senza ottenere vittorie, superati ormai i quarant'anni. Nel 1991 intanto la rivista "Giganti del Basket" lo elegge come più grande giocatore europeo di tutti i tempi. Chiude la sua carriera ancora a Milano, con l'Olimpia.

    Al termine dei giochi, Meneghin totalizza 836 partite di campionato e 8.580 punti. Le partecipazioni alle finali di Coppa Campioni sono 13, con 7 vittorie. Nel corso della sua sfavillante carriera vince anche due Coppe delle Coppe e arriva per due volte quarto ai Mondiali.
    A sottolineare la sua longevità agonistica c'è un evento più unico che raro: Dino ha giocato una partita ufficiale di campionato contro suo figlio Andrea Meneghin (anche lui giocatore professionista).

    Appese le scarpe al chiodo, Meneghin decide di ricoprire a fasi alterne il ruolo di dirigente. Lo fa prima per l'Olimpia e, successivamente, per la nazionale italiana. Il suo lavoro è quello di team manager.

    Il 5 settembre del 2003 entra, primo italiano di sempre, nella Basketball Hall of Fame. In assoluto invece, è il secondo italiano inserito nella Hall of Fame, dopo Cesare Rubini, il cui riconoscimento è basato esclusivamente alla sua attività di allenatore.

    Nel 2004 decide di prestare la sua voce come commentatore alla piattaforma satellitare SKY Sport, naturalmente per la redazione basket.

    Il 30 settembre del 2008, viene nominato dalla Giunta Nazionale del CONI commissario straordinario della Federazione Italiana Pallacanestro, dopo le dimissioni di Fausto Maifredi dal ruolo di presidente. L'anno dopo si candida alla presidenza della FIP e il 7 febbraio del 2009, viene eletto Presidente della Federazione Italiana Pallacanestro, con ben 4.375 voti.

    Nel 2011, esce la sua prima autobiografia, dal titolo "Passi da gigante" (scritto con Flavio Vanetti) il cui ricavato è destinato per opere benefiche.

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    Sugar Ray Leonard



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    Ray "Sugar" Leonard è il pugile statunitense che per primo conquistò il titolo mondiale in cinque diverse categorie di peso. Dotato di grandi velocità, abilità e carisma, Sugar Ray Leonard riempì il grande vuoto che che lasciò Muhammad Ali nel mondo della boxe quando si ritirò nel 1981. Il pubblico americano era alla ricerca di una nuova stella della boxe e Sugar Ray Leonard arrivò, al momento giusto.

    Nato a Wilmington, nel North Carolina, il 17 aprile 1956, Leonard venne nominato "Fighter of the Decade" negli anni '80, decennio in cui vinse cinque titoli mondiali in cinque diverse classi di peso, combattendo alcuni dei più memorabili incontri della nobile arte del pugilato.

    C'erano poche cose che Leonard non era in grado di fare una volta suonata la campana che dava inizio al match. Ma ciò che meglio seppe sempre fare fu analizzare i suoi avversari e mettere a punto una strategia per superarli.

    Il nome di Leonard inizia a diventare noto al grande pubblico quando vince la medaglia d'oro a Montreal, in Canada, alle Olimpiadi del 1976. Diviene poi campione WBC dei pesi welter nel 1979 battendo il campione Wilfred Benitez in un match che fu una sorta di partita a scacchi per l'alto livello tecnico e strategico impiegato dai contendenti.

    Poi Leonard incontra il leggendario campione della categoria pesi leggeri Roberto Duran in uno degli incontri più belli della storia di questo sport. Duran batte Leonard ai punti dopo 15-round di fuoco. Leonard si riprenderà il titolo quando nel match successivo Duran abbandonerà all'ottava ripresa.

    Nel 1981 Leonard continua la scalata e vince per knock-out contro il campione dei pesi medi Ayube Kalule. Torna poi a combattere nella categoria dei welter con il campione WBA Thomas Hearns. Leonard e Hearns intraprendono una battagli memorabile: è Leonard a vincere per knock-out su Hearns al 14° round.

    Dopo un altro successivo incontro Sugar Ray Leonard, sofferente per un distaccamento della retina all'occhio sinistro, si ritira. Torna sul ring nel 1984, vince per knock-out contro Kevin Howard, poi si annuncia un nuovo ritiro.

    Dopo circa tre anni di inattività Ray Leonard torna nuovamente: il suo avversario è Marvin Hagler. Questa nuova vittoria del 1987 lo incorona campione dei pesi medi. Leonard aggiunge al suo curriculum i titoli numero 4 e 5 nel novembre del 1988 quando recuperando da un knockdown iniziale si mette a usare la faccia del canadese Donny Lalonde come fosse un punching-ball. Quella notte in palio c'erano il titolo WBC dei pesi medio massimi, di cui Lalonde era il campione in carica, e il titolo vacante WBC dei pesi super medi.

    Gli incontri successivi di Leonard sono per difendere i titoli: difende per due volte il titolo dei pesi super medi, combattendo in un discutibile match contro Hearns e ai punti contro Duran, nel loro terzo e ultimo incontro.

    Leonard si ritira ancora, tuttavia non sarà capace di staccarsi dal mondo del pugilato. Nel 1991, a 34 anni, compatte contro il campione WBC dei pesi super welter Terry Norris: al Madison Square Garden Leonard viene atterrato per ben due volte e alla fine perde ai punti.

    Subito dopo il combattimento contro Norris, sullo stesso ring, Sugar Ray Leonard annuncia il suo ritiro definitivo. Ma nel marzo del 1997 torna annunciando un nuovo ritorno, infruttuoso, nel quale perde per KO tecnico al quinto round contro Hector Camacho. Fu la prima volta e l'ultima volta in cui Leonard veniva fermato.

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    I Campioni Olimpici

    Larry Bird



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    Leggendario giocatore di basket, bandiera dei Boston Celtics, Larry Joe Bird nasce il giorno 7 dicembre 1956 a West Baden Springs, nello stato dell'Indiana (USA).

    E' considerato uno dei migliori cestisti di sempre, e di sicuro il più forte e il più famoso tra i giocatori che non siano di colore (emergendo in un'epoca che, differentemente da oggi, ha visto ben pochi giocatori bianchi tra le fila delle squadre NBA). Durante gli anni '80 insieme ai colleghi, rivali ma anche amici Michael Jordan e Magic Johnson, ha di fatto rivoluzionato il gioco della pallacanestro nel suo tempio più importante: i campionato NBA statunitense.

    La sua carriera nei Celtics è durata per 12 anni durante i quali ha vinto 3 titoli. Nella sua carriera Larry Bird si è guadagnato il soprannome "The Legend".

    Il giovane Larry cresce nella città di French Lick, dove presto diviene una stella della squadra di basket del proprio liceo. Si iscrive poi alla Indiana University, a Bloomington, ma lascia ancora prima che la squadra dell'istituto giochi la sua prima gara: torna a casa e decide di cercarsi un lavoro. Diventa così autista di camion per la raccolta di rifiuti.

    La pressione degli amici e il sostegno dei genitori lo portano a tentare nuovamente la carriera di atleta: si iscrive così alla Indiana State University.

    Qusta volta è convinto: dal punto di vista sportivo guida la squadra dell'università fino alla finale del campionato (NCAA, 1979): perderà contro gli "Spartans" della Michigan State University, guidati da un giovanissimo Magic Johnson. Ad oggi di quella partita rimane il recod di "partita di college più vista nella storia del campionato". In quell'occasione Bird vince comunque il "Naismith Award" ed il "Wooden Award", premi dedicati al miglior giocatore di college dell'anno.

    Nel ruolo di ala, con 206 centimetri di altrzza, Bird è anche un ottimo tiratore, e non è raro che finisca ai primi posti delle classifiche dei migliori tiratori da tre punti e di tiri liberi; vince addirittura per ben tre volte la gara del tiro da tre punti dell'"NBA All-Star Game".

    In carriera la media di punti a partita è di 24.3 punti, con un massimo di 29.9 punti nella stagione 1987-1988. Atleta poliedrico, le sue qualità sono state sempre molte: ottimo rimbalzista, assistman, forte in difesa.

    Ma la miglior qualità di Larry Bird è senza alcun dubbio il suo carisma naturale: è un leader, e lo ha dimostrato con i fatti, in campo e fuori. Sempre il primo a presentarsi agli allenamenti, l'ultimo a lasciare la palestra. Un esempio per i compagni.

    A un certo punto la NBA impose un "salary cap", una limitazione degli stipendi di tutti i giocatori sotto un livello massimo; venne poi prorogato con un provvedimento speciale che permetteva ad una squadra di sforare il limite per mantenere un giocatore già presente nella squadra: questo provvedimento venne soprannominato "Larry Bird Rule".
    Ancora una volta con gli amici Michael Jordan e Magic Johnson nel 1992 vola in Europa per partecipare alle Olimpiadi di Barcellona 1992: il "Dream Team" conquista l'oro olimpico. Subito dopo, il 9 agosto 1992, Larry Bird annuncia il suo ritiro; famose sono le immagini tv che lo mostrano disteso a terra per lenire il dolore che la sua schiena ormai anziana subiva.

    Dopo il ritiro Bird viene subito inserito nella prestigiosa "Basketball Hall of Fame". I Boston Celtics hanno ritirato la sua maglia numero 33. Nel 1996 il suo nome è stato scritto dalla NBA nella lista dei 50 giocatori più forti di tutti i tempi.

    All'inizio della stagione 1997-1998 Larry Bird inizia la carriera di allenatore sulla panchina degli Indiana Pacers. Vince l'"NBA Coach of the Year Award" e porta il team a tre finali della "Eastern Conference" consecutive e alle finali assolute nel 2000, uscendo sconfitta dai Lakers.

    Lascia l'incarico dopo il termine della stagione 1999-2000, nonostante la disapprovazione dei tifosi. Torna ai Pacers nel 2003 come direttore sportivo.

    LARRY+BIRDLarry+Bird+Boston+Celtics+Best+Player+nba+2011




    Magic Johnson



    Magic_Johnson
    Earvin Johnson, nato a Lansing nel Michigan il 14 agosto 1959, soprannominato 'Magic' per la sua bravura nel catturare rimbalzi, inventare canestri e fare passaggi smarcanti, si dimostra un campione sin dai tempi del college; è un giocatore atipico per quel periodo, un giocatore di 204 centimetri che gioca nel ruolo di playmaker. Portò Michigan a vincere il titolo NCAA: di quella squadra era il leader assoluto.

    L'opinione pubblica temeva che questo ragazzo si sarebbe sgonfiato al primo impatto con l'NBA, invece Johnson entrerà nella storia del basket USA e mondiale.

    I Lakers, squadra di Los Angeles, lo scelgono nel 1979 e grazie al suo contributo, vincono cinque campionati NBA: 1980, 1982, 1985, 1987 e 1988. Per ben tre volte Magic viene nominato miglior giocatore della NBA, rispettivamente negli anni 1987, 1989 e 1990.

    Molti sostengono che questi anni sono il periodo nel quale i Lakers esprimono il più bel gioco di tutti i tempi.

    Si dice inoltre che Magic con le sue evoluzioni abbia cambiato il modo di giocare a basket; giocatore completissimo è stato utilizzato in tutti i ruoli, ma è nella posizione di playmaker che ha lasciato un segno indelebile nel mondo dell'NBA.

    Definito come il playmaker dell'era moderna le sue statistiche parlano di 6559 rimbalzi, 10141 assiste 17707 punti con una media di 19.5 punti per partita.

    Il 7 novembre 1991 Magic Johnson scuote il mondo del basket, ma in generale anche tutto il mondo sportivo, annunciando il suo ritiro, dopo essere risultato positivo al test HIV.

    Ma la sua carriera non finisce lì.

    Torna in campo insieme ad altri due giganti del basket, Larry Bird e Michael Jordan, nell'inimitabile 'Dream Team' (la nazionale USA) alle Olimpiadi di Barcellona del 1992, contribuendo alla conquista della medaglia d'oro. Durante i Giochi ovunque andasse era sempre circondato da fans, giornalisti ed atleti. Johnson era diventato un simbolo internazionale.
    Annunciò quindi la sua intenzione di tornare a giocare da professionista e nel settembre del 1992 firmò un altro contratto con i Lakers, ma nel novembre dello stesso anno si ritirò definitivamente.

    I Lakers in segno di gratitudine, stima e rispetto hanno consegnato alla storia la sua maglia: nessuno mai indosserà più il suo numero 32.

    Dopo essere stato un campione sul parquet, si è dimostrato un eroe anche fuori, partecipando attivamente alla lotta contro l'AIDS, conducendo campagne di sensibilizzazione e raccogliendo fondi attraverso una fondazione intitolata a suo nome.

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    Michael Jordan



    Michael_Jordan
    Michael 'Air' Jordan, leggenda del basket americano, nasce il 17 febbraio 1963 a New York, nel quartiere di Brooklin, dove i genitori James e Delores si erano appena trasferiti. Il suo nome completo è Michael Jeffrey Jordan. La famiglia è di umili origini: il padre lavora come meccanico alla centrale elettrica mentre la madre ha un modesto impiego in banca.

    Il ragazzo è molto timido, al punto che frequenta per tre anni un corso di economia domestica, dove impara a cucire, spaventato dal fatto che, crescendo, non avrebbe mai trovato una donna con cui sposarsi. Fortunatamente l'interesse per lo sport serve a incanalare tutte le sue energie: in compagnia del fratello Larry e della sorella Rasalyn pratica diverse attività sportive.

    Studente medio, ma già atleta eccezionale, brilla nel basket, ma anche nel football americano (come quarterback) e nel baseball (come lanciatore). Tutto questo però sembra insufficiente per l'allenatore di basket che decide di non sceglierlo per la squadra di quella che in America equivale alla scuola media. Eppure le sue doti emergono: nelle poche partite che gli è consentito giocare conquista in breve la fama di "dunker", a causa delle bellissime schiacciate che è in grado di effettuare. Dopo un anno di duro lavoro viene inserito in prima squadra e diventa subito famoso in tutto lo stato tra i migliori giocatori del campionato scolastico.

    A fine stagione la squadra di Wilmington è campione e per Micheal Jordan arriva anche la convocazione per la partita degli all-stars delle High School.

    Alla North Carolina university, al suo primo anno (1981) segna il tiro decisivo nella finale della NCAA, la famosa lega universitaria americana di basket. Terribilmente assorbito dall'impegno e dalla passione sportiva, abbandona prematuramente l'università. Partecipa alle Olimpiadi di Los Angeles, vince l'oro e approda all'NBA.

    Viene scelto come terzo giocatore dai Chicago Bulls. La squadra è considerata di bassa classifica, ma al suo arrivo tutto cambia. La gara d'esordio è contro Washington: i Chicago escono vincitori, con Michael che riesce a segnare 16 punti. Al termine della prima stagione viene eletto "Rookie of the year" (matricola dell'anno) e dopo pochi mesi viene votato per partecipare all'Allstar Game, che gli permette di essere messo sotto gli occhi del grande pubblico.

    La seconda stagione però non inizia nemmeno: la causa è un infortunio, il 25 Ottobre 1985, in una partita di allenamento contro i Golden State Warriors. Il risultato sono cinque mesi di stop per una frattura da stress. Il rientro avviene il 14 marzo 1986 quando mancano ancora 18 partite di stagione regolare. La voglia di rivincita è tanta e soprattutto c'è il desiderio di dimostrare che le sue capacità non sono scomparse. Il risultato di questa spinta interiore è eccezionale: nei playoff segna 63 punti contro i Boston Celtics di Larry Bird, la sua miglior prestazione di sempre.

    Nell'estate 1986 inizia a prendere forma attorno a Micheal Jordan la squadra che diventerà la dominatrice degli anni '90. Il terzo campionato NBA è per Jordan quello della conferma e della continuità, vince infatti per la prima volta la classifica marcatori con 37.1 punti a partita, una media da fantascienza del basket che forse nessuno riuscirà mai ad avvicinare.

    Negli 82 incontri di regular season Mike è il miglior realizzatore dei Bulls in 77 partite, segna due volte 61 punti, arriva a 50 in otto partite, ne mette 40 o più per addirittura 37 volte. Supera la barriera dei tremila punti e con 3041 segna il 35% dei punti totali realizzati da Chicago. Tutto ciò non lo distoglie dall'applicazione in difesa: è il primo giocatore della storia a concludere un campionato con 200 palle recuperate accoppiate a 100 stoppate.

    Dopo le edizioni "Slam Dunk Contest" del 1987 e del 1988 Michael viene consacrato "Air", per la sua grandiosa capacità di volare a canestro. Grazie a questi risultati e all'immenso seguito di cui gode negli Stati Uniti, il suo nome e la sua immagine diventano, com'è facilmente immaginabile, una macchina per fare soldi. Tutto quello che tocca diventa oro: a Chicago apre addirittura un ristorante dove può mangiare senza essere assediato dai fan. Anche il valore complessivo dei Bulls ha avuto una crescita inimmaginabile: passa da 16 a 120 milioni di dollari.

    Alle olimpiadi di Barcellona 1992, insieme a Larry Bird e Magic Johnson, Mike è una delle stelle del favoloso "Dream Team": vince il suo secondo oro olimpico.

    La crisi però è dietro l'angolo. Dopo aver ottenuto tutto ciò che era umanamente possibile ottenere come atleta, Michael Jordan annuncia a sorpresa il suo ritiro.

    Il 6 ottobre 1993 in una conferenza straripante di giornalisti al fianco di Jerry Reinsdorf, proprietario dei Chicago Bulls, e David Stern, commissioner NBA, comunica al mondo la sofferta decione. Lui stesso ammette in una dichiarazione: "Ho perso ogni motivazione. Nel gioco del basket non ho più nulla da dimostrare: è il momento migliore per me per smettere. Ho vinto tutto quello che si poteva vincere. Tornare? Forse, ma ora penso alla famiglia".

    A parte queste dichiarazioni "esistenziali", a incidere sulla sua decisione sono soprattutto due fattori. Il primo è legato alla vicenda del gioco d'azzardo e alle scommesse, il secondo è la tragica morte di suo padre James, ucciso con un colpo di pistola calibro 38 ai bordi di un'autostrada del North Carolina a scopo di rapina.

    Quasi un anno dopo il ritiro, il 9 settembre 1994, torna a giocare al "Chicago Stadium" in una partita di beneficenza tra giocatori NBA organizzata dal suo ex compagno Pippen. La cerimonia avviene dentro ad uno United Center stracolmo, le lacrime si sprecano quando viene alzata sul soffitto la tela della sua maglia: la storia del fantastico 'Air' Jordan sembra davvero finita.

    "Voglio dimostrare di poter primeggiare anche in un'altra disciplina", sono le prime parole del nuovo Jordan. Ecco allora che il 7 febbraio 1994 firma un contratto con la i Chicago White Sox, squadra della major league di baseball. Un sogno coltivato sin da quando era ragazzino, che però si infrange solo dopo 45 giorni quando si dovrà accontentare della molto meno prestigiosa maglia dei Birmingham Barons in una lega di seconda divisione. "E' stato un sogno per me, 16 dollari al giorno per mangiare attraversando le piccole città dell'America in pullman, un'esperienza che mi ha arricchito. Mi ha dato più voglia di tornare a giocare a basket".

    Ben presto dunque torna a casa, dichiarando che la sua esperienza con il baseball è conclusa. I suoi tifosi iniziano a sperare quando si allena per due giorni di fila con i Bulls. La rete televisiva ESPN interrompe i programmi per dare la notizia di un suo possibile ritorno. La Nike invia 40 paia di scarpe ai Bulls, quelle di Jordan. Il 18 marzo alle 11:40 del mattino i Bulls emanano un breve comunicato: "Michael Jordan ha informato i Bulls di aver interrotto il suo volontario ritiro di 17 mesi. Esordirà domenica a Indianapolis contro i Pacers". Michael Jordan, accompagnato da alcune guardie del corpo, si presenta a una conferenza stampa superaffollata balbettando solo poche parole: "I'm back!" (Sono tornato!).

    Non ancora appagato dei trionfi ottenuti, decide di continuare per un'ulteriore, forse ultima, stagione. La marcia dei "tori" durante la regular season 97-98, anche se non emozionante come le precedenti, è comunque convincente. L'esito è sempre lo stesso: i Bulls giungono nuovamente alla finalissima, dove incontrano i Jazz per il secondo anno consecutivo, uscenti da un'agevole finale di Conference vinta per 4-0 contro i giovani Lakers. I Bulls arrivano così al sesto titolo, forse l'ultimo, come detto, per Michael Jordan, che intravede all'orizzonte sempre più da vicino il momento del ritiro definitivo.

    Si ritirerà ripensandoci per ben due volte, fino al ritiro definitivo che arriva nel 2003. Michael Air Jordan lascia i parquet con un interminabile numero di record alle spalle.

    Di lui hanno detto:

    "È Dio travestito da Michael Jordan". (Larry Bird, dopo il record di 63 punti segnati da M. Jordan contro i Boston Celtics nei Playoff).

    "È il numero uno, credetemi" (Magic Johnson)

    "La sera prima di gara 5 della finale, Michael Jordan mangiò una pizza e si beccò una intossicazione alimentare. Volle scendere ugualmente in campo e segnò 40 punti. È questo il doping del campione vero: la voglia di giocare" (Spike Lee)

    michael-jordan-1992-dream-team-usa



    Miguel Indurain



    Miguel_Indurain
    Miguel Indurain Larraya nasce a Villava, paese della comunità autonoma della Navarra (Spagna), il giorno 16 luglio 1964. Straordinario campione del ciclismo, il nome di Indurain è ricordato soprattutto per essere stato il primo corridore a vincere per cinque volte consecutive il Tour de France, la più prestigiosa corsa a tappe di questo sport. Con straordinarie doti di passista, pur essendo stato fortissimo in montagna, l'arma in più di Indurain sono sempre state le tappe a cronometro. Non era uno scalatore classico ma era sempre fra i migliori, con il suo passo regolare, quando la strada saliva.

    La passione di Miguel Indurain per il ciclismo nasce in maniera abbastanza casuale, durante gli allenamenti sui 26 km tra Villava ed Elloriz, il paese della madre. Vince la sua prima corsa ufficiale all'età di undici anni, quando veste i colori del Club Ciclista Villavès. Famosa resta una frase del campione con cui descrive il premio di questo suo primo successo: "Un bocadillo y una Fanta, y eso me gustò" (Un panino e una Fanta sono bastati a farmi contento).

    Nel 1983 vince il campionato nazionale nella categoria dilettanti, poi l'anno dopo diventa professionista. Da allora militerà nello stesso gruppo sportivo (guidato da Josè Miguel Echavarri), dapprima nominato "Reynolds" e in seguito "Banesto", fino alla fine della carriera agonistica.

    La prima partecipazione di Indurain al Tour arriva già nel 1985. La prima vittoria tra i professionisti è una frazione al Tour de L'Avenir, gara a tappe che conquista nel 1986. La sua prima vittoria di tappa al Tour de France risale al 1989.

    In questi primi anni da professionista il gregario Miguel Indurain cresce aiutando Pedro Delgado, dal quale impara moltissimo, e che aiuta soprattutto nella conquista del Tour de France del 1988.

    Dopo cinque anni di esperienza, ritiri programmati e successi di tappa (la prima come detto è del 1989, poi ancora un'altra nel 1990), l'allievo supera il maestro. E' il Tour de France edizione 1991: Indurain, diventato capitano, vince dominando le due cronometro (di Alencon e Macon) e soprattutto grazie ad un attacco nella tappa pirenaica di Val Louron che lo vede lottare al fianco dell'italiano Claudio Chiappucci. Qui si apre di fatto l'era Indurain.

    Indurain fa il suo esordio nel Giro d'Italia nel 1992 e lo vince stracciando ogni avversario nella cronometro di Sansepolcro. Passa qualche settimana e al Tour si ripete: sbaraglia gli avversari nella crono di Lussemburgo e amministra il vantaggio sulle montagne. L'anno dopo è di nuovo "dopppietta" Giro e Tour. Indurain eguaglia campioni dai nomi altisonanti come Jacques Anquetil, Fausto Coppi, Eddy Merckx, Bernard Hinault e Stephen Roche. A scaldare i cuori degli amanti di questo sport arriverà successivamente Marco Pantani la cui ascesa inizierà al volgere della carriera dello spagnolo.

    Indurain vince cinque Tour de France consecutivi, impresa non riuscita nemmeno a Merckx, Hinault o Anquetil (campioni che hanno vinto cinque volte ma non consecutivamente); lo spagnolo sarà superato nella storia della corsa solo qualche anno dopo dallo statunitense Lance Armstrong.

    I successi di Indurain sono frutto di straordinarie qualità atletiche ma anche di uno spiccato talento tattico, che lo ha portato spesso a cedere i successi parziali di tappa per assicurasi quelli in classifica generale.

    Altre gare in cui Indurain ha lasciato il segno sono le due Parigi-Nizza vinte, due Giri di Catalogna, un secondo posto alla Vuelta di Spagna 1991 e un terzo posto al Giro d'Italia 1994. L'unica gara in linea vinta è stata la Classica di San Sebastian, nel 1990. Nella sua prestigiosa carriera vanno annoverati anche i tre podi ottenuti ai Campionati del Mondo: terzo a Stoccarda nel 1991, secondo nel 1993 a Oslo (dietro Lance Armstrong), secondo nel 1995 a Duitama (Colombia), beffato dal connazionale Abraham Olano. Nel suo palmares conta il Mondiale a cronometro del 1995 e il record dell'ora di 53,040 km, stabilito nel velodromo di Bordeaux nel 1994 (tempo poi annullato dall'UCI).

    Dopo la delusione del mondiale colombiano Indurain fallisce un nuovo tentativo di record dell'ora a Bogotà. Nel 1996 viene poi detronizzato al Tour de France dal danese Bjarne Rijs. Seguono un ritiro alla Vuelta e la mancata partecipazione al Campionato del Mondo. Indurain prima di terminare la carriera ottiene però un altro grande risultato sportivo: vince la medaglia d'oro alla cronometro delle Olimpiadi di Atlanta 1996.

    Con 111 corse vinte in carriera, dopo il ritiro Miguel Indurain, si occupa di varie attività economiche - tra le quali vi sono concessionarie automobilistiche, grandi magazzini sportivi e tenute agricole - seguendo tuttavia ancora il mondo del ciclismo, curando rubriche per la stampa spagnola in occasione delle grandi corse internazionali. Oggi insieme alla moglie Marisa ed i tre figli, Miguelito, Anna e Jon, vive a Olaz - nei dintorni di Pamplona - dove gestisce un negozio di biciclette ed articoli sportivi.

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    Edited by gheagabry - 13/11/2012, 18:47
     
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    Mate Parlov

    Mate Parlov (Imotschi, 16 novembre 1948 – 29 luglio 2008) è stato un pugile croato.

    Medaglia d'oro per la ex Jugoslavia della categoria dei mediomassimi alle Olimpiadi di Monaco del 1972, come professionista fu campione europeo nel 1976 e campione mondiale nel 1978.

    Parlov è universalmente considerato il più grande pugile croato di ogni tempo, e anche uno tra i più grandi sportivi croati del XX secolo.

    La carriera dilettantistica

    Grandissimo dilettante, disputò 310 incontri perdendone solo 13. Tra i pugili in maglietta, oltre a vincere l'oro nel 1972 alle Olimpiadi di Monaco, fu 13 volte campione di Iugoslavia, 5 volte campione dei balcani, 2 volte vincitore dei Golden Gloves (nel 1967 e nel 1969), 2 volte campione europeo (nel 1971 a Madrid e nel 1973 a Belgrado), e campione mondiale ai Campionati mondiali di pugilato dilettanti 1974 dell'Avana.

    La carriera professionale

    Divenne professionista a quasi 27 anni ma, grazie alla fama e all'esperienza tra i dilettanti, gli fu data in breve l'opportunità di combattere per il titolo europeo dei mediomassimi, che conquistò il 10 luglio 1976 battendo per KOT all'11° round Domenico Adinolfi. Un paio di mesi prima era stato battuto ai punti da Matthew Saad Muhammad, futuro campione mondiale della categoria, con cui Parlov pareggiò la rivincita, sostenuta nel dicembre del 1976.

    Il 17 giugno 1978 Parlov divenne campione del mondo dei mediomassimi sconfiggendo il britannico John Conteh, ma perse il titolo alla prima difesa contro Marvin Johnson, nel dicembre dello stesso anno.

    Passato alla categoria di peso superiore dei cruiserweight, pareggiò un match con Marvin Camel, perdendo ai punti la rivincita e ritirandosi nel 1980.

    Vita dopo la boxe

    Parlov allenò la nazionale jugoslava di boxe alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984, dove i pugili balcanici raggiunsero il miglior risultato di sempre, vincendo un oro, un argento e due bronzi. Dopodiché, nel 1985, si trasferì con la famiglia a Fasana, vicino a Pola, dove aprì e condusse un proprio bar, lontano dalla boxe e dal pubblico, con l'eccezione di pochi episodi in cui comparve come commentatore di match di pugilato per la televisione croata.

    Nel marzo del 2008 gli fu diagnosticato un cancro ai polmoni, di cui Parlov morì quattro mesi più tardi all'ospedale di Pola.

    Dati biografici


    Nome Mate Parlov
    Nazionalità Croazia
    Altezza 188 cm
    Pugilato
    Dati agonistici
    Categoria Pesi mediomassimi
    Ritirato 31 marzo 1980
    Carriera
    Incontri disputati
    Totali 29
    Vinti (KO) 24 (12)
    Persi (KO) 3 (1)
    Pareggiati 2
    Palmarès
    Olimpiadi
    Oro Monaco di Baviera 1972 mediomassimi
    Mondiali
    Oro Avana 1974 mediomassimi
    Europei
    Argento Bucarest 1969 medi
    Oro Madrid 1971 mediomassimi
    Oro Belgrado 1973 mediomassim



    Janica Kostelić

    Janica Kostelić (Zagabria, 5 gennaio 1982) è un'ex sciatrice alpina croata. Pluricampionessa olimpica e mondiale, ha vinto tre Coppe del Mondo. Assieme all'austriaca Petra Kronberger, alle svedesi Pernilla Wiberg ed Anja Pärson ed all'americana Lindsey Vonn, è entrata a far parte di quel ristretto gruppo di sciatrici che sono state in grado di ottenere successi in tutte e cinque le specialità.

    È la sorella minore di Ivica, a sua volta sciatore alpino di alto livello, ed era allenata dal padre Ante, ex giocatore di pallamano, che è stato il loro allenatore fin dall'infanzia. I fratelli Kostelić sono i primi campioni dello sci alpino della storia della Croazia, Paese che non aveva tradizioni in questa disciplina. Anche ai tempi della Jugoslavia, infatti, i migliori elementi della nazionale di sci alpino provenivano dalla Slovenia.

    Janica Kostelić esordì a sedici anni in Coppa del Mondo, nella stagione 1998. Ottenne il primo piazzamento sul podio nella stagione successiva, con un terzo posto in slalom speciale, e quindi la prima vittoria, in combinata. A dicembre del 1999 vinse due slalom, ma pochi giorni dopo si infortunò gravemente al ginocchio, subendo la rottura di quattro legamenti.

    Il primo ciclo di successi

    Rientrò con successo alle competizioni la stagione seguente. Ai Mondiali del 2001 vinse l'oro nello slalom speciale. Chiuse la stagione in testa alla classifica generale di Coppa del Mondo, e si aggiudicò anche la Coppa di specialità di slalom speciale e la classifica di combinata.

    L'anno dopo, ai XIX Giochi olimpici invernali di Salt Lake City 2002, vinse tre medaglie d'oro (gigante, speciale e combinata) e un argento in supergigante. Sono state le prime medaglie mai vinte dalla Croazia nella storia dei Giochi olimpici invernali.

    Nel 2003 Janica Kostelić visse un'altra stagione trionfale. Ai Mondiali di Sankt Moritz vinse due titoli mondiali, nello slalom speciale e nella combinata. Anche il fratello Ivica vinse il titolo mondiale nello slalom maschile. È stata la prima e finora unica volta in cui un fratello e una sorella hanno vinto il titolo mondiale nella stessa specialità dello sci alpino. A fine stagione la croata vinse la sua seconda Coppa del Mondo, assieme alla "coppetta" di slalom speciale e alla classifica di combinata.

    L'infortunio e il ritorno

    Nella stagione 2003-2004 Janica Kostelić non gareggiò: un nuovo infortunio al ginocchio e altri problemi di salute la tennero a lungo lontano dalle competizioni.

    Rientrò in Coppa del Mondo nel dicembre 2004, dopo quindici mesi di assenza. Ai Mondiali 2005 vinse tre medaglie d'oro, in discesa libera, slalom speciale e combinata.

    Ai XX Giochi olimpici invernali di Torino 2006 fu la portabandiera della Croazia nella cerimonia di apertura. Si confermò campionessa olimpica in combinata, titolo già vinto nel 2002 a Salt Lake City, diventando la prima atleta nella storia a vincere quattro ori olimpici nello sci alpino, e giunse seconda nel supergigante alle spalle dell'austriaca Michaela Dorfmeister. Nel 2006 vinse anche la classifica generale della Coppa del Mondo e la Coppa del Mondo di slalom speciale, entrambe per la terza volta.

    Il ritiro

    Il 6 ottobre 2006 dichiarò che non avrebbe partecipato alla stagione 2006-2007, a causa dei già noti problemi di salute alla tiroide e ai problemi legati alle ginocchia e alla schiena. Disse anche che avrebbe continuato a seguire il mondo dello sci e che sarebbe stata presente alle gare del fratello Ivica.

    Il 19 aprile 2007, all'età di appena 25 anni, annunciò il suo ritiro definitivo dalle competizioni.
    Palmarès

    Olimpiadi
    6 medaglie:
    4 ori (slalom gigante, slalom speciale, combinata a Salt Lake City 2002; combinata a Torino 2006)
    2 argenti (supergigante a Salt Lake City 2002; supergigante a Torino 2006)

    Mondiali
    5 medaglie:
    5 ori (slalom speciale, combinata a Sankt Moritz 2003; discesa libera, slalom speciale e combinata a Bormio 2005)

    Mondiali juniores
    1 medaglia:
    1 bronzo (supergigigante a Megève/Chamonix/Saint-Gervais 1998)

    Coppa del Mondo
    Vincitrice della Coppa del Mondo nel 2001, nel 2003 e nel 2006
    Vincitrice della Coppa del Mondo di slalom speciale nel 2001, nel 2003 e nel 2006
    Vincitrice della classifica di combinata nel 2001, nel 2003, nel 2005 e nel 2006

    55 podi:
    30 vittorie (20 in slalom, 4 in combinata, 2 in supercombinata, 2 in slalom gigante, 1 in supergigante e 1 in discesa libera)

    16 secondi posti

    9 terzi posti

    Coppa del Mondo - vittorie Data Luogo Paese Disciplina
    17 gennaio 1999 St. Anton am Arlberg Austria K
    5 dicembre 1999 Serre Chevalier Francia SL
    12 dicembre 1999 Sestriere Italia SL
    18 novembre 2000 Park City Stati Uniti d'America SL
    25 novembre 2000 Aspen Stati Uniti d'America SL
    10 dicembre 2000 Sestriere Italia SL
    20 dicembre 2000 Sestriere Italia SL
    28 dicembre 2000 Semmering Austria SL
    14 gennaio 2001 Flachau Austria SL
    14 gennaio 2001 Flachau Austria K
    26 gennaio 2001 Ofterschwang Germania SL
    18 febbraio 2001 Garmisch-Partenkirchen Germania SL
    10 marzo 2002 Altenmarkt Austria SL
    23 novembre 2002 Aspen Stati Uniti d'America SL
    22 dicembre 2002 Lenzerheide Svizzera SL
    22 dicembre 2002 Lenzerheide Svizzera K
    29 dicembre 2002 Semmering Austria SL
    5 gennaio 2003 Bormio Italia SL
    8 marzo 2003 Åre Svezia SL
    27 novembre 2004 Aspen Stati Uniti d'America SL
    27 febbraio 2005 Sansicario Italia K
    21 dicembre 2005 Špindlerův Mlýn Repubblica Ceca GS
    14 gennaio 2006 Bad Kleinkirchheim Austria DH
    15 gennaio 2006 Bad Kleinkirchheim Austria SG
    22 gennaio 2006 Sankt Moritz Svizzera SC
    5 febbraio 2006 Ofterschwang Germania SL
    4 marzo 2006 Hafjell Norvegia SC
    10 marzo 2006 Levi Finlandia SL
    17 marzo 2006 Åre Svezia SL
    18 marzo 2006 Åre Svezia GS

    Campionati croati

    Campionessa croata di slalom gigante nel 2005
    Campionessa croata di slalom speciale nel 2005 e nel 2006

    Riconoscimenti


    Il 22 maggio 2006 a Barcellona ha vinto il premio Laureus nella categoria "Sportiva dell'anno", l'"Oscar degli sportivi" per il quale era già stata candidata nel 2003 e nel 2005[


    Edited by arca1959 - 20/12/2012, 12:21
     
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    I CAMPIONI OLIMPICI


    Josefa Idem


    Josefa_Idem
    Josefa Idem nasce a Goch, in Germania, il 23 settembre del 1964. Canoista tedesca, naturalizzata italiana a partire dal 1990, campionessa mondiale e olimpica nella specialità del kayak individuale. Vanta 35 medaglie tra Olimpiadi, mondiali ed europei. È, inoltre, la prima ed unica donna nella storia della canoa italiana che ha vinto un Campionato Mondiale ed un'Olimpiade.

    Smessa l'attività sportiva, ha rivolto il proprio interesse a livello civile e politico, soprattutto nella regione nella quale risiede ormai da anni, l'Emilia-Romagna, oltre che nella città di Ravenna. Parla ottimamente il tedesco, sua lingua naturale, il francese, l'inglese e l'italiano.

    L'incontro con la canoa per la piccola Josefa arriva all'età di undici anni. Tuttavia, inizialmente e per molti anni ancora, quella che diventerà la sua futura disciplina olimpica, rimane solo un divertimento. La Idem infatti, fino al suo diploma, conseguito a pieni voti in una scuola tedesca, si dedica soprattutto allo studio. Le lingue principalmente sono la sua grande passione, ragion per cui si diploma proprio in questo indirizzo specifico.

    Diciottenne, Josefa deve compiere una scelta e, alla fine, si lascia prendere dalla passione per lo sport. Entra allora nella nazionale tedesca e due anni dopo, ventenne, si aggiudica la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Los Angeles, esattamente nel 1984. La specialità è il kayak in coppia, K2 sui 500 metri, e con lei c'è Barbara Schuttpelz.

    Il 1985 segna il suo passaggio al K1, la canoa individuale, che diventa la sua vera specialità. Per due anni si presenta puntualmente alle finali mondiali di kayak individuale, ma non riesce ad andare oltre il quinto posto. Altrettanto deludente, sia dal punto di vista individuale che a squadre, è l'esperienza alle Olimpiadi di Seul, nel 1988. Arriva rispettivamente nona e quinta e, nello stesso anno, prendendo coscienza dei limiti della federazione tedesca per quanto concerne questa disciplina sportiva, decide di trasferirsi in Italia, onde dare una svolta alla sua carriera di atleta. A novembre, è nel Bel Paese, determinatissima.

    Si affida allora, anima e corpo, com'è il caso di dire, all'allenatore Guglielmo Guerrini. Il cambiamento si nota immediatamente e Josefa Idem si guadagna due terzi posti ai mondiali, nel K1 sui 500 metri e sui 5.000.

    L'anno dopo, la bella Josefa e il suo allenatore convolano a nozze. Il matrimonio consente alla canoista tedesca di ottenere la residenza italiana e potersi naturalizzare anche dal punto di vista sportivo.

    Ai mondiali del 1990 pertanto Josefa Idem gareggia con la maglia della nazionale italiana e vince il suo primo titolo iridato nel K1 sui 500, oltre al bronzo nei 5000.

    L'anno dopo, ai mondiali, ottiene piazzamenti esattamente invertiti, con l'oro nel K1 5000 metri e il bronzo nel K1 500 metri.

    Nel 1992 diventa cittadina italiana a tutti gli effetti. Nello stesso anno allora, per la prima volta come italiana e non da naturalizzata, prende parte ai Giochi Olimpici di Barcellona, in Spagna, ma non riesce ad andare sopra il quarto posto. Nel 1994, ai Campionati del Mondo, a Mexico City, arriva terza.

    Intanto, il 30 aprile del 1995, nasce Janek, il suo primo figlio.

    Nel 1996, alle Olimpiadi di Atlanta, vince il bronzo nel K1 500. Da questo momento in poi, la Idem comincia a vincere di tutto, diventando nell'arco di un decennio l'atleta donna italiana che ha vinto di più negli sport individuali. Dal 1997 sino al 2002 vince tre titoli mondiali, cinque titoli europei e la medaglia d'oro nel K1 500 metri alle Olimpiadi di Sydney, esattamente nel 2000.

    L'anno dopo questo importante risultato, nasce anche il suo secondo figlio, Jonas.

    Il 2001 è anche l'anno della sua entrata in politica. Josefa Idem si candida per le liste dell'Ulivo e viene eletta al Comune di Ravenna, città nella quale risiede da anni, divenendo Assessore allo Sport. Mantiene la carica fino al 2007.

    A conferma della sua straordinaria forza atletica, 15 mesi dopo il suo secondo parto, all'età di 40 anni, Josefa si rimette in discussione, aggiudicandosi la medaglia d'argento ai Giochi di Atene del 2004, sua sesta olimpiade in carriera.

    Non contenta, nel 2008, quarantatreenne, ottiene anche la medaglia d'argento alle Olimpiadi di Pechino, sempre nella sua specialità del kayak individuale sui 500 metri.

    Infine, il 20 agosto del 2010, batte ogni record quanto a partecipazioni mondiali e olimpiche, gareggiando ai mondiali di Sezged. E' inoltre l'atleta femminile con più olimpiadi disputate in assoluto, non solo a livello nazionale.

    Dal 2000 circa, sposa molte campagne di sensibilizzazione, come quella per l'Aism, ossia l'associazione italiana che si occupa della sclerosi multipla, e quella per la donazione di organi, che dal 2002 la impegna nella sua regione.

    Dal 2005 collabora con La Gazzetta dello Sport. Al termine del suo impegno politico a livello locale, nel febbraio del 2007 viene nominata membro della Commissione Scientifica per la Vigilanza e il Controllo sul Doping per la tutela della Salute nelle Attività Sportive, al Ministero della Salute. Dello stesso anno poi, il suo esordio letterario, con la pubblicazione dell'autobiografia "Controcorrente", edita dalla casa editrice Sperling & Kupfer.

    Nell'agosto del 2011, grazie ai risultati di Sezged, si qualifica per le Olimpiadi di Londra del 2012, a cui parteciperà - all'età di quarantasette anni - per battere un nuovo record di presenze ma soprattutto per vincere ancora.

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    Alex Zanardi



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    A 100 chilometri da Berlino e a 60 da Dresda è stato costruito, adiacente la nuovissima pista del Lausitzring (tristemente famosa per il terribile incidente costato la vita al pilota italiano Michele Alboreto), un circuito della lunghezza di 2 miglia che permette con facilità alle autovetture di raggiungere picchi di oltre 370 km/h.

    E' proprio all'interno di tale circuito che, in una corsa a pochi giri dal termine, nel pomeriggio di sabato 15 settembre 2001 ha avuto luogo il terribile incidente fra il nostro Alex Zanardi e il pilota italo canadese Tagliani.

    Zanardi, a undici giri dal termine, era rientrato per un rabbocco precauzionale di benzina e con foga aveva ripreso la pista, ricevendo schizzi di carburante sulla visiera. Ma nell'atto di detergerla successe che perse sfortunatamente il controllo della vettura la quale, dopo un testa e coda, rientrò lentamente ma trasversalmente sulla pista proprio mentre sulla stessa linea soppraggiungeva la vettura di Tagliani. Conseguenza di questa tragica fatalità fu un urto perfettamente perpendicolare fra le due vetture, inevitabile e violentissimo, che tagliò letteralmente in due la Reynard Honda di Zanardi, proprio all'altezza delle anche del pilota bolognese.

    Subito le condizioni apparvero disperate e per limitare l'emorragia si dovette intervenire con la soluzione più drastica e radicale: l'amputazione degli arti inferiori. Come per Clay Regazzoni, come per Frank Williams. Se con quest'atto, dettato da "estrema ratio", si riuscì indubbiamente a salvare la vita del valoroso pilota, le condizioni di Zanardi rimasero gravissime per lungo tempo, complici altre numerose fratture e il perenne rischio di embolia.

    Alessandro Zanardi nasce a Bologna il 23 ottobre 1966 con la passione per i motori nel sangue, ben supportata dell'esempio paterno. Anche il genitore era ottimo pilota dilettante e grande intenditore. Alex frequenta così le corse, inizia a gareggiare sui kart e segue con passione tutti gli avvenimenti legati a questo sport. La sua classe indiscussa pian piano emerge, ottenendo nel tempo ottimi risultati come i 3 Campionati Italiani ed il titolo Europeo di kart: i risultati lo fanno entrare di diritto in Formula 3 dove, come miglior risultato, ottiene un secondo posto nel Campionato Europeo.

    Pur senza possedere grandi possibilità economiche (il padre è idraulico e la madre una valente artigiana camiciaia), Alex Zanardi riesce ad entrare in Formula 3000 nel 1990. Eddie Jordan, grande talent scout ed opportunista, lo segue e nel 1991 lo schiera nel suo Team in Formula 1. Pur confermandosi grande combattente non ottiene però in questo periodo risultati di rilievo. Passa per tutte le cosiddette squadre di "riempimento" (Minardi, Lamborghini e Lotus), fino al 1994. In 25 Gran Premi disputati non riesce ad ottenere che un solo punto in Classifica. A Spa è protagonista di un terribile incidente che, pur senza conseguenze, lo costringe a lasciare il Team Lotus.

    Nel 1995 nonostante i tanti contatti con squadre di Formula 1, nulla va a buon fine e viene avvicinato da procuratori che lo propongono a manager della Formula Kart americana. Chip Ganassi, leggenda della Serie americana lo vuole e, con un ingaggio che non si può rifiutare, lo convince a fare il passo. Si ambienta in fretta e già nel primo anno (1996) ottiene tre vittorie che lo pongono in primo piano per la vittoria dell'anno successivo: un successo che gli fa guadagnare il rispetto (con anche un pizzico di sana invidia) dei piloti americani.

    Le previsioni vengono pienamente confermate e per gli anni 1997 e 1998 il pilota da battere è lui. Con autentiche imprese che fanno impazzire i tifosi Alex si impone nel Campionato in entrambi gli anni, ma il desiderio di rivalsa per una Formula 1 che non lo ha nè capito, nè giustamente valutato, lo chiama. La richiesta da parte del Team Williams per un contratto triennale non lo fa neanche riflettere, firma ed abbandona gli Stati Uniti, lasciando un grande vuoto fra gli appassionati.

    La Williams, pur sempre squadra di vertice, nel 1999 realizza una vettura mal riuscita e in 16 Gran Premi, Zanardi colleziona ben 10 ritiri. All'interno del Team il suo carattere educato e gentile si scontra con l'animo burbero del Capo progettista Patrick Head che lo scarica letteralmente, incaricando il giovane Ralf Schumacher dello sviluppo della vettura. Il clima diventa impossibile e così, a fine stagione, da gran signore, Alex accetta la transazione della risoluzione del contratto dei restanti due anni. Con una bella cifra di liquidazione si ritira a Montecarlo a godersi la dolce moglie Daniela ed il piccolo Niccolò, con frequenti puntate a Castelmaggiore a trovare le adorate mamma e nonna.

    Dopo un 2000 di tutto riposo, Mo Nunn, altro grande manager della Cart convince Zanardi a tornare a correre nella Serie a bordo delle Reynard Honda del team e così Alex ritorna negli States. Toltosi la ruggine dell'inattività nelle prime corse, purtroppo quel fatale incidente, assolutamente casuale, ha interrotto quel ritorno.

    Il pilota, dotato di un carattere di ferro, non senza fatica si è ripreso, si è adattato a quelle brutte (ma per lui salvifiche) protesi e il suo sorriso è tornato a splendere sulle piste, con grande gioia degli appassionati e di chi lo ha sempre amato.

    Con l'aiuto di Gianluca Gasparini, giornalista della "Gazzetta dello Sport", Alex ha scritto "... Però, Zanardi da Castelmaggiore!" (2003), un libro che ripercorre la sua vita, la sua carriera e soprattutto il suo straordinario recupero.

    Il ritorno di Alex Zanardi ha commosso l'intero mondo sportivo ancor più del dramma vissuto per l'incidente. Da sempre nobile e gentile nell'animo, Alex non solo ha dimostrato tenacia e determinazione, ma una grande umiltà, voglia di vivere e un immenso amore per il suo sport. Per tutte le sfortunate vittime di incidenti analoghi al suo, per i loro amici e famigliari, e per chiunque ami lo spirito sportivo, Alex Zanardi è un eroe, un esempio e un punto di riferimento.

    Nel 2010 la sua carriera si arricchisce di una nuova esperienza, quella di conduttore televisivo: su Rai Tre conduce "E se domani", un'innovativa trasmissione di divulgazione scientifica in onda in prima serata.

    Nel 2012 partecipa alle Paralimpiadi di Londra gareggiando ora sulle tre ruote dell'handbike: compie un'impresa straordinaria vincendo la medaglia d'oro e salendo sul gradino più alto del podio, per la prima volta nella sua carriera sportiva.

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    Alberto Tomba



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    Nato il 19 dicembre 1966 a Bologna, lontano dalle cime innevate del belpaese, Alberto Tomba è stato uno dei più importanti atleti italiani di sempre, e tra i protagonisti del circo bianco, in assoluto il più grande.

    All'apice della sua carriera di sciatore, le imprese sportive di Alberto Tomba erano note quanto le sue spacconate: coinvolto in risse dal pressing dei paparazzi, pizzicato ad utilizzare il lampeggiante (in dotazione in quanto carabiniere) in autostrada per scopi personali, spavaldo e talvolta al limite della maleducazione nelle interviste con i giornalisti.

    Ma Tomba vinceva tanto proprio perchè al suo talento aggiungeva la sua grinta e il suo coraggio da leone. Forte in slalom gigante, fortissimo in slalom speciale, poteva capitare che Alberto Tomba cadesse, però poi si rialzava. Più forte di prima.

    La carriera agonistica inizia nel 1983 a soli diciassette anni, dove gareggia in Svezia con la squadra C2 in Coppa Europa. L'anno seguente partecipa ai mondiali juniores americani, nella squadra C1: il quarto posto in slalom porta Alberto ad avanzare in squadra B. Sono questi gli anni della gavetta per Tomba, che dà il cuore per lo sport che ama. Al "parallelo di Natale" 1984, classica manifestazione milanese che si svolge sulla montagnetta di San Siro, Alberto Tomba sorprende tutti battendo i blasonati colleghi della squadra A: "Un azzurro della B beffa i grandi del parallelo", titola la Gazzetta dello Sport.

    Con costanza, determinazione, e quello scomodo cognome che si porta appresso, abitante della città in mezzo ad alpini con la montagna nel DNA, Alberto raggiunge la squadra A e partecipa nel 1985 alla sua prima gara di Coppa del Mondo, a Madonna di Campiglio. Poi è la volta di Kitzbuhel (Austria) nel 1986. Nello stesso anno ad Aare (Svezia), Alberto parte con il numero 62 e si piazza sesto nella gara vinta da quello che sarà uno dei suoi più grandi rivali negli anni a venire, Pirmin Zurbriggen.

    Alla fine del 1986 in Alta Badia arriva il primo podio in Coppa del Mondo, poi ancora nel 1987, ai mondiali di Crans Montana, conquista una medaglia di bronzo. Il nome di Alberto Tomba ricorre spesso nella stagione seguente: vince 9 gare tra cui la sua prima grande vittoria in slalom speciale. Dopo una serata di festeggiamenti, il giorno che segue la vittoria in speciale, Tomba vince anche il gigante, arrivando davanti al grande Ingemar Stenmark e addirittura salutando il pubblico con il braccio alzato prima ancora di tagliare il traguardo.

    Poi è la volta delle Olimpiadi invernali dove Tomba vince due ori, negli slalom gigante e speciale; la Rai interrompe la trasmissione del Festival di Sanremo per trasmettere l'ultima gara.

    Tomba sembra essere lo sciatore del secolo tuttavia la Coppa del Mondo va a Pirmin Zurbriggen; lo stile di Tomba in tutta la sua carriera mostrerà una sciata sempre all'attacco, sempre per vincere, che sovente porterà ad inforcare i pali perdendo l'opportunità di raccogliere punti importanti per la classifica generale. Ma d'altra parte questa sarà una delle peculiarità dello speciale carattere del grande campione italiano.

    Dopo una non brillante successiva stagione nel 1989 Alberto decide di lasciar perdere le discipline veloci per concentrarsi solo sulle gare di slalom speciale e gigante.

    E' nella stagione 1991/92 che Alberto Tomba torna alla grande: 9 vittorie, 4 secondi posti e 2 terzi posti. Poi le Olimpiadi di Albertville: vince l'oro in gigante davanti a Marc Girardelli e l'argento in slalom speciale.

    Nel 1993 il CIO (Comitato Olimpico Internazionale) decide di separare le Olimpiadi estive da quelle invernali per avere un'alternanza biennale dei giochi olimpici. Nel 1994 si svolgono quindi le Olimpiadi invernali a Lillehammer, in Norvegia, dove Alberto Tomba conquista un argento in speciale.

    Venti anni dopo Gustav Thoeni, nel 1995 Alberto Tomba riporta in Italia la Coppa del Mondo generale, vincendo 11 gare e perdendo solo quelle svoltesi in Giappone, terra per Tomba da sempre ostile dal punto di vista scaramantico.

    I Mondiali di Sierra Nevada che dovevano svolgersi nel 1995 vengono spostati all'anno successivo per mancanza di neve: Tomba, che sembra gradire di più gli anni pari, vince 2 ori. Dopo queste vittorie, dopo dieci anni di sacrifici e dopo aver vinto tutto, comincia a pensare al ritiro. Ma Tomba non può mancare ai Mondiali italiani del Sestriere del 1997: Alberto non arriva molto in forma. Il suo calo è sia fisico che psicologico, ma il suo senso di responsabilità e la voglia di far bene nel suo paese lo portano a dare il massimo. Febbricitante, arriva terzo in slalom speciale.

    Nel 1998 le Olimpiadi si tengono a Nagano, in Giappone. E Alberto non vuole mollare. Dopo una rovinosa caduta in gigante, l'infortunio conseguente non gli permette un'adeguata prestazione in speciale.

    Dopo una vita tutt'altro che facile passata sotto i riflettori, si ritira: insieme a Ingemar Stenmark, Alberto Tomba è l'unico atleta ad aver vinto per dieci anni consecutivi in Coppa del Mondo.

    I successi di Alberto Tomba:

    - 48 vittorie in Coppa del Mondo (33 in Slalom, 15 in Gigante)

    - 5 medaglie d'oro (3 alle Olimpiadi e 2 ai Mondiali)

    - 2 medaglie d'argento alle Olimpiadi

    - 2 medaglie di bronzo ai Mondiali

    - 4 Coppe di specialita' in Slalom Speciale

    - 4 Coppe di specialita' in Slalom Gigante

    - 1 Coppa del Mondo Generale

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    Edited by gheagabry - 13/11/2012, 18:50
     
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    Sandra Perković

    Sandra Perković (Zagabria, 21 giugno 1990) è un'atleta croata, specializzata nel lancio del disco e nel getto del peso. Si è laureata campionessa europea ai campionati europei di Barcellona 2010 e ha vinto la medaglia d'oro alle Olimpiadi di Londra 2012.




    Biografia
    Gli inizi (2001-2005)

    Sandra iniziò molto precocemente a praticare vari sport come basket, pallavolo e soprattutto l'atletica leggera. Nel 2001 entrò nella società Dinamo-Zrinjevac. Dal 2004 è allenata dall'ex lanciatore e olimpionico Ivan Ivančić.

    I primi successi internazionali (2006-2009)

    Nel 2006 partecipò alla sua prima esperienza internazionale: i campionati mondiali juniores, a Pechino. In quell'occasione non riuscì però a qualificarsi per la finale.

    L'anno successivo riuscì a conquistare l'argento prima ai campionati mondiali allievi e poi ai campionati europei juniores sempre nel lancio del disco. Passato un anno riuscì a vincere il bronzo ai Campionati mondiali juniores del 2008.

    All'inizio del 2009, le venne diagnosticata un'appendicite. Tre giorni dopo ci fu la rottura dell'appendice che causò una sepsi che fu per lei quasi fatale. Subì immediatamente due interventi chirurgici che superò con successo. In quel periodo perse ben 15 kg del suo peso corporeo e fu costretta ad una lunga degenza.

    Tuttavia riprese ad allenarsi dopo una pausa di soli tre mesi riuscendo anche a conquistare la medaglia d'oro ai campionati europei juniores di Novi Sad, stabilendo il nuovo record nazionale con un lancio a 62,44 metri. Un mese dopo pertecipò al suo primo grande concorso a livello assoluto: i Campionati mondiali di Berlino dove concluse al nono posto.

    Carriera assoluta (2010-oggi)

    Dopo una stagione 2010 a buon livello, nel mese di luglio partecipò ai Campionati europei di Barcellona, dove riuscì a conquistare la medaglia d'oro nel lancio del disco. Durante le qualificazioni fu vicina all'eliminazione non raggiungendo la misura richiesta di 60 metri e passando il turno solo con la decima misura. Giunta in fianle si issò immediatamente al secondo posto, mantenuto fino all'ultimo turno quando lanciò il suo disco fino alla misura di 64,67 m, diventando così la più giovane campionessa europea nel lancio del disco femminile della storia. Poco dopo concluse la sua stagione vincendo l'argento alla Coppa continentale di atletica leggera a Spalato.

    Nel febbraio 2011, riuscì a migliorare ulteriormente il suo record nazionale portandolo fino a 67,96 m.

    La squalifica doping

    Durante le tappe della Diamond League 2011 di Shangai e di Roma, rispettivamente del 15 e del 26 maggio, venne trovata positiva al Methylhexanamine.[1] La federazione croata decise così di imporle una squalifica di sei mesi dalle competizioni, durata fino al 7 dicembre del 2011.[2][3] Oltre alla squalifica vennero annullati tutti i suoi risultati, dalla data della prima positività al doping, compreso il 69,99 metri ottenuto a Varaždin il 4 giugno, miglior misura al mondo degli ultimi 12 anni.

    Il ritorno alle gare e il titolo olimpico (2012)

    Rientrata dalla squalifica, nella stagione 2012, tornò alle gare. Dopo aver conquistato la vittoria in vari meeting, nel mese di giugno partecipò ai campionati europei di Helsinki dove vinse l'oro nel lancio del disco con un lancio a 67,62 m.

    Il 3 agosto prese parte alle Olimpiadi di Londra ancora nel lancio del disco superando agevolmente le qualificazioni. Il giorno successivo riuscì a conquistare l'oro lanciando fino alla misura di 69,11 m, il nuovo record nazionale croato.

    Dopo numerose vittorie ai meeting del circuito della Diamond League riuscì ad aggiudicarsi il diamante in palio per la gara di lancio del disco femminile totalizzando il punteggio di 30 punti


    Edited by gheagabry - 12/11/2012, 23:53
     
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    Campioni Olimpici

    Jan Thorpe




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    Ai Giochi Olimpici di Sidney 2000 ha vinto tre ori e due argenti, ha stabilito il nuovo record del mondo nei 400 stile libero e ha contribuito al primato mondiale nella staffetta 4x100. L'anno dopo, nel luglio 2001, ha partecipato ai Campionati Mondiali di Fukuoka, vincendo sei medaglie d'oro e frantumando quattro primati del mondo.

    Tutto questo ha un nome e un cognome, già scritti a lettere d'oro negli albi di storia del nuoto e dello sport in generale: Ian Thorpe.

    Nato a Paddington, Sidney (Australia) il 13 ottobre 1982, Ian James Thorpe, soprannominato "la Torpedine", è uno dei migliori nuotatori di sempre sulle medie distanze, un colosso che in acqua ha una grazia da delfino, proprio come se quello fosse il suo elemento naturale. Ed è con una naturalezza infinita che Ian Thorpe ha completamente dominato i 400 metri stile libero sin dalla sua prima vittoria in un Campionato mondiale del 1998.

    Poi sono arrivati i successi già ricordati, ma nel frattempo il suo dominio si è ampliato anche ai 200 e agli 800 metri stile libero (di questi ultimi è anche autore dei record mondiali), ed è stato tra i più veloci centometristi al mondo. Grazie a lui l'oro conquistato nelle 4x100 e 4x200 stile libero alle Olimpiadi di Sidney, ha segnato per la prima volta la sconfitta in questo campo degli Stati Uniti d'America.

    Alle Olimpiadi di Atene 2004 Ian Thorpe è stato senza ombra di dubbio uno dei grandi protagonisti delle competizioni in vasca, ma ha dovuto fronteggiare i suoi grandi rivali, l'olandese Pieter Van den Hoogenband, e lo statunitense Michael Phelps, che gli hanno dato del filo da torcere (soprattutto Phelps, conquistando 4 ori e 1 bronzo individuali, e due record olimpici). Ian ha conquistato un bronzo nei 100 stile libero, un oro nei 200 stile libero ed è stato il vincitore di quella che molti hanno definito la gara del secolo: i 400 metri stile libero, gara di intensità e fascino particolare che ha visto l'australiano precedere di misura, e in modo emozionante, l'olandese e l'americano.

    Il successo di Thorpe si è basato in massima parte sul suo enorme e potente fisico. Con i suoi 195 centimetri per 105 kilogrammi è piuttosto grande per la media dei nuotatori - molti ritenevano che maturando e continuando a crescere non sarebbe più stato in grado di mantenere prestazioni sui livelli di quelle dell'adolescenza - capace di mantenere un ritmo di sei battute che è ormai il suo marchio di fabbrica, e che gli permette di accelerare verso la vittoria nelle fasi finali delle gare.

    Lontano dalle piscine Ian Thorpe sfugge al classico stereotipo dello sportivo australiano. Almeno in pubblico è calmo, ha buone maniere, è riflessivo, lucido, ma anche estremamente cauto nelle sue dichiarazioni; fa grandi sforzi per isolarsi dai media durante la preparazione e nel corso dei grandi eventi.

    È nota anche la sua mancanza di interesse (e di abilità) per altri sport. L'altra sua passione sembra essere la moda. Passione ben remunerata: è infatti uno degli ambasciatori dei vestiti Armani, scelto personalmente a questo scopo dallo stilista italiano.

    Gli eroi sportivi di Thorpe sono tutte leggende olimpiche americane: Mark Spitz, Carl Lewis e Michael Jordan.

    Ai mondiali di nuoto canadesi di Montreal 2005, Ian Thorpe è il grande assente: l'Australia ne risente, ma Ian ha deciso di prendersi un anno sabbatico in attesa di preparare al meglio i Giochi Olmipici per il 2008.

    Poi il 21 novembre 2006 a soli 24 anni annuncia a sorpresa il suo ritiro dalle attività agonistiche, con la motivazione che il nuoto ha smesso di essere la cosa più importante della sua vita. Alla fine del mese di marzo 2007, proprio durante i mondiali di Melbourne - che per Thorpe sarebbero stati casalinghi - arriva da un quotidiano francese la notizia che Ian Thorpe si sarebbe ritirato dopo che un controllo antidoping avrebbe rivelato la presenza di sostanze vietate.

    A febbraio del 2011 torna sui giornali dichiarando di voler tornare a gareggiare per raggiungere l'obiettivo di partecipare alle Olimpiadi di Londra 2012.

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    Valentina Vezzali



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    Pluri-campionessa olimpica e mondiale, la schermitrice italiana Maria Valentina Vezzali nasce a Jesi (in provincia di Ancona) il 14 febbraio 1974, nel giorno di San Valentino.
    Inizia a praticare la scherma a soli sei anni nel 1980, presso il Club Scherma Jesi, grazie all'appoggio di papà Lauro e mamma Enrica. E' a quindici anni che inizia a mietere i primi successi nel Campionato Mondiale Cadette, vincendo tre titoli iridati consecutivi. La sua specialità è quella del fioretto. Nella categoria under 20 si aggiudica una medaglia di bronzo nel 1990, una d'argento nel 1992 e due d'oro negli anni successivi (1993 e 1994) ai Mondiali. Arrivano anche due medaglie d'oro nel 1992 e 1993 ai campionati Europei; in questi anni inoltre conquista la coppa del Mondo per ben tre volte, dal 1992 al 1994.

    Questa serie di successi fanno entrare rapidamente Valentina Vezzali nella squadra della nazionale maggiore. Dal 1990 il suo maestro è Giulio Tomassini e la preparatrice atletica è Annalisa Coltorti; il primo appuntamento importante sono le Olimpiadi di Barcellona del 1992, ma la diciottenne Vezzali non viene convocata.
    Il debutto olimpico arriva ai nel 1996, ai successivi Giochi Olimpici di Atlanta: qui ottiene una medaglia d'argento nella prova individuale di fioretto, perdendo in finale contro la romena Laura Badea. Si rifa alla grande assieme alle compagne nella prova di squadra: al termine della finale contro la Romania le italiane portano al collo la medaglia d'oro olimpica.

    Entrata nel 1999 a far parte del Gruppo Sportivo Fiamme Oro della Polizia di Stato, nell'edizione seguente dei Giochi, alle Olimpiadi di Sydney 2000, Valentina Vezzali raggiunge di nuovo la finale del fioretto femminile: la sua avversaria questa volta è la tedesca Rita Koenig, e questa volta Valentina si laurea campionessa olimpica nella sua specialità. Tornerà in Italia con due medaglie d'oro: la squadra italiana femminile - composta da altre due grandi schermitrici mondiali quali Giovanna Trillini e Diana Bianchedi - batte in finale la Polonia.

    Arrivano le attesissime Olimpiadi di Atene 2004, ma il fioretto femminile a squadre viene eliminato dal programma olimpico: le atlete italiane devono concentrare i loro allenamenti sulle gare individuali. Valentina Vezzali arriva alla sua terza finale olimpica consecutiva: la sua avversaria questa volta è l'italiana Giovanna Trillini, che oltre a essere connazionale è sua concittadina. Per l'Italia sono due medaglie sicure: è Valentina a vincere quella d'oro; prima di lei, l'impresa di due ori olimpici consecutivi in questa disciplina era riuscita solo alla ungherese Ilona Elek (Berlino 1936 e Londra 1948).

    Sposata dal 22 giugno 2002 con il calciatore Domenico Giuliano, la coppia ha avuto un figlio, Pietro, nato il 9 giugno 2005. Quattro mesi prima di dare alla luce il bimbo, Valentina partecipa al Campionato del Mondo di Lipsia, dove conquista il suo quarto oro nel fioretto individuale.
    L'anno seguente partecipa ai Mondiali che si svolgono in Italia, a Torino: con il legamento di un ginocchio rotto arriva in finale dove però perde contro la connazionale Margherita Granbassi; un altro argento arriva dal risultato della gara a squadra, dove le italiane perdono contro la Russia. E in Russia nel 2007, ai mondiali di San Pietroburgo, Valentina Vezzali sconfigge prima Giovanna Trillini in semifinale, poi Margherita Granbassi in finale.

    Ai numerosi sucessi mondiali e olimpici di Valentina vanno aggiunte le vittorie della Coppa del Mondo, ben 9 nell'arco di 11 anni. Le gare vinte sono in totale 61, record assoluto per la scherma, ma anche per un atleta italiano in qualsiasi altra disciplina sportiva. Tra il 1999 e il 2000 si è aggiudicata consecutivamente 56 vittorie.

    Nel 2006 ha pubblicato un'autobiografia dal titolo "A volto scoperto" (Sperling & Kupfer, collana "I fuoriclasse"), scritta con Caterina Luchetti, dove racconta la propria vita e le proprie imprese sportive.

    Alle Olimpiadi di Pechino 2008 vince un altro incredibile oro individuale; porta a casa anche un bronzo nella gara a squadre.

    Dal 1996 senza alcuna interruzione Valentina Vezzali è la numero uno del ranking mondiale. E' l'atleta italiana che alle Olimpiadi ha vinto più medaglie d'oro di tutti i tempi. E' inoltre l'atleta italiana che, dopo Valentino Rossi, vanta più vittorie nella propria disciplina.

    A partire dal 10 gennaio 2009 partecipa come concorrente al reality show di Rai Uno "Ballando con le stelle".

    Nel novembre 2010 ai mondiali di Parigi perde nella semifinale dell'individuale contro la connazionale Arianna Errigo. Pochi giorni dopo però vince la medaglia d'oro a squadre battendo in finale la Polonia. Ai Campionati mondiali di Catania nel 2011 conquista il suo sesto titolo mondiale battendo in finale la connazionale Elisa Di Francisca. Alle Olimpiadi di Londra 2012, le quinte per l'italiana, conquista la finale individuale di fioretto per il 3° e 4° posto: porta a casa una medaglia di bronzo in una straordinaria finale, basata su un recupero da vera campionessa; il podio su cui sale è da leggenda per l'Italia della scherma: davanti a lei infatti ci sono Elisa Di Francisca (oro) e Arianna Errigo (argento). Un nuovo oro per Valentina e per le sue compagne arriva pochi giorni dopo nel fioretto a squadre.

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    Usain Bolt



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    Usain Bolt nasce a Trelawny (Giamaica) il giorno 21 agosto 1986, da Jennifer e Wellesley Bolt. Per il suo talento, in accordo al suo cognome, è soprannominato "Lightning Bolt", termine che in lingua inglese significa fulmine o saetta. Le sue grandi doti atletiche si fanno notare fin dai primi anni: giovanissimo pratica diversi sport, soprattutto il cricket. Entrato nella William Knibb Memorial High School, l'allenatore di cricket nota le doti da velocista che Usain possiede, così decide di farlo partecipare alle gare di atletica leggera.
    Va sottolineato come in Giamaica tutti i ragazzini corrano per diventare velocisti, al pari di quanto in Italia i giovanissimi sognano una carriera da calciatore e negli U.S.A. un futuro da cestista.

    Nel 2001 Usain Bolt vince la sua prima medaglia sulla distanza dei 200 metri nel campionato scolastico, con un tempo di 22"04. Nello stesso anno partecipa alla sua prima competizione a livello nazionale (i Carifta Games, destinati ai giovani fino a 17 anni di età della comunità caraibica), ottenendo una medaglia d'argento sui 400 metri piani (tempo: 48"28).

    La prima occasione per mostrare il suo talento a livello internazionale arriva con i Campionati Mondiali Juniores del 2002. Nella gara dei 200 metri stabilisce il suo nuovo record personale (20"61) ed ottiene la medaglia d'oro. Oltre a questo già grande risultato individuale, Usain aiuta la squadra giamaicana nelle due staffette, portando a casa due argenti e stabilendo due ottimi tempi nella 4 x 100 metri (39"15) e nella 4 x 400 metri (3' 04"06). Ai mondiali Juniores dell'anno seguente (2003) Bolt migliora ulteriormente il suo tempo (20"40) ottenendo una nuova medaglia d'oro.

    Passa sotto le ali dell'allenatore Fitz Coleman e inizia la carriera professionistica: dal 2004 si consacra come uno dei più talentuosi velocisti di sempre. Nel 2004 Bolt vola in Grecia per partecipare alle Olimpiadi di Atene, ma a causa di un infortunio nella batteria di qualificazione corre i 200 metri con un tempo troppo alto (21"05), non qualificandosi per la finale.

    Il 2005 è un anno fondamentale per Bolt. Il nuovo coach è il giamaicano Glen Mills. Mills decide di far cambiare l'approccio mentale che Bolt ha nei confronti dello sport: così, dieci giorni prima del suo diciannovesimo compleanno, Bolt fa registrare il tempo di 19"99 sui 200 metri, diventando il primo atleta a scendere sotto i 20" in questa distanza in un torneo juniores. Sfortunatamente, durante i Campionati del Mondo del 2005, si infortuna durante la gara ed arriva ultimo con un tempo altissimo (26"27).
    Tra il 2005 e il 2006 entra nella top 5 del ranking mondiale. Nel 2006 migliora il suo record personale nei 200 metri: corre la distanza in 19"88 al Grand Prix di Losanna, ottenendo una medaglia di bronzo (dietro gli americani Xavier Carter e Tyson Gay).

    Durante tutto il 2007 Bolt fa registrare ottimi risultati, vincendo medaglie e soprattutto abbassando in continuazione i suoi primati personali. Nei Campionati del mondo di atletica del 2007 vince una medaglia d'argento, con il tempo di 19"91 (alle spalle di Tyson Gay).

    Si avvicina il grande evento delle Olimpiadi di Pechino e il 3 maggio 2008 Bolt compie un'impresa straordinaria: realizza la seconda miglior prestazione di ogni tempo sui 100 metri piani, nel corso del meeting Jamaica International a Kingston. Usain Bolt nell'occasione fa registrare il tempo di 9"76 (con vento a favore +1,8 m/s), a soli due centesimi dal primato mondiale del connazionale Asafa Powell. Ma la grande impresa si fa attendere solo pochi giorni: a New York, nel corso del Reebok Grand Prix allo Ichan Stadium, Usain Bolt stabilisce il primato mondiale sui 100 metri facendo fermare il cronometro sui 9"72. Il 13 luglio 2008, al Super Grand Prix di Atene, corre i 200 metri in 19"67 (vento - 0,5 m/s): questo tempo rappresenta il primato personale e il primato mondiale stagionale, ma soprattutto lo colloca al quinto posto nella classifica assoluta di sempre.

    Arriva il tanto atteso appuntamento delle Olimpiadi di Pechino: come è tradizione alla fine di ogni edizione dei Giochi Olimpici, sarebbe rimasto un elenco di uno o due atleti i cui nomi, per le loro imprese sportive, sarebbero per sempre rimasti legati alla manifestazione: dopo l'impresa dell'americano Michael Phelps capace di vincere otto medaglie d'oro, l'altro personaggio che tutti attendevano era proprio Usain Bolt.
    Il 16 agosto 2008 si corre la finale dei 100 metri piani: Bolt stabilisce il nuovo primato mondiale con un riscontro cronometrico di 9"69 (arrotondato per eccesso), nonostante il giamaicano abbia vistosamente rallentato la sua corsa, in preda all'esultanza, negli ultimi metri (correndo inoltre gli ultimi passi con la scarpa sinistra slacciata). Quattro giorni dopo più tardi, il 20 agosto 2008, Usain domina anche la finale dei 200 metri piani stabilendo il nuovo record mondiale con 19"30 e vento contrario (-0,9 m/s), ritoccando il precedente primato dello statunitense Michael Johnson di 19"32 (ottenuto ai Giochi Olimpici di Atlanta 1996 e che sembrava avesse dovuto durare ancora a lungo). In questa occasione Bolt fa registrare la massima velocità media con partenza da fermo mai raggiunta da un uomo (37,305 km/h). Due giorni più tardi vince la terza medaglia d'oro olimpica, stabilendo ancora un record mondiale: la gara è quella della staffetta 4x100 vinta (record 37"10) assieme a Nesta Carter, Asafa Powell e Michael Frater.

    Il 2009 è l'anno dei mondiali di atletica che si svolgono a Berlino: Bolt strabilia e frantuma i suoi precedenti record sia sui 100 che sui 200 metri.

    Ai mondiali di Daegu (Corea del Sud) del 2011, viene squalificato per falsa partenza nella gara dei 100 metri; vince tuttavia quella dei 200 e stabilisce, insieme ai compagni di squadra connazionali giamaicani, il nuovo record del mondo nella staffetta 4x100.

    Quattro anni dopo i Giochi di Pechino, alle Olimpiadi di Londra 2012 Bolt si riconferma re dei 100 metri, vincendo una nuova medaglia d'oro.

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    Alexsander Popov




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    Alexsander Vladimirovic Popov, immenso nuotatore russo, nasce a Sverdvlosk, Russia, il 16 novembre 1971. Potrebbe sembrare strano ma, da bambino, Popov aveva paura dell'acqua. Suo padre però insistette molto affinché il figlio imparasse a nuotare e a otto anni iniziò a prendere lezioni. Da allora non ha più smesso, come lui stesso ama ripetere quando racconta di se. Inizialmente si dedicò al dorso, ma passò allo stile libero quando si unì alla squadra di Gennadi Touretski. Nel corso degli anni, fedele al suo stile, non ha più cambiato allenatore. Si è persino trasferito dalla Russia all'Australia per seguirlo. Alle Olimpiadi di Barcellona 1992 Popov vinse i 50 metri e i 100 metri stile libero, e si riconfermò campione olimpico in entrambe le gare ai Giochi di Atlanta 1996, il secondo uomo dopo Johnny Weissmuller, il famoso "Tarzan", a riuscire nell'impresa. Regalò la medaglia d'oro dei 100 metri stile libero di Atlanta al suo allenatore, spiegando così il suo gesto: "Io ho un titolo e sono negli annali ma, vedete, Gennadi non ha avuto niente da Atlanta o da Barcellona. Ma io so cosa significa questa medaglia in particolare per lui, e se la merita." Un mese dopo le Olimpiadi sopra citate, Popov fu pugnalato all'addome nel corso di una lite con tre venditori ambulanti a Mosca. Il coltello recise un'arteria, colpì di striscio un rene e danneggiò la pleura, la membrana che avvolge i polmoni. Popov fu operato d'urgenza e dovette fare riabilitazione per tre mesi. Nemmeno un anno dopo si presentò ai campionati europei del 1997 e riuscì a difendere il titolo sia nei 50 metri che nei 100 metri stile libero, una cosa davvero inaspettata! "Il mio spirito non è stato ferito, il mio cervello non è stato ferito, solo il mio corpo è stato violato", fu il suo commento. Alle Olimpiadi di Sydney 2000 Popov perde il titolo dei 100 metri stile libero, finendo secondo dietro a Pieter van den Hoogenband per un'inezia. Nella gara dei 50 metri stile libero arrivò sesto. Si infranse così il suo sogno di diventare il primo uomo a vincere 3 ori olimpici consecutivi nei 50 metri o nei 100 metri stile libero, ma lui accettò la sconfitta con stile: "Non è la fine del mondo. Non posso vincere tutto, devo dividere con gli altri." Ai mondiali di Barcellona del 2003 si aggiudicò di nuovo i titoli nelle discipline a lui congeniali e rivelò che Barcellona per lui era una città speciale, perché era lì che tutto era cominciato. Popov si è presentato anche alle Olimpiadi di Atene 2004, a 33 anni (il nuotatore più anziano), non riuscendo però a qualificarsi per le finali nelle sue due gare preferite. Nel dicembre del 1999 Popov fu eletto membro effettivo del Comitato Olimpico Internazionale. Dal 1996 fa parte anche della Commissione Atleti del CIO, uno dei sette rappresentanti indicati direttamente dagli atleti nelle votazioni che si tengono in occasione dei Giochi Olimpici: Popov fu eletto la prima volta ad Atlanta 1996, e rieletto a Sydney 2000 e ad Atene 2004. Nel 1996 venne insignito della Medaglia d'Onore Russa per il suo contributo allo sport. Nello stesso anno fu nominato "Atleta Russo dell'Anno" e "Atleta dell'anno" dall'associazione della stampa sportiva europea. Nel giugno 2003 confermò di aver in programma di lasciare definitivamente l'Australia per trasferirsi a Soletta in Svizzera. Il cambiamento era legato a una proposta di lavoro che avrebbe intrapreso una volta ritirato dal nuoto. Touretski continua a essere il suo allenatore nonostante la distanza che li separa. Popov si è laureato in educazione fisica in Russia. È sposato con una ex-nuotatrice russa, Daria Shmeleva, dalla quale ha avuto 2 figli Vladimir e Anton. È alto 197 cm. e pesa 87 kg, ed è noto per i suoi modi cordiali e per il suo aspetto. L'interpretazione del crowl di Alexander Popov è attualmente considerata dalla maggior parte degli esperti del nuoto come un punto di riferimento tecnico. A oggi, Popov, è ancora il detentore del record olimpico sui 50 metri stile libero con 21"91, mentre il suo record mondiale sulla stessa distanza è durato quasi 8 anni, fino al 18 febbraio 2008 (battuto da Sullivan).

    Questo è il suo straordinario palmarès:

    OLIMPIADI: 4 medaglie d'oro, 5 medaglie d'argento.

    CAMPIONATI DEL MONDO: 6 medaglie d'oro.

    CAMPIONATI EUROPEI: 21 medaglie d'oro.

    RECORD: record del mondo nei 50 sl (battuto da Sullivan il 18 febbraio 2008) record del mondo nei 100 sl.

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    Edited by arca1959 - 14/12/2012, 17:59
     
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    10_Top_campioni

    Campioni Olimpici

    Andrea Barzagli
    Spessore internazionale




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    Andrea Barzagli nasce l'8 maggio del 1981 a Fiesole. Dopo aver tirato i primi calci al pallone nella società fiorentina della Cattolica Virtus, passa alla Rondinella, squadra con la quale esordisce nei Dilettanti a diciassette anni: è il 1998, e Barzagli conquista la promozione in serie C2 che gli dà la possibilità di debuttare l'anno seguente tra i professionisti.

    Nel 2000 Andrea passa in serie B, alla Pistoiese, ma dopo aver disputato solo cinque partite decide di tornare in C2 alla Rondinella. Da quel momento inizia una girandola di squadre: prima all'Ascoli (vi resta per due stagioni, contribuendo alla promozione dei marchigiani in serie B), poi al Piacenza, che però lo lascia in prestito ai bianconeri per un'altra stagione. Infine, nel 2003 viene acquistato in comproprietà dal Chievo Verona, che lo fa esordire in serie A il 31 agosto del 2003, contro il Brescia. La stagione 2003/2004 si conclude con ventinove presenze e tre gol in campionato, che gli valgono le attenzioni del Palermo.

    I rosanero acquistano il difensore toscano per due milioni e mezzo di euro, e lo schierano subito come titolare fisso. Divenuto un perno della difesa siciliana, rimane al Palermo fino al 2008, collezionando 142 presenze e tre reti in serie A, e diventando capitano nel corso dell'ultima stagione. Nell'estate del 2008, poi, Andrea Barzagli si trasferisce in Germania, visto che il Wolfsburg lo acquista per poco meno di dodici milioni di euro. L'esperienza tedesca, al fianco del compagno di Nazionale Cristian Zaccardo, si rivela eccezionale, anche perché il Wolfsburg vince la Bundesliga e Barzagli gioca tutte e 34 le partite del campionato senza venire mai sostituito.

    L'esperienza in Germania dura fino al mese di gennaio del 2011, e gli permette di esordire anche in Champions League (il 15 settembre 2009, contro il CSKA Mosca). Poi, nella sessione invernale della stagione 2010/2011, il centrale fiorentino torna in Italia, acquistato dalla Juventus.

    L'esordio in bianconero risale al 2 febbraio 2011, ma non è dei più felici: la Juve, infatti, perde due a uno contro il Palermo. La stagione 2011/2012, però, è quella della consacrazione e del trionfo: lo scudetto torna a Torino a nove anni di distanza dall'ultima volta, e la difesa di Antonio Conte si rivela la meno battuta del torneo, con soli venti gol subiti in 38 partite, grazie anche alla forza fisica e alla classe di Andrea. In occasione dell'ultima sfida di campionato contro l'Atalanta, Barzagli segna il primo gol da juventino su calcio di rigore. Dopodiché, viene convocato da Cesare Prandelli per gli Europei di Polonia e Ucraina.

    Il rapporto con la maglia azzurra, in realtà, è sempre stato un po' contrastato per Barzagli: dopo aver vinto gli Europei Under 21 e la medaglia di bronzo alle Olimpiadi del 2004, il centrale di Fiesole esordisce nella Nazionale maggiore il 17 novembre dello stesso anno, schierato dal commissario tecnico Marcello Lippi durante un'amichevole con la Finlandia. Entrato in pianta stabile nel gruppo azzurro, è uno degli eroi di Germania 2006, dove gioca contro l'Australia - negli ottavi di finale - e contro l'Ucraina - nei quarti. Diventato un punto fisso della Nazionale di Roberto Donadoni, viene chiamato per gli Europei di Austria e Svizzera 2008, ma durante un allenamento si rompe il menisco del ginocchio sinistro, risultando inservibile per le partite del torneo.

    Rimasto escluso dal giro azzurro per più di tre anni, torna a farne parte nell'autunno del 2011, chiamato da Cesare Prandelli, che poi lo vuole anche per gli Europei 2012.

    Cittadino onorario di Pollina, località situata in provincia di Palermo, Barzagli è, tra l'altro, Cavaliere dell'Ordine al merito della Repubblica Italiana e Ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica Italiana. Ha due figli: Mattia, nato nel 2008, e Camilla, nata nel 2011, avuti dalla modella Maddalena Nullo.

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    Serena Williams
    La determinazione in salita e in discesa




    Serena_Williams
    Serena Jameka Williams nasce il 26 settembre 1981 a Saginaw (Michigan), negli Stati Uniti. Sorella minore di Venus, entra nel circuito professionistico di tennis nel 1997, dando il via alla scalata della classifica mondiale nel giro di breve tempo. Dopo aver battuto Mary Pierce e Monica Seles, ai tempi nella top ten della classifica Wta, al torneo di Chicago, Serena inizia a farsi apprezzare sempre di più, negli Stati Uniti e nel resto del mondo.

    Dopo aver guadagnato la top 30, vince il primo titolo del Grande Slam nel 1999, aggiudicandosi la finale degli US Open contro la svizzera Martina Hingis, numero uno della classifica mondiale. Serena, quindi, diventa, dopo Althe Gibson nel 1958, la seconda tennista afro-americana a conquistare gli Open statunitensi. Il bis in un torneo del Grande Slam arriva poco dopo, ma nel doppio, quando insieme con la sorella Venus Williams vince gli Open di Francia.

    Le stagioni successive confermano i trionfi nel doppio, con le vittorie del 2000 a Wimbledon e alle Olimpiadi di Sidney, e nel 2001 agli Open d'Australia. La posizione numero uno nella classifica Wta arriva nel 2002, in virtù dei successi nel singolo al Roland Garros, a Wimbledon e agli Us Open: in tutti e tre i casi, la vittoria in finale è ottenuta contro la sorella Venus.

    Anche negli anni successivi la ragazza di Saginaw si mantiene ad alti livelli, vincendo ancora gli Open d'Australia e il torneo di Wimbledon. Il primato nella classifica mondiale, tuttavia, le viene tolto, dopo quasi sessanta settimane di dominio ininterrotto, dalla belga Kim Clijsters, anche per colpa di alcuni infortuni che la tengono lontana dai campi di gioco per l'ultima parte del 2003. Infortuni che si ripercuotono nelle prestazioni dell'anno successivo: nessuna vittoria in tornei importanti, e solo due trofei di minore rilevanza, in Cina e a Miami. Il migliore risultato, quindi, si concretizza nella finale di Wimbledon persa contro Maria Sharapova, astro nascente del tennis russo.

    A mano a mano che i successi sportivi sembrano allontanarsi, tuttavia, Serena Williams guadagna stima e notorietà in altri campi, sfilando spesso come modella (e posando per un'edizione speciale del magazine "Sports Illustrated") ma soprattutto realizzando una linea di abiti sportivi personale. Abiti che, per altro, la ragazza vorrebbe indossare anche in campo: ma spesso gli arbitri non sono della stessa opinione.

    Sempre nel 2004, non manca un'incursione sul piccolo schermo: recita, infatti, nella sit-com di Damon Wayans "Tutto in famiglia". Il ritorno alla vittoria sui campi di gioco va in scena a inizio 2005, a Melbourne, con la vittoria in finale negli Australian Open nel derby con la connazionale Lindsay Davenport. Le aspettative dei tifosi, tuttavia, vanno subito deluse, perché quella rimane l'unica vittoria dell'anno: di conseguenza, Serena esce dalla top ten del ranking mondiale. Un trend negativo che si conferma, con risultati disastrosi, nel 2006: la Williams, tormentata dagli infortuni, scende in classifica rimanendo esclusa addirittura dalle prime cento.

    La resurrezione, comunque, non tarda ad arrivare: nel 2007 Serena vince ancora una volta gli Australian Open, sconfiggendo Maria Sharapova in finale, e risale progressivamente il ranking. Il 2008 è l'anno della finale di Wimbledon giocata e persa contro la sorella Venus, ma anche dell'oro olimpico conquistato a Pechino nel doppio, naturalmente sempre con Venus. A cinque anni di distanza dall'ultima volta, poi, la tennista afro-americana torna al primo posto della classifica mondiale a settembre, grazie alla conquista degli Us Open arrivata dopo il successo in finale contro la serba Jelena Jankovic. Da lì inizia una serie di sali-scendi tra il primo e il secondo posto, in alternanza con la russa Dinara Safina.

    Si giunge, così, al 2009, con il terzo titolo di Wimbledon, vinto ancora una volta contro Venus, nel singolo, e nel doppio contro le australiane Stubbs e Stosur. Il successo del doppio si ripete negli Us Open, dieci anni dopo la prima volta, contro Huber e Black.

    Ormai la carriera di Serena e di Venus procede di pari passo: non a caso il 12 ottobre 2009 la prima torna in cima alla classifica Wta battendo in finale al Masters di Doha la seconda. L'inizio del 2010 si rivela molto positivo, con la finale di Sidney e la vittoria a Melbourne: il dodicesimo Slam arriva grazie al successo in finale contro la belga Justine Henin. Contrastanti i risultati sulla terra rossa: dopo le eliminazioni nel singolo a Roma - in semifinale - e a Parigi - ai quarti di finale -, nel doppio vince a Madrid e al Roland Garros. Nessun problema, invece, sull'erba, con l'ennesimo successo a Wimbledon.

    Ai successi in campo, però, fanno seguito problemi di salute abbastanza gravi: prima un infortunio al piede, e poi una preoccupante embolia polmonare, mettono in pericolo la carriera di Serena Williams. L'atleta afro-americana salta tutta la prima parte di stagione, e torna in campo solo a giugno a Eastbourne, dove tuttavia la Zvonareva la elimina al secondo turno. Anche sull'erba amica di Wimbledon Serena Williams fa fatica, eliminata agli ottavi dalla francese Marion Bartoli. Scesa in classifica fino alla 169esima posizione, ritorna a vincere un torneo a luglio a Stanford, dove mette in mostra grinta e tenacia.

    Applausi a scena aperta, dunque, la accolgono in occasione degli Us Open del 2011, dove solo una straordinaria Samantha Stosur in finale le impedisce di vincere l'ennesimo Slam. Il grande e decisivo ritorno, però, va in scena nel 2012: naturalmente a Wimbledon. Nella terra della coppa panna e fragole, Serena si aggiudica il torneo con classe ed eleganza, scacciando definitivamente i fantasmi (problemi di salute ed embolia) che poco più di un anno prima avevano fatto temere per la sua stessa vita. Sale sul tetto del mondo vincendo poi l'oro alle Olimpiadi di Londra 2012.

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    Amanda Beard
    Sirena olimpica




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    Amanda Beard Ray, giovane sirena della California, nasce il 29 ottobre 1981 a Irvine - Newport Beach, e di professione fa la "nuotatrice olimpica americana". Segni particolari: fa anche la modella. E' una delle nuotatrici più famose del mondo sia per i risultati ottenuti ma anche per la sua bellezza. L'aspetto da modella non deve far dimenticare che Amanda Beard è una vera campionessa, capace di vincere alle Olimpiadi e ai Mondiali di nuoto.

    Già nel 1995 ottiene i primi successi e guadagna tre medaglie ai giochi Panpacifici. Fa la sua prima apparizione ai Giochi Olimpici di Atlanta nel 1996 a soli quattordici anni ed entra nella storia vincendo l'oro nella staffetta mista e l'argento nei 100 metri e nei 200 metri rana. Non ha ancora compiuto i quindici anni quando sale sul podio con il suo orsacchiotto. Si iscrive all'Università dell'Arizona e nuota per la Tucson Acquatics allenata da Fred Busch.

    Nel 2000 a Sydney alla 27° Olimpiade ottiene un bronzo nei 200 metri rana. Raggiunge l'apice ai mondiali di Barcellona nel 2003 vincendo una medaglia d'oro ed una d'argento rispettivamente nei 200 metri e 100 metri rana. Sempre con lo stile rana batte il record dei 200 con un tempo di 2?22?44 nel 2004; il suo primato verrà battuto l'anno dopo dall'australiana Leisel Jones per una manciata di secondi.

    Alle Olimpiadi di Atene del 2004 Amanda Beard vince l'oro nei 200 rana con 2?23?37 (record olimpico) e l'argento nei 200 misti.

    Nel corso dei Giochi greci tutto il mondo si accorge della sua bellezza tanto che viene proclamata l'atleta più bella della manifestazione. Amanda inizia a fare capolino tra le pagine delle riviste di moda, vestita e meno vestita.

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    Campioni Olimpici


    Massimiliano Rosolino
    In vasca con stile




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    Stella del nuoto italiano e mondiale, Massimiliano Rosolino è nato a Napoli nel 1978 da padre italiano (noto ristoratore napoletano) e madre australiana. Chi lo conosce lo descrive come un ragazzo dotato di straordinaria energia, infaticabile e dotato di un notevole self control. Afflitto da un pizzico di pigrizia, riesce però a stemperarla grazie alla forte determinazione che lo porta a conseguire grandi risultati attraverso un rigore difficilmente riscontrabili in atleti della sua età.

    Il nuoto, in effetti, dopo anni da cenerentola è diventato una delle discipline più seguite dal pubblico italiano proprio grazie ai successi conseguiti da Massimiliano Rosolino. Prima agli Europei di Helsinki, dove si è portato a casa tre medaglie d'oro, poi ai Giochi Olimpici di Sydney 2000, dove ha conquistato l'oro dei 200 misti (compreso di nuovo record olimpico, col tempo di 1'58"98), e l'argento nei 400 metri stile libero in una gara all'ultimo respiro vinta dall'eccezionale australiano Ian Thorpe (il quale, fra l'altro, ha stabilito un nuovo record mondiale con il tempo di 3'40"59). Un secondo posto che Rosolino ha accettato ben volentieri vista la potenza davvero inusuale del suo avversario.

    Ad ogni buon conto, il nostro campione ha pur sempre fermato il cronometro a 3'43"40, stabilendo un nuovo record europeo e aggiudicandosi la prima medaglia d'argento nella storia olimpica del nuoto maschile. Ma la medaglia più importante arriva ai mondiali del 2001, un oro che al fascinoso campione italiano, in termini di impegno, è costato sangue, concentrazione e allenamento. Per vincere ha battuto il tasto giusto, quello della sua specialità, quei 200 metri misti che lo vedono difficilmente messo in crisi.

    Nel 2004 la sua stella non ha brillato come molti, e forse lui stesso, si aspettava (quinto nei 400 stile libero) tuttavia è stato protagonista - insieme a Brembilla, Cercato e Magnini - di una strepitosa 4X200 stile libero, che ha regalato all'Italia la prima medaglia olimpica di una staffetta: dietro agli irraggiungibili americani di Michael Phelps e agli australiani di Ian Thorpe, si è trattato di un bronzo che vale oro.

    Nel momento in cui Rosolino esplodeva, a contribuire alla rinascita del nuoto azzurro hanno contribuito anche gli altri atleti della nazionale italiana, in particolare Domenico Fioravanti e Alessio Boggiatto, che hanno fornito anche loro importanti contributi. Ma il fatto è che Rosolino sembra avere, dal punto di vista della comunicazione, una marcia in più. O forse è solo una questione di talento, un sapersi naturalmente rapportare al mondo dei media. Sta di fatto che in quattro e quattro otto, ossia poco dopo che il bel volto di Max ha fatto capolino sui giornalini italiani, lo sportivo italiano è diventato un vero e proprio personaggio.

    Super Max, come è stato soprannominato dai fan, ha varcato i limiti della notorietà di nicchia per approdare a quelli più vasti della popolarità, aiutato da un fisico statuario e da lineamenti che fanno sognare le ragazze. Dopo i successi di Sydney il campione ha ottenuto ingaggi di ogni genere, dalla partecipazione alle più popolari trasmissioni televisive, ad una parte nella fiction "Un posto al sole", alla proposta di Tinto Brass per il film "L'angelo nero", fino all'intervista alla cantante Anastacia sul palco di Sanremo.

    Ingaggiato da una importante casa di costumi da competizione con il più remunerativo contratto di sponsorizzazione della storia del nuoto italiano, continua a mietere successi con l'obiettivo di arrivare ad Atene per difendere il titolo olimpico dei 200 misti.

    Fino al 2002, alla Canottieri, è stato guidato da Riccardo Siniscalco. Poi è passato alla Larus Roma, ma si allena in Australia, a Melbourne con Pope.

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