LA CUCINA NEI LIBRI...

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  1. gheagabry
     
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    LA CUCINA nella LETTERATURA



    In una delle pagine più celebri e citate della letteratura, il sapore e il profumo di una madeleine, grazie a un'improvvisa e travolgente sinestesia, riportano alla memoria di Marcel Proust la sua infanzia. Questa sensazione, e la necessità di trasformarla in scrittura, dà origine all'intero ciclo di Alla ricerca del tempo perduto, un romanzo dove le pagine legate al cibo sono assai numerose e intense: basti pensare al ruolo centrale di Francoise, la cuoca della zia Léonie, alla passione per il gelato dell'amata Albertine (e a quella di Odette de Crécy per il cioccolato), o alla straordinaria sinfonia sonora delle grida dei venditori del mercato di Parigi; e alle dettagliate descrizioni del ricevimento in casa di Mme de Villeparisis e del pranzo dalla duchessa di Guermantes (che occupano complessivamente circa la metà della Parte di Guermantes), della serata da Mine Verdurin nella Prigioniera o del ricevimento dalla principessa di Guermantes nel Tempo ritrovato.

    La madeleine proustiana, un piccolo dolce morbido in forma di conchiglia inzuppato nel tè, può esemplificare la complessità delle reazioni tra la letteratura e il cibo, ma non è certo un caso isolato: l'alimentazione è un elemento talmente importante e pervasivo nell'esperienza quotidiana, e può avere una tale forza evocativa, che è pressoché impossibile trovare un'opera letteraria che non abbia una qualche relazione con il cibo.

    Anche l'altro grande romanzo che apre il Novecento letterario, l'Ulisse di Joyce, inizia illustrando i gusti del protagonista Leopold Bloom, certo assai meno raffinati di quelli di Proust: «Mr Leopold Bloom mangiava con gran gusto le interiora di animali e di volatili. Gli piaceva la spessa minestra di rigaglie, gozzi piccanti, un cuore ripieno arrosto, fette di fegato impanate e fritte, uova di merluzzo fritte. Più di tutto gli piacevano i rognoni di castrato alla griglia che gli lasciavano nel palato un fine gusto d'urina leggermente aromatica».

    La simbiosi di parole e sapori non è un frutto della modernità: basti pensare, tra i capolavori della letteratura antica, a un «poema-mondo» come l'Odissea, che illustra ed esemplifica il variegato e complesso rapporto tra letteratura e cibo. Nel corso dei secoli questi intrecci si sono ulteriormente arricchiti, tanto che è possibile immaginare una molteplicità di percorsi di lettura sul tema dell'alimentazione.

    Nel Calamaio di Dioniso lo storico della letteratura italiana Pietro Gibellini percorre il «sentiero bacchico» che attraversa la nostra letteratura dal Settecento agli albori del Novecento: Panini assapora e insieme contesta i delicati tokay del Giovin Signore; Verri e Goldoni amano conversare in caffè ben illuminati mentre Porta e Belli, per farsi beffe del Palazzo, si rifugiano in ombrose osterie; un sorprendente Leopardi con il bicchiere in mano si sente libero dall'infausta ragione e forte come gli idoleggiati antichi; Manzoni mesce a Renzo il vino diabolico della rivoluzione e quello benedetto della grazia, Verga offre ai suoi vinti un bicchiere di quel dono divino che può diventare una trappola mortale; se Carducci brinda alla salute di un Satana vitale e progressista, il malinconico Pascoli trova nell'ebbrezza la metafora del vagheggiato oblio.

    Viceversa, la letteratura può offrire agli storici utili indicazioni per ricostruire abitudini e gusti di una civiltà, e in generale la cultura materiale di quel contesto. Recuperando magari la dualità tra il crudo e il cotto, sulle tracce dell'antropologo Claude Lévi-Strauss, che ha posto al centro della sua riflessione il fuoco come mediatore tra uomo e natura.
    Ma alla confluenza tra parola e gusto si possono inseguire percorsi più curiosi, anche senza arrivare agli estremismi del Manifesto della cucina futurista (1930) in cui Marinetti chiedeva «l'abolizione della pastasciutta, assurda religione gastronomica italiana», a favore di un'alimentazione più attenta alla chimica. Si possono per esempio catalogare le «ricette d'autore» che i grandi scrittori ci hanno lasciato nei loro capolavori: tra tutte il minuzioso e spassoso «Récipe» del «Risotto patrio» vergato da Carlo Emilio Gadda nelle Meraviglie d'Italia. Un altro itinerario letterario-gastronomico lo offre il tema della fame; partendo dalle fiabe e dalle più celebri maschere della Commedia dell'Arte, Arlecchino e Pulcinella, che trovano la loro energia di personaggi proprio in una fame atavica e mai soddisfatta di cibo e di sesso; al «paese della fame» (raccontato magistralmente da un grande storico della cultura materiale come Piero Camporesi) si potrebbe affiancare la fantasia compensatoria del Paese di Bengodi, o di Cuccagna, dove si ergono montagne di formaggio e maccheroni, mentre nei fiumi scorre il vino. Poi, passando per le travolgenti abboffate del gigante Gargantua nato dalla fantasia di Rabelais, si potrebbe approdare a un capolavoro come Fame di Hamsun e al Digiunatore, protagonista di un frammento di Kafka: «sono costretto a digiunare... perché io non ho mai potuto trovare il cibo che mi piacesse. Se lo avessi trovato, credilo, non avrei fatto tante storie e mi sarei rimpinzato come te e tutti gli altri». A una fame metafisica rimanda anche la misera carota che si dividono Vladimiro ed Estragone di Aspettando Godot di Beckett. Ultima tappa, la moderna alternanza di diete e cibo spazzatura, tra anoressia e bulimia, al centro dell'esilarante Diario di Bridget Jones (1998) di Helen Fielding, o come metafora del disagio interiore e della fame esistenziale, della Biografia della fame (2004) di Amélie Nothomb.

    Si potrebbero elencare i libri costruiti intorno a un pranzo, dal Simposio di Platone al Satyricon di Petronio, con le cinquanta portate (circa) della cena di Trimalcione, dal Pranzo di Babette di Karen Blixen (in Capricci del destino), al testo teatrale di José Bergamin Los naufragos (che ha ispirato il film di Luís Bunuel, L'angelo sterminatore), a Trappola per topi di Agatha Christie. I drammaturghi prediligono i banchetti di nozze, soprattutto in atti unici come Le nozze di Cechov, La cimice di Majakovskij o Le nozze piccolo borghesi di Brecht. La sontuosità delle tavole ricche genera virtuosismi descrittivi e preziosità barocche nelle pagine del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa e dei Buddenbrook di Mann.

    In alternativa, si possono inseguire i cuochi e gli osti protagonisti di testi teatrali e di romanzi: il Falstaff di Shakespeare (e di Verdi) e la Locandiera di Goldoni (anche autore di una Bottega del caffè); la signora Kazu che gestisce un ristorante a Tokyo in Dopo il banchetto di Mishima; e le anticonformiste Ruth e Idgie, la coppia al femminile che gestisce un piccolo bar-ristorante nel profondo sud degli Stati Uniti in Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop (1987) di Fannie Flagg. Alla categoria si potrebbe iscrivere anche la Madre Courage di Brecht, la vivandiera al seguito degli eserciti nella Guerra dei Trent'Anni che vede morire i suoi figli uno dopo l'altro.

    Chi ha stomaco forte apprezzerà forse un'escursione nei territori del cannibalismo: dal Tieste di Seneca (Atreo uccide i tre figli del fratello Tieste e nel corso di un banchetto gli offre le loro carni) al Titus Andronicus di Shakespeare (un'altra storia di vendetta dove il protagonista dà in pasto Chirone e Demetrio alla loro madre Tamora), fino ad Hannibal «The Cannibal» Lecter, il serial killer antropofago protagonista dei best-seller di Thomas Harris; senza dimenticare però l'horror del Conte Ugolino della Commedia dantesca, che per fame divora i propri figli; né l'humour noir di Una modesta proposta, dove Jonathan Swift, per risolvere i problemi della carestia e della sovrappopolazione in Irlanda, suggerisce di mangiare i neonati in eccesso (eliminando così anche gli aborti); una citazione merita anche Un uomo da mangiare (in originale Primordial Soup, 1999) dell'americana Christine Leunens: la giovane protagonista Kate trasforma la sua anoressia in voracità erotica, trasformando i maschi in prede prima sessuali e poi cannibaliche.

    Sul fronte delle perversioni, non si può dimenticare che nelle 120 giornale di Sodoma il marchese de Sade, consapevole delle proprietà afrodisiache di certi alimenti, prevede la presenza di «tre famose cuoche»: per la delicatezza del loro compito, né loro né le loro tre aiutanti potranno essere molestate dai crudeli libertini.

    Tra assassini e dissoluti i buongustai sono dunque molti. Ma non sono da meno i loro eterni avversari: risultano infatti sorprendentemente numerosi i detective patiti della buona cucina, dal Maigret di Simenon al Nero Wolfe di Rex Stout, dal Pepe Carvalho di Manuel Vazquez Montalbàn al commissario Montalbano di Andrea Camilleri. Le loro indagini vengono spesso inframmezzate da gustosi manicaretti (di cui a volte si può leggere – e dunque preparare – anche la ricetta, assaporando così le stesse sensazioni dell'eroe).
    I romanzi con il detective buongustaio sono diventati quasi un «sottogenere» letterario, e rischia di diventarlo anche il filone dei «romanzi golosi» o «gastronomici», ovvero i testi narrativi con ricette, o più in generale quelli che affidano al palato un ruolo centrale.

    Autorevole precursore del genere, pur trattandosi di un libro di memorie, può essere considerato Il libro di cucina di Alice B. Toklas (1954), dove l'autrice racconta le vicende dei personaggi famosi che gravitavano attorno alla vita di Gertrude Stein e alla propria, e descrive le eleganti cene che lei e il loro cuoco preparavano per gli ospiti (nel 2003 Monique Truong ha centrato il suo romanzo Il libro del sale sul personaggio del cuoco indocinese della Toklas).

    Negli ultimi anni numerosi autori – anzi, più spesso le autrici – hanno saputo coniugare il piacere della lettura con l'evocazione di piatti appetitosi. Un capostipite è senz'altro Donna Flor e i suoi due mariti di Amado (1966), seguito da Dolce come il cioccolato (1989) della messicana Laura Esquivel, ovvero Romanzo piccante in 12 puntate con ricette, amori e rimedi casalinghi (come recita il sottotitolo), in cui i due giovani protagonisti, non potendo consumare il loro amore, comunicano la loro sensualità attraverso i manicaretti che lei gli prepara; dal Cile le fa eco Isabel Allende con Afrodita, ovvero Racconti, ricette e altri afrodisiaci (1997). La forza comunicativa e simbolica del cibo è anche al centro di diversi romanzi di Joanne Harris, fin dai titoli: Chocolat (il cui successo ha ispirato vari libri sul «cibo degli dei»), Vino, patate e mele rosse, Cinque quarti d'arancia... In Gola, di John Lanchester, il protagonista Tarquin Winot, un gourmet inglese, nel corso di un viaggio gastronomico attraverso la Francia intreccia sapori e autobiografia, rivelando ai lettori la propria inquietante personalità.

    I «romanzi golosi» possono diventare anche la chiave per esplorare inquietudini e insoddisfazioni attraverso luoghi e sapori carichi di echi simbolici. In Kitchen (1988) Banana Yoshimoto racconta il proprio disagio giovanile proprio partendo dal locale più caldo della casa, fin dalla prima frase: «Non c'è posto al mondo che io ami più della cucina...» (La cucina è anche il titolo del testo teatrale di Arnold Wesker: in questo caso si tratta di quella di un grande ristorante, in una trilogia che comprende anche Patatine di contorno e Brodo di pollo con orzo). Nel racconto Fragola e cioccolato (1990), Senel Paz denuncia le difficoltà dei gay nella Cuba «machista» di Fidel Castro. Le quattro protagoniste di Mangiami (1996) dell'australiana Linda Jaivin coniugano fantasie erotiche, humour paradossale e piaceri del palato. Nel suo romanzo La vendetta della melanzana (1998) Bulbul Sharma collega le infelicità e le aspirazioni femminili alle prelibatezze della cucina indiana. Fragranze, aromi e amori proibiti si mescolano in La maga delle spezie (1997) di Chitra Banerjee Divakaruni, anch'essa indiana.
    (BARTOLOMEO SACCHI- BARTOLOMEO SCAPPI)


    LA CUCINA nei LIBRI



    "[…] Forse non riuscirò a trovare quello che sto cercando, ma almeno avrò avuto l’occasione di rievocare tutto questo: la carne grigliata, l’insalata machouia, il tè alla menta e le corna di gazzella. Mi sentivo Alì Babà. La grotta del tesoro era questo, il ritmo permetto, l’armonia scintillante tra elementi di per sé già squisiti, ma la cui successione strettamente rituale rasentava il sublime…"



    Estasi culinarie


    di Muriel Barbery





    Quando ho preso in mano "L'eleganza del riccio" non avevo mai letto nulla di questa autrice francese. Un suo libro in effetti era già stato pubblicato, ma era passato in sordina. Si trattava di Una golosità e, quando ho scritto un commento sul romanzo che l'ha resa celebre in Italia, era ancora in catalogo, tanto che, se andate a rivedere la recensione troverete un link a una pagina che ora non esiste più.
    Sì, perché quell'edizione, esaurita, è stata sostituita con questa, tutta nuova, che ha anche un titolo più accattivante, Estasi culinarie.
    Comunque, stavo dicendo che in ogni caso quel romanzo non l'avevo letto, come la maggior parte dei lettori che hanno così amato il successivo lavoro di Muriel Barbery.

    È stata perciò una piacevole sorpresa rivedere le scale del palazzo signorile che già conoscevo, quello di rue de Grenelle, incontrare nuovamente in queste pagine Renée, la portinaia, e la famiglia Arthens (quella del quarto piano).

    Bisogna senz'altro sottolineare che si tratta del primo capitolo di questa storia, il primo romanzo di Muriel, quello con cui, giustamente, la casa editrice e/o la presentava al pubblico italiano. Quello che tutti avremmo dovuto leggere prima. Pazienza, ci rifacciamo adesso.
    È indubbiamente di un romanzo meno d'ambiente e più incentrato sulla figura e sulla memoria di un protagonista unico. Un uomo di sessantotto anni.


    È il maggior critico gastronomico del mondo (non posso evitare di immaginarlo con il volto di Robert Morley grande portagonista del film di Ted Kotcheff Qualcuno sta uccidendo i più grandi cuochi d'europa), il vate della gastronomia internazionale, ha vissuto a lungo in questo palazzo e ora sta morendo.

    La sua vita, piena, egocentrica, sontuosa sta per terminare, ma questo evento non crea disperazione nel suo intimo. Il pensiero che più lo tormenta non è la fine, ma il ricordo di un indefinito, mitico sapore perduto nel tempo, nascosto nel cuore, un sapore d'infanzia che desidererebbe ritrovare più di qualsiasi altra delizia gastronomica.
    Circondato dall'odio dei figli, dalla pietà e il rimpianto inspiegabili di una moglie trascurata e tradita da sempre, dall'amore dell'unico nipote stimato, Paul, monsieur Arthens cerca di ripescare nella memoria quella sensazione prima di morire, riesumando gli effluvi del suo animo bambino, i primi passi della sua vocazione, ripercorrendo la sua vita in prima persona o attraverso i ricordi di chi l'ha conosciuto.

    "E se, in fin dei conti, a sfidarmi beffardamente fosse qualcosa di insipido?" - si domanda con ansia - "Come l'orrenda madeleine di Proust, quella stramberia pasticciera di un lugubre pomeriggio scialbo, sbriciolata in pezzi spugnosi dentro un cucchiaio di tisana - somma offesa -, magari anche il mio ricordo si associa a una pietanza mediocre, che di prezioso ha solo l'emozione che rievoca: un'emozione che potrebbe svelarmi un dono di vivere finora incompreso".

    Sa raccontare molto bene Muriel Barbery quello scherzo della memoria che tutti viviamo, soprattutto con il passare degli anni, che ci fa dimenticare molte cose o ricordarne altre come in effetti non sono mai state. Sa raccontare lo struggimento di un attimo e come nella semplicità, nella misura, spesso si nasconda la felicità vera.

    E mi vengono in mente le bellissime parole di una canzone, Sempre. Un testo di Mario Castellacci che abbiamo sentito cantare da Gabriella Ferri e nessuno poteva farlo meglio di lei:
    Ognuno è un cantastoria / tante facce nella memoria / tanto di tutto, tanto di niente / le parole di tanta gente. / Tanto buio, tanto colore / tanta noia, tanto amore / tante sciocchezze, tante passioni / tanto silenzio, tante canzoni.

    Titolo originale: Une gourmandise
    Traduzione di Emanuelle Caillat e Cinzia Poli





    Il libro è Estasi Culinarie, di Barbery Muriel, un libro affascinante, coinvolgente, trainante .. tutto ciò che parla di cucina, qui, è emozione allo stato puro, sembra di assistere alla descrizione di un eclatante evento irripetibile, eccezionale. Non stanca mai, c’è un avera e propria retorica, arte del parlare, che appartiene specificamente alla gastronomia. Come se fossero tutti (o meglio, è l’autrice ad esserlo) maestri del verbo culinario.
    La trama è questa,

    Nel signorile palazzo di rue de Grenelle, il più grande critico gastronomico del mondo, il genio della degustazione, è in punto di morte. Il despota cinico e tremendamente egocentrico, che dall'alto del suo potere smisurato decide le sorti degli chef più prestigiosi, nelle ultime ore di vita cerca di recuperare un sapore primordiale e sublime, un sapore provato e che ora gli sfugge, il Sapore per eccellenza, quello che vorrebbe assaggiare di nuovo, prima del trapasso. Ha così inizio un viaggio gustoso e ironico che ripercorre la carriera di Arthens dall'infanzia ai fasti della maturità, attraverso la celebrazione di piatti poveri e prelibatezze haute cuisine. A fare da contrappunto alla voce dell'arrogante critico c'è la nutrita galleria delle sue vittime (i familiari, l'amante, l'allievo, il gatto e anche la portinaia Renée), ciascuna delle quali prende la parola per esprimere il suo punto di vista su un uomo che, tra grandezze pubbliche e miserie private, sembra ispirare solo sentimenti estremi, dall'ammirazione incondizionata al terrore, dall'amore cieco all'odio feroce. Anche in questo romanzo d'esordio Muriel Barbery racconta, assieme ai piaceri e alle tenerezze della vita, l'arroganza e la volgarità del potere (in un ambiente spietato dove - è cronaca di questi anni - un cuoco si uccide perché ha perso una stella Michelin).
    (fiordivanilla.blogspot)



    Le prime pagine



    II sapore
    Rue de Grenelle, la camera


    "Quando prendevo possesso della tavola lo facevo da monarca. Eravamo i re, gli astri splendenti in quelle poche ore di banchetto che avrebbero deciso il loro futuro, che avrebbero segnato l'orizzonte tragicamente vicino o deliziosamente lontano e radioso delle loro speranze di chef. Facevo il mio ingresso in sala come il console che entra nell'arena a ricevere le acclamazioni, e ordinavo che la festa avesse inizio. Chi non ha mai assaporato il profumo inebriante del potere non può immaginare l'improvvisa scarica di adrenalina che irradia il corpo da capo a piedi, che scatena l'armonia dei gesti, che cancella ogni fatica e ogni realtà contraria al vostro piacere, l'estasi della sfrenata potenza di chi ormai non deve più lottare, ma soltanto godere di ciò che ha conquistato, gustandosi all'infinito l'ebbrezza di incutere timore.
    Così eravamo: regnavamo da sovrani e signori sulle più importanti tavole di Francia, pasciuti dall'eccellenza delle pietanze, dalla nostra gloria e dal desiderio mai sopito, anzi sempre inebriante come l'odore della selvaggina per il segugio, di decidere su quell'eccellenza.
    Sono il più grande critico gastronomico del mondo. Grazie a me quest'arte minore è assurta al rango delle discipline più prestigiose. Il mio nome è noto a tutti, da Parigi a Rio, da Mosca a Brazzaville, da Saigon a Melbourne fino ad Acapulco. Ho creato e demolito reputazioni, sono stato il capo supremo, consapevole e implacabile di tutti quei sontuosi banchetti; con la mia penna ho dispensato sale o miele ai quattro venti attraverso giornali, trasmissioni e dibattiti vari in cui ero invitato continuamente a discutere di argomenti fino ad allora relegati nella nicchia delle riviste specializzate o nella saltuarietà delle rubriche settimanali. Ho trafitto alcune delle più autorevoli farfalle della cucina e le ho esposte nella mia teca per l'eternità. A me, a me solo si deve la gloria e poi la rovina della maison Partais, il crollo della maison Sangerre, lo splendore sempre più sfavillante della maison Marquet. Li ho fatti diventare quello che sono per l'eternità, proprio così, per l'eternità."

    (wuz.it)



    .....ed ancora.....

    .....la maionese.....



    Passando ci avevo intinto un dito, incurante, come quando, dal bordo di una barca che si muove placida, lasciamo scorrere la mano sul filo dell'acqua fresca. Discutevamo insieme della nuova carta, era pomeriggio, un momento di scarsa affluenza di avventori, e io mi sentivo come nella cucina di mia nonna: un estraneo di famiglia ammesso nell'harem. Fui sbalordito da quell'assaggio. Non era altro che maionese, e fu proprio questo a turbarmi; come una pecora smarrita in un branco di leoni, il tradizionale condimento faceva qui la figura di un bislacco arcaismo. "Cos'è?" chiesi, sottointendendo: come può essere finita qui una banale maionese da casalinga? "Ma è maionese" mi rispose ridendo, "non dirmi che non sai cos'è la maionese!". "Maionese e basta?". Ne ero quasi sconvolto [...]
    Nessuno potrà mai scalfire la mia convinzione che le verdure crude con la maionese abbiano un che di spiccatamente sensuale. La consistenza della verdura si insinua nel velluto della crema; non avviene una reazione chimica come per molte preparazioni, in cui entrambi gli alimenti perdono un po' della loro natura per sposare quella dell'altro e, come succede al pane imburrato, tramutarsi per osmosi in una nuova e meravigliosa sostanza. La maionese e le verdure, al contrario, restano immutate, identiche a se stesse ma, come nell'atto sessuale, sono travolte dalla loro unione. La carne, poi, ne trae un guadagno ulteriore. I suoi tessuti friabili, infatti, si lacerano sotto i denti e si riempiono del condimento, di modo che noi, senza falso pudore, mastichiamo un cuore compatto cosparso di morbidezza. A questo si unisce la delicatezza di un sapore garbato, giacché la maionese non ha note pungenti nè piccanti e, come l'acqua, sorprende la bocca con la sua affabile neutralità; e poi le squisite sfumature del valzer degli ortaggi: la nota piccante e insolente del ravanello e del cavolfiore, quella zuccherina e acquosa del pomodoro, quella discretamente acida del broccolo, quella generosa e ampia della carota, il retrogusto di anice croccante del sedano... È una festa.


    Edited by gheagabry - 26/8/2012, 18:04
     
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  2. gheagabry
     
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    Kitchen Confidential

    di Tony Bourdain



    Kitchen Confidential è una confidenza svelata nel cuore dei ristoranti. Tutti: da quelli considerati eccelsi a quelli niente affatto tali. E’ un viaggio vero e proprio in cui si viene accompagnati da un novello Dante. E’ così che immagino Tony Bourdain. L’autore è in grado di rivelare i segreti più preziosi degli chef e di far vivere l’amore che ha per la cucina. Con lui senti gli odori e i profumi, gusti i piatti e il tuo palato ne resta estasiato.
    La sua scrittura è un inno ai fornelli e alle esperienze culinarie di una vita in viaggio tra ristoranti di ogni latitudine: dal sapore proibito della prima ostrica, assaggiata non ancora dodicenne, alle droghe prese nelle cucine dei bistrot sulla spiaggia dell’America anni ’70 e ’80. Ma Bourdain non si limita a questo: nel suo libro racconta il sacrificio del lavoro che è anche soddisfazione personale per il risultato ottenuto. Lo fa con uno stile duro non negando parole forti, eccessi di alcol e droghe che secondo lui sono ingredienti da cui nascono portate sublimi.
    Attraverso i suoi occhi percepisci i pensieri e gli sguardi degli chef: gli stessi che deprecano chi va a mangiare da loro il sabato e la domenica perché ritenuto “senza gusto”; o chi vuole il pesce il lunedì ed è “costretto” a mangiare quello comprato il giovedì prima. Ciononostante Bourdain ti tira dentro a questo suo mondo molto particolare e in molti risveglia la voglia sopita di maneggiare pentole e padelle, accendere il fornello e inventare qualcosa di nuovo. Da assaporare come una nuova di scoperta per viaggiare nel mondo della cucina.
    (Franco Celsi)


    La cucina esercita un potere di attrazione primordiale, un richiamo universale. Ci riguarda tutti.
    L’accoppiata cucina e narrativa è sperimentata e ha sfornato ottimi film come Mangiare, bere, uomo donna (cucina cinese a Taipei), Il pranzo di Babette (cucina francese in Danimarca), Big Night (cucina abruzzese nell’East Coast), o il più recente Soul Kitchen (cucina dell’animo in Germania). Per non parlare della Grande abbuffata (cucina italo-francese fino all’inferno) e Departures, Oscar come miglior film straniero nel 2008 (cucina giapponese). Nel Cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante, ogni sera, il criminale Albert Spica va a cena, con la moglie Georgina e i suoi scagnozzi, nel ristorante londinese “Le Hollandais”, di cui è comproprietario insieme allo chef francese Richard… Greenaway non è mai semplice.
    In letteratura Pepe Carvalho brucia i libri nel caminetto e prepara piatti sopraffini, ma prima ancora c’è Nero Wolf che, nella sua casa di arenaria nella 35a strada a New York, coltiva due passioni: le orchidee e la cucina. Le orchidee le coltiva nella serra all’ultimo piano e alla cucina ci pensa Fritz, il cuoco straordinario con cui il geniale ed eccentrico investigatore concorda il menu ogni giorno. E guai se per caso non mangia bene! Parola di Archie Goodwin: il gigantesco investigatore (150 kg.) resta di cattivo umore tutto il giorno. Poi c’è il commissario Montalbano, anche per lui la buona cucina è una passione, oltre che un ingrediente fondamentale dei suoi romanzi. Ma a differenza del sedentario Nero Wolf, che esce solo se costretto, Salvo Montalbano vive in una casa sul mare e smaltisce le sue scorpacciate di pesce con grandi nuotate. Fin qui solo libri gialli, come se ci volesse un delitto per poi apprezzare la buona cucina.
    Anche nella narrativa culinaria esistono fast food e buoni ristorantini. L’autore di cui vi parlerò non è un presentatore tv e il suo libro non è in classifica. Dimenticate le narrazioni romantiche o morali (i gialli in fondo lo sono sempre) sopra citate perché qui si entra nella realtà vera, nelle cucine piene di piatti sporchi e di gente incazzata che va a mille. Questo cuoco ha il merito di raccontare il lato oscuro della ristorazione, ci dice quello che succede nelle cucine dei grandi ristoranti con uno sguardo disincantato, brutale e sincero. Ecco come descrive l’esperienza della sua prima ostrica. Quando aveva nove anni ed era in vacanza in Francia con la sua famiglia, furono invitati sulla piccola imbarcazione di un pescatore di ostriche. La pesca consisteva nel restare per ore seduti sotto al sole, aspettando che calasse la marea, poi, quando la barca si fosse posata sul fondo, avrebbero raccolto i molluschi. Quando finalmente la barca toccò il fondo, monsieurs Saint-Jour chiese se volevano assaggiare un’ostrica e mentre i genitori esitarono e il fratellino si ritrasse schifato, lui si fece avanti: “E in quell’indimenticabile dolce momento della mia storia personale, in quell’istante per me ancora più vivo di tutte le altre prime volte che si sono succedute – prima passera, primo spinello, primo giorno alle superiori, primo libro pubblicato e qualunque altra prima cosa – io raggiunsi la gloria”.
    Negli anni Settanta ritroviamo il futuro cuoco che fa il lavapiatti nel villaggio di Dreadnaught, in un ristorante che è una specie di palafitta. Il villaggio era invaso da orde di turisti e vi regnavano i cuochi. Così li descrive: “In cucina erano simili a divinità. Vestivano come pirati: giacca da chef con le maniche tagliate, blu jeans, bandane stracciate e bracciali ai polsi, collane e girocolli di turchese, anelli di conchiglia e avorio intagliati, tatuaggi”. “Dotati di stile ed eleganza sembrava non avessero paura di nulla”, bevevano qualunque cosa, erano molto disinvolti sessualmente. “Se ne andavano in giro con enormi coltelloni da teppisti, che tenevano levigati e affilati come lame di rasoio”. Insomma erano “criminali di alto livello e veri atleti sessuali”.
    Avrete capito che Anthony Bourdain non è esattamente uno stinco di santo e quello che lo affascina dell’arte culinaria è forse l’aspetto meno edificante ed evidente. Considera i cuochi e tutti quelli che lavorano in cucina “una banda di degenerati, drogati, profughi, teppisti ubriachi, ladruncoli, sgualdrine e psicopatici”. Descrive le cucine alla stregua di prigioni dove vige una rigida disciplina. Lì gli uomini devono muoversi rapidamente in spazi angusti, a stretto contatto gli uni con gli altri, in un caldo soffocante, attorno a fornelli accesi, circondati da padelle d’olio bollente e da una grande quantità di coltelli. Perciò “la capacità di lavorare bene con gli altri è un dovere”. Il valore dell’affidabilità, della puntualità, del saper stare in gruppo, è enorme perché se una rotella non funziona come si deve, tutto il meccanismo può incepparsi. Dunque è meglio uno che ubbidisce, piuttosto che un grande cuoco artista.
    Ma alle ferree regole professionali corrisponde un’estrema tolleranza per tutto il resto: si accettano eccentricità e abitudini personali sconvenienti. Parliamo di uomini che non riescono a vivere perché totalmente immersi nella loro professione e che poi quando vanno fuori esagerano. E’ meglio chiarire subito che Anthony Bourdain non è un pazzo calunniatore, ma un ottimo chef che, dopo aver fatto tutta la gavetta, ha lavorato nei più famosi ristoranti di New York ed è stato capo cuoco alla Brasserie Les Halles di Manhattan. Kitchen Confidential è uscito nel 2000 e ha riscosso un notevole successo. In questo libro scoppiettante e irriverente ci sono utili consigli per cucinare come professionisti (soprattutto grazie ai coltelli), dritte per non essere avvelenati nei ristoranti, interessanti considerazioni sulla psicologia umana in genere e quella dei cuochi in particolare, divertenti racconti della vita dissipata e avventurosa di Bourdain. Così commenta il passaggio a un nuovo ristorante, quando a 22 anni gli fu offerto il primo incarico da chef: “Mi dispiaceva abbandonare i miei amici. E soffrivo di una lieve, fastidiosa dipendenza da eronia per tutta la droga che avevo sniffato, ma cavolo! Stavo per diventare uno chef!”
    Dal suo romanzo, nel 2005 è stata tratta la serie televisiva omonima che è andata in onda su Fox, ma è stata cancellata dopo soli quattro episodi a causa dei bassi ascolti. Colpisce vedere che uno spirito tanto trasgressivo sia, allo stesso tempo, tanto disciplinato. Perciò concluderò con due sue citazioni a confronto: “Ci sono due tipi di persone al mondo: quelli che fanno ciò che dicono che faranno e gli altri” e il senso è che nella ristorazione c’è posto soltanto per i primi. Seconda citazione: “Il vostro corpo non è un tempio, è un parco dei divertimenti. Godetevi la corsa”.
    (cronacheletterarie)
     
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  3. gheagabry
     
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    L'Isola della Noce Moscata

    di Giles Milton



    Isola di Run, circa 3 chilometri quadrati di terra, la più piccola dell'arcipelago delle isole Banda, e la più preziosa. Solo alle isole Banda infatti, ed in particolare a Run, cresce l'albero della noce moscata, che in passato si credeva rimedio per mille mali e dal valore economico altissimo. Tutto ruota intorno a quel seme tondo, rinsecchito e profumatissimo che noi grattugiamo nel puré, ignari di quanto c'è voluto nell'antichità per procurarselo, in termini di fatica, denaro e vite umane. Il libro racconta in modo coinvolgente le storie ed i personaggi che negli anni del mercantilismo hanno rischiato la pelle (e spesso ce l'hanno lasciata) nel tentativo di impossessarsi della noce moscata e commerciarla.
    Navigatori coraggiosi, spietati pirati, spregiudicati mercanti, tagliagole, avventurieri e assassini sono i protagonisti di questa storia avvincente. Molto di loro sono assai famosi: Magellano, che scoprì il passaggio ad Ovest, gli dette in proprio nome e attraversò coraggiosamente il Pacifico, che era leggermente più ampio del previsto, sopportando la fame, la sete, le malattie .. Oppure Hudson, quello che ha dato il nome alla baia e al fiume: costui era un ribelle, davvero sprezzante di ogni rischio ma soprattutto di ogni ordine. Era deciso a scoprire il passaggio a Nord-Ovest, quello tanto favoleggiato che avrebbe permesso di raggiungere l'Oceano Indiano passando da sopra, ovvero dall'Artico. La prima volta fece morire praticamente tutto il suo equipaggio tra i ghiacci della Russia. La seconda volta raggiunse l'America del Nord ed esplorò il fiume Hudson per conto degli Olandesi, convinto che sbucasse dall'altra parte del continente. Ma alla fine tornò indietro e strinse rapporti con gli indigeni dell'isola di Manhattan.Infine menzione d'onore al capitano William Keeney, che durante i lunghi viaggi in mare faceva recitare Sheakspeare all'equipaggio, che diventò così bravo che tenne diversi spettacoli nelle tappe intermedie dei viaggi.
    Al centro delle vicende la lotta durata secoli tra l'Inghilterra e gli altri imperi coloniali europei (Portogallo prima, Olanda poi, per la conquista ed il controllo delle isole Banda, culminata con l'eroica quanto vana difesa di Nathaniel Courthope, l'ultimo inglese rimasto a difendere le isolette in nome della sua regina dalle grinfie di Ian Coen, giovane ma risoluto olandese dai ferrei principi religiosi e dalla rigida morale, ma anche spietato, irascibile e vendicativo.


    "..se leggerete questo libro ogni volta che userete un pizzico di questa polvere potrete evocare oceani e continenti, navi in tempesta, spedizioni coloniali, guerre e atrocità varie, avventure, rovesci della storia e profumi di terre esotiche... Perchè questa è la storia della spezia più pregiata, una storia di meraviglie e crimini pazzeschi, una storia da leggersi come un romanzo senza mai dimenticare che è tutto vero. E che la storia si può fare anche così: non come una noiosa elencazione di dati e fatti di rilievo, ma come qualcosa che è vita, semplicemente vita. Se volete, buono per rifletterci, davanti a ogni cosa che finisca sulla nostra tavola: che c'è dietro? che c'è prima? Con quale sudore, quali parole, quali viaggi?"(Paolo Ciampi)

    "Sino a che non ho letto questo libro, le varie spezie erano solo un gradevole ingrediente della buona cucina. Ora le vedo come protagoniste della storia e di avvenimenti che avrebbero inciso significativamente sugli attuali assetti del mondo. E chi lo poteva immaginare!! Saggio documentatissimo su un aspetto, sconosciuto ai più, delle grandi esplorazioni marittime della prima metà del '600. E' anche una conferma di come nei rapporti fra potere costituito e commerci i primi spesso vadano a seguito dei secondi. Forse un po' troppo sbilanciato a favore degli inglesi, che qui vengono raffigurati come “i buoni” a scapito degli olandesi “i cattivi”.."(shellback)
     
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  4. gheagabry
     
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    Giorni di zucchero fragole e neve -

    di Sarah Addison Allen



    "Una favola moderna, intrisa d'amore e di magia, Josey ha tre certezze: l'inverno è la sua stagione preferita; lei non è il classico esempio di bellezza del Sud; i dolci è meglio mangiarli di nascosto. Vive a Bald Slope, il paesino di montagna dov'è nata, rinchiusa nell'antica casa di famiglia ad accudire la vecchia madre. La madre l'ha sempre considerata una bambina cattiva e ancora adesso non le permette di truccarsi, di uscire, di avere una vita sociale. Ma di notte Josey ha una vita segreta. Si rifugia nella sua stanza a divorare scorte di dolcetti e pile di romanzi rosa. Finché un bel giorno, misteriosamente, nello stanzino nascosto dal guardaroba, dove l'aria profuma di zucchero, spunta un'esuberante signora che dice di essere venuta per aiutarla. Chi è quella donna? Perché il suo corpo odora di fumo di sigaretta e acqua stagnante? Perché sembra scappare da qualcosa o da qualcuno? Josey non farà in tempo a chiederselo, che il suo piccolo mondo sarà messo sottosopra. Josey lo capirà soltanto alla fine, quando avrà imparato a uscire dal guscio e a vivere le esperienze che si è sempre negata, scoprendo che la realtà non è mai come appare. Scoprirà che in amore e in amicizia le certezze non esistono e che le persone, anche le più care, possono nascondere qualcosa di inconfessabile. Accettare questa sfida è la grande prova che Josey dovrà superare. E per lei sarà l'inizio di una nuova vita: la sua."

    Il tono della storia fa pensare al film Il favoloso mondo di Amélie, mentre il modo di scrivere di Sarah Addison Allen ricorda quello di Joanne Harris, l'autrice di Chocolat, con cui condivide la commistione di elementi magici e reali. L'aspetto più accattivante della storia, in effetti, è la presenza di piccoli dettagli che colorano la vita quotidiana dei personaggi, rendendola speciale: la menta piperita per scacciare le presenze indesiderate, i libri che appaiono all'improvviso e si spostano da soli dal comodino al bancone di un bar, il tè all'ortica che aiuta a decidere cosa fare.

    Sono queste le invenzioni che distinguono il romanzo dalle solite storie al femminile, dandogli un tocco fantasioso che può attirare il lettore. Per il resto, però, la trama mi è sembrata prevedibile e molto lenta, perché l'autrice si sofferma su alcune vicende personali che non si rivelano particolarmente interessanti e originali. Il colpo di scena finale non è difficile da indovinare, per un lettore attento. Resta comunque una favola piacevole, adatta a chi vuole far conoscenza con dei personaggi forse un po' bizzarri, ma profondamente umani. (Ilenia Provenzi)



    "Ripetimelo" disse più tardi quella sera Della Lee nell'oscurità, proprio mentre Josey stava per addormentarsi. "Mi ha baciata" disse Josey contro il cuscino.
    "No. Dillo come l'hai detto prima".
    Josey sorrise. " E' stato il miglior primo bacio nella storia dei primi baci. E' stato dolce come lo zucchero. Ed è stato caldo, caldo come una torta. Il mondo intero si è aperto ed io ci sono caduta dentro. Non sapevo dov'ero, ma non me ne importava. Non me ne importava perchè l'unica persona che contava era li' con me".
    Vi fu un lungo silenzio. Josey si era quasi appisolata di nuovo quando Della Lee disse: "Credo che il paradiso sia come un primo bacio".
    "Lo spero" mormorò Josey.
    "Anch'io".

    -Tratto da libro-

     
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  5. gheagabry
     
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    TARTUFI BIANCHI IN INVERNO



    di N.M. Kelby




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    La trama :

    La Parigi di fine Ottocento è meravigliosamente scandalosa: tra ombrellini e passeggiate al parco, si discute della mostruosità di quei selvaggi impressionisti, delle scoperte di una certa Madame Curie, delle piccanti avventure delle celebrità del momento. Solo al Petit Moulin Rouge si parla d'altro: Auguste Escoffier, lo chef che ha inventato il ristorante più chic della città, sta per sposarsi. Si mormora che il suo non sia un matrimonio come tutti gli altri, perché, invece di conquistare la futura moglie, l'ha vinta al gioco. Lei è Delphine, giovane poetessa dallo spirito libero, che incontra il marito per la prima volta il giorno delle nozze. "È troppo piccolo, quasi un bambino", pensa Delphine incrociando i grandi occhi azzurri di lui, senza immaginare che cosa l'aspetti. Finché, la sera, invece di portarla in camera da letto, Escoffier la conduce nella cucina del suo restaurant. Tra il nitore abbagliante degli utensili, i profumi e gli aromi delle spezie, le parole suadenti di Auguste suonano come poesia, mentre crea un piatto squisito tutto per lei. Delphine quella notte conosce la sensualità, la passione e l'ebbrezza che un gesto d'amore può dare. Da quel momento è perduta. Perché il piccolo uomo che l'ha fatta innamorare incarna genio e sregolatezza, follia e creazione, desiderio e ambizione, arte e libertà. Legarlo è impossibile, perderlo impensabile. Tartufi bianchi in inverno è il romanzo di una vita imperfetta, geniale, appassionata.

    Auguste Escoffier è stato il più grande chef di tutti i tempi, l’inventore della cucina moderna .
    La sua filosofia per il cibo : mangiare non è una mera questione di sopravvivenza, bensì un modo di accendere i sensi, tutti i sensi .

    ...buona lettura e.....buon appetito !!!


    cartoon-chef




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  6. gheagabry
     
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    I PIACERI INTIMI DEL CIOCCOLATO



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    Frances e Ginger, due sorelle poco più che ventenni, decidono di aprire una piccola pasticceria tutta dedicata al cioccolato ( si trova a Washington D.C., su Connecticut Avenue , con il nome “Chocolate Chocolate ) : un luogo intimo e dall’atmosfera magica, dove i clienti possano cedere alle tentazioni del palato e al piacere di raccontarsi.
    I primi tempi sono duri, ma dopo mille avventure e altrettante disavventure arriverà il successo.
    Tra ripieni vellutati e coperture croccanti, tartufi casalinghi e barrette al caramello, una storia vera, deliziosa e divertente, di peccati di gola e passioni del cuore.

    "Un giorno senza cioccolato è un giorno perso " : questa è sempre stata la massima di Frances e Ginger, cresciute cuocendo dolcetti al cacao nel Dolceforno e ascoltando i racconti della mamma, che per vincere la paura dei bombardamenti nel suo paese, la Corea, mangiava tavolette di cioccolato.
    Per loro il cioccolato è come la colonna sonora in un film : carezza nei momenti tristi, ricompensa per i successi, afrodisiaco per l’amore, tonico per lo spirito.

    ... un delizioso romanzo delle sorelle Park ...

    pag. 194: "La fine di un amore imponeva un’orgia di cioccolato. Ginger aprì una grossa confezione della Naron, perché ci sono momenti in cui devi concederti l’estremo peccato di gola tuffandoti in un mare di cioccolatini al latte e fondenti, alcuni quadrati, altri lisci, altri ancora guarniti da una spirale, tutti luccicanti e a temperatura ambiente. “A che servono gli uomini?” commentò Ginger.


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  7. gheagabry
     
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    Una storia del mondo in sei bicchieri
    di Tom Standage


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    Uccide di più la sete che la fame: la disponibilità d'acqua vincola da sempre le sorti dell'umanità, generando fortune e catastrofi, spostamenti di popoli e scelte di stanzialità, prosperità e guerre.
    Eppure l’acqua, pur essendo la più antica e la più usata delle bevande, non è certo l’unica ad aver condizionato la nostra storia, ad aver spinto la vita di ciascuno di noi in una particolare direzione in un determinato momento.
    Fotografando cinquemila anni di eventi, Tom Standage getta nuova luce sulle vicende dell'uomo, leggendole attraverso le bevande che ne hanno accompagnato le sorti - e concorrendo, nelle maniere più sorprendenti, addirittura a crearle.
    Cosa ha spinto gli antichi popoli del Vicino Oriente a divenire stanziali? Perché la spugna passata sulle labbra del Cristo crocifisso era intrisa d'aceto? Come mai i marinai della flotta inglese erano più in salute di quelli francesi? Cos’ha costretto l'Impero cinese a cedere Hong Kong ai britannici?
    Se gli archeologi distinguono le epoche in base all'uso di diversi materiali - pietra, bronzo, ferro - Standage le ripartisce riferendosi a birra, vino, liquori, caffè, tè e Coca-Cola. Originale e ironico, questa avvincente Storia del mondo in sei bicchieri alterna alla verità di documenti autentici le curiose trame di cronache e aneddoti, creando un cortocircuito tra realtà e leggenda in grado di soddisfare esperti e curiosi, ma soprattutto capace di offrire una visione “altra” della storia, una visione che alle rivelazioni degli eventi epocali preferisce i piccoli, grandi segreti racchiusi in un bicchiere.


    521-storia


    .....un estratto dal libro....


    .....La spiegazione più probabile di quella predilezione è che al contrario dei cibi, le bevande possono essere condivise in modo genuino.
    Quando diverse persone bevono dallo stesso vaso, consumano tutte lo stesso liquido; quando si taglia della carne, invece, generalmente si ritiene che alcune parti siano più desiderabili di altre.
    Condividere una bevanda con qualcuno, di conseguenza, è un simbolo universale di ospitalità e amicizia. Segnala che della persona che offre da bere ci si può fidare, poiché dimostra che la bevanda non è avvelenata o in altro modo non adatta al consumo. Le prime birre, fermentate in un recipiente rudimentale in un’epoca precedente alle coppe individuali, dovevano essere condivise. Anche se non è più d’uso porgere ai propri ospiti una cannuccia per bere da un recipiente di birra in comune, spesso il tè o il caffè si offrono versandoli da un’unica teiera o caffettiera, come il vino o un liquore da una stessa bottiglia. Quando si beve alcol in compagnia, poi, il gesto del brindisi simbolicamente riunisce i bicchieri in un unico vaso di liquido condiviso. Sono tradizioni dalle origini molto antiche.
    Altrettanto antica è la convinzione che le bevande, in particolare quelle alcoliche, abbiano qualità sovrannaturali. Agli occhi dei bevitori del Neolitico la capacità della birra di inebriare e indurre uno stato di coscienza alterato sembrava magica. Lo stesso valeva per il misterioso processo di fermentazione che trasformava una comune pappa in birra. La conclusione ovvia era che la birra fosse un dono degli dei: di conseguenza, in molte culture ricorrono miti che spiegano come gli dei avrebbero inventato la birra per poi insegnare agli umani come farla. Gli egiziani, per esempio, credevano che la birra fosse stata scoperta per caso da Osiride, dio dell’agricoltura e re dell’aldilà. Un giorno aveva preparato una mistura di acqua e cereali germinati, ma se ne era dimenticato e l’aveva lasciata al sole. Di ritorno, più tardi, si era accorto che la pappa era fermentata, aveva deciso di berla e ne era rimasto tanto soddisfatto da trasmettere quella conoscenza all’uomo – una leggenda che sembra parecchio prossima al modo in cui probabilmente la birra è stata davvero scoperta durante l’Età della Pietra.

     
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  8. gheagabry
     
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    cu12556a



    Il nome di Amalia Moretti Foggia non vi dirà molto .....ma Petronilla e le sue ricette ?

    Moglie, medico, popolarissima scrittrice di cucina: la storia di una donna eccezionale che seppe interpretare tutti i ruoli della femminilità moderna , uno scorcio di vita femminile italiana dal 1872 al 1947

    Ci sono intere generazioni di donne, madri, nonne, cresciute leggendo sulle pagine della Domenica del Corriere i consigli medici del Dottor Amal e le ricette, di cucina e di vita, di Petronilla. In pochi sapranno che dietro questi pseudonimi c'era Amalia Moretti Foggia, una femminista ante litteram.

    Amalia Moretti è stata una donna coraggiosa che ha intrecciato la sua esistenza con le grandi figure femminili che hanno dominato il Novecento : da Anna Kuliscioff a Sibilla Aleramo ad Ada Negri - ma anche con le centinaia di operaie, prostitute, sartine, mogli maltrattate che ha curato gratuitamente nella Poliambulanza di Porta Venezia a Milano.

    Nel libro scritto da Roberta Schira ed Alessandra De Vizzi il racconto inedito della sua vita, dall’infanzia nella farmacia del padre a Mantova fino al salotto milanese della maturità, dove si riunivano i più importanti nomi della cultura dell’epoca, passando attraverso il periodo universitario e i sogni romantici di una ragazza animata sempre da un principio categorico: “Io devo”.

    Petronilla parla con voce fresca alle lettrici di oggi, come ha parlato, attraverso le sue rubriche, a quelle di ieri, rivelandosi un’incredibile, attualissima donna d’altri tempi.


    Ha lasciato questo diario , appetitoso come la sua .... crème caramel .....




    Un estratto dal libro:

    ”C’è un principio prezioso più di tutti che io ho capito e che voglio regalarvi, una frase che racchiude tanta saggezza che vi prego di ricordare sempre e alla quale vi prego di ispirare le vostre esistenze, sempre in tutte le situazioni e in tutti i tempi a venire, qualcosa che non si può comprare e che le donne cercano di ottenere soffrendo anche a costo della propria vita; qualcosa che spaventa e allontana gli uomini e le donne stesse. Il mio segreto è questo: siate padrone della vostra vita”.



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  9. gheagabry
     
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    The forme of Cury

    La cucina alla corte di Re Riccardo II d’Inghilterra



    Curatore: Constance B.Hieatt Stefania Barzini
    Editore: Guido Tommasi , 2005



    Pur non essendo il più antico, il Forme of Cury è di gran lunga il più importante ricettario mediavale inglese. Ed è, altrettanto sicuramente, uno dei più importanti ricettari europei di quel periodo, per quanto questo possa apparire sorprendente secondo il pregiudizio secondo il quale non esisterebbe alcuna apprezzabile tradizione gastronomica di origine anglossassone...Niente di più errato, naturalmente. Proprio con il Form of Cury le formule da iniziati, involute e incomprensibili ai più, cominciano a lasciar spazio a descrizioni più semplici e particolareggiate che permetteranno una conoscenza più diffusa dell'arte gastronomica. E se l'influenza della cucina araba appare evidente e importantissima, così come lo fu per l'Italia, ma sorprendentemente non per la Francia, altrettanto evidente appare l'elevato grado di raffinatezza e competenza raggiunto dalla cucina inglese, in particolare presso la corte del re Riccardo II, monarca coraggioso e buongustaio, le cui gesta furono immortalate in un celebre dramma shakespeariano.

    Prendi del vino grecio oppure del vino rosso e unisci del miele chiarificato. Prendi della farina di riso e dei pinoli, zenzero, pepe, cassia e chiodi di garofano in polvere, zafferano, zucchero di Cipro, more o sandalo rosso, e mescola tutto assieme. Fai bollire e addensare e sala.

    The forme of Cury, letteralmente “Il metodo per seguire i cibi nella cottura”, è una famosissima raccolta di ricette inglesi compilata nel medioevo. Ricca di influenze arabe e nordafricane, la cucina inglese del trecento aveva un grado di raffinatezza che francesi e italiani non avevano ancora raggiunto.
    Attraverso questo insolito volume a metà tra saggio storico e manuale di cucina non sarà difficile farsi un’idea dei sapori e dei profumi sprigionati dalle cucine di re Riccardo II.
    Oltre ad una serie di menu concepiti all’epoca appositamente per il re ed alle ricette, sono presenti curiosità varie sul codice, i legami della cucina inglese con la cucina italiana e, in coda, una serie di piatti adattati per la nostra cucina. Dalle pagine del forme of cury emerge anche una sorprendente verità: pare che i ravioli e le lasagne, quanto di più classico possiamo immaginare in una cucina italiana, siano state inventate proprio in quegli anni da una casalinga inglese… non ditelo in giro!
    (S. M. 31-07-2005)
     
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  10. ZIALAILA
     
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    Le relazioni culinarie

    di Staïkos Andreas




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    Dimitris e Damocle vivono nello stesso palazzo, allo stesso piano. Poco a poco si rendono conto di avere in comune anche l'amante, Nanà. Entrambi decidono di conquistarne l'arrendevole palato sbaragliando il rivale in cucina. Ne nasce un duello buffo e bizzarro, a colpi di insalate di ricci di mare, involtini di foglie di vite, polpo in vino bianco, moussaka, kolliva e altre ghiottonerie tipiche della cucina greca. Quanto a Nanà (astuta, esigente e istrionica) non si fa scrupolo di spedire gli ignari ammiratori sulle coste dell'Attica per procurarsi gli ingredienti, interpretando il ruolo della "femme fatale" fino all'amara conclusione della vicenda .
    Lei si divide fra di loro incastrando orari e inventando sempre nuove scuse. Da lì inizia il tormento, e soprattutto la ’sfida’ a distanza fra i due. Nanà infatti adora le acrobazie a letto, ma si lascia sedurre anche dalla buona cucina. Il suo piatto preferito è la zuppa di ricci, che le ricorda i coralli del mar Egeo. Ma sa giudicare con competenza anche un buon -tipico - agnello e patate o uno stufato.

    Alla fine di ogni capitolo - e questa è l’idea originale che da sola vale il libro - ci sono le ricette dettagliate di tutti i piatti, veri protagonisti delle vicende dei tre amanti un po’ naif.

    UN BRANO
    Nanà, annusando voluttuosamente e socchiudendo le palpebre appesantite dal trucco, sussurrò con voce flebile il solito ritornello: «Che cos’è? Cosa sarà? Sono coralli, coralli di riccio di mare annegati in un cucchiaio d’acqua dell’Egeo». «E la ricetta? La sai la ricetta?» domandava Damocle, ricevendo sempre la stessa, rituale risposta: «Mettere in una terrinetta dieci ricci, due raffiche di meltemi e una goccia di limone».


    .....dunque Eros e Cucina in una deliziosa commedia degli equivoci
     
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  11. ZIALAILA
     
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    COME L' ACQUA PER IL CIOCCOLATO
    di Laura Esquivel



    comelacquaperilcioccolato




    con il simpatico sottotitolo: "Romanzo a puntate mensili con ricette, amori e rimedi casalinghi".

    La struttura del testo, infatti, è formata da dodici capitoli, ciascuno intitolato a un mese dell'anno, in cui - a partire da una ricetta tipica dell'antica cucina messicana - viene raccontata, con la capacità affabulatoria e con un "pizzico" di realismo magico tipici della letteratura latino-americana, la vicenda del grande amore ostacolato tra Pedro Muzquiz e Tita de la Garza.

    Ed ecco allora scaturire la preparazione di piatti dai sapori straordinari e - a seconda dei sentimenti provati durante la loro preparazione - dai poteri quasi magici : ecco che la torta "chabela" per il matrimonio tra la sorella e Pedro - preparata da Tita tra le lacrime per l'amore perduto e l'affronto subito - ha il potere di far sorgere una profonda e inspiegabile tristezza in tutti gli invitati; le quaglie ai petali di rose - preparate con delle rose regalatele da Pedro e bagnate dalle gocce del suo sangue appassionato provocato dalle spine - hanno il potere di scatenare in tutti i commensali una frenesia d'amore tale da far scaturire il fuoco dalla loro pelle e da consentire all'altra sorella di Tita di fuggire via di casa nuda, liberandosi dall'oppressione della madre e trovando amore e realizzazione nelle schiere dei rivoluzionari.

    ***



    La protagonista del romanzo , Tita che ha quindici anni all'inizio della storia ambientata durante la rivoluzione messicana , vive con sua madre Elena e le sue sorelle maggiori Gertrudis e Rosaura, in un ranch nel Messico.
    Il vicino di casa Pedro e Tita si innamorano a prima vista e Pedro chiede la sua mano ma mamma Elena lo proibisce, perché la tradizione esige che la figlia più giovane rimanga celibe per prendersi cura di sua madre.
    Così Pedro si sposa con Rosaura , la sorella maggiore, avendo come unico scopo quello di restare accanto alla donna che ama.

    ***


    In questo libro il cibo diventa lo strumento di un vero e proprio incantesimo d'amore, grazie al quale Tita riesce a trasmettere a Pedro e a tutti i commensali - nell'unico modo che le è consentito - i suoi sentimenti, privati del diritto di esistere, con una forza che va anche al di là delle sue stesse intenzioni.


    "Benché nasciamo con una scatola di cerini dentro di noi, non possiamo accenderli da soli; abbiamo bisogno di ossigeno e dell'aiuto di una candela.
    L'ossigeno deve provenire, per esempio, dal fiato della persona amata; la candela può essere un tipo qualsiasi di cibo, di musica, di amore, di parola o di suono che faccia scattare il detonatore che è in noi.
    Ogni individuo deve scoprire quali sono i detonatori che lo fanno vivere, poiché è la combustione che si produce quando uno di essi si accende a nutrire di energia l'anima.
    Se non scopriamo in tempo quali sono i nostri detonatori, la scatola di cerini si inumidisce e non potremo mai più accendere un solo fiammifero".


    ***


    Il titolo si riferisce ad una frase usata dagli spagnoli che significa “sentimenti estremi”. Si riferisce al punto di ebollizione, in termini di rabbia, passione e sessualità. L'idea del libro è venuta a Esquivel mentre cucinava le ricette di sua madre e di sua nonna. Secondo quanto riferito, Esquivel aveva una prozia di nome Tita, alla quale era stato proibito di sposarsi e che aveva accudito sua madre fino alla morte.

    ***
    Dal libro e' stato tratto un film nel 1994 .

     
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  12. gheagabry
     
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    «Generazioni di Waverley avevano coltivato il giardino. In quella terra c'era la loro storia e il loro futuro. Ma qualcosa stava per accadere, qualcosa che il giardino non era ancora pronto a rivelare»



    Il profumo del pane alla lavanda


    di Sarah Addison Allen

    "Un romanzo dolce e magico, in grado di stregare anche il cuore più scettico"
    (The New York Times)

    "Parole come dolcezza, fascino e magia non bastano per descrivere il piacere di questa lettura"
    (Publishers Weekly)



    Bascom, North Carolina. Come ogni cittadina del Sud, Bascom ha le sue peculiarità che la rendono così unica eppure così uguale alle altre cittadine. Qualcosa di cui tutti sanno l’esistenza, e che accettano come un dato di fatto. Qualcosa che fa parte della città come un vecchio edificio, che con il suo aspetto contribuisce a renderla ciò che è. A Bascom una di queste peculiarità è la famiglia Waverley, con il suo giardino che sembra incantato ed il suo melo magico: Generazioni di Waverley avevano coltivato il giardino. In quella terra c'era la loro storia, ma anche il loro futuro. Qualcosa stava per accadere, qualcosa che il giardino non era ancora pronto a rivelarle. Avrebbe dovuto stare all'erta.
    Le donne Waverley sono sempre state conosciute a Bascom per i fiori del loro giardino, cresciuti intorno al melo e le prelibatezze della loro cucina: in ogni generazione c’è una donna che prosegue la tradizione producendo marmellate di lillà, menta e petali di rosa; aceti di nasturzi e fiori di erba cipollina, ma soprattutto il vino al geranio rosa, che si dice faccia ritrovare a chi lo beve la felicità e ricordare i bei tempi andati.

    Tutti, da quelle parti, sapevano che le pietanze preparate con i fiori che crescevano intorno al melo del giardino delle Waverley avevano effetti curiosi su chi le consumava. I biscotti con la marmellata di lillà, i dolci al tè di lavanda e le torte al tè con la maionese di nasturzio che le Dame di Carità ordinavano per le riunioni mensili davano loro il dono di mantenere i segreti. I boccioli di dente di leone fritti su riso con petali di calendola, i fiori di zucca ripieni, la zuppa di bacche di rosa assicuravano che gli amici notassero solo la bellezza della tua casa e nessun difetto. Il burro al miele di agastache spalmato sui toast, le caramelle di angelica e le tortine ricoperte di viole del pensiero cristallizzate rendevano i bambini giudiziosi. Il vino di caprifoglio servito il Quattro Luglio regalava l'abilità di vedere al buio. Il sapore balsamico della salsa preparata con bulbi di giacinto donava malinconia e faceva ripensare al passato, le insalate di cicoria e menta davano la certezza che qualcosa di buono sarebbe accaduto, che poi accadesse oppure no.


    Claire Waverley, 34 anni, è la depositaria delle tradizioni di famiglia, abita sola a Bascom da 10 anni, nella grande casa dal giardino fatato. Claire ha trasformato le conoscenze di famiglia, a cui ha apportato anche il suo contributo, in un’attività di catering di successo.




    L’unico altro membro della famiglia Waverley rimasto in città è Evanelle Franklin, una cugina di secondo, terzo o quattordicesimo grado, una eccentrica vedova di settantanove anni, sempre in giro per la città ad ammirare gli studenti che fanno jogging e a regalare oggetti stravaganti. Evanell non sa come e quando, ma prima o poi quegli oggetti torneranno utili a coloro ai quali sono stati donati.

    Ma la tranquillità, la routine sicura della vita di Claire viene messa in pericolo quando conosce il suo nuovo vicino di casa Tyler Hughes, e quando improvvisamente la sorella Sydney, dopo dieci anni di lontananza, si ripresenta a casa con la figlia Bay di cinque anni. Sydney, dopo dieci anni vissuti da nomade, fra un compagno balordo e l’altro, furti e lavori occasionali, ritorna a casa per dare a sua figlia la stabilità di cui ha bisogno: suo padre David è un uomo molto violento e possessivo, ed ha già sventato un tentativo di fuga di Sydney. Claire però non vorrebbe lasciar entrare nella sua vita nessuna novità:

    Il giardino le voleva dire che qualcosa stava cercando di intrufolarsi, qualcosa dall'aspetto innocuo, ma che presto, se gliene fosse stata data l'opportunità, avrebbe invaso tutto. (...) Il cuore di Claire cominciò a battere furioso. Non le serviva niente oltre a ciò che già aveva. Nell'attimo in cui avesse lasciato entrare qualcun altro nella sua vita, ne sarebbe stata ferita.

    Le due sorelle cominciano così una convivenza forzata: Claire non è mai stata affezionata a Sydney, invidiosa forse di un’appartenenza a Bascom che lei ha dovuto invece conquistare. Lorelei Waverley, la madre, è tornata infatti in città solo per far nascere Sydney, quando Claire aveva sei anni, abbandonando poi le due figlie alle cure della nonna.

    Claire e Sydney hanno vissuto in modo diverso l’abbandono della propria madre, pur avendone sofferto entrambe. Claire ha cercato di mettere radici nella casa e nella città delle nonna, ritagliandosi il suo posto di Waverley. Sydney invece, che all’abbandono della madre era solo una bambina di sei anni, non ha sopportato di essere considerata da tutti, in particolare dal ragazzo che ama, una delle strane Weaverley, e così ha deciso di emulare la madre, e di fuggire via non appena compiuti i diciotto anni. Ma Sydney si è riproposta di essere una madre migliore per i propri figli, e sembra che ci riesca davvero con Bay.

    La sofferenza per l’abbandono della madre prima, di Sydney poi e per la morte della nonna lo stesso anno della fuga della sorella, hanno portato Claire ad erigere un muro fra se stessa e gli altri: il terrore di essere abbandonata un’altra volta la terrorizza. E così rifiuta qualsiasi rapporto affettivo che possa causarle ancora una volta l’angoscia dell’abbandono. Anche Bay si rivela essere una vera Waverley: è anche per sfuggire a questo destino che Sydney non avrebbe mai voluto ritornare a Bascom, ma non aveva altra scelta:

    "Non riesco a togliermi dalla testa che tutto è effimero, e ho paura della transitorietà. Ho paura che le persone mi abbandonino." (...) Non poteva concedersi quel piacere, perché altrimenti, quando fosse finita, avrebbe trascorso il resto della vita sentendone la mancanza. Ne avrebbe sofferto. (...) Sydney aveva barattato la sicurezza della piccola con la possibilità di essere considerata normale.



    La piccola infatti porta in sé un pizzico di magia Waverley: sa istintivamente qual è il posto giusto per ogni cosa.


    Bay aveva ripulito o sistemato a modo suo, sapendo istintivamente dove le cose dovevano andare. (...) Bay si era resa conto che la mamma aveva sempre avuto difficoltà a capire dove stesse andando. Fortunatamente per lei, quella invece era la sua specialità.
    E sicuramente Bay sa che il suo posto è lì, nella casa con il melo magico.



    Fra profumi, colori, sapori e luci, Sarah Addison Allen ci racconta la magia di una cittadina del Sud, l’affetto e la complicità fra due sorelle, che non erano mai state così vicine e si riscoprono invece più simili di quanto credessero; ci dipinge personaggi reali collocandoli all’interno di una favola, dove tutto ruota intorno ad un melo, che come un oracolo rivela l’evento più importante della vita di chi assaggia i suoi frutti, e che, proprio come un membro - anche piuttosto invadente - della famiglia Waverley, risolve con la sua magia ogni problema e scrive il lieto fine di questa storia che supera i confini della fantasia.

    "Perché le sotterri?"

    "Perché nessuno possa mangiarle."

    "Perché non vuoi che le mangino?"
    Claire esitò. "Perché se mangi una mela di quell'albero, vedrai quale sarà l'evento più importante della tua vita. Se si tratta di un evento buono, di colpo saprai che qualsiasi altra cosa farai non ti renderà altrettanto felice. E se è cattivo, dovrai vivere il resto della vita con la consapevolezza che ti accadrà qualcosa di brutto. Nessuno dovrebbe sapere certe cose."

    È una storia semplice raccontata con uno stile molto semplice, proprio come deve essere una fiaba. Il libro si legge tutto d'un fiato, evocando odori, immagini ricche di luce e di pietanze che verrebbe voglia di assaggiare, se non altro per pura curiosità (e forse anche per testarne la magia); il tutto condito con tanto romanticismo.




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  13. ZIALAILA
     
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    AFRODITA
    racconti ricette e altri afrodisiaci




    afrodita-isabel-allende



    Racconta Isabel Allende "… Gli uomini che sono passati dalla mia vita li ricordo cosi, alcuni per la qualità della loro pelle, altri per il sapore dei loro baci, l'odore dei loro indumenti o il tono dei loro sussurri, e quasi tutti sono associati ad un alimento particolare. Il piacere carnale più intenso, goduto senza fretta in un letto disordinato e clandestino, combinazione perfetta di carezze, risate e giochi della mente, sa di baguette, prosciutto, formaggio francese e vino del Reno. Non posso separare l'erotismo dal cibo, e non vedo nessun buon motivo per farlo…”.


    La Allende appare in questo libro ai suoi fedeli lettori , forse del tutto imprevedibile. Eppure, c'è tutta la sua fantasia e il suo garbo in questo straordinario libro di "quasi ricette". È un gioco? Una maliziosa trasgressione? O forse solo la gioia di aver ritrovato il troppo a lungo dimenticato gusto della vita.
    Tutti i sensi all'erta, si può parlare di culinaria e di erotismo con grande raffinatezza e cultura.


    §°§°§°§



    L'ultima parte del libro è una raccolta di deliziose ricette, semplici da preparare grazie anche agli ingredienti di facile reperibilità. La Allende evita infatti di consigliare piatti preparati con erbe magiche e rarissime o sangue di animali stregoneschi. Vengono indicati, come avviene in ogni libro di cucina, la preparazione, la quantità e il tipo di ingredienti da utilizzare e infine, quasi sempre, lo scopo amoroso del piatto.

    Dalla salsa corallina alle pere ubriache, dall'habanera di gamberi all'insalata delle odalische, dalla zuppa scacciapensieri alle ciliegie civettuole: un patrimonio di ricette piccanti e spiritose condite con le spezie dell'ironia. Isabel Allende torna a gustare la vita. La troviamo alle prese con il mondo della cucina, tempio del piacere dei sensi e anticamera del "piacere dei piaceri". In un invito alla gioia dietro il grembiule, un gioco per nutrirsi ed inebriarsi senza prendersi troppo sul serio.

     
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  14. ZIALAILA
     
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    ristorante+chef+innamorati




    Francia. Il ristorante che gestisce insieme alla moglie Elli è immerso nell'incantevole paesaggio della Normandia, fatto di ampi spazi verdi che si affacciano sul mare. Prenotare un tavolo è difficile come preparare il boeuf bourguignon perfetto. Ma alla morte improvvisa di Elli, Jacques perde ogni ispirazione, il suo talento è soffocato da una cupa disperazione e la sua cucina è vuota, lontana dai profumi paradisiaci e dai sapori straordinari che l'hanno reso famoso.
    Jacques sopravvive, ma il ristorante rischia la bancarotta ed è noto ormai soltanto per il pessimo servizio. Elli riuscirà però a cambiargli la vita per la seconda volta. Quando Jacques trova in soffitta un piccolo ricettario rosso scritto dalla moglie, ricomincia a cucinare per amor suo e, lentamente, si apre a un nuovo inizio.
    Grazie al suo talento straordinario in cucina e alla forza di due donne innamorate, Jacques riesce ad abbandonare il suo mondo fatto di ricordi e rimpianti e ritorna ad assaporare la vita, con un pizzico di fiducia, molto amore e un po' di magia.


    ......Dunque in un romantico ristorante francese “Un cucchiaio di nostalgia, un pizzico di romanticismo e una manciata di passione.”

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  15. ZIALAILA
     
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    VINO PATATE E MELE ROSSE



    di JOANNE HARRIS



    vino,+patate+e+mele+rosse




    Delizioso.... la voce narrante è .........una bottiglia di vino .............


    Anche il vino può avere delle storie da raccontare, a chi sa ascoltarlo. La strana alchimia della fermentazione alcolica cattura segreti, progetti, amori, tradimenti... Specie se i vini sono magici come quelli che produce Joe Cox con patate, mele rosse e altri frutti misteriosi.
    Erano questi i sapori e i profumi protagonisti delle estati di Jay Mackintosh da ragazzino, e Jay torna a cercarli ora che, scrittore trentacinquenne alle prese con un libro che non decolla e un rapporto amoroso in crisi, decide di abbandonare Londra per trasferirsi in un paesino del Sud della Francia, in una fattoria circondata di giardini dove sembra quasi aleggiare la presenza del vecchio Joe...
    IInizia così il viaggio di Jay alla ricerca di sé stesso e dell'amore: a guidarlo sarà Marise, la donna che il destino gli ha fatto incontrare.

    ***



    Un libro magico!... profuma di vino e di Provenza ; la narrazione e certi sapori indistinguibili, quella sensazione di sentire in bocca il gusto delle more e della frutta matura, sono davvero impareggiabili!
    Proprio quella magia che avevamo già vissuto in Chocolat , altra opera della Harris .

    ***



    I libri della Harris non sono per tutti. sono fatti principalmente di sentimenti e atmosfere quindi se amate i libri dove ci sono colpi di scena in ogni pagina i suoi libri non fanno per voi ....

    ***

     
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38 replies since 26/8/2012, 16:44   3596 views
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