FIBRE NATURALI

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  1. gheagabry
     
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    Il COTONE



    Il cotone è una pianta arbustiva appartenente alla famiglia delle Malvacee. Sono più di 40 le specie conosciute ma solo quattro sono coltivate per la loro fibra: Gossypium arboreum - Gossypium barbadense - Gossypium herbaceum - Gossypium hirsutum. Questa pianta viene coltivata con successo nelle regioni tropicali e subtropicali e la sua probabile origine si colloca nel subcontinente indiano.
    La pianta allo stato selvatico può raggiungere un'altezza superiore a 1,50 m. ed ha vita lunga.I peli di cotone sono molto semplici essendo formati da un'unica cellula e sono costituiti da cellulosa pura (al microscopio ). A contatto con la fiamma bruciano molto facilmente lasciando della cenere bianca. Il cotone è coltivato tra i 458° di latitudine nord e i 308° di latitudine sud; le piante prosperano in aree basse e pianeggianti, con terreno sabbioso, umido, ricco di carbonato di calcio e facilmente irrigabile. La pianta di cotone necessita di molta luce e molto calore durante la maturazione, oltre che di acqua: la semina viene effettuata nel periodo primaverile e seguono continue irrigazioni fino al completo sviluppo. Dopo tre mesi avviene la fioritura e cinque mesi più tardi le capsule del frutto si schiudono permettendo il parziale essiccamento dei fiocchi e quindi la raccolta.

    ...la storia....


    Risulta difficile datare l’origine del cotone. Da oltre 7.000 anni gli abiti di cotone proteggono l'uomo da sole, pioggia, caldo e freddo..Nel 5000 a.C. circa, il cotone viene utilizzato dalle popolazioni della valle messicana TunuacAjn. Come testimoniano però alcuni passi della Bibbia, il cotone era già stato utilizzato dagli Ebrei per la produzione di tessuti. Nel 3000 a.C. circa, diverse civiltà indiane, cinesi ed egiziane, si dedicano alla coltivazione del cotone. Nella valle dell'Indu nell'odierno Pakistan il cotone viene piantato, filato e tessuto. È qui che sono stati ritrovati i più antichi reperti archeologici di tessuti in cotone(2700 a.C. circa) ... nel 2000 a.C. si hanno testimonianze del suo impiego nella preparazione di teli per indumenti a Babilonia dove, per la sua preziosità, era denominata “oro bianco”..Dal 2000 a.C. al 1500 a.C.Il cotone è coltivato dai Maya nel Guatemala, nello Yucatan e in Messico.
    La Grecia classica lo scoprì grazie alle conquiste di Alessandro Magno in Asia e in Africa settentrionale...Durante il suo viaggio verso l'America, Cristoforo Colombo è uno dei primi europei a vedere i metodi di coltivazione del cotone alle isole Bahamas.

    Il cotone, il cui termine deriva dall’arabo katun ovvero "terra di conquista", già presente prima del secondo millennio avanti Cristo in India ed anche in Perù, fu introdotto dai Saraceni prima in Sicilia nel IX Secolo e poi in tutta Europa attorno al 1300. Considerato un prodotto d’importazione, e per di più difficile da filare e tessere, rimase per lungo tempo un tessuto di lusso al pari della seta. In Europa famose erano le impalpabili stoffe di cotone indiano dipinte con tinture che apparivano gradualmente con il passare del tempo.
    Gli Europei, al loro arrivo in America, trovarono il cotone coltivato e manifatturato nelle Indie Occidentali, nel Messico, nel Perù, nel Brasile. Erano colture che traevano origine dalle specie locali, diverse da quelle del vecchio mondo.
    Negli stati meridionali degli USA, la coltivazione del cotone rappresenta da sempre l’intera cultura della regione; infatti un tempo i padroni bianchi vivevano come feudatari in immensi poderi circondati da campi di cotone ed i loro lavoratori, gli schiavi neri, conducevano una vita di stenti ed esprimevano il loro disagio nella musica. E’ nei campi di cotone che nasce infatti il primitivo Country Blues.

    .....tessuto.....


    Il cotone è sicuramente la fibra tessile vegetale più usata. Accompagna l’uomo dall’inizio della storia del suo vestiario. Tranne le regioni polari è presente in tutti i luoghi popolati dall’uomo. È fibra tessile già sulla pianta, senza necessità di estrazione o macerazione, e quella che ha più qualità allo stato naturale. Non esiste un’altra fibra con così poche esigenze manifatturiere per il vestiario.
    Il cotone è la fibra naturale più diffusa e utilizzata al mondo, parte integrante della vita quotidiana di ogni individuo: è stato calcolato che ognuno di noi ne consuma in media 7 kg ogni anno....190 milioni di persone nel mondo si dedicano alla sua coltivazione e oltre 60 milioni sono impegnate nella trasformazione del cotone in filati e tessuti, nella produzione di olio, che si ottiene dai semi, e nella lavorazione di integratori proteici per mangimi.
    Quella del cotone è la maggiore coltura agricola non alimentare e copre il 50% del fabbisogno di fibre tessili nel mondo: si tratta di 24 milioni di tonnellate di fibra lavorate ogni anno, una quantità che potrebbe ricoprire la superficie dell'intera Italia, isole comprese e che determina un fatturato annuo che si aggira intorno ai 30 miliardi di dollari. I più grandi produttori sono la Cina, gli USA, l'India, il Pakistan e l'Uzbekistan, che producono insieme circa 15 milioni di tonnellate di fibra su un totale di quasi 24. Le restanti 9 tonnellate sono prodotte in circa 70 paesi del sud del mondo, per i quali spesso il cotone costituisce una delle principali fonti di reddito.

    Il cotone è l'unica fibra che aumenta in resistenza quando è bagnata, quindi è anche la più facilmente lavabile, ma occorre evitare l'asciugatura alla luce diretta del sole perché indebolisce e ingiallisce la fibra. Resiste alle alte temperature e anche alla bollitura, sopporta i detersivi alcalini, non infeltrisce. Inoltre è igroscopica, anallergica, non elettrostatica e perciò non crea fastidi quando è a contatto con il corpo. Tra gli svantaggi rientra l’infiammabilità, la sensibilità all’azione di muffe e batteri, la scarsa ripresa elastica, la scarsa resistenza alla luce e alle sostanze acide, in particolare agli acidi forti.
     
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  2. gheagabry
     
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    Il lino


    Il lino è ricavato dallo stelo della pianta Linum usitatissimum, appartenente alla famiglia delle Linacee. Il lino più coltivato oggi è appunto il Linum usitatissimum, erba annuale dal fusto eretto, ramificata superiormente, alta fino a un metro, con foglie lisce al margine e fiori dai petali azzurri.

    .... simbolo di Luce, storia, miti e leggende ......


    Il lino è coltivato da 5000 anni in tutto il mondo e ha, da sempre, simboleggiato la Luce.
    In India si diceva che l'Aurora tesseva la camicia nuziale del suo sposo divino, il Sole, con i fili di questa pianta. Per tale motivo i suoi fili sono considerati simboli dei Raggi del Sole, di Vita e di Fertilità (si usa pensare al Sole come principio maschile, ma in realtà è anche principio femminile grazie alla sua essenza feconda). In Germania, se un bambino stentava a crescere o a camminare nella notte di San Giovanni Battista si "seminava" il lino sul suo corpo nudo e sull'erba sotto di lui. Quando le pianticelle affioravano il bimbo allora doveva svilupparsi e camminare.
    A Modica invece, per scacciare il mal di testa provocato da insolazioni, si bruciava della stoppa di lino in un bicchiere pieno d'acqua, si metteva il bicchiere in un piatto bianco e il piatto sulla testa del malato: in questo modo si toglieva l'effetto del sole dalla testa al solare lino.
    Considerato solare e quindi divino, il lino è stato usato dai sacerdoti in India, in Egitto, in Asia Minore, a Roma e dai Cristiani. A Roma per esempio lo indossarono le Vestali come simbolo di purezza. La dea egizia Iside era chiamata "linigera" poiché i suoi sacerdoti vestivano di lino. Anche le bende delle mummie erano fatte di lino fine. E come i sacerdoti egiziani, anche quelli ebrei lo vestivano. Ancora oggi, in Francia, la cotta di lino del prete è detta aube, alba.
    Secondo la mitologia greca, fu Aracne a crearlo, la mistica tessitrice lidia il cui padre era tintore.
    Ella era diventata tanto celebre nell'arte della tessitura e degli arazzi, tanto che la sua maestria era molto contemplata. Tal maestria proveniva da Pallade Atena, ma Aracne lo negava: "Che gareggi con me! Se mi vince, potrà fare di me quel che vorrà". La Dea accolse la sfida apparendo nelle sembianze di una vecchina e consigliandole di chiedere perdono alla Dea. Ma Aracne rispose con insulti. Allora Pallade si spogliò delle sembianze di vecchia accettando la sfida. La Dea rappresentò sulla tappezzeria i dodici re dell'Olimpo e per ammonirla ai quattro angoli disegnò atti che mostravano la disfatta dei mortali che avevano sfidato gli dei. Aracne disegnò invece gli episodi degli dei che non facevano loro onore, gli stupri di ninfe e mortali. Il suo lavoro era oltremodo perfetto, ma Pallade incollerita fece a pezzi la tela della giovane e, trovandosi in mano la spola, colpì la fronte di Aracne. L'infelice donna non tollerò il colpo e corse a infilare il collo in un cappio. Ma la Dea non le permise di morire e la trasformò in ragno (arachne in greco).
    Non solo il mito, ma anche la storia ci mostra come il lino fosse usato nel campo della tessitura e della pittura.

    Fin dall'epoca neolitica venne impiegato per la produzione di tessuti in Egitto. In età antica, il lino era conosciuto anche presso alcuni popoli europei, come attesta il ritrovamento di frammenti lintei risalenti al 2500 a.C. nei villaggi lacustri della Svizzera. Le aree italiche menzionate da Plinio dove trovò largo impiego erano il Po e Ticino, Voghera e Faenza; tra i lini stranieri lo scrittore cita la Spagna, la Gallia, i Paesi Bassi, oltre all'Egitto, paese che mantenne la supremazia fino al 1300 circa. Piano piano interesserà tutta l'Europa. Nelle sue Metamorfosi, Ovidio scrive che sulla cortina che fungeva da sipario nei teatri, venivano dipinti i vari personaggi della rappresentazione.
    Plinio dedica a questa pianta un capitolo nella sua Naturalis Historia, nel quale loda anche il lino di Cuma, adatto alla pesca e alla caccia, in grado perfino di recidere le setole del cinghiale.
    Dallo stesso Plinio veniamo a sapere che le tele per i teatri si ottenevano dalle vele di lino delle navi, e che l'anfiteatro di Nerone venne coperto con vele su cui erano dipinti cieli stellati. Boezio riporta la consuetudine di dipingere a encausto su tela. Per tutto il Medioevo la tela non fu in genere utilizzata come supporto pittorico indipendente: nelle pitture su tavola si faceva aderire al legno una tela di lino. Le prime tele erano di un tessuto fine e fitto. Per qualche tempo si usarono le tempere, ma la vera innovazione fu l'uso dell'olio di lino cotto e fatto decantare al sole come legante sulla tela, la quale ne era il supporto ideale. Nonostante il lino sia un materiale più adatto alla pittura, con il tempo verrà abbandonato in luogo del cotone.


    L'olio di lino è un olio che si ottiene dalla spremitura di semi di lino prima essiccati o tostati. Oltre ad essere usato come condimento, è un ottino integratore; gli antichi greci utilizzavano anche i semi come aggiunta alimentare per le sue spiccate proprietà benefiche.
    Nella pittura ad olio costituisce uno degli elementi atti a legare i pigmenti di colore e tra tutti si distingue per una spiccata siccatività. Colori e materiali, tra cui gli oli, quando non erano forniti dai monaci (eh sì... quasi tutte le arti furono appannaggio delle chiese), venivano confezionati dagli speziali. Galeno osserva che i semi di lino sono per natura siccativi. Spesso agli oli venivano aggiunte resine per manterne il profumo e per dare loro corpo. Ezio descrive che l'olio di lino era preparato nello stesso modo dell'olio di ricino, destinato agli stessi usi medicinali al punto da soppiantarlo. Per un certo periodo infatti, l'olio di lino domina la scena artistica, tanto che era usato anche nella preparazione delle vernici. Più tardi venne quasi soppiantato dall'olio di noce e di papavero, per ritornare in epoca moderna nella pratica artistica comune, grazie alla lucentezza che dona al colore. Venne poi usato nella fabbricazione di un tipo di carta duratura.

    Il lino fiorisce tra Aprile e Settembre. Esistono più specie e svariate sfumature, e della piantina non si getta via nulla! Le principali sostanze contenute nei semi di lino sono gli acidi grassi omega 3 ("grassi buoni"), i sali minerali, le vitamine, le proteine, l'acido linoleico, le fibre e i lignani che hanno proprietà antiossidanti.
    L'olio di semi di lino si usa anche in cosmetica: per le sue spiccate proprietà emollienti viene impiegato per la cura della pelle e soprattutto dei capelli ai quali dona lucentezza e morbidezza.
    Tutte le proprietà benefiche del Sole
    "Il seme del lino pesto" scrive Castore Durante "e mescolato con pepe e mele (...) mitiga la tosse e provoca gli appetiti venerei. Cotto in acqua melata e bevuto, giova all'infiammationi interne, e mitiga ogni sorta di dolori. Tolto con mele in forma di lettuario, purga il petto, facendo sputare, e lenisce la tosse". Ancor'oggi è riconosciuta la sua capacità a combattere la tosse. Ricerche condotte negli Stati Uniti sembrano dimostrare come il consumo dei semi di lino possa ridurre il rischio tumore. I semi di lino vengono utilizzati per la cura di patologie quali infiammazioni, ascessi, stitichezza, bronchiti, foruncoli, congestioni. Proteggono l'apparato cardiovascolare stabilizzando il battito cardiaco. In ultimo, i semi sono utili in gravidanza perché contribuiscono alla formazione della corteccia cerebrale. La fibra più vicina alla scorza, la stoppa, veniva usata per confezionare gli stoppini delle lucerne. La finezza del lino ha ispirato in molte favole l'immagine di camicie che si potevano racchiudere nel palmo della mano.

    ...il lino delle fate...


    Il lino delle fate meridionale (Stipa austroitalica Martinovski) è una pianta erbacea perenne, con grossi cespi da cui nascono numerosi fusti (culmi) con foglie strettamente lineari larghe al massimo 2 mm, conduplicate (ripiegate su se stesse longitudinalmente) con corti peli rigidi. Alla sommità dei culmi si trova una stretta pannocchia di spighette con un singolo fiore ognuno dei quali ha una lunga (15-20 cm) e sottilissima appendice (resta). La resta si stacca dall’apice della glumetta superiore (lemma) ed è flessuosa e ricurva, fittamente pelosa per lunghi peli piumosi nella parte superiore, glabra nel terzo inferiore. Le reste piumose, di colore bianco argenteo, rendono la specie particolarmente vistosa e attraente, e l’ondeggiare delle spighe al soffio del vento crea l’illusione di un mare in burrasca. È una specie endemica, cioè esclusiva di Puglia, Basilicata e Sicilia. Nelle Murge pugliesi costituisce un elemento caratteristico dei prati aridi seminaturali ed è considerata specie prioritaria ai fini della sua conservazione dall’Unione Europea.

    ...una fiaba....


    Il lino era fiorito: si era coperto di corolle celesti leggere come le ali di una farfalla. Il sole lo accarezzava: ogni tanto una pioggerella leggera lo rinfrescava, ma gli faceva bene, come fa bene il bagno ai bambini che, dopo, sembrano ancora più belli.
    " Tutti coloro che passano dicono che è un piacere guardarmi " sussurrava " sono molto cresciuto, e un giorno diventerò una tela altrettanto bella. Come sono contento! " I pali dello steccato scricchiolavano in tono ammonitore:
    - Tu non sai che cosa sia la vita. La tua sta per terminare!
    "Terminare già?" pensava il lino "Ah no! Il giorno sorgerà anche domani, e sole e pioggia mi faranno sempre tanto bene!". Ma la vita stava per cambiare davvero, perché vennero nel campo certi uomini che strapparono brutalmente il lino dalla terra con le radici e tutto, poi lo immersero nell'acqua come se volessero affogarlo, quindi lo passarono sul fuoco come per abbrustolirlo: sembrava che tutti lo odiassero a morte!
    "Non può sempre andare bene" pensava il lino "per acquistare un po' d'esperienza, bisogna pur patire qualche cosa!". Ma sembrava che le sofferenza non dovessero finire più: il lino venne battuto, sfilacciato, messo sul filatoio, e in quel vorticoso turbinare non riusciva più nemmeno a raccapezzarsi. "Sono stato troppo contento in passato " diceva a sé stesso per consolarsi "bisogna essere riconoscenti del bene che si è goduto, anche se non esiste più.". E ripeté queste parole fino a quando non fu messo sul telaio e si trasformò in una bianca, magnifica pezza di tela. "E' strano: sono diventato meraviglioso!" pensò " I pali dello steccato sbagliavano quando dicevano: la tua vita sta per terminare! Sembrava, invece, che incominci appena. Adesso tutti si preoccuperanno per me: le donne di servizio mi espongono al sole, mi rimuovono e mi voltano ogni mattino quando fanno il letto; e perfino la moglie del sindaco ha parlato di me in pubblico affermando che non c'è in tutto il paese, una tela che mi somigli."
    Un bel giorno la tela di lino fu messa sulla tavola di casa, e a forza di forbici e di aghi divenne una bella dozzina di capi di biancheria.
    "Anche se siamo dodici, possiamo considerarci uno solo" pensò il lino "ci sono tante cose importanti, al mondo, che si contano a dozzine! Almeno serviamo a qualcosa. E' il destino più bello che avessi mai potuto sperare! Ah, che consolazione!" Il tempo passò, e a lungo andare i dodici capi si logorarono. "Avrei potuto durare un po' più a lungo" pensava ciascuno di loro "ma non si deve pretendere l'impossibile! Più che vecchi non si campa." E infatti furono stracciati e ridotti in brandelli; conclusero, rassegnati, che per loro era finita. E invece no: furono portati al macero, sfilacciati, triturati, impastati… e divennero una splendida carta di lusso, bianca e levigata.
    - Che meravigliosa sorpresa! - disse la carta - Ora sono diventata proprio una cosa nuova e qualcuno scriverà su di me. E infatti sulla carta furono scritte tante novelle che la gente aspettava con ansia perché quelle storie rendevano gli uomini migliori; e questa era davvero una benedizione. "Non avrei mai immaginato" pensava il lino "che un giorno avrei potuto diffondere fra gli uomini saggezza e consolazione. Quando ero una povera pianticella del campo credevo che la mia vita fosse giunta al suo termine, come dicevano i pali dello steccato: e invece ogni mio fiorellino azzurro è diventato un pensiero gentile e duraturo: ora mi manderanno in giro per il mondo. Chi può essere più contento di me?". Invece la carta di lino non fu mandata per il mondo, ma portata in tipografia, dove le parole furono stampate su tanti fogli, riuniti, poi, in libri.
    "Meglio così" si consolò la carta "io resto tranquillamente a casa, rispettata come una vecchia nonna, e per il mondo vanno le parole che furono scritte sopra di me. Innumerevoli persone, così, le leggeranno". La carta di lino fu riunita in un pacco messa in uno scaffale. "Dopo tanta attività, è dolce il riposo" pensava "posso meditare in pace. E adesso, che cosa mi capiterà?".
    Un giorno quella carta preziosa fu gettata nel camino. Non si poteva assolutamente permettere che finisse dal droghiere per avvolgere il riso o gli spaghetti! Tutti i bambini di casa sedettero intorno al focolare per vedere la bella fiammata. Le lingue di fuoco erano alte, più alte della pianticella di lino e la loro luce era bianca e abbagliante, più bianca della candita tela. In un momento tutte le parole dello scritto bruciarono e diventarono incandescenti.
    - Adesso salirò dritta fino al cielo - disse una voce in mezzo a quella vampata.
    E mille piccole creature invisibili corrispondenti ai fiori del lino, danzarono sulla carta che si trasformava in cenere. Le impronte infuocate restavano dove esse avevano posato i loro piedini. I bimbi di casa erano felici di guardarle e cantavano:
    - La canzone è finita…
    - No - rispondevano le creaturine invisibili - la canzone, come la vita, non finisce mai, e la storia è bella appunto per questo!
    I bambini ascoltavano attenti, senza però riuscire a capire il vero significato di quelle parole. Ma che cosa importava? I bambini non possono capire tutto.
    (Hans Christian Andersen)
     
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  3. gheagabry
     
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    “Fecero il pettorale, lavoro d’artista, come l’efod: con oro, porpora viola,
    porpora rossa, scarlatto e bisso ritorto. (…) 43
    Mosè vide tutta l`opera e riscontrò che l’avevano eseguita come il Signore aveva ordinato.
    Allora Mosè li benedisse.”
    (Pentateuco-Esodo cap. 39)


    IL BISSO..la seta che viene dal mare


    Il bisso è una sorta di seta naturale marina ottenuta da un filamento che secernono alcuni molluschi (Pinna nobilis) la cui lavorazione era sviluppata nell'area mediterranea. I mitilidi, tra cui Pinna nobilis, costruiscono il bisso, un bio-materiale che consente a questi molluschi di aderire e di ancorarsi sott’acqua a svariati substrati. Le particolarità del bisso risiedono nell’elevata resistenza ad ogni sorta di sollecitazione chimica, fisica e meccanica, oltre alla abilità nell’allungarsi sotto trazione e nell’autoripararsi in caso di ripetute deformazioni.
    Questo tessuto di natura connettiva, come detto tipico dei mitilidi, è estremamente estensibile ma allo stesso tempo rigido e forte; la sua resistenza alla trazione risulta di due ordini di grandezza più alta rispetto all’acciaio catalogato come “altamente resistente”. La forza necessaria a rompere un filamento di bisso è pari a circa due tonnellate per cm2. In definitiva dunque, il bisso è caratterizzato da una forza sorprendente in contrasto con la sua estrema leggerezza. Gli studi finalizzati alla realizzazione di una scheda di riconoscimento del tessuto suffragati da metodologie di indagine morfologica e strutturale, sottolineano che le prime indicazioni utili per riconoscere un manufatto in bisso marino sono individuabili dal suo colore, dal tatto e dalla tecnica di lavorazione variabile a seconda della materia prima utilizzata o del prodotto finito che si voleva ottenere. In alcuni manufatti il bisso marino assume una colorazione bruno dorato, alla quale la luce solare conferisce uno splendore quasi serico donando al tessuto dei riflessi dai toni differenti che variano da tonalità color rame a un biondo aureo Le fonti bibliografiche attestano come talvolta il bisso marino venisse filato insieme ad altri materiali quali cotone, lino o seta. Tale consuetudine era dettata non solo da ragioni economiche ma anche da ragioni di ordine pratico, al fine dunque di conferire maggiore corposità e resistenza al manufatto, che però veniva decurtato della lucentezza, caratteristica intrinseca dei capi in bisso marino. Definito dai più, quasi di una leggerezza impalpabile, il bisso marino, accuratamente pulito e lavorato assume una consistenza serica.
    (lasetadelmare.eu)

    ..storia..


    Tra gli antichissimi popoli del Mediterraneo, la cui vita era legata al mare, e che grazie ad esso riuscirono a fondare delle importantissime civiltà, sviluppando poi forti influenze verso altre popolazioni anche lontane, si produceva il bisso. Gli industriosi Cretesi, i Fenici, provetti commercianti, i più lontani ma raffinatissimi tessitori e tintori Caldei, e gli Egizi furono i maggiori protagonisti della millenaria storia del bisso. Queste popolazioni avevano sfruttato la scoperta che la Pinna Nobilis, un grande mollusco bivalve produceva dei filamenti che, da ciuffi aggrovigliati, dopo paziente ed accurato trattamento di cardatura, lavaggio e filatura, potevano diventare un prezioso tessuto serico, finissimo (il cui filamento si assottigliava a 2/100 di millimetro senza perdere la sua resistenza allo strappo) dalla aurea rilucenza e dalle proprietà ignifughe. Da abbondanti raccolte del mollusco ricavavano sufficiente filo per realizzare tessuti o ricami ad impreziosire vesti di personaggi di alto rango in campo religioso come in campo politico e persino nello spettacolo come danzatrici e celebri etère, insomma chi doveva apparire e rifulgere di luce doveva indossare vesti in bisso. E vi era una vera e propria industria del bisso come quella della porpora supportata da manodopera abbondante e a buon mercato - basta pensare alle sempre nutrite schiere di schiavi. Il declino di una produzione così fiorente ed importante incominciò dal secolo dell'imperatore Giustiniano ( 500 d.c.) da quando cioè furono portate a Costantinopoli, dalle frontiere della Cina, da due monaci Persiani, delle pianticelle di gelso e molte uova di baco da seta. In breve tempo la seta si sviluppò nell'isola di Scio e si diffuse poco dopo in Sicilia e da lì in tutta la penisola. La raccolta dei bioccoli di pinna Nobilis non poteva certo competere con la continua e illimitata produzione dei bachi in allevamento e così il bisso, già condizionato da una laboriosa tecnica, vide persi definitivamente molti mercati di sbocco. Andò così sempre più a chiudersi come specializzazione che poche famiglie si tramandavano per una manifattura artistica di pregio, fatta di pezzi unici riservati per lo più ad onorare personaggi ed eventi importanti.
    (sardolog.com)


    Tela o panno, finissimo, preziosissimo, molle, delicato, che usavano gli antichi. È opinione che desso propriamente fosse un lino sottilissimo dell’India, dell’Egitto e delle vicinanze di Elide cui erano fatte le vesti più nobili, più stimate. Siccome poi tali vesti erano spesso colorate di porpora, il più pregiato di tutti i colori, ne avvenne che alcuni dissero bisso lo stesso colore di porpora. Vestirono di bisso i sacerdoti ebrei ed egizi. Alcuni interpreti voltano il greco ßùσσος, che si legge tanto nel nuovo quanto nel vecchio Testamento, per tela bella. Ma altre versioni spiegano la parola per seta. Tuttavia, giusta ciò che si ricava da molti antichi scrittori, e specialmente da Giulio Polluce, il bisso deve aver differito dalla nostra seta. Simon , che spiega la parola per tela bella, aggiunge una nota per ispiegarla, dicendo che v’era una specie di tela molto cara, che solo i gran signori portavano in Egitto, il che concorda perfettamente con ciò che dice Esichio e colle osservazioni di Bochart, che il bisso era una bella specie di tela tinta frequentemente di color porporino. Alcuni autori vogliono che il bisso sia lo stesso che il nostro cotone; altri lo prendono per linum asbestinum; altri finalmente credono che sia stato la ciocca di pelo di seta che si trova aderente alla pinna marina.[ ] Nella gran pinna del Mediterraneo questa sostanza è assai bene e grandemente sviluppata. In Italia questo bisso viene adoperato in più sorta di lavori, e pochi sono i musei che non abbiano un guanto od altro tessuto di questa sostanza” .

    Il più antico manufatto realizzato in bisso marino, di cui noi abbiamo notizia, risale al IV secolo . Portato alla luce nel lontano 1912 presso una tomba femminile ad Aquincum, l’odierna Budapest, non è purtroppo giunto fino a noi ma andò distrutto durante un bombardamento nella seconda guerra mondiale. Il suo ritrovamento assume comunque una notevole importanza poiché fornisce prove certe della lavorazione del bisso marino sin dall’antichità. Rinvenuto nel 1978 durante una campagna di scavi archeologici presso la Basilica di Saint Denis a nord di Parigi, il più antico manufatto realizzato in bisso marino è oggi una cuffietta finemente lavorata a maglia. In base a una datazione stratigrafica è da ascriversi al XIV sec.
    Gran parte dei manufatti in bisso marino documentati, sono oggi conservati presso le collezioni di storia e scienze naturali e gran parte di essi sono ascrivibili ad un arco di tempo che va dal XVIII secolo fino alla metà del XX secolo. Tali oggetti trovano degna collocazione nei seguenti musei e collezioni : Museum der Kulturen, CH- Basel; Musèe d’Histoire Naturelle, CH- Neuchâtel; Naturhistorisches Museum der Burgergemeinde, CH- Bern; Zoologische Sammlung der Universität, D-Rostock; Museum für Naturkunde, D-Berlin.
    (lasetadelmare.eu, Chiara Vigo e La Seta del Mare 2007 - Autore: Evangelina Campi - Webmaster: Fulvio Mancino)

    ...nei musei...


    Al Museum für Naturkunde di Berlino si può ammirare un paio di guanti prodotti dai ciuffi di Pinna Nobilis quale dono fatto dal vescovo di Taranto nel 1822 al re Federico Guglielmo II che visitò Napoli in quell'anno. Al Field Museum of Natural History di Chicago è esposto un manicotto acquistato da Taranto nel 1893 per l'esposizione mondiale di Chicago. Si tratta di una lavorazione cosiddetta "a pelliccia" con i ciuffi di fibra cuciti interi, strato su strato, su di un tessuto di base, il cui risultato è una pelliccia che brilla dei dorati fili di bisso.
    Altri reperti molto più antichi si possono trovare in antiche chiese Europee o in esposizioni museali incamerati a seguito di fortuiti ritrovamenti in scavi archeologici. Sono di provenienza non precisamente determinata ma sicuramente da centri Mediterranei (tra i più probabili in Puglia, Sardegna e Sicilia). Alcuni di questi esempi sono:
    Il cappuccio di puro bisso lavorato a maglia, datato XIV secolo, ritrovato a Saint-Denis vicino a Parigi e custodito al Musée d'art et d'Histoire di Saint-Denis.
    Il sacrale -detto di Saint-Yves- (tessuto quadrato che il sacerdote usa sopra la tonaca) del XII secolo custodito nella basilica di Saint-Yves a Louannec in Bretagna. Questo sacrale, cui i Francesi hanno attribuito una provenienza Siciliana da atelier ispanico-moresco, ha il motivo dei grifoni affrontanti con al centro la pianta della vita (motivi presenti nella antica tradizione Sardo-Antiochense) che invece potrebbe far supporre ad una provenienza da S.Antioco, anche considerando che i monaci Vittorini di Marsiglia ottennero la concessione del Santuario di S.Antioco dal Giudice Costantino di Cagliari per operare dei restauri proprio nello stesso secolo XII. I monaci di San Vittore di Marsiglia erano a quei tempi richiestissimi restauratori di chiese antiche e potrebbero essere stati loro i tramiti con la basilica di Saint-Yves.
    (sardolog.com)


    "Gli abiti che lei indossa sono tessuti di filo di bisso di certe conchiglie e poi tinte in antica porpora [...]. Una volta, se ne facevano belle stoffe, calze, guanti, essendo questi filamenti nel tempo stesso morbidi e calorosi".
    ("Ventimila leghe sotto i mari", Jules Verne)


    ...la lavorazione...


    I mazzetti fibrosi, del peso di gr.1,5 l'uno, subivano una serie di lavaggi in acqua dolce, per 12 giorni, in modo da essere dissalati e resi elastici poi si facevano asciugare all'ombra e in luogo sufficientemente ventilato. Un secondo trattamento consisteva in un bagno in urea di vacca che schiariva le fibre e ne esaltava la lucentezza (a quel tempo nelle terre del Mediterraneo non si conoscevano gli agrumi che furono introdotti dall'Asia successivamente e così, in secoli più recenti, si poté scoprire che lo stesso risultato di lucentezza si otteneva con il succo di limone puro in un bagno di 36 ore). Successivamente si passava ad un lavaggio con saponatura in erba saponaria e la solita asciugatura all'ombra. La cardatura dei bioccoli, che ancora in questa fase trattenevano nei grovigli delle impurità ed incrostazioni, avveniva in due fasi successive con due diversi strumenti. In una prima si usava una tavola chiodata e nella seconda un cardo a spillo. Una volta ottenuta la bambagia cardata -la ciocca a questo punto aveva perso i 5/6 del suo peso- si procedeva alla filatura. Per poter filare fibre così sottili e delicate occorrevano dei polpastrelli molto sensibili e delicati, perciò per questa fase della lavorazione venivano adoperate ragazze abbastanza giovani da avere ancora le mani adatte, cioè con il pollice e l'indice di estrema sensibilità tattile. Si usavano dei fusi a piombo di circa 30 cm., come quello Tarantino e Cipriota. Si poteva ottenere una filatura a filo liscio, adatto per i ricami, o a filo ritorto, cioè doppio, più resistente e quindi adatto per l'orditura che poteva essere a muro -come si usava in Grecia e in Persia- oppure a terra -come in Mesopotamia-.
    La colorazione dei filati avveniva con il porpora (dibromurato di indaco) ricavato dalle ghiandole porporigene dei murici, molluschi con conchiglia a spirale con pareti dure, scanalate e acuminate. I murici avevano spiccate qualità tintorie nei mesi da Marzo a Giugno (periodo di fecondazione in cui si radunavano in grandi moltitudini). Quindi una fibra marina si colorava con un altro elemento marino. Nella stagione propizia, la primavera, venivano catturati con piccole nasse. Nelle città costiere del nord Africa, dell'Asia Minore e dell'Europa, dove erano situate le industrie della porpora, non era difficile trovare frantumi di conchiglie in cumuli enormi. I lavoranti addetti rompevano con un colpo secco le conchiglie in modo da non danneggiare gli animali, asportavano le ghiandole, che erano poste vicino all'intestino e che emettevano un odore nauseante. Procedevano poi alla loro macerazione in un recipiente di argilla con l'aggiunta di sale marino per tre giorni. Per ogni kg di sostanza macerata si aggiungevano poi g.500 di acqua e si cuoceva a fuoco lento in una caldaia di piombo dentro una fossa foderata di mattoni in cui, attraverso un tubo orizzontale si faceva arrivare calore da una fornace. Si asportavano quindi con dei mestoli forati i frammenti di ghiandole e, ottenuta la gradazione di colore desiderata si teneva la soluzione calda per 10 giorni. Dopo si potevano immergere i filati e la gamma dei colori poteva andare dal turchino al rosa fino al rosso forte e viola.
    (sardolog.com)

    ...Pinna nobilis...


    Pinna nobilis è una specie animale appartenente al gruppo zoologico (Phylum) dei molluschi. Il nome volgare italiano proposto in sede internazionale è “pinna comune”, ma è comunemente nota anche con i termini “nacchera”, “gnacchera” o “cozza pinna”. Il nome ufficiale per i paesi anglofoni è “noble pen shell”, per quelli francofoni “jambonneau hérissé” mentre in spagnolo è riconosciuta con il termine “nácar”. La specie, il più grande bivalve dei mari europei con oltre 1 m di lunghezza delle valve, è endemica per il Mare Mediterraneo, ed è attualmente sottoposta a regime di protezione e tutela. Pinna nobilis, come detto, è un mollusco; in particolare appartiene alla classe dei Bivalvi (molluschi dotati di conchiglia composta da due valve separate). bivalvi della “semi-infauna”, poiché gli animali sono sedentari e vivono parzialmente infossati su fondi fangosi, sabbiosi o ghiaiosi. Molte delle specie sono ancorate tramite i filamenti del bisso a sassi infossati o qualunque pezzo di materiale coerente, compresi i rizomi (radici) di fanerogame marine vive o morte (“matte” di Posidonia nel caso del Mediterraneo). La stessa famiglia è diffusa in tutto il mondo, con i generi Pinna, Atrina e Streptopinna. Nel Mediterraneo si trovano solo tre specie di questa famiglia: Pinna nobilis Linnaeus, 1758, Pinna rudis Linnaeus, 1758 e Atrina fragilis (Pennant, 1777).
     
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  4. gheagabry
     
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    LA JUTA



    La juta (chiamata anche corcoro) è una fibra tessile naturale ricavata dalle piante del genere Corchorus. Come per il lino e la canapa, la materia tessile per la produzione si ricava dal fusto della pianta.
    Circa l'85% della produzione mondiale di iuta è concentrata nel delta del Gange: i principali paesi produttori sono quindi Bangladesh e India, e in misura minore Cina, Thailandia, Myanmar, Pakistan, Nepal e Bhutan. La pianta della iuta è imparentata con la pianta della Cannabis sativa. Ciononostante la iuta è completamente priva di elementi narcotici o odorosi
    Si ricava dalla corteccia macerata di piante di diverse specie del genere Corchorus, piante erbacee annuali della famiglia Tigliacee, e specialmente da Corchorus capsularis e da Corchorus olitorius: il primo, originario dell’India; il secondo, del pari di origine indiana, è molto simile al precedente; la fibra è contenuta nella proporzione del 4-8% della massa della pianta verde. La iuta cinese è la fibra che si ricava da Abutilon avicennae, coltivato in Russia e Argentina.
    Ouesta pianta, che può raggiungere i 3-4 metri di altezza, ha un fusto poco ramoso grande pochi centimetri e grosse foglie ovato-oblunghe seghettate, fiori piccoli, gialli, capsula allungata, pentagona, con molti semi
    Da secoli è coltivata nelle regioni a clima caldo e umido del sub-continente indiano - soprattutto Bangladesh e Pakistan - della Cina e dell'Asia sudorientale. La varietà più pregiata è comunque quella indiana. Al mondo la migliore area produttiva per la iuta è considerata essere la pianura del Bengala (delta del Gange), regione compresa prevalentemente nel Bangladesh.

    Le piante, dopo la raccolta, vengono sottoposte alla macerazione; le fibre, liberate dai corpi estranei, sono lavate ed essiccate e inviate alle presse, dove vengono composte in balle di massa e volume uniformi e quindi agli iutifici per le successive lavorazioni. La fibra tessile è bianca, tendente al giallognolo o al grigio argento; ha un aspetto lucente e serico ma è piuttosto grossolana; è composta di cellulosa (64%), emicellulose (12%), lignina (12%), oltre a sostanze pectiche e grassi. Il ciclo di lavorazione nella filatura della iuta è simile a quello della canapa. Le fibre, dopo la cernita, passano alle ammorbidatrici, macchine costituite da una serie di coppie di rulli scanalati a elica attraverso cui passano i fasci filamentosi, che contemporaneamente ricevono una pioggia di un’emulsione di sostanze grasse in acqua. Le fibre così trattate sono lasciate in riposo per circa 48 ore nell’emulsione; nello stesso tempo avviene un principio di fermentazione che favorisce lo scioglimento delle sostanze collanti. Seguono le operazioni di filatura, cardatura, pettinatura, stiramento, affinatura nei banchi a fusi, alla cui uscita il nastro subisce una leggera torsione, che ne fa uno stoppino, il quale va ad avvolgersi sui rocchettoni.

    La fibra greggia, lunga da 2 a 4 metri, ottenuta attraverso metodi di macerazione, è molto lignificata e risulta meno elastica, più fragile e meno resistente del lino e della canapa. La fibra non può essere candeggiata ed è facilmente attaccata dalla soda e dal sapone. Lo Iuta è una delle più forti fibre naturali. La fibra lunga di base ha alta resistenza alla trazione e bassa estensibilità. La qualità dipende dalla lucentezza: se la lucentezza è maggiore, lo è anche la qualità. Ha anche una certa resistenza al fuoco. Lo Juta ha buone proprietà isolanti e antistatiche, oltre ad avere una bassa conducibilità termica. Lo Juta ha la capacità di essere miscelata con altre fibre, sia sintetiche che naturali e animali, ed accetta classi di coloranti naturali.
    Trattando lo juta con soda caustica si ottiene morbidezza, duttilità e l'aspetto è migliorato aiutandone nella sua capacità
    di essere filato come la lana.
    La Juta è al 100% biodegradabile e riciclabile. È una fibra naturale con riflessi lucenti e dorati e perciò è chiamata la fibra d'oro, è la più economica. È la seconda fibra vegetale più importante dopo il cotonecome consumo globale. E' molto adatta nell'imballaggio dei pacchi di beni agricoli. Può essere usata per creare i filati, tessuti, reti e sacchi della miglior qualità industriale, usata come materiale grezzo nei settori dell'imballaggio, del tessile, dell'edilizia e dell'agricoltura.

    ...nella storia...



    Lo Juta è la materia prima per una delle industrie più antiche dell'India. La fabbrica di juta iniziò la produzione nel Bengala nel 1856. Fu utilizzata fin dall'antichità, in Africa e in Asia per fornire corde e per la tessitura di fibre dal fusto e dalle foglie degli alimenti. Diversi documenti storici, durante l'era del grande imperatore indiano Moghul Akbar (1542 - 1605), affermano che gli abitanti dei villaggi poveri dell'India la usavano per fabbricare abiti. La storia afferma anche che gli indiani, soprattutto bengalesi, hanno usato le corde e gli spaghi di juta bianchi dai tempi antichi per uso domestico e altri usi.
    Cartai cinesi dai tempi più antichi avevano scelto quasi tutti i tipi di piante come la canapa, seta, juta, cotone ecc. per la fabbricazione della carta. Un piccolo pezzo di carta juta con caratteri cinesi scritti si è scoperto a Dunhuang nella provincia del Gansu, nel nord-ovest della Cina. Si crede sia stato prodotto durante la Dinastia Han Occidentale (206 aC - 220 dC).
    La British East India Company è stata l'Autorità delegata dall’ Impero Britannico in India dal XVII secolo alla metà del XX secolo. La società è stata il prima a commerciare di juta. Margaret Donnelly era un proprietario terriero di una fabbrica di juta a Dundee nel 1800. Ha fondato i mulini juta prima in India. Gli imprenditori dell'industria della iuta Dundee in Scozia sono stati chiamati dei Baroni iuta. Nel 1793, la Compagnia delle Indie Orientali ha esportato la prima spedizione di iuta. Questa prima spedizione, di 100 tonnellate, è stata seguita da ulteriori spedizioni a intervalli irregolari. A partire al 1830, i filatori Dundee impararono a dare torsioni ai fili di juta. Nel 1833, la fibra di iuta era filata meccanicamente a Dundee, in Scozia. A Calcutta vi erano le loro piantagioni di juta. Ci fu una abbondante offerta di manodopera e la città era in posizione ideale per il trasporto verso i mercati mondiali. La prima fabbrica di juta, in India, è stata stabilita a Rishra, sul fiume Hooghly vicino a Calcutta nel
    1855, quando il signor George Acland portò nei macchinari per la filatura da Dundee. Quattro anni dopo, nacque la prima fabbrica motorizzata di tessitura. Dal 1869, cinque mulini operavano con 950 telai. La crescita fu rapida così, nel
    1910, vi erano 38 società operative con 30.685 telai che esportavano più di un miliardo di metri di tessuto e oltre 450 milioni di sacchi. Fino a metà 1880, l'industria juta era confinata quasi interamente a Dundee e Calcutta. In Francia, America, e più tardi in Germania, Belgio, Italia, Austria e Russia, tra gli altri, la produzione di juta iniziò nella seconda parte del XIX secolo.
    Nei successivi tre decenni,in India, l'industria si espanse ancora di più, passando a comandare la leadership nel 1939 con un totale di 68.377 telai, concentrato soprattutto sul fiume Hooghly vicino a Calcutta. Questi mulini si sono dimostrati in grado di soddisfare la domanda mondiale. I primi beni tessuto di juta a Dundee sono stati materiali per l’ insaccamento. Dopo la caduta dell'Impero britannico in India durante il 1947, la maggior parte dei Baroni iuta iniziarono a evacuare l'India, lasciandosi alle spalle l'impostazione industriale dell'industria della iuta. La tensione iniziò a salire tra Pakistan e India e il Pakistansentì il bisogno di impostare la propria industria iuta. Diversi gruppi di famiglie pakistane (principalmente dal Pakistan Occidentale) entrarono nel business dello juta attraverso la creazione di fabbriche. Dopo la liberazione del Bangladesh dal Pakistan nel 1971, la maggior parte dei Mulini pakistani sono state rilevate dal governo del Bangladesh.
     
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  5. gheagabry
     
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    IL RAMIE'



    Il Ramiè o Ramia è una fibra molto lucente che si ricava dalla corteccia della pianta Boehmeria, della Famiglia delle Urticacee e può essere bianca, se appartiene dalla "Boehmeria nivea" o verde, se appartiene alla "Boehmeria utilis" della Malesia.
    E' originaria dell’Estremo oriente, alcune regioni della Cina, Hong Kong, Singapore, lo stato della Malesia e l’isola di Taiwan. Nel Giappone, dove è conosciuta con il nome di Karamusi, cresce allo stato spontaneo nella provincia di Hi-Zen, nell’isola Nippon, a Formosa, dove viene coltivata nella provincia di Yetsi-Go.
    Le condizioni climatiche più favorevoli alla coltivazione di ramiè si ritrovano negli ambienti a clima sub-tropicale, non soggetti a gelate nel periodo della vegetazione e protetti dai venti, con precipitazioni annue intorno ai 1000 mm uniformemente distribuite durante l’anno. Il maggiore produttore mondiale di fibra di ramiè è la Cina, che la utilizza soprattutto per un consumo interno, mentre la restante quota è esportata in Giappone, Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia e USA.

    Per la sua bianchezza naturale e la lucentezza, unite a una certa morbidezza, il Ramiè puoi essere considerato la fibra tessile più bella dopo la seta. È costituito dal 96-98% di cellulosa senza quasi traccia di lignina (sostanza organica amorfa ad alto peso molecalare).
    La fibra di Ramiè è eccezionalmente lunga e resistente, specie se bagnata. Ha una forte capacità di assorbimento del colore, questo la rende particolarmente adatta alle tinture naturali ma, non sopporta i trattamenti chimici di finissaggio che ne spezzano le fibre. Le fibre, per la loro scarsa coesione, presentano maggiori punti di rottura, e, di conseguenza meno elastiche e rompondosi facilmente. Il tessuto tende ad avere una pelosità eccessiva ed una tendenza a rovinarsi con gli sfregamenti o altro tipo di abrasione. Se la fibra viene miscelata con altre fibre tessili, può migliorare le sue qualità; concotone ne aumenta la forza e la capacità di assorbimento; con la lana ne accentua la lucentezza e ne minimizza la restringibilità.
    Il processo di estrazione per ottenere la fibra tessile è simile a quello utilizzato per la canapa ed il lino. Rispetto al lino, le fibre di ramiè sono scarsamente cementificate fra di loro in fasci fibrosi e presentano, al loro interno, una maggiore porosità. Questo comporta una maggior cautela ed una difficoltà di lavorazione che ne alza costi in termini di produzione. La decorticazione, finalizzata a separare le fibre dal gambo, viene fatta quando questo è ancora fresco, per ottenere una fibra dalla qualità migliore, più morbida e serica. Le fibre vengono fatte asciugare il più rapidamente possibile per evitare l'aggressione delle stesse da parte di batteri e microrganismi.
    Del ramié niente va perduto: dalla corteccia si ricava la fibra tessile; con la parte interna si produce cellulosa per carta estremamente pregiata; le porzioni terminali fresche dei fusti e le foglie forniscono un prodotto altamente nutritivo per uso zootecnico.

    ...storia...



    Il ramié è una delle più antiche fibre tessili impiegate dall’uomo. I primi scritti che la riguardano risalgono tra il 5000-3000 a.C. nella civiltà egizia, dove questa fibra veniva impiegata per vestire le mummie delle caste più elevate.
    In Oriente fino al 1300, epoca in cui fu introdotto il cotone, rappresentava la maggiore fonte di fibre vegetali per uso tessile. In Europa e nei paesi mediterranei se ne ebbe una certa diffusione soltanto a partire dalla seconda metà del XVII. In particolare fu introdotta per la prima volta in Europa a Lipsia, nel 1753 e da quel momento furono numerosi i tentativi di acclimatazione, in Francia, Olanda e Germania, risultati alquanto infruttuosi per la scarsa resistenza della coltura alle basse temperature invernali. In Italia notizie sulla coltivazione di questa urticacea, risalgono al 1786 quando, in provincia di Bologna, fu realizzato il primo tentativo seguito da numerosi altri in varie regioni. Nel primo dopoguerra, dopo un periodo di abbandono, la coltura fu ripresa, e furono realizzate delle coltivazioni nell’Italia meridionale, in Sicilia.
    La possibilità di introdurre questa coltura in Europa era vincolata all’utilizzazione industriale della fibra, quasi sconosciuta fino al 1800. A questo periodo di entusiasmo seguì un lungo periodo di abbandono della coltura, ripresa, nel primo dopoguerra... il totale abbandono dipese più da politiche agricole che da una reale difficoltà tecnica.
    Nel continente americano si ebbero segnali di prime attività produttive sul ramié, dapprima in Florida, nel 1855, e successivamente in Messico.
     
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4 replies since 13/8/2012, 13:02   2829 views
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