NOI E I NOSTRI RICORDI

giochi d'infanzia

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  1. gheagabry
     
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    I GIOCHI DELLA NOSTRA INFANZIA



    Il gioco ‘Regina Reginella’




    montessogiodisegno2

    Regina reginella è un classico gioco d'infanzia ricreativo di gruppo, più che altro praticato spontaneamente dai bambini e di rado proposto dagli educatori, a causa della prevalenza della componente di arbitrarietà, rispetto alla certezza di regole che caratterizza altri giochi, una caratteristica in genere considerata di scarso valore educativo.

    Il gioco

    Uno dei bambini svolge il ruolo della regina e tutti gli altri degli ambasciatori. Regina e ambasciatori si pongono ai due estremi del campo da gioco. Ciascun ambasciatore, a turno, recita la seguente filastrocca:
    « Regina reginella, quanti passi devo fare
    per arrivare al tuo castello con la fede e con l'anello,

    con la punta del coltello? »
    regina-reginella-300x199La regina risponde assegnando al giocatore un certo numero di passi, associato ad un animale. Ad esempio: 5 passi da leone, 4 passi da canguro, e così via. Il giocatore deve eseguire il numero di passi assegnato, imitando il relativo animale. Scopo del gioco è raggiungere per primi la regina.
    La regina ha completamente in mano esito e durata del gioco, perché può liberamente assegnare ai bambini i passi più sfavorevoli - come quelli da formica o, addirittura da gambero, che vanno eseguiti all'indietro - oppure quelli che consentono loro di raggiungerla per primi.
    Il divertimento sta proprio nel ruolo sproporzionato assegnato alla regina, ma anche nella possibilità di impegnarsi per interpretare nel modo più efficace possibile i passi assegnati, anche quando sfavorevoli.





    lussy60
     
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  2. Scream!
     
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    CITAZIONE (gheagabry @ 28/7/2012, 19:36) 

    (IMG:http://a8.sphotos.ak.fbcdn.net/hphotos-ak-...654503376_n.jpg)





    Noi che le cassette se le mangiava il mangianastri, e ci toccava riavvolgere il nastro con la penna.
    Noi che in TV guardavamo solo i cartoni animati.
    Noi che avevamo i cartoni animati belli...!!


    Noi che non avevamo il cellulare per andare a parlare in privato sul terrazzo.
    Noi che i messaggini li scrivevamo su dei pezzetti di carta da passare al compagno.
    Noi che c'era la Polaroid e aspettavi che si vedesse la foto.
    Noi che quando ritiravi le foto dal fotografo eravamo curiosi di vederle.


    (IMG:http://milocca.files.wordpress.com/2011/05...eb7d133ba63.jpg)

    Noi che a scuola si andava a piedi.
    Noi che scrivevamo tutti gli avvisi sul diario perdendo delle ore.
    Noi che attaccavamo le gomme da masticare sotto il banco.

    Noi che non era Natale se alla tv non vedevamo la pubblicità della Coca Cola con l'albero.
    Noi che le palline di natale erano di vetro e si rompevano. (e soprattutto quante ne ho rotte io salendo e scendendo le scale per fare l' albero! :lol: )

    Noi che avevamo paura che qualche amico non venisse, ma poi c'erano tutti. (la stessa cosa mi succedeva puntualmente il giorno del mio compleanno XD)


    Noi che vendevamo i vecchi giornalini di Topolino sotto casa. (Io che aspettavo con ansia di poter comprare il prossimo numero per gustare fino in fondo le storie dei miei personaggi preferiti)
    Noi che rubavamo la frutta dagli alberi. (quello lo faccio tutt' ora :P )
    Noi che la rubavamo anche se non ti andava di mangiarla. (non rubo la frutta che non mi piace, sia beninteso XD)


    Noi che suonavamo ai campanelli e poi scappavamo.
    Noi che a scuola andavamo con cartelle da 2 quintali. (Io che quando dovevo sedermi a tavola non potevo sedermi perchè la schiena mi faceva un male...)
    Noi che quando a scuola c'era l'ora di ginnastica partivamo da casa in tuta. (forse è da lì che è partita la mia mania? Non riesco ad indossare altro!)
    Noi che le ricerche le facevamo in biblioteca, mica su Google.
    Noi che avevamo "il libro delle vacanze", ma i compiti d'estate non li facevamo.
    Noi che le poesie non le volevamo imparare. (Io che sbattevo a terra il tempo di sentire le prime sillabe del 5 Maggio!)

    Noi che abbiamo pianto quando l'Italia ha perso contro l'Argentina a Napoli. (Io che invece ho goduto quando di recente ha perso contro la Spagna *almeno mi sono potuto riposare i timpani!*)

    Noi che di politica non ce ne fregava niente. (Io che me ne frego tutt' ora!)
    Noi che eravamo preoccupati che l'uomo a mollo della pubblicità avesse i reumatismi. (Io che mi preoccupavo sempre quando vedevo una bella signora a pubblicizzare profumi *non sente freddo?* )
    Noi che non c'erano grandi fratelli, isole dei famosi e fattorie.. (Io che durante la scuola non aspettavo altro che la Domenica per guardare sottobanco le puntate dei puffi col mio vecchio Mivar *ormai deceduto da un paio d' anni a questa parte RIP* mentre i miei genitori dalla camera da letto non capivano neanche che mi fossi alzato!)

    Noi che avevamo la penna con l'inchiostro cancellabile. (Io che oltre a quella cancellabile avevo anche la multicolore! ç_ç )
    ìNoi che odiavamo il minestrone. (Come lo fa mamma però è buono! :P )


    Noi che facevamo gli scherzi telefonici dalle cabine. (Io che odio i telefonini! Non potevano lasciarle almeno per me le cabine della Telecom?)
    Noi che sfogliavamo i libri delle vacanze soltanto per sentire l'odore particolare della carta.


    Noi che ci piaceva ancora lo zecchino d'oro.

    Noi che dopo pranzo ci obbligavano a fare il riposino.




    Noi che la mamma ci diceva di non indossare i calzini col buco perchè "se ci succedeva qualcosa, sai che figura.." (La mia lo fa tutt' ora <_< )

    Noi che disegnavamo con i pastelli a cera e i pennarelli "Carioca". (Già! :wub: Altro che le odierne diavolerie digitali :s )

    Noi che fra amici eravamo tutti caratterialmente diversi.
    Noi che però IN FONDO SIAMO STATI TUTTI UGUALI...!
    Come adesso
    Noi...
    Noi che che ora siamo qui a ricordare...

    Almeno un lato positivo c'è un tutto questo :wub: Grazie, Gabry ;)

     
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  3. gheagabry
     
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    I GIOCHI DELLA NOSTRA INFANZIA



    Gioco delle biglie




    partitabiglie

    Il gioco delle biglie era uno dei giochi più in voga negli oratori degli anni 60. Il gioco era semplicissimo: si disegnava un cerchio per terra ed ogni partecipante posizionava lo stesso numero di biglie all’interno. A turno poi ogni giocatore doveva cercare di colpire queste biglie ed ogni pallina che usciva dal cerchio era guadagnata dall’autore del colpo. Giochino semplissimo ma molto divertente!

    biglievetroDi biglie ne esistevano fondamentalmente due tipi: quella di vetro con all’interno delle ali colorate, più raramente vuote o di un unico colore, e quelle da spiaggia, generalmente in plastica costituite da due semisfere, una colorata e l’altra trasparente contenente al suo interno l’immagine di un ciclista.

    Le prime erano biglie da città, le seconde, più grosse, adatte alla spiaggia oppure a cortili sterrati. Alle volte venivano chiamate palline, forse per distinguerle da quelle da città.

    Dalle nostre parti i giochi più comuni da città erano il palmo e scontro e la variante del garo.

    Entrambi venivano giocati o nei cortili o sotto i portici. Indispensabile per poter iniziare una partirta di palmo e scontro un muro o una superficie solida su cui far rimbalzare la biglia abbastanza lontano da quella avversaria: questa azione si chiamava appunto “spariglia”. Lo scopo del gioco era quella di colpire la biglia avversaria per impossessarsene.


    Il tiro
    tiroColui che tirava, doveva posare la biglia nell’incavo formato dall’indice, leggermente curvato verso l’alto, e dalla punta del pollice destro. Poi appoggiava il pollice della mano sinistra per terra, nel punto in cui era posizionata la propria biglia, misurava un palmo, ruotava la mano sinistra sul mignolo, la chiudeva in posizione verticale al terreno, vi appoggiava la destra dove era presente la biglia e, stendendo rapidamente il pollice, lanciava la biglia verso quella del suo avversario.
    Naturalmente doveva essere sicuro di colpirla, altrimenti passava la mano e rischiava di perdere la propria per cui, alle volte, si effettuavano tiri d’attesa, allontanandosi o avvicinandosi alla biglia dell’avversario, per indurlo a forzare e commettere un errore. Chi colpiva la biglia dell’avversario la conquistava e ricominciava il gioco con la "spariglia" iniziale sul muro o sulla superficie dura. Il gioco diventava molto più interessante se giocato in gruppo perché le condizioni variavano costantemente ed anche i litigi aumentavano in maniera esponenziale: in questo caso la partita finiva quando rimaneva in gioco solo l’ultima biglia.
    gioco-delle-biglie1
    Una variante era quella del garo che aveva bisogno di una buca di medie dimensioni, 20 o 30 centimetri di diametro: il nostro campo di gioco era sotto i portici di viale Italia, tra via San Cipriano e via Doria, lato mare, il cosiddetto palazzo rosso che aveva già allora una pavimentazione molto sconnessa e un po’ in discesa ed uno splendido garo, per la nostra felicità e fonte di parolacce per gli adulti che regolarmente ci incespicavano.

    Il garo era una sorta di zona franca nella quale occorreva far cadere la propria biglia prima di poter attaccare quella avversaria. Occorreva quindi un doppio tiro, il primo per finire in garo, il secondo per colpire dal bordo del garo, con le stesse regole del palmo e scontro, la biglia avversaria ed impossessarsene. Rimasta una sola biglia in gioco, la partita finiva e si ricominciava, sempre ammesso di avere ancora biglie nelle tasche.


    fonte:.google.it

     
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  4. Scream!
     
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    Quanta nostalgia! :(
    Grazie, Gabry :cry:

     
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  5. gheagabry
     
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    La Musica della Trombetta!!!




    cipollotto

    Si soffiava dentro la parte verde del cipollotto che presentava una zona centrale rigonfia. Il suono provocato era quello della tromba. Usavamo di più lo Zufolo a 3 buchi fatto con canne secche. I “maestri”, quelli più grandi, erano capaci di suonare il doppio zufolo a più fori ( due cannucce affiancate).

    Telefono

    TELEFONO

    Classico quello fatto con i barattoli del passato di pomodoro ( ce n’erano pochi in giro perché la conserva ognuno la faceva in casa ). Il telefono funzionava solo se il filo era ben teso.

    Battamuro

    figurine--50

    Venivano utilizzate delle figurine. Si tracciava un segno su un muro (a circa un metro dal suolo), si stabiliva il numero delle figurine da far cadere e l’ordine d’intervento dei giocatori. La figurina appoggiata al segno veniva rilasciata e se andava a coprire una figurina (dell’avversario che aveva tirato prima) già a terra, quest’ultima veniva vinta dal tiratore di turno.

    Monopattino e carro

    motopattino

    Il carro povero era costruito con una tavola, due assi e 4 ruote di legno ( i timpagni usati per pressare nei vasetti le alici salate – sopra si metteva una pietra). Il monopattino era più figo e più funzionale perché venivano usati dei cuscinetti come ruote, inoltre poteva esserci un’ulteriore tavola davanti e verticale con relativo sterzo in sommità. Un pezzo di gomma da spingere sul cuscinetto posteriore faceva da freno.

     
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  6. gheagabry
     
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    Noi degli anni 60-70..e' i nostri giochi!!



    I giochi erano il mondo che noi bambini degli anni ’60 e ’70 frequentavamo con maggior assiduità e passione. Dagli affollati cortili degli anni ’60 ai primi solitari videogiocatori di fine ’70, eccovi la memoria bambina dei giochi che hanno allietato la nostra infanzia.

    brosenblum2

    Il gioco ‘Mondo’
    Si giocava così: si disegnava per terra un cerchio per ognuno dei partecipanti che si sceglieva il nome di un pianeta.

    Si estraeva a sorte chi doveva fare “L’Universo”, il quale lanciava la sua sfida dicendo: “Dichiaro guerra a …” e diceva il nome di un pianeta. Immediatamente, quel pianeta doveva uscire dal suo cerchio, fare un giro attorno alla “galassia” e rientrarvi senza che l’Universo potesse toccarlo.

    Se ci riusciva, se lo portava con sé nel suo “Universo”. Poi “dichiarava guerra” ad un altro pianeta e, se riusciva a toccarlo, se lo portava con sé. Invece, se prima di essere toccato, riusciva ad entrare nell’Universo e toccare tutti i pianeti prigionieri, li liberava tutti.

    Ma, se l’Universo riusciva a toccarne anche solo uno prima che rientrasse nel cerchio se lo riportava nell’Universo. Il gioco finiva, se non per volontà di tutti i giocatori, quando l’Universo riusciva a fare prigionieri tutti i pianeti.

    fonte:Giulio Regosa

     
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  7. gheagabry
     
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    GIOCHI DELLA NOSTRA INFANZIA


    HULA HOOP


    hula+hoop

    L'hula hoop è un giocattolo e un attrezzo di giocoleria di materiale vario, solitamente plastica, di forma circolare. Lo svolgimento del gioco con l'attrezzo consiste nel calzarlo hula-hoop-4e farlo ruotare costantemente attorno al bacino.
    Gli esercizi sono molteplici per tipologia e difficoltà: l'attrezzo può essere fatto ruotare, oltre che al bacino, anche sugli arti inferiori o superiori a diverse altezze come attorno al collo. L'aggiunta di diversi hula hoop, inoltre, aumenta tecnicamente il livello di difficoltà dell'esecuzione dei movimenti, permettendo all'esecutore di compiere vere e proprie esibizioni. Per questo, spesso l'hula hoop è uno degli attrezzi utilizzati negli spettacolo circensi.

    Record di durata

    Uno dei primi record di durata per l'hula hoop è stato stabilito nell'agosto del 1960 dagli undicenni Paulette Robinson, Charles Beard e Patsy Jo Grigby a Jackson, Mississippi, con 11 ore e 34 minuti. L'evento è stato sponsorizzato e trasmesso dalla stazione radio WOKJ.
    Mary Jane Freeze, di 8 anni, ha vinto una gara di durata il 19 agosto 1976 con 10 ore e 47 minuti,
    L'attuale record di durata è detenuto dalla statunitense Roxann Rose, con 90 ore, stabilito fra il 2 e il 6 aprile 1987


    fonte wikipedia

     
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  8. gheagabry
     
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    Giochi della nostra infanzia:

    LE BOLLE DI SAPONE...


    fxbgr7

    Una bolla di sapone è un fine strato di acqua e sapone che forma una sfera dalla superficie iridescente. Le bolle di sapone spesso rimangono in formazione sferica solo per pochi secondi poi, o scoppiano da sé o dopo il contatto con altri oggetti in grado di assorbire il liquido che le circonda. In genere le si usa come passatempo per i bambini ma il loro sfruttamento in performance artistiche professionali dimostra la loro capacità di affascinare anche gli adulti. Le bolle di sapone possono aiutarci inoltre a risolvere complessi problemi matematici riguardanti lo spazio poiché rappresentano sempre la più piccola area di superficie tesa tra due punti o due confini e, soprattutto, il concetto di "sfera perfetta".



    Giocare con le bolle di sapone: ricetta fai da te e istruzioni

    bolle-sapone-mano-300x300

    Le bolle di sapone. Un gioco amato da tutti i bambini, un concentrato di poesia e divertimento. Un neo, i barattolini di liquido in mano ai bimbi fanno spesso una brutta fine: presi dal rincorrere le loro bolle, i bimbi si dimenticano di avere un barattolo aperto in mano. Rovesciano quindi irrimediabilmente il contenuto sui vestiti e sulle scarpe, con grande gioia della mamma, oppure per terra. Le mamme si ritrovano, quindi, a dover far fronte a capricci e pianti dei figli e solitamente a dover sborsare qualche altro euro per sostituire le bolle cadute.
    In realtà fare le bolle di sapone in casa non è particolarmente difficile, nè dispendioso. bolle.sapone.filo_.ferro_Anzi, con pochi ingredienti si può ottenere parecchio liquido da utilizzare per divertirsi tutti insieme in una giornata estiva, tentando di creare anche bolle di sapone giganti. Vediamo come fare chiedendo aiuto a Comidademama
    Innanzitutto la ricetta. Decidete un ‘unità di misura (una tazza, un vasetto di yogurt, un bicchiere) e procedete così:
    1 unità di sapone liquido per piatti, per il lavaggio a mano. Più è denso e concentrato, meglio è.
    12 unità di acqua
    bolle-sapone-filo-e-cannuccia-300x1961/3 di unità di glicerina (si trova in farmacia e d è facoltativa)
    Mescolare bene gli ingredienti, mettere a riposo per almeno due giorni. (Più il liquido sta a riposo, più grandi verranno le bolle)
    Ecco, il vostro liquido è pronto. Ora dovete solo scegliere con cosa volete fare le bolle.
    Potete usare la mani: immergetele nel liquido, separatele lentamente tenendo le dita attaccate e soffiate
    Oppure, per non rovinare troppo la pelle, soprattutto quella delicata dei bambini, costruire degli strumenti, ecco alcuni esempi:
    con il filo di ferro, magari utilizzando quello degli ometti della lavanderia.


    bolle

     
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  9. gheagabry
     
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    GIOCHI DAL PASSATO


    I rocchetti



    gio_01

    Si tratta di piccoli cilindri in legno, con bordi rialzati per trattenere il filo del cotone di cui sono avvolti. Un foro all'interno serve per infilarli sulle macchine da cucire. Supporti, oggi quasi introvabili, per avvolgervi il filo da cucito. In ogni casa si cuciva, pertanto capitava spesso di averne a disposizione e - viste le ampie possibilità di riutilizzo - non venivano certo gettati via. Se li ricordano i bambini di ieri che ne ricavavano diversi giochi, tutti notevoli per l'ingegnosità delle soluzioni tecniche.

    Nelle nostre campagne era comune l'uso di trasmettere di padre in figlio piccoli trucchi che trasformavano meravigliosamente i piccoli rocchetti in qualcosa di molto più importante (trottole, biciclette, trattori, ecc.). Il trattore è un classico tra queste piccole cose e merita un'attenzione particolare. E' una macchina semovente alla quale la fantasia del bambino può attribuire valenza di trattore o di carro armato, a seconda delle inclinazioni personali, mentre la tecnica di costruzione resta la stessa.


    Indicazioni tecniche
    gio_02Occorrono uno o più rocchetti, un po' di cera o una scheggia di sapone, un piccolo chiodo (non indispensabile), due fiammiferi o due legnetti tagliati: uno più lungo (circa due volte il diametro del rocchetto), e uno più corto.

    Con un temperino si incidono piccoli denti sui bordi del rocchetto in modo da simulare i cingoli del trattore.

    Si prepara poi un piccolo disco forato che fungerà da frizione utilizzando la cera o il sapone. Ovviamente la cera va lavorata a caldo, mentre il sapone richiede molta delicatezza perchè si rompe facilmente.

    E' ora il momento del montaggio. Si infila l'elastico attraverso il foro centrale del rocchetto e lo si trattiene da una parte con il legnetto o il fiammifero più corto, fissato a sua volta in una leggera scanalatura o dal piccolissimo chiodo. Dall'altra parte sarà inserito il fiammifero più lungo, interponendovi la frizione.

    gio_03

    La macchina può ora funzionare: basta roteare il legnetto più lungo in modo che l'elastico si attorcigli su se stesso. Così si carica, immagazzinando energia che sarà poi liberata lentamente grazie all'azione frenante della frizione. Il legnetto più lungo, appoggiandosi al terreno, spingerà avanti il mezzo. Piano piano, lo si vedrà muoversi ed arrampicarsi su piccole salite.
    gio_04

    Al modello base, possono essere collegati altri rocchetti che si muoveranno con ingegnosi sistemi di ingranaggio

    fonte.raccontidifata.com.

     
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  10. gheagabry
     
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    GIOCHI DELLA NOSTRA INFANZIA


    IL TELELEFONO



    gio_21


    Chissà perchè sono in molti a chiamarlo "telefono senza fili", mentre è proprio un semplice filo teso tra due barattoli a farla da protagonista, insieme agli onnipresenti busslut (bussolotti), in questo gioco noto e diffuso in tutte le regioni italiane.

    Nella memoria dei più anziani si confondono ricordi legati ai successi di Marconi ed alle sue trasmissioni di notizie via etere. Non dobbiamo poi dimenticare che già negli anni Trenta il telefono aveva una sua diffusione, ancorchè limitata alle famiglie più abbienti. Di qui il desiderio di possedere uno strumento così misterioso e affascinante, costruito con quello che c'era a disposizione.

    Indicazioni tecniche
    Nella parte superiore delle due lattine - proprio al centro - si fanno due piccoli fori, attraverso i quali possa passare un capo del filo. Questo, annodato, non "scapperà" fuori neppure sotto la leggera pressione necessaria per mantenerlo teso. Occorre uno spazio libero sufficiente a che il filo possa stendersi in tutta la sua lunghezza, poi uno da una parte con il bussolotto all'orecchio e uno dall'altra che lo tenga alla bocca: la conversazione può iniziare, con risultati migliori se il filo viene passato con cera o con pece da calzolaio

     
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  11. gheagabry
     
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    GIOCHI DELLA NOSTRA INFANZIA


    CARRI E CARIOLI


    gio_11


    L'idea di trasportare e di essere trasportati nasce spontanea in ogni bambino. Per realizzarla è naturale ricorrere a qualcosa di simile ai mezzi usati dagli adulti. Certamente i bambini hanno giocato - sempre e dovunque - con carri e carretti fatti, più o meno, come quelli dei loro padri. Parallela alla grande storia dei mezzi di trasporto corre quindi una piccola storia - non documentata - delle loro imitazioni spesso costruite dai bambini stessi? Proponiamo due esempi di questi mezzi che ci pare possano essere una piccola testimonianza di certe differenze tra città e campagna.

    Il carro campagnolo

    gio_10


    Chiamiamo così questo interessante esemplare che i figli dei contadini delle colline bolognesi si costruivano prima dell'ultima guerra. L'ideazione e la costruzione di questo mezzo richiedono abilità tali che solo i ragazzi più grandi, se non gli adulti, potevano cimentarsi con successo in questa prova.
    Poi l'uso poteva essere misto di gioco e lavoro, per il trasporto di fascine o di piccole merci, perchè non era così separato il mondo degli adulti da quello dei bambini e anche questa poteva essere un'occasione per imparare a lavorare. Ma soprattutto sarà stato una macchina ideale per essere trascinata sui sentieri in salita, per poi scendere con rapide corse anche per strade non asfaltate.


    Indicazioni tecniche

    gio_12Il materiale è interamente costituito da legno; si tratta solo di avere occhi allenati a distinguere, tra rami e rovi, i "pezzi" utilizzabili per questo scopo.

    Innanzi tutto una forcella di legno duro e robusto, tagliata a misura per fare il telaio. Poi segmenti di tronco perfettamente circolare da cui segare due coppie di ruote: quelle anteriori, più piccole, e quelle posteriori. Infine assicelle, chiodi e poco altro materiale di risulta.

    Esecuzione. Bisogna scegliere due bastoni robusti validi come assali delle due coppie di ruote, che vanno fissate bene, magari con una "spina" in legno o in ferro. Grasso di scarto del maiale poteva servire come lubrificante per fare scorrere meglio le ruote.

    Ora si può fare appoggiare la forcella sugli assali cercando il punto migliore per fissarla (le ruote più grandi dalla parte biforcuta).

    Attenzione al gioco di sterzo ottenuto con un perno incernierato in modo da tenere sovrapposti ma indipendenti i due bastoni.

    Rimangono ora solo le finiture:
    - piccole traverse in legno sulla forcella usate come sedile;
    - una corda collegata agli estremi dell'assale anteriore per voltare a destra o a sinistra;
    - un fermo per i piedi che dà stabilità al pilota;
    - elementi ornamentali aggiunti dalla fantasia del costruttore.


    Carrioli di città

    gio_13I ragazzi di città avevano condizioni ambientali ovviamente diverse e, soprattutto dopo la guerra, potevano facilmente accedere a "scarti" pregiati come i cuscinetti a sfera.

    Materiale di risulta tecnologicamente più ricco e disponibilità di percorsi asfaltati non eccessivamente frequentati da automobili trasformarono il carro precedente in un mezzo più veloce, presente in ogni cortile cittadino.


    Indicazioni tecniche

    Quattro cuscinetti a sfera, legni (assi o pezzi interi) e chiodi per l'assemblaggio. Lo schema di costruzione non è molto diverso dal carro campagnolo: le ruote sono sostituite dai cuscinetti e scompare la forcella. Il risultato è un mezzo basso, adatto a spericolate corse in pendenza.

    Anche per i carrioli esistono numerose varianti (con o senza sterzo, con o senza schienali, uno o più posti, ecc.).

    fonte:http://ww2.raccontidifata.com/

     
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  12. gheagabry
     
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    I GIOCHI DELLA NOSTRA INFANZIA


    SHANGAI



    Spiel_Mikado

    Lo Shangai (/ʃan'ɡai/) o Mikado è un antico gioco cinese di destrezza e di pazienza. Si gioca su un tavolo ricoperto con un tappeto utilizzando 31 bastoncini colorati della lunghezza di 17 cm circa. I bastoncini sono divisi tipicamente in cinque gruppi, associati ad una diversa colorazione e punteggio relativo. Il numero dei bastocini associati a ciascun colore è variabile da versione a versione.

    Regole del gioco
    DSC_0009Ogni partita si svolge in un numero di turni stabilito dai giocatori all'inizio del gioco. Ogni giocatore, nel proprio turno, stringendo nel pugno i bastoncini, li lascia cadere a ventaglio da una posizione verticale. A questo punto li toglie dal gruppo ad uno ad uno cercando di non muovere gli altri. Il primo bastoncino va raccolto a mani nude, mentre per i successivi ci si potrà avvalere di quelli già raccolti come bacchetta. Ogni bastoncino preso fa guadagnare al giocatore il numero di punti ad esso corrispondente. Se sbaglia o muove gli altri bastoncini il turno passerà a un altro giocatore che ripeterà le stesse operazioni. Vince chi colleziona più punti.
    Esempi di valori e numero dei bastoncini:
    n. 1 bastoncino nero 50 punti
    n. 3 bastoncini blu 25 punti ciascuno
    n. 5 bastoncini verdi 10 punti ciascuno
    n. 7 bastoncini rossi 5 punti ciascuno
    n. 15 bastoncini gialli 2 punti ciascuno
    Versione Mikado-Spiel (in figura):
    n. 1 bastoncino con spirale 20 punti
    n. 5 bastoncini blu-rosso-blu 10 punti ciascuno
    n. 5 bastoncini rosso-blu-rosso-blu-rosso 5 punti ciascuno
    n. 10 bastoncini blu-giallo-rosso 3 punti ciascuno
    n. 10 bastoncini blu-rosso 2 punti ciascuno

    Shanghai

    Pubblicato da Stefania Tolari il Dom, 26/06/2011 - 12:39

    mikado_side_view

    Fuori pioveva a dirotto. In casa, la condensa aveva creato un telo opaco sui vetri. Non era sicuramente il momento migliore per uscire, l'ombrello non l'avrebbe riparata abbastanza da quell'acqua di traverso, e le scarpe le si sarebbero intorzate fino ad inzuppare sicuramente i calzini. Avrebbe camminato per strada con il collo ritratto come per ripararsi dall'inevitabile, e le dita dei piedi avrebbero finito per sguazzarle nelle scarpe come in un acquario. Quindi, le sarebbe iniziato ad entrare il freddo nelle ossa, fino a salirle su per tutto il corpo. Eppure le era venuto in mente di comprarlo, quel giocattolo. Il Natale era imminente e quello era il regalo che, quell'anno, (lo aveva tassativamente deciso) voleva fare a Sergio.
    Lui, ignaro di tutti gli ossessivi pensieri di sua madre, giocava sereno nella sua c55a1c15dfff97e2acc6bf51e1c87a90_bigcameretta, forse alle costruzioni, forse a disegnare mostri o robottini, forse ad essere un meccanico che riparava tutti gli oggetti. Aveva sviluppato una buona destrezza manuale, quel bimbo, pensava sempre Alice quando lo osservava da lontano “sbuzzare” gli orologi o i peluches con le pile per vedere come erano fatti dentro, o quando lo vedeva estrarre tutti i filini di ferro dei laccini di plastica per chiudere i sacchetti del pane e unirli insieme per costruire un apparecchio per i denti ad una bambola della sorellina.
    Le sarebbe piaciuto, quel regalo, pensava Alice guarnado fuori dalla finestra per ispezionare il tempo.
    Niente, continuava a piovere a dirotto. E non avrebe smesso, ormai era chiaro.
    Decise: sarebbe uscita. Prese l'ombrello, si mise un impermeabile addosso, un cappuccio in testa e gli stivali di gomma ai piedi, ed uscì di casa, pronta ad affrontare le intemperie per iniziare il suo pellegrinaggio in tutti i negozi del centro. «Torno subito, Piero» urlò al marito che stava nello studio a scartabellare «Sta' attento ai bimbi, per favore».
    Dopo una breve camminata, già zuppa come un pulcino, Alice entrò in un negozio che sull'insegna luminosa diceva “Imaginarium”.
    Il nome affascinava, senza dubbio! E c'era persino una porticina più piccola che designava l'accesso per i bambini. Una bella trovata, pensò. Se fossero stati lì Sergio e Sabrina avrebbero fatto a gara a chi fosse entrato prima. Si sarebbero spintonati, si sarebbero ammaccati di pugni e mezzo-spogliati dagli spintoni.
    Sorrise. Poi entrò.
    «L'ombrello per favore lo lasci lì, in quell'ombrelliera» sentì dire ad una voce rivolta sicuramente a lei. «È lì a posta, dico io» ascoltò la stessa voce bofonchiare subito dopo. Alice si stizzì un po' per quel rimbrotto, ma poi pensò che, dopotutto, era quasi l'ora della chiusura, e che la ragazza aveva probabilmente voglia di andarsene a casa sua, poveretta. Quindi la giustificò.
    «Senta, mi scusi, sto cercando un gioco in particolare. Non so se mi può aiutare...». «Che gioco? Dica pure» si affrettò solerte a chiedere la ragazza, sfoderado il suo sorriso Durban's delle nuove possibili clientele. «Vediamo... Si tratta di un gioco che si chiama Shanghai. Non so se lo conosce...» iniziò Alice. E rimase ad aspettare un ammiccamento, un segnale di intesa, un movimento verticale della testa, scrutando la faccia della ragazza in cerca di un barlume di assentimento e di speranza.
    Niente. La commessa rimaneva immobile a guardarla con occhi inespressivi e il solito sorriso dipinto sulle labbra. «Ma che avrà? Una paresi?» pensò Alice. Ma poi insistette nell'intento e cercò di essere più precisa. «Sa, è un gioco molto semplice, funziona così: un giocatore estratto a sorte, mischia dei bastoncini e li riunirsce a mazzo con le punte sul tavolo. Poi li lascia cadere in modo casuale. Il primo giocatore deve riuscire ad accaparrarsi il numero maggiore di bastoni sfilandoli dal mucchio. Deve fare però molta attenzione a non muovere quelli che stanno vicino allo stecchino scelto, altrimenti sarà costretto a cedere il turno al giocatore successivo. I bastoncini vanno raccolti con le mani, ma è anche possibile aiutarsi con uno o più Shanghai per prendere quelli sul tavolo, facendoli rotolare o saltare in aria. Il gioco finisce quando tutti gli Shanghai sono stati raccolti dal tavolo. E a quel punto, dato che ogni bastoncino a seconda del colore o del segno che lo caratterizza corrisponde a un numero diverso di punti, si conta chi ha accumulato più punti e quello è il vincitore. Bisogna, quindi, fare molta attenzione e occorre concentrazione e mano ferma, precisione. Insomma, è molto carino come gioco. Lo conosce?».
    Lo sguardo della ragazza non fece ipotizzare che la risposta fosse un «sì». Infatti, imbarazzata, cominciò ad arrotolarsi tra le mani i lunghi capelli che aveva intrappolati in una coda, si mise un dito in bocca con l'intento subito scartato di mangiarsi un'unghia, dondolò un po' sulle gambe a destra e a sinistra, e poi cominciò ad arrampicarsi sugli specchi per offrire alternativi giochi-del-futuro a quella strana cliente che “proprio a lei era toccata”.
    «Beh, questo gioco no, non ce l'abbiamo» disse poi per togliersi finalmente d'impiccio. «Però guardi che, per quel che mi dice, è molto simile all'Allegro Chirurgo o a Jenga o a...». «No, ma sì, ma sicuro. Jenga sì, infatti è carino, ma il fatto è che io proprio cercavo Shanghai» proruppe Alice. «Non fa niente, allora. Tornerò senz'altro per Jenga, se proprio non trovo quel che cerco».
    E, tra un «grazie mille», tre o quattro «arrivederci» e un maldestro tentativo di abbassarsi per uscire dalla porticina dei bambini, Alice riuscì a sgattaiolare via dalla porta grande, quella degli adulti, e a ritrovarsi di nuovo in strada, sotto l'acqua, un po' scornata ma disposta a non demordere.
    La seconda tappa fu un altro negozio di giocattoli che trovò sul suo cammino. E poi un terzo e un quarto, un quinto e un sesto. Nulla. Di Shanghai nemmeno l'ombra.
    Sempre più spazientita, all'ultima commessa aveva gridato: «Ma se ci giocavo io quando ero piccola! Possibile davvero che sia sparito? È un gioco tra i più semplici. Sono solo pali, stecchini, stuzzicadenti un po' cresciuti e colorati!».
    La ragazza l'aveva allora guardata con disprezzo, dal basso in alto, squadrando la sua forma goffa sotto l'impermiabile e il cappuccio e gli stivaloni. Nella sua espressione c'era tutto il disprezzo per un relitto d'altri tempi che cercava effigie della sua era. «Patetica», sicuramente aveva pensato. E poi le aveva detto: «Se è cosi facile perché non li costruisce Lei, gli stecchini? E comunque, non le è venuto in mente che, magari, proprio perché è della sua epoca, ormai non lo si venda più, 'sto gioco? I tempi cambiano, signora. Ci si deve aggiornare, tenere al passo con i progressi dell'economia. Oggi giorno i bambini vogliono stupirsi, vogliono giocattoli curati nei dettagli, vogliono pulsanti, tasti, lucine, tec no lo gi a! Mica si accontentano di stare seduti a un tavolino a “non-far muovere” i paletti! Ma figuriamoci! Non mi faccia ridere. Compri una bella consolle, a suo figlio: la Wii. Vedrà che divertimento! Potrà addirittura giocare anche lei con... Come si chiama il bambino? Ecco, con Sergio, appunto. Che c'è di meglio di una bella giornata tutti insieme in famiglia?».
    A quella tirata, Alice aveva sgranato due considerevoli palle-d'occhi, aveva cercato di ripetere tra sé e sé quella strana parola che suonava come il verso di un maiale scuoiato, e poi aveva saputo rispondere solo con un titubante: «Ma, io, veramente, anche a Shanghai ci giocherei con il mio bimbo, non si creda».
    Poi, ammutolitasi, se ne era andata dal negozio in fretta e furia, sbattendo la porta e precipitandosi in strada senza nemmeno aprire l'ombrello.
    Ora se ne stava immobile, tutta bagnata, con le mani penzoloni lungo i fianchi e il collo curvo come dopo una scornata.
    In preda allo sconforto, le venne solo voglia di cercare aiuto. Ci sarà pur stato qualcuno che la capiva! Voleva solo quel benedetto gioco, dopotutto. Nient'altro. E stava diventando una questione di principio, una sfida, un obiettivo, e sempre più importante, fra l'altro: fondamentale, ormai!
    Una signora impellicciata le passò accanto e le urtò il gomito. «Scusi» le venne fatto di dire, anche se non era stata lei a importunare la donna, e, semmai, era avvenuto il contrario. «Di nulla, ma faccia attenzione!» rispose di getto la signora. Alice non aveva voglia di discutere, però... sì che... già che c'era, un favorino quella signora glielo avrebbe potuto fare. La guardò in faccia e, per sovrastare con la sua voce il rumore della pioggia che cadeva sulle lamiere di una tettoia, le gridò: «Scusi. Posso farle una domanda?». «Sì? Dice a me? Mi dica. Che vuole sapere?» rispose la donna alquanto spazientita per quell'interruzione del suo percorso, e con quel tempaccio! «Sa mica dove posso trovare un gioco un po' antico, forse un po' strano, molto semplice...». «Alla Rinascente» la interruppe svelta la signora, che non aveva nessuna voglia né di perdere il suo tempo con lei, né di starla ad ascoltare. «Se non lo trova a LaRinascente, vuol dire che non esiste. E che, comunque, se anche esistesse, Lei non lo vuole».
    Alice la guardò di stucco. Le balbettò un «grazie» titubante e la vide sculettare via con i suoi tacchi alti e il suo pelliccione.
    Sarebbe andata a LaRinascente, allora...
    Il centro commerciale era a due passi e accolse Alice con un effluvio di colori, di luci stratosferiche e di canti-a-tutto-volume di Natale. Il via vai, i suoni e gli sfolgorii erano angoscianti e la stordivano. Comunque, scala mobile su, scala mobile giù, e altrettanti giri in ogni piano per riuscire ad imboccare l'ingresso della scala mobile stessa, alla fine, in qualche maniera riuscì a raggiungere il reparto specifico del piano “Giocattoli”, in cui le avevano indicato per ben quattro volte che avrebbe potuto trovare quel che cercava. «Qui ci deve essere, per forza, per Dio!» pensò entrando. «Deve aver ragione senz'altro la signora impellicciata» si disse guardandosi estasiata intorno come se si trovasse nel Paese dei Balocchi! «Scusi, per favore, mi scusi». Niente, la commessa pareva intenta a svuotare uno scatolone e non la degnò nemmeno di uno sguardo. Anzi, la sua schiena sembrava dirle: «lasciami stare, lasciami stare! Perché proprio me, chiami? Ma non ce n'è un'altra libera? Non ti puoi servire da sola?».
    Alice colse la supplica e si mise a rovistare da sola tra gli scaffali. C'erano giochi di ogni forma e colore, alcuni tanto complicati da non lasciar nemmeno capire dalla figura della scatola in che cosa minimamente consistessero. Rimase lì per almeno venti minuti, intenta a cercare e ricercare, spulciare ed esplorare. Si entusiasmò, si elettrizzò, si fece prendere dalla frenesia. Poi si scoraggiò, si demoralizzò, si sgomentò e, alla fine, si abbatté sconfortata e chiese supplicante di nuovo aiuto ad un commesso incravattato che passava di lì frettoloso. «Scusa» lo braccò con un “tu” improvvisato da supplica diretta e schietta «Non riesco a trovare un gioco. Me lo potresti cercare?». « Certo, mi dica. Che gioco cerca, signora?».
    E qui Alice ripropinò la sua accurata descrizione. Siccome poi, il ragazzo pareva anche interessato, aggiunse pure qualche ulteriore spiegazione storica e di costume: «Può essere anche chiamato Mikado, o Gioco dei bastoncini, o Vecchio giunco cinese, a seconda delle tradizioni. Forse ha avuto origine in Cina, negli anni 70. Ma già nel 1500, in Francia, si faceva un gioco simile, chiamato “Jonchets”. Io, però, vorrei la versione con i bastoncini di plastica e totalmente colorati perché è parecchio più accessibile ai bambini».
    Il commesso stette ad ascoltare tutta la spiegazione senza muovere un sopracciglio e con la bocca semi aperta. Poi, però, proferì lugubre: «Mi dispiace, signora, sono proprio spiacente, ma temo che questo gioco non esista».
    «Non esista?!» gridò paonazza Alice, in preda a un'ondata fulminea di sangue-al-cervello. «Per esistere esiste, glielo dico io, perché c'ho giocato da piccina a giornate sane!» e continuava a urlare, in un raptus d'ira incontrollato, la vena del collo che le pulsava pericolosamente quasi sul punto di scoppiare. «Altro discorso è che non ce l'abbiate, voi de LaRinascente. E allora me lo dite e io me ne faccio una ragione! Ma non mi dica che non esiste perché non è proprio vero!».
    Il ragazzo rimaneva impassibile guardandola negli occhi senza proferire parola.
    ...«O no?» una nuvola di dubbio passò sul volto di Alice.
    Il commesso, immutabile, non mosse ciglio.
    «Il fatto è che io sono proprio convinta che esista, sa? Davvero! Mi pare proprio di averci giocato tanto da bambina!» gli occhi di Alice imploravano una conferma.
    «Si calmi, signora, non si alteri così» proruppe allora il giovanotto appoggiandole una mano sulla spalla. «Che esista o meno, questo gioco che lei vuole io mi sento sinceramente di sconsigliarglielo, sa? In fin dei conti sono paletti, quelli che lei cerca. E non mi dica che si tratta di un'attività educativa o interessante, giocare coi paletti! Mi sbaglio? Non soddisfa nemmeno quella che è l'esigenza vera di ogni bambino: sentirsi accettato, essere il leader della classe, ricevere le visite dei suoi amichetti perché è l'unico a possedere qualcosa di davvero esclusivo. Dico bene o ho ragione? E che dire poi del pericolo che uno stecchino finito in un posto sbagliato possa rappresentare per un fanciullo piccolo come il suo! La salute prima di tutto, signora. La salute! E, subito dopo, il diritto dell'infanzia all'evasione, all'insersione sociale, ad una vita piena, appagata, felice! O no? Signora... Come la posso chiamare?». «Alice» rispose lei «mi chiamo Alice». «Ecco, appunto, lei mi capisce, vedo, Alice. E poi lo sa che c'è?» continuò il ragazzo con fare pacato «la questione è che qui siamo a LaRinascente, e quello che ne LaRinascente non c'è, lei lo sa bene, o non esiste o, se anche esistesse, lei non lo vuole...».
    Alice rimase immobile a guardare gli occhi neri del commesso, che in quel momento la fissavano in modo ipnotico. Ascoltò il suono flemmatico di quella voce d'oltre-mondo che la accarezzava e poi si ritrovò a dire come un automa: «Forse ha ragione. È un gioco troppo stupido e troppo vecchio». Poi continuò, lo sguardo fisso su quegli occhi neri: «Non piacerebbe ai bambini di oggi, e nemmeno a Sergio, a pensarci bene». Quindi concluse senza minimamente cambiare di tono: «A scuola lo prenderebbero tutti in giro se raccontasse che questo è stato il suo regalo di Natale». «Ha mica per caso un giocattolo che si chiama come il verso di un maiale?». Dalla bocca le uscirono queste parole.

     
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    CITAZIONE (gheagabry @ 25/3/2013, 19:03) 

    I GIOCHI DELLA NOSTRA INFANZIA


    SHANGAI



    (IMG:http://upload.wikimedia.org/wikipedia/comm...piel_Mikado.jpg)

    Lo Shangai (/ʃan'ɡai/) o Mikado è un antico gioco cinese di destrezza e di pazienza. Si gioca su un tavolo ricoperto con un tappeto utilizzando 31 bastoncini colorati della lunghezza di 17 cm circa. I bastoncini sono divisi tipicamente in cinque gruppi, associati ad una diversa colorazione e punteggio relativo. Il numero dei bastocini associati a ciascun colore è variabile da versione a versione.

    Regole del gioco
    DSC_0009Ogni partita si svolge in un numero di turni stabilito dai giocatori all'inizio del gioco. Ogni giocatore, nel proprio turno, stringendo nel pugno i bastoncini, li lascia cadere a ventaglio da una posizione verticale. A questo punto li toglie dal gruppo ad uno ad uno cercando di non muovere gli altri. Il primo bastoncino va raccolto a mani nude, mentre per i successivi ci si potrà avvalere di quelli già raccolti come bacchetta. Ogni bastoncino preso fa guadagnare al giocatore il numero di punti ad esso corrispondente. Se sbaglia o muove gli altri bastoncini il turno passerà a un altro giocatore che ripeterà le stesse operazioni. Vince chi colleziona più punti.
    Esempi di valori e numero dei bastoncini:
    n. 1 bastoncino nero 50 punti
    n. 3 bastoncini blu 25 punti ciascuno
    n. 5 bastoncini verdi 10 punti ciascuno
    n. 7 bastoncini rossi 5 punti ciascuno
    n. 15 bastoncini gialli 2 punti ciascuno
    Versione Mikado-Spiel (in figura):
    n. 1 bastoncino con spirale 20 punti
    n. 5 bastoncini blu-rosso-blu 10 punti ciascuno
    n. 5 bastoncini rosso-blu-rosso-blu-rosso 5 punti ciascuno
    n. 10 bastoncini blu-giallo-rosso 3 punti ciascuno
    n. 10 bastoncini blu-rosso 2 punti ciascuno

    Shanghai

    Pubblicato da Stefania Tolari il Dom, 26/06/2011 - 12:39

    (IMG:http://www.thrillermagazine.it/imgbank/RUB...o_side_view.jpg)

    Fuori pioveva a dirotto. In casa, la condensa aveva creato un telo opaco sui vetri. Non era sicuramente il momento migliore per uscire, l'ombrello non l'avrebbe riparata abbastanza da quell'acqua di traverso, e le scarpe le si sarebbero intorzate fino ad inzuppare sicuramente i calzini. Avrebbe camminato per strada con il collo ritratto come per ripararsi dall'inevitabile, e le dita dei piedi avrebbero finito per sguazzarle nelle scarpe come in un acquario. Quindi, le sarebbe iniziato ad entrare il freddo nelle ossa, fino a salirle su per tutto il corpo. Eppure le era venuto in mente di comprarlo, quel giocattolo. Il Natale era imminente e quello era il regalo che, quell'anno, (lo aveva tassativamente deciso) voleva fare a Sergio.
    Lui, ignaro di tutti gli ossessivi pensieri di sua madre, giocava sereno nella sua (IMG:http://img1.annuncicdn.it/c5/5a/c55a1c15df...1c87a90_big.jpg)cameretta, forse alle costruzioni, forse a disegnare mostri o robottini, forse ad essere un meccanico che riparava tutti gli oggetti. Aveva sviluppato una buona destrezza manuale, quel bimbo, pensava sempre Alice quando lo osservava da lontano “sbuzzare” gli orologi o i peluches con le pile per vedere come erano fatti dentro, o quando lo vedeva estrarre tutti i filini di ferro dei laccini di plastica per chiudere i sacchetti del pane e unirli insieme per costruire un apparecchio per i denti ad una bambola della sorellina.
    Le sarebbe piaciuto, quel regalo, pensava Alice guarnado fuori dalla finestra per ispezionare il tempo.
    Niente, continuava a piovere a dirotto. E non avrebe smesso, ormai era chiaro.
    Decise: sarebbe uscita. Prese l'ombrello, si mise un impermeabile addosso, un cappuccio in testa e gli stivali di gomma ai piedi, ed uscì di casa, pronta ad affrontare le intemperie per iniziare il suo pellegrinaggio in tutti i negozi del centro. «Torno subito, Piero» urlò al marito che stava nello studio a scartabellare «Sta' attento ai bimbi, per favore».
    Dopo una breve camminata, già zuppa come un pulcino, Alice entrò in un negozio che sull'insegna luminosa diceva “Imaginarium”.
    Il nome affascinava, senza dubbio! E c'era persino una porticina più piccola che designava l'accesso per i bambini. Una bella trovata, pensò. Se fossero stati lì Sergio e Sabrina avrebbero fatto a gara a chi fosse entrato prima. Si sarebbero spintonati, si sarebbero ammaccati di pugni e mezzo-spogliati dagli spintoni.
    Sorrise. Poi entrò.
    «L'ombrello per favore lo lasci lì, in quell'ombrelliera» sentì dire ad una voce rivolta sicuramente a lei. «È lì a posta, dico io» ascoltò la stessa voce bofonchiare subito dopo. Alice si stizzì un po' per quel rimbrotto, ma poi pensò che, dopotutto, era quasi l'ora della chiusura, e che la ragazza aveva probabilmente voglia di andarsene a casa sua, poveretta. Quindi la giustificò.
    «Senta, mi scusi, sto cercando un gioco in particolare. Non so se mi può aiutare...». «Che gioco? Dica pure» si affrettò solerte a chiedere la ragazza, sfoderado il suo sorriso Durban's delle nuove possibili clientele. «Vediamo... Si tratta di un gioco che si chiama Shanghai. Non so se lo conosce...» iniziò Alice. E rimase ad aspettare un ammiccamento, un segnale di intesa, un movimento verticale della testa, scrutando la faccia della ragazza in cerca di un barlume di assentimento e di speranza.
    Niente. La commessa rimaneva immobile a guardarla con occhi inespressivi e il solito sorriso dipinto sulle labbra. «Ma che avrà? Una paresi?» pensò Alice. Ma poi insistette nell'intento e cercò di essere più precisa. «Sa, è un gioco molto semplice, funziona così: un giocatore estratto a sorte, mischia dei bastoncini e li riunirsce a mazzo con le punte sul tavolo. Poi li lascia cadere in modo casuale. Il primo giocatore deve riuscire ad accaparrarsi il numero maggiore di bastoni sfilandoli dal mucchio. Deve fare però molta attenzione a non muovere quelli che stanno vicino allo stecchino scelto, altrimenti sarà costretto a cedere il turno al giocatore successivo. I bastoncini vanno raccolti con le mani, ma è anche possibile aiutarsi con uno o più Shanghai per prendere quelli sul tavolo, facendoli rotolare o saltare in aria. Il gioco finisce quando tutti gli Shanghai sono stati raccolti dal tavolo. E a quel punto, dato che ogni bastoncino a seconda del colore o del segno che lo caratterizza corrisponde a un numero diverso di punti, si conta chi ha accumulato più punti e quello è il vincitore. Bisogna, quindi, fare molta attenzione e occorre concentrazione e mano ferma, precisione. Insomma, è molto carino come gioco. Lo conosce?».
    Lo sguardo della ragazza non fece ipotizzare che la risposta fosse un «sì». Infatti, imbarazzata, cominciò ad arrotolarsi tra le mani i lunghi capelli che aveva intrappolati in una coda, si mise un dito in bocca con l'intento subito scartato di mangiarsi un'unghia, dondolò un po' sulle gambe a destra e a sinistra, e poi cominciò ad arrampicarsi sugli specchi per offrire alternativi giochi-del-futuro a quella strana cliente che “proprio a lei era toccata”.
    «Beh, questo gioco no, non ce l'abbiamo» disse poi per togliersi finalmente d'impiccio. «Però guardi che, per quel che mi dice, è molto simile all'Allegro Chirurgo o a Jenga o a...». «No, ma sì, ma sicuro. Jenga sì, infatti è carino, ma il fatto è che io proprio cercavo Shanghai» proruppe Alice. «Non fa niente, allora. Tornerò senz'altro per Jenga, se proprio non trovo quel che cerco».
    E, tra un «grazie mille», tre o quattro «arrivederci» e un maldestro tentativo di abbassarsi per uscire dalla porticina dei bambini, Alice riuscì a sgattaiolare via dalla porta grande, quella degli adulti, e a ritrovarsi di nuovo in strada, sotto l'acqua, un po' scornata ma disposta a non demordere.
    La seconda tappa fu un altro negozio di giocattoli che trovò sul suo cammino. E poi un terzo e un quarto, un quinto e un sesto. Nulla. Di Shanghai nemmeno l'ombra.
    Sempre più spazientita, all'ultima commessa aveva gridato: «Ma se ci giocavo io quando ero piccola! Possibile davvero che sia sparito? È un gioco tra i più semplici. Sono solo pali, stecchini, stuzzicadenti un po' cresciuti e colorati!».
    La ragazza l'aveva allora guardata con disprezzo, dal basso in alto, squadrando la sua forma goffa sotto l'impermiabile e il cappuccio e gli stivaloni. Nella sua espressione c'era tutto il disprezzo per un relitto d'altri tempi che cercava effigie della sua era. «Patetica», sicuramente aveva pensato. E poi le aveva detto: «Se è cosi facile perché non li costruisce Lei, gli stecchini? E comunque, non le è venuto in mente che, magari, proprio perché è della sua epoca, ormai non lo si venda più, 'sto gioco? I tempi cambiano, signora. Ci si deve aggiornare, tenere al passo con i progressi dell'economia. Oggi giorno i bambini vogliono stupirsi, vogliono giocattoli curati nei dettagli, vogliono pulsanti, tasti, lucine, tec no lo gi a! Mica si accontentano di stare seduti a un tavolino a “non-far muovere” i paletti! Ma figuriamoci! Non mi faccia ridere. Compri una bella consolle, a suo figlio: la Wii. Vedrà che divertimento! Potrà addirittura giocare anche lei con... Come si chiama il bambino? Ecco, con Sergio, appunto. Che c'è di meglio di una bella giornata tutti insieme in famiglia?».
    A quella tirata, Alice aveva sgranato due considerevoli palle-d'occhi, aveva cercato di ripetere tra sé e sé quella strana parola che suonava come il verso di un maiale scuoiato, e poi aveva saputo rispondere solo con un titubante: «Ma, io, veramente, anche a Shanghai ci giocherei con il mio bimbo, non si creda».
    Poi, ammutolitasi, se ne era andata dal negozio in fretta e furia, sbattendo la porta e precipitandosi in strada senza nemmeno aprire l'ombrello.
    Ora se ne stava immobile, tutta bagnata, con le mani penzoloni lungo i fianchi e il collo curvo come dopo una scornata.
    In preda allo sconforto, le venne solo voglia di cercare aiuto. Ci sarà pur stato qualcuno che la capiva! Voleva solo quel benedetto gioco, dopotutto. Nient'altro. E stava diventando una questione di principio, una sfida, un obiettivo, e sempre più importante, fra l'altro: fondamentale, ormai!
    Una signora impellicciata le passò accanto e le urtò il gomito. «Scusi» le venne fatto di dire, anche se non era stata lei a importunare la donna, e, semmai, era avvenuto il contrario. «Di nulla, ma faccia attenzione!» rispose di getto la signora. Alice non aveva voglia di discutere, però... sì che... già che c'era, un favorino quella signora glielo avrebbe potuto fare. La guardò in faccia e, per sovrastare con la sua voce il rumore della pioggia che cadeva sulle lamiere di una tettoia, le gridò: «Scusi. Posso farle una domanda?». «Sì? Dice a me? Mi dica. Che vuole sapere?» rispose la donna alquanto spazientita per quell'interruzione del suo percorso, e con quel tempaccio! «Sa mica dove posso trovare un gioco un po' antico, forse un po' strano, molto semplice...». «Alla Rinascente» la interruppe svelta la signora, che non aveva nessuna voglia né di perdere il suo tempo con lei, né di starla ad ascoltare. «Se non lo trova a LaRinascente, vuol dire che non esiste. E che, comunque, se anche esistesse, Lei non lo vuole».
    Alice la guardò di stucco. Le balbettò un «grazie» titubante e la vide sculettare via con i suoi tacchi alti e il suo pelliccione.
    Sarebbe andata a LaRinascente, allora...
    Il centro commerciale era a due passi e accolse Alice con un effluvio di colori, di luci stratosferiche e di canti-a-tutto-volume di Natale. Il via vai, i suoni e gli sfolgorii erano angoscianti e la stordivano. Comunque, scala mobile su, scala mobile giù, e altrettanti giri in ogni piano per riuscire ad imboccare l'ingresso della scala mobile stessa, alla fine, in qualche maniera riuscì a raggiungere il reparto specifico del piano “Giocattoli”, in cui le avevano indicato per ben quattro volte che avrebbe potuto trovare quel che cercava. «Qui ci deve essere, per forza, per Dio!» pensò entrando. «Deve aver ragione senz'altro la signora impellicciata» si disse guardandosi estasiata intorno come se si trovasse nel Paese dei Balocchi! «Scusi, per favore, mi scusi». Niente, la commessa pareva intenta a svuotare uno scatolone e non la degnò nemmeno di uno sguardo. Anzi, la sua schiena sembrava dirle: «lasciami stare, lasciami stare! Perché proprio me, chiami? Ma non ce n'è un'altra libera? Non ti puoi servire da sola?».
    Alice colse la supplica e si mise a rovistare da sola tra gli scaffali. C'erano giochi di ogni forma e colore, alcuni tanto complicati da non lasciar nemmeno capire dalla figura della scatola in che cosa minimamente consistessero. Rimase lì per almeno venti minuti, intenta a cercare e ricercare, spulciare ed esplorare. Si entusiasmò, si elettrizzò, si fece prendere dalla frenesia. Poi si scoraggiò, si demoralizzò, si sgomentò e, alla fine, si abbatté sconfortata e chiese supplicante di nuovo aiuto ad un commesso incravattato che passava di lì frettoloso. «Scusa» lo braccò con un “tu” improvvisato da supplica diretta e schietta «Non riesco a trovare un gioco. Me lo potresti cercare?». « Certo, mi dica. Che gioco cerca, signora?».
    E qui Alice ripropinò la sua accurata descrizione. Siccome poi, il ragazzo pareva anche interessato, aggiunse pure qualche ulteriore spiegazione storica e di costume: «Può essere anche chiamato Mikado, o Gioco dei bastoncini, o Vecchio giunco cinese, a seconda delle tradizioni. Forse ha avuto origine in Cina, negli anni 70. Ma già nel 1500, in Francia, si faceva un gioco simile, chiamato “Jonchets”. Io, però, vorrei la versione con i bastoncini di plastica e totalmente colorati perché è parecchio più accessibile ai bambini».
    Il commesso stette ad ascoltare tutta la spiegazione senza muovere un sopracciglio e con la bocca semi aperta. Poi, però, proferì lugubre: «Mi dispiace, signora, sono proprio spiacente, ma temo che questo gioco non esista».
    «Non esista?!» gridò paonazza Alice, in preda a un'ondata fulminea di sangue-al-cervello. «Per esistere esiste, glielo dico io, perché c'ho giocato da piccina a giornate sane!» e continuava a urlare, in un raptus d'ira incontrollato, la vena del collo che le pulsava pericolosamente quasi sul punto di scoppiare. «Altro discorso è che non ce l'abbiate, voi de LaRinascente. E allora me lo dite e io me ne faccio una ragione! Ma non mi dica che non esiste perché non è proprio vero!».
    Il ragazzo rimaneva impassibile guardandola negli occhi senza proferire parola.
    ...«O no?» una nuvola di dubbio passò sul volto di Alice.
    Il commesso, immutabile, non mosse ciglio.
    «Il fatto è che io sono proprio convinta che esista, sa? Davvero! Mi pare proprio di averci giocato tanto da bambina!» gli occhi di Alice imploravano una conferma.
    «Si calmi, signora, non si alteri così» proruppe allora il giovanotto appoggiandole una mano sulla spalla. «Che esista o meno, questo gioco che lei vuole io mi sento sinceramente di sconsigliarglielo, sa? In fin dei conti sono paletti, quelli che lei cerca. E non mi dica che si tratta di un'attività educativa o interessante, giocare coi paletti! Mi sbaglio? Non soddisfa nemmeno quella che è l'esigenza vera di ogni bambino: sentirsi accettato, essere il leader della classe, ricevere le visite dei suoi amichetti perché è l'unico a possedere qualcosa di davvero esclusivo. Dico bene o ho ragione? E che dire poi del pericolo che uno stecchino finito in un posto sbagliato possa rappresentare per un fanciullo piccolo come il suo! La salute prima di tutto, signora. La salute! E, subito dopo, il diritto dell'infanzia all'evasione, all'insersione sociale, ad una vita piena, appagata, felice! O no? Signora... Come la posso chiamare?». «Alice» rispose lei «mi chiamo Alice». «Ecco, appunto, lei mi capisce, vedo, Alice. E poi lo sa che c'è?» continuò il ragazzo con fare pacato «la questione è che qui siamo a LaRinascente, e quello che ne LaRinascente non c'è, lei lo sa bene, o non esiste o, se anche esistesse, lei non lo vuole...».
    Alice rimase immobile a guardare gli occhi neri del commesso, che in quel momento la fissavano in modo ipnotico. Ascoltò il suono flemmatico di quella voce d'oltre-mondo che la accarezzava e poi si ritrovò a dire come un automa: «Forse ha ragione. È un gioco troppo stupido e troppo vecchio». Poi continuò, lo sguardo fisso su quegli occhi neri: «Non piacerebbe ai bambini di oggi, e nemmeno a Sergio, a pensarci bene». Quindi concluse senza minimamente cambiare di tono: «A scuola lo prenderebbero tutti in giro se raccontasse che questo è stato il suo regalo di Natale». «Ha mica per caso un giocattolo che si chiama come il verso di un maiale?». Dalla bocca le uscirono queste parole.


    calma e sangue :lol: :B): freddo..
     
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  14. gheagabry
     
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    Lo scarica barile


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    Si formavano due quadre con un uguale numero di concorrenti. I componenti di una delle due squadre si disponevano tutti con la schiena curvata e con la testa sotto l'ascella del disegno-scarica-barilecompagno che li precedeva, tranne il primo della fila che, in posizione eretta, appoggiato a un palo, a un albero, o a un muro, funzionava da sostegno per i compagni stessi. La squadra così disposta formava una base di appoggio per gli avversari. Questi uno alla volta, dopo una buona rincorsa e con un balzo in avanti, dovevano cercare di sistemarsi tutti sulle spalle dei malcapitati avversari. Quando i giocatori erano ben sistemati dovevano esistere nella posizione per un periodo di tempo determinato, se qualcuno dei giocatori che si trovava sopra le spalle degli avversari perdeva l’equilibrio e cadeva, i ruoli venivano invertiti. Naturalmente le persone piegate cercavano in tutti i modi di fare scivolare quelle che stavano loro addosso.

     
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  15. gheagabry
     
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    Il Going


    going


    Il Going consisteva in due corde lunghe 6/8 metri con una maniglia su ogni estremità, all’interno delle quali scorreva una palla ovale di plastica. Si giocava in due, ognuno impugnava una maniglia per mano e, aprendo velocemente le braccia, sparava la palla all’avversario, il quale doveva a sua volta aprire le braccia prima che la palla toccasse le sue maniglie per rispedirla verso di noi.

    Era un gioco molto fisico e tipicamente estivo che ha contribuito all’ampliamento del torace di numerosi bambini.
    tumblr_lon8f0jPPq1qzw5hk
    Dopo il successo della versione normale – tipicamente di colore verde splendente – ne usci una versione ‘in miniatura’ adatta all’uso invernale in interni che veniva giocata da una persona sola utilizzando indice e medio di ogni man per tenere le maniglie; da una versione ‘Junior’ per i bambini e da una strana versione che al posto della palla ovale aveva un aereo.

     
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63 replies since 28/7/2012, 19:12   4265 views
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