ASTRONOMI... da GALILEO GALILEI a MARGHERITA HACK

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    « La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne' quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto. »
    (Galileo Galilei, Il Saggiatore, Cap. VI)



    GALILEO GALILEI




    Il 21 agosto 1609 Galileo Galilei rivoluzionò il mondo dell’astronomia: presentò al governo veneziano il suo cannocchiale. Ebbe il merito del perfezionamento e del primo uso astronomico delle lenti, che furono costruite nel 1607 da occhialai olandesi.
    Per la costruzione del suo telescopio, Galileo usò le sue mani: levigò le lenti, le combinò in modo congeniale, assemblò i vari pezzi. Costruì un tubo in legno, con due lenti di vetro alle estremità, una concava e l’altra convessa, il tutto accorpato con vari accessori. Unì quindi la consapevolezza del legame tra i suoi strumenti e il metodo scientifico, alla sua eccezionale abilità nel progettarli e costruirli. Con il risultato di riuscire a moltiplicare il potere d’ingrandimento del suo telescopio da 3x (tre ingrandimenti), fino a 8x, raggiungendo poi i 20-30 ingrandimenti. Le lenti olandesi si trasformarono a tutti gli effetti nel telescopio galileiano.
    Tramite il suo genio, fu possibile quindi osservare per la prima volta il cosmo, con uno strumento ben più potente e “scientifico” dell’occhio nudo. Diresse il suo strumento verso il cielo e la prima cosa che osservò fu la Luna, che non si rivelò liscia come si riteneva fosse fino ad allora, ma individuò le sue montagne e crateri.
    Notò le regioni chiare e quelle scure, e ottenne le prime informazioni sui moti lunari. Osservò le fasi di Venere e le macchie solari, osservò Saturno ma senza distinguere gli anelli, che scambiò per rigonfiamenti del pianeta stesso, pensando quindi che fosse un pianeta “tricorporeo”.




    Scoprì la costituzione stellare della Via Lattea, con i suoi ammassi di stelle e corpi celesti, individuò i quattro maggiori satelliti di Giove (Io, Europa, Ganimede, Callisto) che chiamò “satelliti medicei”, per rendere omaggio alla famiglia dei Medici. La scoperta di questi elementi confutavano la tesi che tutti i pianeti girassero intorno alla Terra, confermando invece la teoria eliocentrica di Niccolò Copernico, a discapito di quella geocentrica di Aristotele, che sosteneva erroneamente l’esistenza di un universo con la Terra posta al centro.
    Galileo battezzò il suo cannocchiale “Telescopio” (dal greco tele = “lontano” e skopeo = “osservo”) e le sue scoperte furono pubblicate il 12 marzo 1610 nel Sidereus Nuncius.
    Unì scienza e tecnica, mostrando la prima applicazione del telescopio rifrattore, in cui l’immagine viene focalizzata attraverso l’utilizzo di lenti magistralmente assemblate.

    Grazie a Galileo, in 400 anni la visione dell’universo si è completamente rivoluzionata. I due soli telescopi di Galileo esistenti al mondo sono attualmente conservati presso il Museo Galileo – Museo di Storia delle Scienze di Firenze.

    Disse Galileo:
    “Io stimo più il trovar un vero, benché di cosa leggiera, che ‘l disputar lungamente delle massime questioni senza conseguir verità nissuna”.

    Un altro esempio nella storia dell’umanità di un uomo alla ricerca della verità, che cerca una spiegazione a ciò che osserviamo, senza credere ciecamente alle teorie di chi, per ignoranza, nega qualsiasi verità che non sia “conforme” ad alcuni preconcetti.
    (Gloria Scott, biografieonline)




    Galileo Galilei nacque il 15 febbraio 1564 a Pisa, primogenito dei sette figli di Vincenzo Galilei e di Giulia Ammannati. Gli Ammannati, originari delle terre di Pistoia e di Pescia, vantavano origini prestigiose: un Tommaso Ammannati (ca 1345 - 1396), fu fatto cardinale da Clemente VII nel 1385, mentre il fratello Bonifazio (ca 1350 - 1399) ottenne la porpora nel 1397 da uno dei successori di Clemente, l'antipapa Benedetto XIII; quanto a Giacomo Ammannati Piccolomini (1422 - 1479), cardinale dal 1477, fu umanista, continuatore dei Commentarii di Pio II e autore di una Vita dei papi che è andata perduta.

    Si comprende come Giulia Ammannati non mancasse di far rilevare la disparità di origini a Vincenzo, per quanto gli antenati del marito fossero appartenuti alla buona borghesia fiorentina: si ricorda un Tommaso Bonaiuti, che fece parte del governo di Firenze dopo la cacciata del Duca di Atene nel 1343, e un Galileo Bonaiuti (1370 - ca 1450), medico noto al suo tempo e gonfaloniere di giustizia, il cui sepolcro nella Basilica di Santa Croce divenne la tomba dei suoi discendenti; a partire da Galileo Bonaiuti il cognome della famiglia cambiò in Galilei. Però Vincenzo era nato a Santa Maria a Monte nel 1520, quando ormai la sua famiglia era decaduta ed egli, musicista di valore, dovette trasferirsi a Pisa unendo, per necessità di maggiori guadagni, all'esercizio dell'arte della musica la professione del commercio. Il 9 luglio 1563 Vincenzo prende in locazione una casa in Via dei Mercanti a Pisa da Giuseppe Bocca mentre, tra coloro con cui era in affari, spicca il nome del patrizio pisano Iacopo della Seta, membro dell'Accademia degli Svegliati. Liutista, insegnante e teorico musicale - aveva fatto parte della Camerata fiorentina dei Bardi - era entrato in conflitto con la tradizione classica sostenuta dal suo maestro Zarlino, che attribuiva la consonanza tra tutti i suoni al controllo delle proporzioni numeriche e, con il suo Discorso intorno all'Opera di Messer Gioseffo Zarlino da Chioggia e il Dialogo della musica antica e della moderna, aveva proposto di ritornare alla melodia monodica contro l'imperante polifonia contrappuntistica.
    Degli altri sei figli di Vincenzo e di Giulia, sono rimaste alcune notizie di Pietro Paolo, di Virginia, nata nel 1573, di Michelangelo, nato nel 1575, e di Livia, nata nel 1578, come il fratello Michelangelo, a Firenze, dove la famiglia Galilei era ritornata nel 1574. Il giovane Galileo fece i suoi primi studi a Pisa sotto Muzio Tedaldi, doganiere della città, e a Firenze, prima col padre, poi con un maestro di dialettica e infine nella scuola del convento di Santa Maria di Vallombrosa, dove vestì l'abito di novizio fino all'età di quattordici anni. Vincenzo, il 5 settembre 1581, iscrisse il figlio all'Università di Pisa con l'intenzione di fargli studiare medicina, come a volere che Galileo ripercorresse la tradizione del suo glorioso antenato e soprattutto intraprendesse una carriera che poteva riservare lucrosi guadagni; nonostante il suo interesse per i progressi sperimentali di quegli anni, l'attenzione di Galileo fu presto attratta dalla matematica, che cominciò a studiare dall'estate del 1583, sfruttando l'occasione della conoscenza fatta a Firenze di Ostilio Ricci da Fermo, un seguace della scuola matematica di Niccolò Tartaglia. Caratteristica del Ricci era l'impostazione che egli dava all'insegnamento della matematica: non di una scienza astratta, ma di una scienza che servisse a risolvere i problemi pratici legati alla meccanica e alle tecniche ingegneristiche. È probabile che a Pisa Galileo abbia seguito anche i corsi di fisica tenuti dall'aristotelico Francesco Bonamico: lo testimonierebbe la coincidenza di argomentazioni esistente tra gli Juvenilia, gli appunti di fisica abbozzati da Galileo in questo periodo, e i dieci libri del De motu del Bonamico.
    Durante la sua permanenza a Pisa, protrattasi fino al 1585, Galileo arrivò alla sua prima, personale scoperta, l'isocronismo delle oscillazioni del pendolo. Fu così che, dopo quattro anni, il giovane Galileo rinunciò a proseguire gli studi di medicina a Pisa e andò a Firenze, dove approfondì i suoi nuovi interessi scientifici, occupandosi di meccanica e di idraulica; nel 1586 inventò uno strumento per la determinazione idrostatica della densità dei corpi: ne descrive i dettagli nel breve trattato La bilancetta, circolato prima fra i suoi conoscenti e pubblicato postumo nel 1644. L'influsso di Archimede e dell'insegnamento del Ricci si rileva anche nei suoi studi sul centro di gravità dei solidi, espressi nel Theoremata circa centrum gravitatis solidorum, pubblicato solo nel 1638 in appendice ai Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, e trovò una soluzione al problema della corona di Erone.

    Galileo cercava intanto una regolare sistemazione economica: oltre a impartire lezioni private di matematica a Firenze e a Siena, nel 1587 andò a Roma a richiedere una raccomandazione per entrare nello Studio di Bologna al famoso matematico Christoph Clavius, ma inutilmente, perché a Bologna gli preferirono alla cattedra di matematica il padovano Giovanni Antonio Magini. Su invito dell'Accademia Fiorentina tenne nel 1588 due Lezioni circa la figura, sito e grandezza dell'Inferno di Dante, difendendo le ipotesi già formulate da Antonio Manetti sulla topografia dell'Inferno immaginato da Dante finché, nel 1589, raccomandato dal cardinale Francesco Maria Del Monte, fratello del matematico Guidobaldo, ottenne dal granduca Ferdinando I un contratto triennale per tenere la cattedra di matematica nello Studio di Pisa.
    Frutto dell'insegnamento pisano è il manoscritto De motu antiquiora, che raccoglie una serie di lezioni nelle quali egli cerca di dar conto del problema del movimento. Base delle sue ricerche è il trattato, pubblicato a Torino nel 1585, Diversarum speculationum mathematicarum liber di Giovanni Battista Benedetti, uno dei fisici sostenitori della teoria dell’«impeto» come causa del «moto violento». Benché non si sapesse definire la natura di un tale impeto impresso ai corpi, questa teoria, elaborata per la prima volta nel VI secolo da Giovanni Filopono e poi sostenuta dai fisici parigini, pur non essendo in grado di risolvere il problema, si opponeva alla tradizionale spiegazione aristotelica del movimento come prodotto del mezzo nel quale i corpi stessi si muovono.

    A Pisa Galileo non si limitò alle sole occupazioni scientifiche: risalgono infatti a questo periodo le sue Considerazioni sul Tasso che avranno un seguito con le Postille all'Ariosto: si tratta di note sparse su fogli e annotazioni a margine nelle pagine dei suoi volumi della Gerusalemme e dell'Orlando furioso dove, mentre rimprovera al Tasso «la scarsezza della fantasia e la monotonia lenta dell'immagine e del verso, ciò che ama nell'Ariosto non è solo lo svariare dei bei sogni, il mutar rapido delle situazioni, la viva elasticità del ritmo, ma l'equilibrio armonico di questo, la coerenza dell'immagine l'unità organica - pur nella varietà - del fantasma poetico».

    Nell'estate del 1591 il padre Vincenzo morì, lasciando a Galileo l'onere di mantenere tutta la famiglia: per il matrimonio della sorella Virginia, sposatasi quello stesso anno, Galileo dovette provvedere alla dote, contraendo dei debiti, così come dovrà fare per le nozze della sorella Livia nel 1601 e altri denari dovrà spendere per soccorrere le necessità della numerosa famiglia del fratello Michelangelo. Non bastando il modesto stipendio di sessanta scudi all'anno, e nell'imminenza della scadenza del suo contratto, Galileo si rivolse nuovamente all'influente amico Guidobaldo Del Monte che lo raccomandò al prestigioso Studio di Padova, dove era ancora vacante la cattedra di matematica dopo la morte, nel 1588, del professore Giuseppe Moleti.
    Il 26 settembre 1592 le autorità della Repubblica di Venezia emanarono il decreto di nomina, con un contratto, prorogabile, di quattro anni e con uno stipendio di 180 fiorini l'anno. Il 7 dicembre Galileo tenne a Padova il discorso introduttivo e dopo pochi giorni iniziò un corso destinato ad avere un grande seguito presso gli studenti. Vi resterà per 18 anni, che definirà «li diciotto anni migliori di tutta la mia età».

    Galileo aveva tenuto a Padova lezioni di meccanica dal 1598: il suo Trattato di meccaniche, stampato a Parigi nel 1634, dovrebbe essere il risultato dei suoi corsi, che avevano avuto origine dalle Questioni meccaniche di Aristotele. Diversamente dal filosofo greco, per il quale esistono due moti «naturali», cioè spontanei, dipendenti dalla sostanza dei corpi, uno diretto verso il basso, tipico dei corpi di terra e d'acqua, e uno verso l'alto, tipico dei corpi d'aria e di fuoco, per Galileo qualunque corpo tende a cadere verso il basso, nella direzione del centro della Terra. Se vi sono corpi che salgono verso l'alto è perché il mezzo nel quale si trovano, avendo una densità maggiore, li spinge in alto, secondo il noto principio già espresso da Archimede: la legge sulla caduta dei gravi di Galileo, prescindendo dal mezzo, è pertanto valida per tutti i corpi, qualunque sia la loro natura.
    Nello Studio di Padova Galileo attrezzò, con l'aiuto di Marcantonio Mazzoleni, un artigiano che abitava nella sua stessa casa, una piccola officina nella quale eseguiva esperimenti e fabbricava strumenti che vendeva per arrotondare lo stipendio. È del 1593 la macchina per portare l'acqua a livelli più alti, per la quale ottenne dal Senato veneto un brevetto ventennale per la sua utilizzazione pubblica. Dava anche lezioni private - suoi allievi furono, tra gli altri, Vincenzo Gonzaga, il principe d'Alsazia Giovanni Federico, i futuri cardinali Guido Bentivoglio e Federico Cornaro - e ottenne aumenti di stipendio: dai 320 fiorini percepiti annualmente nel 1598, passò ai 1.000 ottenuti nel 1609.
     
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  2. gheagabry
     
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    "..tu galileo fosti denunciato nel 1615 che tenevi, come era falsa dottrina, che il Sole sia al centro del mondo et immobile...parendo a noi che non avessi detto interamente la verità giudicammo necessario venir contro di te...dichiariamo che tu Galileo ti sei reso veementemente sospetto d'eresia......ti condanniamo al carcere in questo Sant'Officio; e per penitenze salutari ti imponiamo che per tre anni a venire dichi una volta alla settimana li sette salmi penitenziali."
    (dalla sentenza del Tribunale ecclesiastico)




    GALILEO ed il processo



    Tre cose ossessionavano papa Urbano VIII: la dignità e il prestigio della Santa Sede (che vedeva come tutt'uno con la sua persona), l'accrescimento della propria famiglia e l'odio verso gli Asburgo. Se non si tiene conto di questi fattori e delle loro conseguenze concatenate, il processo di Galileo Galilei, svoltosi nel 1633, rischia di diventare semplicemente uno scontro tra la libertà di pensiero e l'oscurantismo religioso, percezione, questa, ampiamente diffusa. E' quindi paradossale che la condanna dello scienziato fiorentino sia avvenuta anche nel nome della verità scientifica e non contro di essa. In effetti, l'intera vicenda assomiglia molto ad una commedia degli errori. Più che l'oscurantismo religioso, Galileo divenne vittima di uno scontro politico, in cui il carattere polemico dell'astronomo non fece che aggravare la situazione. Per molti versi, Galileo se l'andò a cercare. Le sue teorie sul moto dei pianeti intorno al sole erano, appunto, teorie e le prove che adduceva per dimostrarle, come il moto delle maree, erano piuttosto labili e in seguito dimostrate erronee. Va ricordato che tra gli scienziati europei ben pochi erano coloro che sostenevano il sistema copernicano dell'eliocentrismo, la maggioranza era convinta della validità del modello tolemaico del geocentrismo, sia a causa dei canoni empirici aristotelici, sia perché non pareva in contraddizione con le Sacre Scritture. Visto che l'eliocentrismo sarebbe stato provato con assoluta certezza solo nel XIX secolo, Galileo avrebbe fatto meglio a presentare le sue affermazioni come ipotesi e ancor più dopo la messa all'Indice, nel 1616, degli scritti di Copernico; non in toto, si badi bene, e non in quanto eretici, ma perché l'eliocentrismo era in contrasto con certi passi della Bibbia e quindi poteva confondere le menti non sufficiente istruite.

    Galileo avrebbe dovuto capire l'andazzo, visto che proprio nel 1616 il cardinale Roberto Bellarmino, prefetto del Sant' Uffizio e futuro santo, lo aveva ammonito di non divulgare la teoria eliocentrica, né a parole né per iscritto, in quanto "contraria alle Sacre Scritture e per ciò non si possa difendere né tenere". In altre parole, l'eliocentrismo per essere accettato doveva per forza passare da una reinterpretazione dei testi biblici, cosa non impossibile, ma che necessitava di prove scientifiche all'epoca non disponibili. Se Galileo fosse stato furbo, avrebbe sfruttato le "molte utili cose" che la Congregazione dell'Indice aveva riconosciuto agli scritti di Copernico per portare avanti la propria tesi: un eliocentrismo di fatto presentato sotto la veste d'ipotesi matematiche avrebbe messo lo scienziato in una botte di ferro. Purtroppo per lui, preferì entrare nel campo della speculazione filosofica e teologica, entrambi terreni minati in cui non era capace di muoversi. Oltretutto, Galileo aveva l'innata capacità di farsi nemici, vista la sua abitudine di trattare da insipienti tutti coloro che dissentivano dalle sue idee. Per qualche anno, comunque mantenne una posizione defilata finchè una serie di circostanze non lo spinsero a credere che fosse arrivato il momento di ricominciare a sostenere le teorie copernicane. Lo scienziato, d'altra parte, non aveva il dono della modestia e l'elezione nel 1623 del suo amico Maffeo Barberini al soglio pontificio col nome di Urbano VIII lo convinse che nessuno avrebbe osato ostacolarlo. Ma un conto era avere a che fare con il cardinal Barberini e un altro con papa Urbano. Come se non bastasse avere contro la comunità scientifica aristotelica, Galileo Galilei riuscì anche a rendersi inviso ai potentissimi Gesuiti, al punto che lo scienziato fiorentino avrebbe, erroneamente, attribuito a essi le future disgrazie, benché la mentalità speculativa e razionale di quest'ultimi avrebbe potuto renderli alleati nella sua battaglia astronomica. Uno dei bersagli fu il mite padre Orazio Grassi, che Galileo attaccò con feroce sarcasmo solo perché il gesuita aveva dissentito con lui (senza mai nominarlo) riguardo la natura delle comete, liquidate dallo scienziato fiorentino come fenomeni atmosferici. Il fatto che uno degli scritti di Galileo contro Grassi, il celebre Saggiatore, incontrasse l'apprezzamento di Urbano VIII, portò il nostro a credere che una sua presa di posizione più smaccatamente copernicana avrebbe trovato il pontefice egualmente ben disposto.

    Il risultato di tale convincimento fu il "Dialogo sopra i due Massimi Sistemi del Mondo", scritto tra il 1624 e il 1630 e uscito dai torchi nel febbraio del 1632. Come da prassi, Galileo aveva ottenuto l'imprimatur alla pubblicazione da parte del Maestro del Sacro Palazzo, Niccolò Riccardi, il quale, tuttavia, non si era peritato di leggere neppure le poche pagine del manoscritto originale, la prefazione e la conclusione, che gli erano stati spediti in visione, la pestilenza che imperversava in tutta Italia avevano infatti impedito la spedizione dello scritto completo. Il Riccardi, in sostanza, si limitò a chiedere che nel testo il copernicanesimo venisse presentato semplicemente come un utile strumento per le osservazioni astronomiche e che fossero ribaditi i principi, assai cari al pontefice, sulla natura della scienza e i suoi limiti nel comprendere il disegno divino nella creazione dell'universo. Galileo si dimostrò più che contento di ottemperare; anche troppo, a dire il vero. Il "Dialogo" è strutturato come un colloquio a tre, protagonisti del quale sono il fiorentino Filippo Salviati, il veneziano Giovanni Sagredo e un immaginario professore aristotelico di nome Simplicio, un ottuso assertore del geocentrismo che dall'inizio alfine viene strapazzato dagli altri interlocutori.

    Dato che Simplicio sostiene argomenti notoriamente usati da Urbano VIII, come il libro iniziò a circolare si sparse la voce che il filosofastro fosse una caricatura del Pontefice. Vero o falso, Urbano si sentì tradito da Galileo, che aveva sempre ritenuto suo amico, e oltretutto l'impianto del "Dialogo" risultava una smaccata apologia dell'eliocentrismo copernicano. Il papa avrebbe potuto limitarsi, come fu suggerito, a una condanna di quelle parti del libro non conformi alla dottrina, salvando il resto. Ma Urbano era deciso a dimostrare la propria determinazione e non solo per ragioni di fede: nel marzo1632 il cardinal Gaspar Borgia, rappresentante del re di Spagna Filippo IV d'Asburgo, lo attaccò in pieno concistoro, in poche parole accusandolo di favorire i protestanti a scapito dei cattolici. Inoltre nello stesso periodo erano forti le tensioni tra Firenze e il papato sulla questione del ducato di Urbino, che il papa aveva incamerato contro le legittime pretese dinastiche dei Medici; tra l'altro, il granduca Ferdinando II de' Medici era anche alleato agli spagnoli e aveva inviato un proprio contingente militare in aiuto all'imperatore Ferdinando II d'Asburgo, pressato dagli Svedesi in Germania.
    Urbano era deciso ad usare Galileo per dare una lezione agli Spagnoli e ai Fiorentini, al contempo chiudendo la bocca a chi lo accusava di non difendere la fede cattolica. In tal modo, faceva indirettamente un favore ai Francesi, da sempre nemici degli Asburgo, e ai protestanti svedesi e tedeschi loro alleati, i seguaci della Riforma accusando da sempre la Chiesa di tradire i testi biblici. Del resto, l'eliocentrismo aveva tutta una serie di implicazioni collateralio: se la dottrina basata su una certa interpretazione delle scritture era erronea, anche altri dogmi della fede potevano essere messi in discussione. Questo il papa non poteva permetterlo e, tra l'altro si era convinto che Galileo avesse imbrogliato per ottenere l'imprimatur al "Dialogo". Da qui l'ordine che lo scienziato si presentasse a Roma per rispondere delle proprie azioni dinanzi alle autorità competenti. Galileo cercò in tutti i modo di rimandare la partenza adducendo motivi di salute e solo la minaccia di essere trascinato a Roma in catene lo convinse a muoversi nel gennaio 1633.

    Ferdinando II de' Medici è stato accusato d'ignavia per essersi fatto mettere i piedi in testa da Roma, ma in realtà il granduca potè fare poco oltre che cercare di dilazionare la partenza del suo matematico: qualche tempo addietro, Galileo aveva preso gli ordini minori per poter godere delle prebende di due canonicati e pertanto come chierico era sottoposto alla giurisdizione ecclesiastica. Detto ciò, non è da escludersi che il Primo Segretario toscano Andrea Cioli abbia fatto l'amico del giaguaro: il Cioli era nel libro paga del cardinale Francesco Barberini, nipote del papa, ed era stato quello che aveva convinto il Medici a non arrivare allo scontro fisico con il papa sulla questione di Urbino.

    Galileo arrivò a Roma il 13 febbraio, in buona salute nonostante le sue affermazioni precedenti e il lungo, penoso viaggio. In contrasto con le pratiche in uso all'epoca, lo scienziato fu trattato con guanti che è poco definire bianchi: invece che in prigione gli fu permesso di alloggiare presso l'ambasciata toscana e anche nella fase cruciale del processo fu ospitato in un appartamento creato per lui nel palazzo dell'Inquisitore.
    Tuttavia, lo scienziato dovette aspettare due mesi prima di essere processato, il procedimento giudiziario necessitava dei suoi tempi. Ma il sistema inquisitorio prevedeva che l'assoluzione o meno dell'imputato avvenisse in fase investigativa, per cui se l'Inquisizione sottoponeva qualcuno a giudizio, la condanna era certa. Naturalmente ciò riguardava i fatti, perché l'accertamento delle intenzioni poteva avvenire solo dopo l'interrogazione dell'imputato. Durante gli interrogatori a cui fu sottoposto tra aprile e giugno, Galileo giocò molto male le sue carte. Tre teologi avevano esaminato il "Dialogo" e concluso che era un'inequivocabile difesa dell'eliocentrismo. Ma il punto cruciale di tutto il procedimento non fu tanto il "dialogo" come tale, quanto stabilire se lo scienziato fiorentino avesse scientemente ignorato l'ammonizione del 1616 di non divulgare in alcun modo le teoria copernicane. Qui stava il problema, visto che il documento con l'ammonizione (che non fu mai mostrato a Galileo) era un memorandum senza firme e sigilli, per cui legalmente inutile. Lo scienziato credette di aver fatto colpo quando produsse copia dell'attestato fattogli dal cardinal Bellarmino in cui veniva ordinato solo di non sostenere il copernicanesimo, Galileo non si rammentava se a voce gli fosse anche stato comandato di non divulgarlo. Fin qui la partita si era conclusa in pareggio, ma quando il commissario Vincenzo Maculano domandò allo scienziato se avesse chiesto il permesso di scrivere il "Dialogo" o informato il Riccardi della precedente ingiunzione, Galileo rispose che non l'aveva ritenuto necessario in quanto il suo libro provava "il contrario di detta opinione del Copernico, et che le ragioni di esso Copernico sono invalidate e non concludenti". I membri del tribunale intesero che Galileo volesse distorcere i fatti ammettendo di aver violato intenzionalmente l'ingiunzione del 1616. Galileo era chiaramente colpevole, ma adesso cosa fare di lui . era un problema. Il commissario Maculano e lo stesso pontefice si rendevano conto che senza un'ammissione di colpa da parte dell'imputato, la vittoria morale sarebbe stata sua e usare le maniere forti per estorcere una confessione avrebbe potuto essere controproducente dal punto di vista politico, considerati i numerosi ed influenti amici dello scienziato, addirittura in sede alla commissione cardinalizia creata per giudicarlo. Ma il Maculano aveva capito che Galileo non era esattamente un cuor di leone e, con l'approvazione dei superiori, ebbe un incontro privato con lo scienziato per convincerlo ad ammettere le proprie responsabilità. Galileo inizialmente sembrava ben disposto a ottemperare, ma nel corso dei successivi interrogatori propose di aggiungere delle parti al "Dialogo" che sostenessero il geocentrismo e ribadendo che nello stesso aveva semplicemente esposto gli argomenti a favore e contro il sistema copernicano. Era una bugia, come lui stesso sapeva bene, e i commissari persero la pazienza minacciandolo di torture se non avesse acconsentito a fare ammenda e abiura. Questa era la prassi in tutti tribunali dell'epoca, anche quelli civili, e nel caso di Galileo è dubbio che dalle parole si sarebbe passato ai fatti. Ma la prospettiva dei tormenti fu sufficiente a far piegare la testa allo scienziato. Il 22 giugno Galileo fece solenne confessione e abiura dei propri errori di fronte al tribunale completo, meno i cardinali Borgia, Zacchia e Francesco Barberini, un'assenza spiegabile dall'opportunità politica come da personali sentimenti d'amicizia. Lo scienziato fu condannato agli arresti domiciliari e alla recita di certe preghiere penitenziali, pena piuttosto mite...L'eliocentrismo che lo aveva cacciato nei guai si sarebbe in seguito dimostrato esatto, ma all'epoca nessuno poteva saperlo..probabilmente nemmeno Galileo.

    (tratto da "civiltà" luglio 2012)
     
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  3. gheagabry
     
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    Il compito della scienza è cercare di capire quali siano le leggi che regolano l’universo, la nostra vita, i nostri pianeti, senza ricorrere a Dio. Ricorrendo a Dio non c’è più bisogno di scienza. È come se Dio ci desse da fare le parole crociate, tanto poi se non si fanno, spiega tutto lui. Il compito della scienza è proprio quello di fare a meno di Dio. Cercare di capire con la propria ragione.(2007)




    MARGHERITA HACK



    Nella notte tra venerdì 28 e sabato 29 giugno è morta a 91 anni l’astrofisica Margherita Hack, conosciuta soprattutto per i suoi lavori di divulgazione scientifica sullo Spazio e su come funzionano le stelle, e per il suo impegno civile. Hack era nata a Firenze il 12 giugno del 1922 e si era laureata in fisica nel 1945, negli anni della Seconda guerra mondiale.




    Dal 1964 al 1992 è stata professoressa ordinaria di astronomia all’università di Trieste, ed è stata la prima donna a dirigere un osservatorio astronomico in Italia, sempre a Trieste, dal 1964 al 1987. Grazie al suo lavoro e alle numerose ricerche pubblicate, in quegli anni l’Osservatorio ottenne una notevole rilevanza nella comunità scientifica internazionale.
    Hack si era specializzata nella classificazione delle stelle sulla base del loro spettro, cioè delle loro emissioni luminose e di radiazioni. Molti dei suoi studi erano inoltre dedicati all’analisi dei sistemi binari, cioè quei sistemi stellari in cui ci sono due stelle che orbitano intorno a un centro di massa comune. I sistemi binari sono molto comuni nell’Universo, e il loro studio può dare importanti informazioni per comprendere come funzionano i corpi celesti dentro le loro orbite.
    Oltre alle decine di studi pubblicati sulle principali riviste scientifiche di astronomia e astrofisica, Hack scrisse numerosi libri di divulgazione scientifica con cui divenne molto famosa e conosciuta. Aveva la capacità di spiegare con parole semplici argomenti molto complessi, senza rendere semplicistiche le sue spiegazioni. E si faceva intervistare sempre volentieri quando c’era la possibilità di rendere più comprensibile e accessibile una scoperta scientifica. Circa un anno fa, per esempio, spiegò efficacemente in poche parole sul Sole 24 Ore in che cosa consistesse la probabile scoperta del bosone di Higgs.



    Questa é la conferma della teoria di Peter Higgs, una teoria che spiega molto bene i fenomeni che si osservano e gli esperimenti che si fanno con le particelle e che ipotizza la necessità che esista una particella molto più pesante del protone (appunto il bosone di Higgs) in grado di spiegare come tutte le altre particelle vengono create, cioè si formano e prendono massa. Questo bosone sembrava fantomatico. Ci sono stati molti anni di ricerca senza riuscire a scovarlo. Ora sembra certo che esista e quindi la teoria sarebbe confermata

    Margherita Hack è stata spesso ospite in trasmissioni televisive e ha collaborato a lungo con il giornalista scientifico Piero Angela. Divenne molto popolare nel 1998 quando partecipò alla trasmissione di Angela “Viaggio nel Cosmo”, dedicata allo Spazio e alle esplorazioni di nuovi pianeti. Interveniva in studio insieme con altri astrofisici e partecipava anche a qualche spericolato esperimento.



    Fu tra i fondatori del CICAP e si è sempre dichiarata scettica verso ogni forma di fenomeno soprannaturale. Nel 2011, dopo l’incidente alla centrale nucleare di Fukushima in Giappone, dichiarò di essere favorevole all’energia nucleare. Fu anche anche tra i primi firmatari di una lettera con cui si chiedeva all’allora segretario del PD Pierluigi Bersani di riconsiderare la sua posizione sul nucleare.
    Nel 1995 un asteroide della fascia principale è stato battezzato 8558 Hack in suo onore. Era vegetariana e sulla sua scelta scrisse anche un libro, Perché sono vegetariana.
    È stata molto attiva nella società civile e in politica. Alle ultime elezioni è stata candidata con la lista Democrazia Atea come capolista alla Camera nella circoscrizione del Veneto. Alle primarie del centrosinistra aveva appoggiato Nichi Vendola. Nel 2006 venne eletta alla Camera con i Comunisti Italiani, ma rinunciò al seggio. Era atea e ha spesso criticato la Chiesa cattolica.
    (ilpost.it)


     
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  4. gheagabry
     
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    Roberto Weigand


    “Tutta la materia di cui siamo fatti noi l’hanno costruita le stelle, tutti gli elementi dall’idrogeno all’uranio sono stati fatti nelle reazioni nucleari che avvengono nelle supernove, cioè queste stelle molto più grosse del Sole che alla fine della loro vita esplodono e sparpagliano nello spazio il risultato di tutte le reazioni nucleari avvenute al loro interno. Per cui noi siamo veramente figli delle stelle”

    — Margherita Hack -

     
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  5. gheagabry
     
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    La colpa di Eva è stata quella di voler conoscere, sperimentare,
    indagare con le proprie forze le leggi
    che regolano l'universo, la terra, il proprio corpo,
    di rifiutare l'insegnamento calato dall'alto,
    in una parola Eva rappresenta la curiosità della scienza
    contro la passiva accettazione ...

    (da Le mie favole Margherita Hack)

     
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4 replies since 24/7/2012, 20:50   1928 views
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