SABA o SAPA e VIN COTTO

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  1. gheagabry
     
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    Saba o sapa



    La saba o sapa è un condimento tipico di Emilia, Romagna, Marche e Sardegna, dove è considerata tra i sapori tipici dell'alimentazione contadina.

    È uno sciroppo d'uva che si ottiene dal mosto appena pronto, di uva bianca o rossa. La saba è detta infatti anche "mosto cotto", "vino cotto" o "miele d'uva" (allo stato attuale della normativa sull'etichettatura, è sconsigliabile mettere in commercio la Saba con il nome "miele d'uva). Il mosto viene immerso in un paiolo di rame insieme a mezza dozzina di noci con il guscio che, rivoltandosi nel lento bollire, aiutano il mosto a non attaccarsi al fondo del recipiente. La saba è pronta quando si sarà ridotta ad un terzo della sua quantità iniziale.

    Risulta molto dolce e si conserva benissimo proprio grazie al tenore zuccherino

    I termini "saba" e "sapa" derivano dal latino sàpa, che ha diretta affinità con il termine latino sàpor. Era, assieme al miele e agli altri possibili succhi di frutta ridotti tramite cottura, "lo zucchero" dei nostri antenati (anche perché non ancora esistente), perché di fatto veniva utilizzato come dolcificante che era, al contempo, tonico e ricco di energia.


    ...storia.....

    La scoperta del mosto cotto è di remota origine (latino “sapa”). Nella Grecia classica il vino ed i mosti si cuocevano e non venivano mai bevuti allo stato puro; venivano conservati in anfore di terracotta e impermeabilizzati con resina. Da qui l’uso di bere vini resinati, tra i quali erano noti quelli di Cipro, Rodi, Lesbo e Chio. La Sapa viene descritta anche da Plinio in Naturalis Historia quando esamina le proprietà terapeutiche dei vini e da Columella De re rustica. Ovidio nei Fasti cita la sapa: “… allora puoi ber dalla ciotola, come / da tazza, il bianco latte e la purpurea sapa”.
    La si usava per dolcificare in sostituzione del costoso e raffinato miele. In epoca romana se la concentrazione del mosto era di 2/3 del suo volume veniva chiamato “defrutum”; se del 50% “caroenum”; mentre se la concentrazione era di 1/3 o meno, veniva chiamata “sapa”. Apicio la usava in una salsa per accompagnare le polpette. La sapa si preparava anche con altri frutti come fichi, cotogne o altro. La “sapa” veniva impiegata per fare delle salse e con l’aggiunta della senape diventava una mostarda ( dal latino “mustum”) e divenendo poi ingrediente immancabile in moltissime ricette.
    Un prodotto che sopravvive ancora intatto in ogni casa di Sardegna dove viene chiamata “saba”. Ingrediente indispensabile per preparare numerosi dolci (pane de saba, tericcas, pabassinos) e i sanguinacci dolci.
    (Giovanni Fancello)

    I contadini erano solito utilizzare molto la saba, sia per i dolci casalinghi che per dare più sapore a piatti poveri come la polenta o per intingervi altre pietanze come lo gnocco fritto. Sembra anche che il mosto cotto potesse servire per "governare vini deboli", ovvero dare sapore, zucchero, colore a vini privi di queste caratteristiche. E l'utilizzo finale determinava anche l'uva da utilizzare, bianca, più dolce, come condimento e insaporitore dei piatti, rossa più scura di colore (in particolare l'ancellotta ) per dare colore al vino.

    «In casa mia mi sa meglio una rapa
    ch'io cuoca, e cotta s'un stecco me inforco,
    e mondo, e spargo poi di acetto e sapa,
    che all'altrui mensa tordo, starna o porco selvaggio»



    in questi famosissimi versi della Satira III, Ludovico Ariosto rivendica con forza la propria autonomia e indipendenza e nel contempo ci offre una sintetica, ma efficace, raffigurazione di alcuni elementi propri della cucina cinquecentesca.
    In particolare, il sostantivo femminile “sapa”, che è la continuazione del latino sapa, a sua volta da connettersi, probabilmente, con sapĕre «aver sapore» e sapĭdus «saporito», indica un particolare tipo di mosto, cotto e concentrato per ebollizione, già in uso presso gli antichi Romani come condimento.
    In verità, presso gli antichi Romani venivano prodotti e variamente consumati diversi tipi di mosti o vini cotti, fra quelli più frequentemente menzionati nelle fonti scritte si devono ricordare il caroenum, il defrutum e la sapa. Tutti e tre questi mosti venivano concentrati tramite ebollizione e si differenziavano a seconda della percentuale di acqua residua, secondo quanto descritto, per la sapa e il defrutum, in un documento di Varrone.
    (taccuini storici)


    ...la ricetta..



    Attualmente sono poche le aziende che commercializzano la sapa o saba. Esistono regole precise per la sua preparazione e sono le stesse regole presentate per la richiesta ufficiale per ottenere il riconoscimento di indicazione geografica protetta “saba dell’Emilia Romagna”. Il futuro disciplinare recita che la saba si ottiene con uve bianche o nere provenienti da zone igt, doc o docg e che il mosto utilizzato non deve avere iniziato la fermentazione, mentre, la bollitura deve durare circa 8 – 9 ore in un paiolo di rame dove si aggiungeranno delle noci intere con il solo scopo di mantenere il liquido in uno stato di continua “rottura” che, diversamente, addensandosi tenderebbe ad attaccarsi. Occorre procedere, inoltre, nelle operazioni di schiumatura e rimescolamento con un cucchiaio di legno per tutto il periodo di cottura. Solo quando il liquido si ridurrà di circa i 2/3 del totale messo a bollire potrà essere chiamato, appunto, saba. Dopo il raffreddamento naturale dalla saba appena nata è prevista anche una maturazione in botti di legno lasciate scolme per sei mesi circa. Se nell’antica Roma la saba si usava in sostituzione del miele per ammorbidire il gusto dei cibi e delle bevande ai giorni nostri questo sciroppo brunastro si usa per creare long drink e granite, per alleviare la calura estiva, per condire ceci, castagne e fagioli, per esaltare sapori di formaggi, insalate, macedonie ma anche per preparare dolci o intingere biscotti di ogni forma e preparazione.

    Ricetta tratta da "Ricette tradizionali emiliane e romagnole" a cura dell'Assessorato all'Agricoltura della Regione Emilia-Romagna.


    Per 8 porzioni, 700 g di saba

    2 litri di mosto di uva nera
    5 noci

    Mettere il mosto appena fatto in un paiolo di rame (puoi ottenerlo anche facendo bollire tu l'uva sgrappolata e filtrata in seguito) e, perché non si attacchi al fondo, unire le noci con il guscio dopo averle ben lavate.
    Porre il paiolo sul fuoco rimestando spesso con un cucchiaione di legno: la sapa sarà pronta quando si sarà ridotta a 1/3 della sua quantità iniziale.
    Lasciarla raffreddare, versarla in una bottiglia e sigillarla. Si conserva per un numero infinito di anni. Si adopera in genere come sciroppo, allungandola con acqua fredda, per ottenere una bibita o al centro delle palle di neve come granita, ma soprattutto sulla frutta cotta, sui dolci di carnevale e per preparare il "savor" utilizzato ad esempio nei tortelli di zucca.






    VINO COTTO



    Il vino cotto è un tipico prodotto enologico delle Marche e dell'Abruzzo. Viene vinificato soprattutto nelle zone collinari e pedecollinari delle province di Ascoli Piceno, Fermo, Ancona e Macerata ed è in particolare molto apprezzato quello del territorio del comune di Loro Piceno. Uguale denominazione ha il prodotto abruzzese, anch'esso riconosciuto come uno dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani riconosciuto dal ministero.
    Da non confondersi con il quasi omonimo vincotto, prodotto tipico pugliese, anch'esso derivato dal mosto, ma utilizzato esclusivamente come condimento ed assimilabile ad una sorta di aceto agrodolce.


    Mentre oggi la sapa è una rarità, il vino cotto è un tipico prodotto enologico di Marche e Abruzzo. Si vinifica soprattutto nelle zone collinari e pedecollinari delle province di Ascoli Piceno, Fermo e Macerata, ed in particolare viene molto apprezzato quello del territorio di Loro Piceno (MC). Uguale denominazione ha il prodotto abruzzese, anch'esso riconosciuto dal ministero come uno dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani.
    Questo particolare tipo di vino, che può ricordare nel sapore il più famoso vino passito, si ottiene da una tecnica tramandata attraverso i millenni fino ai giorni nostri, la cui ideazione deriverebbe dai Piceni (X secolo a.C.) o dai Greci (IV secolo a.C.).
    Era uso presso gli antichi romani degustare la bevanda al termine dei banchetti. Nella cultura contadina rappresentava una parte dei beni che ogni donna si portava in dote quando andava sposa, in quanto identificava un corroborante sia contro le fatiche nei campi che per massaggiare braccia e gambe dei bimbi al fine di farle sviluppare più forti.
    La tecnica della preparazione del vino cotto è molto precisa. Si utilizza l'uva dei vitigni locali quali il Maceratino, il Sangiovese, il Montepulciano, il Galloppa. Nella regione Marche, a differenza dell'Abruzzo, non essendo ancora riconosciuto un preciso disciplinare c'è chi durante questo processo aggiunge una mela cotogna ogni quintale di mosto, allo scopo di aromatizzare la bevanda.
    Evaporata l’acqua, il mosto concentrato sarà "rimboccato" in caratelli di rovere contenenti vino cotto degli anni precedenti. Sarà infatti il giusto dosaggio tra vino nuovo e vecchio, a genere durante un lungo e lento invecchiamento un’eccellente bevanda.
    (taccuini storici)

    Questo particolare tipo di vino, che può ricordare nel sapore il più famoso vino passito, si ottiene da una tecnica tradizionale che alcuni fanno derivare fin dagli antichi tempi dei Piceni (X secolo a.C.), che in questa zona vivevano, altri invece dai Greci (che si stanziarono ad Ancona nel IV secolo a.C.), una tecnica poi tramandata attraverso i millenni fino ai giorni nostri. I patrizi romani, gli imperatori e i papi degustavano questa bevanda al termine dei loro fastosi banchetti e fino a due secoli fa era molto commercializzato anche con altri paesi europei.
    Questo prodotto era ed è assolutamente presente in ogni cantina che si rispetti e rappresentava in passato parte della dote che ogni donna doveva portarsi una volta sposata; infatti la cultura contadina vedeva in questa bevanda un utile corroborante dalle fatiche giornaliere nei campi.
    Oggi è considerato un prodotto tipico del mondo dei campi delle zone citate, ma nonostante gli sforzi della popolazione per promuoverlo, esso rischia di scomparire in quanto nuove norme proibiscono di chiamare "vino" le bevande ottenute dal riscaldamento del mosto, che quindi non possono essere commercializzate (unica eccezione a questa legge è però il Marsala).
    Dal 2001 con un decreto ministeriale il vino cotto è entrato a far parte nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali delle Marche ed anche in quello dell'Abruzzo.
    La Confederazione Produttori Agricoli - Copagri di Macerata ha presentato un progetto per la valorizzazione di questo prodotto denominato "Il Cotto dei Piceni" . La presenza ad eventi a carattere internazionale quali Vinitaly di Verona, Salone del Gusto di Torino, Mia di Rimini ha contribuito a far conoscere il Vino Cotto ad appassionati ed estimatori.

    Vinificazione .. Viene utilizzata l'uva dei vitigni tipici delle zone citate, quali il Maceratino, il Sangiovese, il Montepulciano, il Galloppa.
    Una volta pigiata l'uva, il mosto ottenuto si mette in un caldaro (grossa pentola di rame), con l'avvertenza, tramandata dalla tradizione, di porvi una verga di ferro nudo per impedire al rame del caldaro di passare in soluzione. La verga di ferro si tiene fino a che il mosto non si sia scaldato. Nel caldaro il mosto viene cotto a fuoco vivo fino a quando l'evaporazione non porti il contenuto a ridursi di una quantità variabile tra un terzo e un mezzo di quella iniziale; la maggiore o minore concentrazione varia a seconda del grado zuccherino di partenza. Nelle Marche c'è chi durante la bollitura aggiunge una mela cotogna per ogni quintale di mosto, allo scopo di aromatizzare la bevanda. Non appena raffreddato, il mosto concentrato viene "rimboccato" in caratelli di rovere ove è lasciato fermentare.
    A fermentazione alcoolica avvenuta è trasferito in un contenitore in cui è già presente il vino cotto degli anni precedenti; molto importante sarà un suo lento e lungo invecchiamento evitando forti ossidazioni. È proprio questo il punto più delicato ed importante della vinificazione: in questa fase è necessario calcolare il giusto dosaggio fra il vino cotto nuovo con quello vecchio ed effettuare una spillatura accorta, per evitare problematiche ossidazioni. Eventuali errori in queste operazioni potrebbero impedire il formarsi del profumo fruttato caratteristico della bevanda.
    Non è infrequente che il mosto concentrato e non ancora fermentato venga "rimboccato" direttamente nel vino cotto vecchio, ma tale pratica è rischiosa e riservata ai più esperti, in quanto essa rischia di compromettere il giusto dosaggio tra nuovo e vecchio, e di provocare con la fermentazione il sommovimento dei depositi contenuti nel recipiente e il temporaneo intorbidimento della bevanda. Nelle Marche e nell'Abruzzo è stato riconosciuto un preciso disciplinare di preparazione del vino cotto.

    .....la ricetta.....


    Mettete del mosto di vino rosso, appena fatto, in una casseruola, ponete il recipiente sul fuoco e, appena il mosto inizia a bollire, abbassate la fiamma.

    Lasciate cuocere, mescolando spessissimo, sino a che nel recipiente sarà rimasto circa un terzo del liquido iniziale.

    Lasciatelo raffreddare, quindi versatelo in bottiglie da vino pulitissime, tappatele molto bene e conservatele. Il vino cotto si manterrà per moltissimi mesi, anche per qualche anno.




    Questo sciroppo d’uva veniva utilizzato anche nella fase di cottura di polpette che venivano fatte bollire immerse nel vino cotto insieme a foglie d'alloro. Nella tradizione contadina il vino cotto è poi stato considerato anche un prodotto quasi terapeutico. Le mamme, ad esempio, lo usavano per massaggiare la pelle dei neonati. Ma un bicchiere di 'cotto' andava bene per un po' tutti i malanni". Oggi anche viene utilizzato in campagna come rimedio contro l’influenza lo si beve caldo e aromatizzato con cannella, chiodi di garofano e scorza di limone.

    Ad Ischia il vino cotto viene ancora preparato secondo l’antica tradizione, è un prodotto usato soprattutto in campagna, nelle zone dove si compie la vendemmia. Per realizzarlo si usa il mosto appena fatto.
    Nelle antiche abitazioni rurali accanto al grande camino c’è sempre una grossa pentola di rame: qui le donne cuociono il mosto lentamente, mescolandolo con costanza ed attenzione. Quando è pronto lo imbottigliano.



    dal web

    Edited by gheagabry - 30/6/2012, 16:31
     
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