L'ITALIA ALLE OLIMPIADI

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    L'ITALIA ALLE OLIMPIADI




    Atene 1896



    La prima Olimpiade, così come alcune delle successive, si svolse diversamente dal giorno d'oggi. Innanzitutto erano ammessi solo i dilettanti, per cui parteciparono soprattutto studenti, marinai, impiegati e persone che praticavano lo sport come passatempo. Per questo motivo alcune figure restano nella leggenda e di loro non si ha traccia nelle successive Olimpiadi. L'appartenenza alle varie nazionalità era molto ambigua in quanto gli atleti si presentavano sotto l'effigie del proprio club sportivo o della propria università. A complicare il riconoscimento della bandiera nazionale sotto cui gareggiavano gli atleti si aggiunge poi la grande differenza tra il confine degli imperi del XIX secolo e la suddivisione politica attuale. Soprattutto per alcuni atleti greci esiste molta ambiguità nell'identificazione della loro nazionalità in quanto alcuni erano sicuramente di etnia greca ma provenivano da zone del Mediterraneo orientale politicamente non greche (che era parte dell'Impero Ottomano) come Cipro e l'Egitto, che erano protettorati britannici. Da ciò si comprende che la ricostruzione non sia sempre facile. La premiazione era totalmente differente da quella attuale: infatti solo il primo e il secondo atleta venivano premiati e annotati nelle cronache dell'epoca. Soprattutto l'attribuzione delle medaglie di bronzo sono molto incerte; le documentazioni non riportano sempre l'ordine di arrivo, ma spesso gli atleti piazzati dopo il secondo posto sono disposti tutti al terzo posto a pari merito. Le donne non potevano partecipare in quanto de Coubertin voleva rispettare la tradizione classica, tuttavia ci fu una competitrice non ufficiale alla maratona, una donna greca di umili origini conosciuta come Melpomene. Il nome reale era Stamati Revithi. Non le fu consentito di correre nella gara maschile, ma corse da sola il giorno successivo, tuttavia il giro finale fu completato all'esterno dello stadio in quanto le fu rifiutato di entrare all'interno. Nonostante questo gesto, non viene ricordata nei medaglieri ufficiali. È chiaramente documentata, al tempo della prima Olimpiade, la presenza tra i membri del CIO del conte Lucchesi Palli e del duca Carafa D'Andria, ma l'unico criterio che conta è la partecipazione di atleti. Sono quindi altre le ragioni per cui l'Italia è qui considerata tra i partecipanti. Sicuramente si presentò ad Atene il maratoneta Carlo Airoldi, di Origgio presso Saronno.




    È noto il fatto che si era recato ad Atene a piedi, impiegando 28 giorni, ma la sua iscrizione non venne accettata perché ritenuto dalla giuria un atleta "professionista" in quanto aveva ricevuto due lire come premio a una competizione dell'anno precedente. Tuttavia la prova più importante è il ritrovamento recente di un presunto italiano che sarebbe comunque riuscito a partecipare. Più fonti citano infatti un tal Rivabella (di cui non si conosce il nome di battesimo) tra i partecipanti alle gare di tiro a segno, in particolare a quella di carabina libera da 200 metri, tuttavia non si è riusciti ancora a ricostruire la sua vicenda e a dar conto con maggior precisione della sua figura. Negli almanacchi sportivi del tempo, infatti, non si trova altro riferimento a un Rivabella se non come schermidore. Tuttavia molti pensano che non sia la stessa persona in quanto sembra strano che questi abbia partecipato al tiro come gara olimpica e non a quella di scherma. Altri Italiani erano iscritti ai Giochi ma non riuscirono a partecipare, tra cui gli schermidori Vincenzo Baroni di Cantù e Giuseppe Caruso, appartenente a un club viennese, il tiratore Roberto Minervini di Napoli, il ciclista Angelo Porciatti del "Veloce Club" di Grosseto. La lista è ricavabile da La Nazione del 10 aprile 1896.






    Carlo Airoldi, primo squalificato alle olimpiadi moderne



    Il 27 marzo 1896 arriva sul suolo greco Carlo Airoli. Dei duecentottantasei iscritti alla prima Olimpiade moderna, che si svolge ad Atene, ben centonovantasette sono greci. Lui è l'unico italiano. Viene da Origgio, in provincia di Varese e passerà alla storia per essere stata la prima di una serie lunghissima di vittime della norma che vieta le gare olimpiche ai professionisti. Iscritto alla gara della maratona parte a piedi da Milano in febbraio intenzionato ad allenarsi così per la gara. Percorre circa sessanta chilometri al giorno, seguendo i binari della ferrovia e fa fronte alle spese del suo mantenimento con i soldi ricevuto da una casa editrice di giornali, alla quale invia strampalate e colorite corrispondenze. Arrivato sulle coste slave si imbarca ed arriva a Patrasso il 27 marzo. Il 31 marzo è ad Atene, pronto per prendere il via della maratona che si deve svolgere il 26 aprile, ma la giuria decide di escluderlo perchè "professionista": l'anno prima ha ricevuto un piccolo premio in denaro per aver vinto la Torino - Marsiglia - Barcellona, una gara di dodici giorni durante la quale i concorrenti hanno percorso 1020 chilometri. In effetti Airoldi, figlio di contadini, sopravvive nell'Italia povera di quei tempi, fidandosi più dei suoi muscoli che di lavori veri e propri. Non si pone alcun limite, convinto dei suoi mezzi, non trascura alcuna occasione per confrontarsi con gli altri: dalle scommesse a braccio di ferro fino a sfidare a cavallo con successo al Trotter di Milano, nel 1894, il leggendario Buffalo Bill. Dopo un viaggio così lungo e dispendioso, la notizia della squalifica lo ferisce profondamente e gli lascerà il segno per tutta la vita. Offeso per essere stato ingiustamente defraudato di un suo diritto, rifiuta orgogliosamente l'offerta di re Giorgio I di Grecia, che vuole trovare un modo di ricompensarlo per la delusione, dicendo: "Nonostante quello che si pensa da queste parti, maestà, gli atleti italiani non si vendono". Tornato in Italia riparte ben presto per affrontare nuove sfide in Europa e nel Sud America. Tra le sue imprese c'è anche una vittoria a Porto Alegre, in Brasile, in una gara di corsa contro gli scaricatori di porto, portando sulle spalle un sacco da 150 chili. Quando l'età non gli consente di continuare la sua attività sportiva entra nella fabbrica di biciclette Legnano, di cui diventa capofabbrica, passando poi a ricoprire il ruolo di massaggiatore-allenatore della squadra ciclistica della stessa ditta. Muore nel 1929, a sessant'anni, sostenendo fino all'ultimo dei suoi giorni di essere stato vittima di una grande ingiustizia: «Ad Atene mi hanno squalificato perchè doveva vincere un greco».
    (rockemartello.com)



    Carlo Airoldi è un personaggio tornato alla ribalta negli ultimi anni grazie alle scoperte di recenti fonti storiche, come alcuni diari di atleti che presero parte alle Olimpiadi del 1896, e alla pubblicazione, nel 2005, del libro La leggenda del maratoneta di Manuel Sgarella.
    Precedentemente si conosceva poco di lui. Lo stesso libro dello Sgarella è una delle pochissime fonti biografiche esistenti.
    Tuttavia tra tutti i personaggi che hanno partecipato alle prime Olimpiadi di Atene, o che abbiano tentato di parteciparvi, è quello che si sta rivelando più interessante per diversi motivi tra cui le modalità del suo viaggio (tutti erano giunti in nave e in treno, ma Airoldi aveva fatto a piedi buona parte della strada) come anche le peculiarità dell'organizzazione di questa iniziativa, basata sulla ricerca di uno sponsor per sostenere il viaggio, a differenza degli atleti anglo-sassoni, ad esempio, che trovavano facili finanziamenti presso le università che frequentavano.
    I suoi biografi hanno anche voluto vedere in lui una delle prime vittime delle manovre di giustizia sportiva mirate a favorire un atleta piuttosto che un altro, in quanto la Grecia puntava molto su un suo rappresentante come vincitore della maratona olimpica ed avrebbe avuto tutti gli interessi ad escludere un atleta forte e temuto come Carlo Airoldi.
    Inoltre, nella storia dell'atletica italiana, Airoldi si colloca subito prima di un altro celebre e sfortunato protagonista della stessa disciplina olimpica: Dorando Pietri.
    La vicenda di Airoldi ha da sempre affascinato storici e appassionati di sport. Uno di essi, Bruno Bolomelli, un giornalista appassionato di atletica leggera, volle ripercorrere in auto il tragitto percorso a piedi dall'atleta milanese per giungere ad Atene. Carlo Airoldi appare inoltre nell'opera in tre atti 1896 - Pheidippides... corri ancora! di Luca Belcastro. In quest'opera si parla dei Giochi Olimpici del 1896 e anche della vicenda dell'Airoldi che, dopo aver percorso un lungo tragitto a piedi, apprende della sua esclusione ai giochi per professionismo.




    Lovati, corrispondente de La Bicicletta, telegrafò da Atene la sera del 10 aprile. Ecco il testo del suo messaggio:

    « La corsa Maratona-Atene, che costituiva il classico avvenimento dei giuochi olimpici, ebbe luogo oggi. Vi parteciparono dieci concorrenti fra i quali però nessun italiano, avendo il Comitato mantenuto l'esclusione del nostro Carlo Airoldi.
    Giunse primo il corridore greco Luis (sic), che coprì i 42 chilometri nel tempo davvero meraviglioso di ore 2,50.
    L'arrivo del corridore allo Stadio fu accolto dal maggior entusiasmo del popolo greco, che portò in trionfo il vincitore
    Non si sa ancora se Luis accetterà la sfida lanciatagli dall'Airoldi. »
    (La Bicicletta - anno III - n. 32 (244) - pag. 1 - sabato 11 aprile 1896)


    Airoldi non accettò mai la decisione. Scrisse su La Bicicletta:

    « Fino questa mattina ebbi sempre speranza di correre, ma pur troppo non mi venne nessun avviso e dovetti assistere alla gara di Maratona, per la quale è un mese che mi affaticavo nelle certezza di prendervi parte. Fino all'arrivo mi mantenni tranquillo e calmo, ma quando arrivò il primo e si sentì il colpo di cannone, allorché la bandiera greca s'innalzò, non mi sentii più padrone di me. [...] Vedere arrivare il primo in mezzo a tanta festa ed io non poter correre per delle ragioni assurde fu il più grande dolore della mia vita. L'unica ragione, a quanto parve a molti, è che era desiderio di tutti che il primo fosse un greco e per questo basandosi sul regolamento venni escluso, perché io presi del denaro a Barcellona. Dunque non potevo darmi pace. Il premio d'altra parte era rispettabile: una coppa, una corona e 25.000 lire.
    Per un giovane che nulla possiede come me, all'infuori del coraggio e che ha quasi la certezza di arrivare primo è un bel dispiacere. Al Comitato feci valere le mie ragioni, dicendo che in Italia lo sport pedestre non è sviluppato abbastanza per poterlo fare di mestiere, e che il denaro che presi a Barcellona fu una regalia del Municipio, come si è fatto per il vincitore della Maratona, ma tutto fu inutile. [...] Dopo tutto mi consolo perché a piedi vidi l'Austria, l'Ungheria, la Croazia, l'Erzegovina, la Dalmazia e la Grecia, la bella Grecia che lasciò in me un ricordo indelebile. Mi consolo pensando agli allori riportati in Francia e Spagna, ma se per quel viaggio partii in giovedì per questo partii in venerdì e in Venere ed in Marte né si sposa né si parte.
    Ora però tutto è finito e fra poco sarò a Milano. »
    (Carlo Airoldi, La Bicicletta - anno III - n. 35 (247) - pag. 2 - sabato 18 aprile 1896)





    GIUSEPPE RIVABELLA la sua partecipazione è un enigma. E’ stato lo svedese Ture Widlund (della Società Internazionale degli storici olimpici) a riesumare per primo la presenza dell’italiano ai Giochi di Atene 1896, trovandone traccia su una rivista tedesca del 1912. Ulteriore conferma della sua presenza si è avuta dal greco Thanassis Tarassouleas che ha scritto vari libri sui Giochi Olimpici di Atene del 1896 e del 1906 e che riporta il nome di Rivabella nella gara del tiro a segno con carabina da 200 m come dato certo. Tuttavia la fonte più attendibile sembra essere un giornalista greco, Vladis Gavrilidis, che proprio nel 1896 scrive di Rivabella sul giornale ‘Akropolis’, riportando la partecipazione dell’italiano nella gara del tiro con il fucile da 200 m (gara vinta dal greco Karasevdas).
    Rivabella è un ingegnere italiano di Alessandria che vive in Grecia da tanti anni; ha una impresa edile importante; costruisce strade, ponti e altre grandi opere di ingegneria; nell’isola di samos è così famoso che ancor oggi ‘ripabella’ è sinonimo di opera mirabile; è sposato con una donna greca e l’8 aprile partecipa alla gara di tiro, ma non accede alla finale del giorno dopo: la fine della storia dell’apparizione di un italiano alla prima Olimpiade dell’era moderna.
    Muore in Italia nel 1913, la ricerca su di lui continua ancora oggi, a lui va comunque il ‘primato’ di primo e unico italiano ad aver partecipato ai Giochi di Atene 1896.>>



    Edited by gheagabry - 25/7/2012, 11:50
     
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  2. gheagabry
     
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    Parigi 1900



    Per diverse ragioni le Olimpiadi parigine risentirono molto della scelta fatta dal CIO sei anni prima. Innanzitutto lo sforzo economico del governo francese si concentrò sull'organizzazione dell'Esposizione Universale, che venne finanziata con più di 2.000.000 franchi e di questi fondi pochissimo fu stanziato per la costruzione degli impianti necessari ai giochi. De Coubertin, inoltre, incontrò l'ostracismo delle autorità sportive transalpine, che mosse da sciovinismo nazionale, non accettavano i suoi sforzi per l'internazionalizzazione dell'avvenimento e per l'introduzione in Francia dello sport come modello educativo, sull'esempio dei college inglesi. Per sbloccare la situazione de Coubertin dovette dimettersi dall'Unione delle Associazioni Atletiche Francesi nel 1899. Di questa edizione dei giochi olimpici non abbiamo nessuna conferma del numero dei partecipanti e delle vittorie ottenute. Tra i protagonisti azzurri vediamo il conte Giangiorgio Trissino che è il primo vincitore Olimpico Italiano nell’equitazione (medaglia d’oro nel salto in alto, e d’argento nel salto in lungo) e Antonio Conte, importante per la vittoria nella scherma. Secondo alcune fonti ci sarebbero altri atleti che non sono stati presi in considerazione dalla stampa italiana del tempo come Italo Santelli, trasferitosi da poco in Ungheria e vincitore
    dell’argento nella sciabola.



    Nel particolare le medaglie vinte furono:

    Oro: Gian Giorgio Trissino (Sport equestri - salto in alto) Antonio Conte (Scherma - sciabola per maestri d'armi).

    Argento: Gian Giorgio Trissino (Sport equestri - salto in lungo) Italo Santelli (Scherma - sciabola per maestri d'armi) Nel database del CIO la medaglia di Italo Santelli viene attribuita all'Ungheria, paese dove Santelli risiedeva all'epoca, ma il CONI la considera tra le medaglie italiane.

    Bronzo: non figurano atleti in questa categoria.




    olimpiadi



    GIAN GIORGIO TRISSINO



    Gian Giorgio Trissino dal Vello d'Oro (Vicenza, 22 luglio 1877 – Milano, 22 dicembre 1963) è stato un cavaliere italiano, il primo italiano a vincere una medaglia d'oro ai Giochi olimpici.
    Omonimo e discendente del letterato Gian Giorgio Trissino dal Vello d'Oro.
    Il conte Gian Giorgio Trissino dal Vello d'Oro, di antica famiglia vicentina, prese parte alla II Olimpiade moderna, Parigi 1900. Giovane sottotenente di Cavalleria, fu il primo italiano a vincere una medaglia d'oro olimpica, nella specialità salto in alto degli sport equestri a pari merito con il francese Dominique Gardères con 1,85 metri, il 2 giugno 1900 in sella a Oreste. Oltre a questa il 31 maggio si era aggiudicato anche l'argento nel concorso di salto in lungo. Inoltre, nella vittoriosa gara di salto in alto, il cavaliere vicentino giunse anche quarto cavalcando il proprio cavallo Mélopo.


    olimpiadi

    ANTONIO CONTE



    Antonio Conte (Traetto, 11 dicembre 1867 – Minturno, 4 febbraio 1953) è stato uno schermidore italiano. Vinse la medaglia d'oro alle Olimpiadi di Parigi del 1900 nella gara di sciabola per maestri d'armi.

    Nella finale olimpica Antonio Conte batté il connazionale Italo Santelli. Da questa vittoria discese una querelle che si protrasse per decenni.

    In quelle Olimpiadi si svolsero gare di scherma distinte in due categorie, i dilettanti e i maestri d'armi, ossia istruttori professionisti. Per alcuni puristi le medaglie di Conte e Santelli non andrebbero quindi considerati nel computo delle medaglie olimpiche. Vengono comunque ufficialmente riconosciute sia dal CIO che dal CONI.

    Quella di Antonio Conte fu la seconda medaglia d'oro olimpica dello sport italiano, dopo quella di Trissino. Fu la prima per la scherma, la disciplina sportiva che più ori olimpici ha dato all'Italia.

    olimpiadi


    ITALO SANTELLI



    Italo Santelli (Carrodano, 15 agosto 1866 – 8 febbraio 1945) è stato uno schermidore italiano. Viene considerato uno dei padri della sciabola moderna. Italiano di nascita, si trasferì a trent'anni in Ungheria, dove contribuì a dar vita alla prestigiosa tradizione magiara nella scherma. Nel 1900 Santelli partecipò alle Olimpiadi di Parigi. Vinse la medaglia d'argento nella gara di sciabola per maestri d'arte, sconfitto in finale da Antonio Conte.

    La seconda medaglia d'oro italiana arriva dalla scherma e porta la firma di Antonio Conte, 33enne di Minturno (Latina), dominatore della gara di sciabola per maestri d'arte.
    A Parigi i tornei di scherma sono due: uno riservato ai dilettanti e l'altro ai maestri d'arte, che sono di fatto professionisti. Proprio per questo, secondo alcuni l'oro di Conte non dovrebbe essere conteggiato. Sugli stessi resoconti del Coni non v'è notizia della sua vittoria, ma i testi dei più grandi studiosi di Giochi olimpici – da Erich Kamper a Bill Mallon e Volker Kluge – considerano la vittoria di Conte a tutti gli effetti, indicandola anche nel medagliere dell'Italia.
    Ma gli equivoci non sono finiti. In finale, Conte batte un altro italiano, Italo Santelli, che a partire dal 1924 comparirà negli annali come ungherese. Santelli però è livornese, semmai magiaro lo è solo di adozione, essendosi trasferito quattro anni prima a Budapest dove ha fondato la scuola ungherese di sciabola. In realtà, la causa di questo equivoco è un episodio accaduto proprio ai Giochi olimpici del 1924, sempre a Parigi.
    Durante il torneo individuale di sciabola, scoppia un battibecco tra gli azzurri e gli ungheresi. Santelli, che è uno dei maestri della squadra magiara, traduce ai colleghi ungheresi le minacce dell'italiano Oreste Puliti, candidato all'oro, che per il suo comportamento viene escluso dal torneo ed espulso dal Cio.
    Risultato: Santelli viene accusato di tradimento dal giornalista Adolfo Cotronei e, al rientro in Italia, solo la milizia fascista lo sottrae alle ire della folla. Cotronei addirittura sfida Santelli a duello, ma questi, ormai 58enne, lascia l'incombenza al figlio Giorgio (oro con l'Italia nella sciabola a squadre ad Anversa nel 1920): per la cronaca, il duello si svolge ad Abbazia ma finisce con un po' di ferite da entrambe le parti. E comunque Italo Santelli si vede togliere – in maniera del tutto arbitraria – l'onore di aver regalato all'Italia una medaglia d'argento. I posteri, però, gli hanno ridato giustizia, così come hanno riqualificato Conte, che pure il Coni aveva depennato.




    ENRICO BRUSONI

    Brusoni si mise in luce tra i dilettanti vincendo nel 1898 la Coppa del Re e il primo oro olimpico per l'Italia ai Giochi di Parigi del 1900 nella gara individuale a punti, titolo che gli fu riconosciuto solo un secolo dopo. Il CONI considera la vittoria di Brusoni nel medagliere olimpico italiano, mentre il CIO non riconosce quella gara come prova ufficiale del programma della II Olimpiade.



    Edited by gheagabry - 11/6/2012, 00:54
     
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    Saint Louis 1904



    L'Italia purtroppo non partecipò a questa edizione. Nel maggio 1901 il CIO aveva assegnato i Giochi agli Stati Uniti, in segno di gratitudine nei confronti degli atleti americani che avevano partecipato numerosi ad Atene e Parigi, e per la convinzione che si potesse riscattare immediatamente l'edizione Francese. Inizialmente la città destinata a ospitare i giochi era Chicago, ma i responsabili della Louisiana Pourchase Exposition di St. Louis, grande fiera campionaria organizzata per celebrare il centenario del passaggio della Louisiana agli Stati Uniti, temevano che le olimpiadi avrebbero tolto visitatori alla fiera. Minacciarono così di far svolgere delle gare di atletica in concorrenza con le competizioni olimpiche se i giochi olimpici non fossero stati spostati a St. Louis. Il CIO decise di lasciare l'ultima decisione al presidente Theodore Roosevelt, che scelse St. Louis. I giochi vennero aperti il 1 luglio. La tensione provocata in Europa dallo scoppio della guerra Russo-Giapponese e le difficoltà di raggiungere St. Louis tennero molti atleti europei lontano dai giochi. All'olimpiade parteciparono 651 atleti, tra cui 6 donne, e la quasi totalità di essi proveniva dagli Stati Uniti. Oltre ai padroni di casa solamente altre 12 nazioni furono rappresentate. L'Italia non partecipò con alcun atleta. In alcune discipline, si arrivò addirittura ad assegnare contemporaneamente il titolo di campione nazionale degli Stati Uniti e di campione olimpico, in quanto non era presente nessun sportivo di altre nazioni. Durante i giochi olimpici del 1904 vennero organizzate anche le cosiddette "Giornate Antropologiche". Delle competizioni in cui venivano fatti gareggiare persone di razze considerate inferiori ai bianchi: pigmei, Amerindi, Inuit, Mongoli, ecc. Alle Giornate Antropologiche, che spesso finivano per ridicolizzare le razze dei partecipanti, assistettero migliaia di persone. Peraltro, quasi tutti gli uomini che parteciparono a quelle "gare" erano stati in precedenza pagati dagli organizzatori. Le olimpiadi del 1904 si conclusero quasi cinque mesi dopo la loro inaugurazione, il 23 novembre. De Coubertin, che non assistette alle gare, prevedendo il disastro organizzativo, volle voltare subito pagina e il CIO assegnò i giochi del 1908 a Londra, scelta che segnerà il successo futuro della manifestazione.



    (olimpiadi.it)
     
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    ATENE 1906

    Giochi olimpici intermedi




    I Giochi olimpici intermedi (in greco, Μεσοολυμπιακοί Αγώνες) si sono svolti a Atene (Grecia) dal 22 aprile al 2 maggio 1906.
    Questa edizione intermedia, tenutasi tra la III Olimpiade e la IV Olimpiade, venne organizzata per celebrare il decimo anniversario del ripristino dei Giochi olimpici.
    La Grecia ne approfittò per chiedere al Comitato Olimpico Internazionale di stabilire la città di Atene a sede permanente dei Giochi, ma il CIO rifiutò. Un compromesso stabilì che ad Atene si sarebbero tenuti dei Giochi quadriennali negli anni pari non olimpici. La decisione fu presa dal CIO nel corso del III Congresso, tenutosi dal 9 al 14 giugno 1905. La manifestazione non ebbe la numerazione olimpica e inizialmente fu chiamata "Jeux Internationaux Olympiques d’Athènes".
    I Giochi "Intermedi", a differenza delle Olimpiadi del 1900 e del 1904, ebbero un grande successo di partecipazione e molte nazioni, specialmente europee, risposero con entusiasmo a questo nuovo appuntamento in terra ellenica. Purtroppo, per lo stato di tensione pre-bellica tra la Grecia e l'Impero Ottomano, l'edizione del 1910 sfumò; lo scoppio della Prima guerra mondiale impedì lo svolgimento dell'edizione del 1914. In seguito l'iniziativa dei Giochi intermedi venne definitivamente abbandonata.
    I Giochi intermedi non vengono assolutamente considerati come edizione ufficiale dei Giochi olimpici e la loro numerazione non è compresa in quella delle edizioni dei Giochi olimpici. Ciononostante, il successo di questa edizione si rivelò molto importante per il movimento olimpico, dopo i parziali insuccessi della II e della III Olimpiade.

    L'Italia è presente con ben 77 atleti, ma di essi 24 sono marinai della nave Varese. Fra i 6 dell'atletica c'è anche Dorando Pietri, ritirato nella maratona; appena due gli schermidori, ma entrambi a medaglia, Carlo Gandini argento nella spada maestri e Federico II (sic, proprio come il Re) Cesarano bronzo nella sciabola. E le medaglie avrebbero potute essere di più, se per contrasti interni gli azzurri non avessero presentato nella ginnastica due squadre diverse, Pistoia che fu terza e Roma, quarta; mentre Braglia centrò due argenti nelle due competizioni individuali a 5 e 6 eventi.

    Fra gli italiani primeggiarono il ciclista Francesco Verri e i membri dell'equipaggio di "Italia 1" (Bruna, Fontanella e Cesana); il ciclista mantovano e i canottieri tornarono in patria con 3 medaglie d'oro ciascuno.
    Alberto Braglia (3 futuri ori tra Londra e Stoccolma) si aggiudicò 2 argenti nella ginnastica; nella scherma, i nostri due unici rappresentanti, Gandini e Cesarano, ottennero entrambi il podio.



    ● Medaglie d’Oro [7]
    Canottaggio [Equipaggi civili] (3) – Jole a quattro remi, 2000 m (“RCC Bucintoro Venezia”): [24-4] Enrico Bruna
    (26), Emilio Fontanella (25), Riccardo Zardinoni (23), Giuseppe Poli (20), tim. Giorgio Cesana (14).
    Jole a due remi, 1000 m (“RCC Bucintoro Venezia”): [27-4] Enrico Bruna (26), Emilio Fontanella (25), tim. Giorgio
    Cesana (14).
    Jole a due remi, Miglio (“RCC Bucintoro Venezia”): [27-4] Enrico Bruna (26), Emilio Fontanella (25), tim. Giorgio
    Cesana (14).
    Canottaggio [Equipaggi militari] (1) – Baleniere di Navi da guerra a 6 remi, 2000 m (“Regia Nave Varese”): [24-4]
    Giuseppe Russo, P. Toio, R. Taormina, G. Tarantino, E. Bellotti, Angelo Fornaciari, tim. Giovanni Battista Tanio.
    Ciclismo (3) – Velocità, 1000 m: [22-4] Francesco Verri (21).
    Giro di pista (333,33 m): [24-4] Francesco Verri (21).
    5000 m: [25-4] Francesco Verri (21).

    ● Medaglie d’argento [6]
    Canottaggio [Equipaggi civili] (1) – Jole a due remi, 1000 m (“SC Barion Bari”): [27-4] Luigi Diana (20),
    Francesco Civera (24), tim. Emilio Cesarana.
    Ginnastica (2) – Concorso individuale, Pentathlon: [26-4] Alberto Braglia (23).
    Concorso individuale, Esathlon: [1-5] Alberto Braglia (23).
    Pesistica (1) – Categoria unica, alzata con una sola mano: [27-4] Tullio Camillotti (26).
    Scherma (1) – Spada, Maestri: [27-4] Carlo Gandini.
    Tiro a segno (1) – Pistola da duello, distanza 20 m: [24-4] Cesare Liverziani.

    ● Medaglie di bronzo [3]
    Canottaggio [Equipaggi militari] (1) – Grandi canotti di Navi da guerra a 16 remi, 3000 m (“Regia Nave Varese”):
    [24-4] G. Cingottu, F. Pieraccini, G. Pizzo, Augusto Graffigna, L. Frediani, Alberto Ruggia, F. Mennella, S. Messina,
    Antonio Mautrere, Ezio Germignani, Angelo Sartini, Sebastiano Randazzo, Angelo Buoni, Al. Nordio, P Oddone, G.
    Zannino, tim. E. Rossi.
    Ginnastica (1) – Concorso a squadre (“Francesco Ferrucci Pistoia”): [22-4] Rodrigo Bertinotti (20), Cino Civinini
    (23), Raffaello Giannoni (24), Azeglio Innocenti (20), Filiberto Innocenti (18), Manrico Masetti (18), Vitaliano Masotti (19),
    Quintilio Mazzoncini (19), Spartaco Nerozzi (20).
    Scherma (1) – Sciabola, Dilettanti: [28-4] Federico Secondo Cesarano jr. (20).



    FRANCESCO VERRI




    Francesco Verri (Mantova, 11 giugno 1885 – Piombino, 6 giugno 1945) è stato un pistard italiano. Dopo un primo titolo italiano dilettanti nella velocità nel 1905, visse nel 1906 il suo anno di grazia, con il titolo mondiale dilettanti, e le medaglie d'oro nella velocità, nella cronometro e nei 5000 metri su pista ai Giochi olimpici intermedi di Atene.
    Durante la maratona dei giochi intermedi diede assistenza in bici a Dorando Pietri, che tuttavia fu costretto ad abbandonare la gara.

    Oro Atene 1906 5000 metri
    Oro Atene 1906 Cronometro
    Oro Atene 1906 Velocità


    CANOTTAGGIO

    I veneziani Enrico Bruna, Emilio Fontanella con il timoniere Giorgio Cesana (che aveva 14 anni, la più giovane medaglia d’oro olimpica italiana di sempre) vinsero il 2 iole sui 1.000 m e sul miglio; poi – con i concittadini Riccardo Zandinoni e Giuseppe Poli – il 4 iole sui 2 km.

    Secondi nel 2 iole sul km furono Luigi Diana, Francesco Civera e il timoniere Emilio Cesarana, armo del Barion di Bari. L’Italia vinse pure la scialuppa a 6 vogatori (Russo, Taormina, Bellotti, Tarantino, Toio, Fornaciari, tim. Tanio) che erano marinai della Regia Nave Varese ancorata nel porto del Pireo, dove si tennero le gare. La scialuppa a 17 andò alla Grecia, terza l’Italia sempre della Varese.

    ALBERTO BRAGLIA



    Ai Giochi intermedi del 1906, ad Atene, vinse due argenti. Quella competizione non è riconosciuta dal CIO come Olimpiade, e quindi tali medaglie non rientrano nel medagliere olimpico ufficiale.

    SCHERMA

    Carlo Gandini (... – ...) è stato uno schermidore italiano, vincitore di una medaglia d'argento nella scherma ai giochi intermedi di Atene del 1906 (non riconosciuti dal CIO).
    Federico Secondo Cesarano (5 luglio 1886 – 22 gennaio 1969) è stato uno schermidore italiano, vincitore di una medaglia di bronzo nella scherma ai giochi intermedi di Atene del 1906 (non riconosciuti dal CIO).



    Edited by gheagabry - 11/6/2012, 01:44
     
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    Londra 1908





    I Giochi della IV Olimpiade si sono svolti a Londra (Regno Unito) dal 27 aprile al 31 ottobre 1908. Mentre a Parigi nel 1900 e a Saint Louis nel 1904 le gare sportive furono in parte oscurate dalla rilevanza dell'Esposizione Universale che si svolgeva contemporaneamente, nei giochi di Londra ebbero una visibilità maggiore: ciò in parte era dovuto alla concentrazione di gran parte delle gare nell'arco di due settimane in luglio e in un unico luogo.

    Quelli di Londra in realtà furono la quinta edizione dei giochi olimpici dell'era moderna, seguirono infatti i cosiddetti giochi olimpici intermedi tenutisi ad Atene nel 1906 in seguito considerati solo come anniversario decennale dei primi giochi olimpici di Atene (1896) e che, su richiesta di Pierre de Coubertin, presidente del Comitato Olimpico Internazionale, non entrarono nel conteggio ufficiale delle edizioni olimpiche. Con i giochi di Londra si ritornò dunque a quella cadenza quadriennale stabilita all'avvio dei giochi olimpici moderni.
    Già nel 1901 il rappresentante del CIO tedesco aveva presentato la candidatura di Berlino come sede dei giochi del 1908, nel marzo del 1903 la Federazione Ginnastica Italiana candidò la città di Roma, nel gennaio 1904 la candidatura venne supportata dall'amministrazione comunale conferendole carattere di ufficialità, Pierre de Coubertin non nascose di preferire Roma a Berlino, e il 22 giugno 1904, in occasione di una riunione del CIO tenutasi a Londra, i rappresentanti tedeschi che in patria non avevano ottenuto alcun appoggio ufficiale ritirarono la candidatura della loro città, l'organizzazione dei giochi olimpici del 1908 venne quindi assegnata a Roma. Il comitato organizzatore romano, dopo mesi di inattività, si disciolse nel 1906: l'eruzione del Vesuvio (7 aprile 1906), che si accompagnava alla crisi economica che l'Italia stava attraversando, determinò l'impossibilità di finanziare l'evento e l'Italia rinunciò all'organizzazione, Berlino non presentò una nuova candidatura e infine subentrò la British Olympic Association (BOA) offendosi di organizzare i giochi a Londra. Il 24 novembre 1906 la BOA emise un comunicato stampa in cui annunciava ufficialmente che i giochi avrebbero avuto luogo nella capitale britannica.




    Gli organizzatori allestirono tutte le infrastrutture necessarie e furono avvantaggiati dalla loro già notevole esperienza nel preparare competizioni sportive come il torneo di tennis di Wimbledon o il campionato inglese di atletica (organizzato già da 30 anni). Sede principale delle gare fu il White City Stadium, il più grande stadio fino ad allora costruito (capace di contenere 150.000 persone, 68.000 sedute) e realizzato in tempi brevissimi. Viene organizzato il primo villaggio olimpico e l'apertura dei giochi è solennizzata da una grande cerimonia il 27 aprile.

    Proprio durante la cerimonia d'apertura avvenne un incidente diplomatico. Al passaggio di fronte al palco reale, il portabandiera statunitense Ralph Rose non abbassa la bandiera, come avevano fatto gli alfieri delle altre nazionali, spiegando successivamente che "la bandiera statunitense non si inchina di fronte a nessun re della terra". Questo gesto ebbe però ripercussioni sulle gare in quanto i giudici di gara britannici, probabilmente risentiti dall'atteggiamento statunitense, li danneggiarono durante le gare con decisioni molto contestate. Per la prima volta si faceva sentire l'ingerenza della politica nello svolgimento dei giochi Olimpici e in particolar modo dei nazionalismi che segnavano in quel periodo l'Europa vanno ricordate la decisione degli atleti finlandesi di non marciare sotto alcuna bandiera piuttosto che sotto quella russa e di molti atleti irlandesi che rifiutarono di partecipare ai giochi nella rappresentativa inglese. Altro segno dell'insofferenza nazionalista, fu il rientro dalle gare dei dominatori nell'atletica leggera statunitensi, che a New York sfilarono, portando al guinzaglio un leone, simbolo dell'impero britannico.
    All'edizione londinese parteciparono 2.008 atleti, tra cui 37 donne, in rappresentanza di 22 paesi. La rappresentativa italiana era composta da 68 atleti. Per la terza volta gareggia l’Italia con ben 68 concorrenti conquistando 2 medaglie d’oro (Ginnastica: Alberto Braglia e Lotta greco-romana: Enrico Pirro) e altrettante medaglie d’argento (Atletica Leggera: Emilio Lunghi, Scherma (Sciabola a squadre): Marcello Bertinetti, Sante Ceccherini, Riccardo Novak, Abelardo Oliver, Luigi Pinelli e Alessandro Pirzio-Biroli). Il vero Eroe dell’Olimpiade è Dorando Pietri, vincitore della maratona, subito squalificato perché soccorso a pochi metri dal traguardo, anche se questo sarà solo l’inizio. La vicenda commuove il mondo intero, tanto che la regina Alessandra lo premia come vincitore morale, e Pierre de Coubertin (Presidente del CIO) lancia il motto: "L’importante dei Giochi non è vincere ma partecipare, così come nella vita l’importante non è trionfare ma lottare" ricopiato dal sermone di un vescovo americano.





    le medaglie vinte furono:
    Oro: Alberto Braglia (Ginnastica - heptathlon) Enrico Porro (Lotta - greco-romana leggeri).

    Argento: Emilio Lunghi ( Atletica - 800 metri) Marcello Bertinetti, Sante Ceccherini, Riccardo Novak, Abelardo Olivier, Luigi Pinelli, Alessandro Pirzo-Biroli Biroli (Scherma - sciabola a squadre).

    Bronzo: non figurano atleti in questa categoria.




    Dorando Petri



    L'atleta italiano che fece più parlare di sé ai Giochi Olimpici di Londra del 1908 fu l'emiliano Dorando Petri, un umile garzone di fornaio originario di Carpi.
    Durante la maratona riuscì a staccare tutti gli avversari di oltre dieci minuti; entrato nello stadio fu osannato dal pubblico, ma in prossimità del traguardo stremato per la stanchezza cadde a terra. In un primo momento riuscì a tornare in piedi, ma cadde nuovamente e fu aiutato a rialzarsi da uno dei giudici di gara. Nonostante avesse tagliato il traguardo in largo anticipo rispetto agli avversari, Dorando fu squalificato per aver accettato un aiuto illecito e fu dichiarato vincitore il secondo classificato, un americano di nome Johnny Hayes.

    Dorando Pietri nacque a Mandrio, - frazione del comune di Correggio " (RÈ) il 17 maggio 1885. II padre Desiderio Pietri doveva provvedere al sostentamento della numerosa famiglia. Nel 1903 il giovane Dorando, dopo una breve esperienza come ciclista, si iscriveva alla Società "La Patria" di Carpi iniziando quell'attività sportiva che lo avrebbe portato alla conquista di ambiti ed insperati traguardi. Dorando si occupò quale garzone presso una pasticceria di Carpi e il tempo libero lo dedicava alla preparazione come corridore di lunga distanza. Nel 1905 lo sconosciuto Dorando Pietri partecipò alla maratona per dilettanti di Parigi e sbaragliò la coalizione straniera vincendo con quasi 6 minuti di vantaggio sul secondo arrivato, il francese Bonheure. Sempre nello stesso anno l'atleta carpigiano attaccò il primato italiano dell'ora ma l'inclemenza meteorologica e non buone condizioni di salute non gli permisero di portare a termine positivamente il tentativo. Anche militare continuò i. a vincere , Alla fine del 1905 il nostro podista fu assegnato al 25° Reggimento ria/ fanteria di stanza a Torino per " compiere i due anni di servizio " militare di leva. Pur non essendo dispensato dai normali servizi di caserma, Dorando continuò la preparazione allenandosi sulle strade adiacenti la caserma e nei due anni di servizio militare gareggiò per la Società Sportiva "Atalanta" di Torino. Nel 1906 fu organizzata una edizione straordinaria dei Giochi Olimpici ad Atene, manifestazione non riconosciuta ufficialmente, vi aderirono 22 nazioni fra le quali l'Italia. Dorando Pietri vinse la selezione della maratona a Roma il 3 aprile correndo la distanza in 2 ore, 42 minuti e 3/5. Sua Maestà il Rè d'Italia si congratulò personalmente con l'atleta soldato che fu iscritto alla maratona di Atene. Alla gara olimpica, disputata il 1° maggio sul percorso di Km. 41,860 da Maratona ad Atene parteciparono 34 concorrenti in rappresentanza di 13 nazioni. Dorando, assistito e seguito dal ciclista Francesco Verri, colto da forti dolori addominali si ritirò al 24° chilometro quando era in testa con oltre 3 minuti di vantaggio sul secondo concorrente. II 7 luglio a Carpi, su un percorso di 40 chilometri, scrupolosamente misurato con cronometristi ufficiali, Dorando Pietri stabilì il primato italiano in 2 ore e 38 minuti, guadagnandosi l'iscrizione alla gara di maratona ai Giochi Olimpici di Londra.



    Qui iniziò il trionfo che si trasformò in "Via Crucis" II 9 luglio l'atleta partiva da Carpi per Torino dove era fissato il raduno degli atleti italiani in partenza per l'avventura londinese. I II 24 luglio, penultimo giorno dei Giochi Olimpici, era un venerdì caldo ed afoso, indubbiamente il clima era poco propizio per una corsa di maratona. Adunati nel piazzale antistante il castello di Windsor 55 atleti attendevano il segnale di partenza per gareggiare su un percorso di 26 miglia e 385 yards (km. 42,195), fino al traguardo posto allo stadio di Sheperd's Bush. Dorando Pietri, maglietta bianca e calzoncini scarlatti, con il numero 19 sul petto, doveva essere il grande e sfortunato protagonista della memorabile gara. Alle 14,33 il "via", gli inglesi Jack, Lord e Price presero la testa alternandosi al comando dalla gara fino al 14°miglio poi scomparvero dalla competizione. A quel punto passò in testa il sud-africano Hefferon mentre uno de favoriti, l'atleta Longboat, si ritirava. Pietri,dopo essersi mantenuto fra il terzo ed il quarto posto, al 18° miglio iniziò la sua offensiva passando al secondo posto. L'ultima segnalazione da Wimbledon dava primo Hefferon con circa 800 yards di vantaggio su Dorando Pietri, che aveva superato e poi distaccato di circa 100 yards l'americano Hayes. Le 26 miglia (km. 41,841 ) furono compiute dall'italiano in 2 ore 45 minuti; alle ore 17,18, preceduto dallo sventolio di bandiere, dal sottopassaggio che immetteva nella pista apparve, irriconoscibile, il nostro campione. Dorando avanzava con azione scomposta, barcollava ed inconsciamente muoveva le gambe che piegate e doloranti stentavano a sostenerlo, solo il miraggio della vittoria lo faceva avanzare. Il nostro campione all'ingresso dello stadio cadde, si rialzò, proseguì per poi ricadere ancora quattro volte, a pochi metri dal traguardo cadde per la quinta volta e qui un megafonista generoso lo sostenne e gli fece tagliare il traguardo. Per percorrere gli ultimi 325 metri, che poi Dorando definì la sua "via crucis", aveva impiegato 9 minuti e 46 secondi. Oltre il traguardo svenne, una barella lo raccolse, mentre la folla temette che il cuore del generoso atleta avesse ceduto per l'immane fatica ripetendo dopo 24 secoli il sacrificio di Fidippide. Tutti lo ritennero il vincitore morale, "Dorando era l'atleta che aveva vinto la gara senza ottenere la vittoria". Lo statunitense Hayes, giunto secondo dopo aver superato Hefferon, presentò reclamo contro l'italiano che fu squalificato per l'aiuto ricevuto, aiuto non richiesto e non voluto. L'episodio procurò materia per i giornali e per lunghe critiche e discussioni. La regina Alexandra d'Inghilterra che aveva assistito all'epilogo della gara, saputo della squalifica di Pietri comunicò che il giorno seguente avrebbe premiato personalmente lo sfortunato atleta con una coppa. La coppa d'argento dorato, conservata presso la sede della Società "La Patria" di Carpi, che conteneva la bandiera inglese, e non sterline come qualcuno andava dicendo, sul piedistallo portava inciso: To Pietri Dorando In Remembrance of thè Marathon Pace From Windsor to thè Stadium July. 24. 1908 Queen Alexandra.



    Il 25 novembre 1908, al Madison Square Garden di New York, andò in scena la rivincita tra Pietri e Hayes. Il richiamo era enorme: ventimila spettatori (tra cui molti italo-americani), ma altre diecimila persone erano rimaste fuori perché non c'erano più biglietti.
    I due atleti si sfidarono in pista sulla distanza della maratona, e dopo aver corso testa a testa per quasi tutta la gara, alla fine Pietri riuscì a vincere staccando Hayes negli ultimi 500 metri, per l'immensa gioia degli immigrati di origine italiana presenti. Una seconda sfida disputata il 15 marzo 1909 venne anch'essa vinta dall'italiano.

    Il dramma di Dorando Pietri commosse tutti gli spettatori dello stadio. Quasi a compensarlo della mancata medaglia olimpica, la regina Alessandra di Danimarca lo premiò con una coppa d'argento dorato. A proporre l'assegnazione del riconoscimento sarebbe stato lo scrittore Arthur Conan Doyle che secondo alcuni era anche l'addetto con il megafono che sorresse Pietri al momento dell'arrivo. Tale affermazione non ha però alcun fondamento: i due personaggi che quasi incastonano la tragica figura di Pietri, in quella che è senza dubbio una delle più note e significative immagini dell'olimpismo moderno, sono rispettivamente: alla destra dell'atleta - con il megafono - il giudice di gara Jack Andrew ed alla sinistra il capo dello staff medico, il dottor Michael Bulger. Conan Doyle era in effetti presente in tribuna, a pochi metri dalla linea del traguardo, dato che era stato incaricato da Lord Northcliffe di redigere la cronaca della gara per il Daily Mail; il resoconto del giornalista-scrittore terminò con le parole:

    « La grande impresa dell'italiano non potrà mai essere cancellata dagli archivi dello sport, qualunque possa essere la decisione dei giudici. »

    Successivamente Conan Doyle suggerì al Daily Mail di conferire un premio in danaro a Pietri, sotto forma di sottoscrizione per permettergli l'apertura di una panetteria, una volta rientrato in Italia. La proposta ebbe successo e vennero raccolte trecento sterline. Lo stesso Doyle avviò la raccolta donando cinque sterline. Il racconto della sua impresa eroica, ma sfortunata fece immediatamente il giro del mondo. Da un giorno all'altro Dorando Pietri divenne una celebrità, in Italia e all'estero. Le sue gesta colpirono la fantasia del compositore Irving Berlin, che gli dedicò addirittura una canzone intitolata Dorando.



    Edited by gheagabry - 14/6/2012, 21:42
     
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    Le medaglie di Londra 1908

    ALBERTO BRAGLIA





    Alle Olimpiadi di Londra del 1908 Alberto Braglia fu il migliore ginnasta in assoluto, e si impose sugli avversari nelle varie specialità. L'apice della sua prestazione fu al cavallo con maniglie, dove rasentò la perfezione. Purtroppo per lui, a quelle Olimpiadi vennero assegnati solo due titoli nella ginnastica, per il concorso completo individuale (heptathlon) e a squadre. Pur primeggiando in tutte e sette le specialità, ottenne un solo oro, quello del concorso completo individuale.

    Dopo i Giochi per Braglia si aprì un periodo molto travagliato. Non riuscendo a trovare altro lavoro, si diede alle esibizioni in pubblico per guadagnarsi da vivere. Per questo fu dichiarato professionista ed espulso dalla federazione italiana di ginnastica. In un'esibizione si ruppe una spalla e qualche costola. A tutto ciò si aggiunse una tragedia familiare, la morte del figlioletto di quattro anni, che fece entrare Braglia in un profondo esaurimento nervoso.

    Riuscì a riprendersi, ed ottenne la riabilitazione a dilettante in tempo per partecipare alle Olimpiadi del 1912, durante la cerimonia di apertura delle quali esercitò le funzioni di alfiere portabandiera dell'Italia, il primo in assoluto della storia. Difese il suo titolo nel concorso completo individuale, a cui aggiunse anche la vittoria nel concorso a squadre. Vinse quindi due ori in quell'edizione dei Giochi.
    In seguito Alberto Braglia lavorò a lungo nel circo.
    Nel 1932 fu l'allenatore della squadra italiana di ginnastica che vinse a sorpresa l'oro alle Olimpiadi di Los Angeles.
    Ad Alberto Braglia è intitolato lo Stadio della città di Modena.




    ENRICO PORRO





    Enrico Porro (Lodi Vecchio, 16 gennaio 1885 – Milano, 14 marzo 1967). Enrico Porro, pur essendo lodigiano di nascita, ha genitori di Cuvio (VA). I Porro erano un'antica casata risultano già documentati nel 1400.
    Da bambino i genitori lo spedivano a passare l'estate dai nonni al paese dove c'erano anche zii e cugini, uno dei quali, il quasi omonimo Stefano Enrico Porro, passerà anch'egli alle cronache diventando, da semplice tipografo, direttore del ‘Zurich’, il maggior quotidiano della città svizzera.
    Di carattere irrequieto ed agitato, Enrico col crescere divenne rissoso e quasi violento tanto che la madre, disperata e presa sempre più col lavoro nel ristorante, per vedere di correggerlo un poco e per toglierselo dai piedi, sull'esempio di altri, lo fece imbarcare, ancora ragazzo, come mozzo. Si fece i primi muscoli, così, sulle navi, ma non durò molto perché a Buenos Aires scappò rifugiandosi dal cugino tipografo. Anche lì si fermò poco non andando d'accordo con la moglie di questi e, dopo l'ennesimo diverbio, ritornò a Milano. Sempre più spavaldo, cominciò a frequentare la palestra del suo rione conosciuta col curioso nome de ‘el paviment de giass’ per via che d'inverno faceva così freddo che la leggera patina d'umidità si congelava. Si specializzò nella lotta greco-romana, quella più ortodossa e antica dove sono permesse solo le prese con le braccia e non sotto la cintola e che richiede, oltre ad una buona abilità, una dose non indifferente di forza. Alto poco più di un metro e mezzo, biondo, occhi azzurri, orecchie a sventola, sorriso furbo, dotato di un possente torace, due braccia come tronchi e muscoli d'acciaio, a diciassette anni partecipò al suo primo torneo ufficiale a Legnano conquistando la medaglia d'oro. Era una competizione di un certo prestigio e ‘La Gazzetta’ ne riportò il resoconto definendo Enrico “il ragazzo che atterra gli uomini”.....Alto poco più di un metro e mezzo, biondo, occhi azzurri, orecchie a sventola, sorriso furbo, dotato di un possente torace, due braccia come tronchi e muscoli d'acciaio, a diciassette anni partecipò al suo primo torneo ufficiale a Legnano conquistando la medaglia d'oro. Era una competizione di un certo prestigio e ‘La Gazzetta’ ne riportò il resoconto definendo Enrico “il ragazzo che atterra gli uomini”....si presentò nel 1908 ai Giochi olimpici di Londra dopo che la Regia Marina, solo pochi giorni prima della gara, gli accordò una licenza..... Era il 25 luglio e di fronte aveva il russo Nikolay Orlov di sette chili più pesante, forte fisicamente e che aveva studiato le sue mosse. La scaramanzia ci mise puro lo zampino perché in quel torneo olimpico, come in una ‘gabola balorda’, (come diceva Enrico nei suoi ricordi) tutti i lottatori con le calze rosse avevano vinto e tutti quelli con le calze verdi avevano perso e ad Enrico avevano maliziosamente dato quelle verdi. Fu una finale interminabile. Come regola, allora, si disputavano due lunghe riprese di 15 minuti l'una e poi lotta ad oltranza, finché uno dei due non fosse crollato; alle olimpiadi si optò per un terzo round di 20 minuti che i giudici pretesero non essendo convinti della superiorità di Porro. Alla fine Enrico riuscì a conquistare il titolo fra il giubilo del pubblico che parteggiava per lui. Venne premiato dalla regina Alessandra che ebbe parole di complimento ed elogio nel cingergli la medaglia d'oro, la prima che la federazione d'Italia vinceva.

     
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    Stoccolma 1912



    Gli organizzatori svedesi studiarono per bene, quattro anni prima, il lavoro svolto dal Comitato Olimpico inglese e prepararono tutte le strutture necessarie ad ospitare la manifestazione. La cerimonia di apertura, che si svolse il 5 maggio e che coinvolse i 2.407 atleti iscritti (48 donne) vide per la prima volta l'esordio della bandiera olimpica. Il programma olimpico venne notevolmente ridimensionato e alcune discipline non furono ammesse, come il pugilato vietato dalle leggi svedesi. Venne però introdotta una nuova disciplina, il pentathlon moderno, che fu dominato dagli atleti di casa, e a cui partecipò anche il capitano dell'esercito statunitense George S. Patton, quinto e primo dei non svedesi. Le olimpiadi si svolsero in un clima di generale armonia e senza grandi contestazioni. Molti degli atleti avevano già avuto modo di conoscersi e fraternizzare nel 1908. Nelle gare vennero introdotte per la prima volta alcune novità tecniche come il fotofinish e il cronometraggio elettrico, le corsie sulla pista e una rudimentale gabbia di protezione per il lancio del martello. Fu la ginnastica a fare la parte del leone con circa 1.200 atleti che gareggiarono o diedero dimostrazioni di abilità. Anche il nuoto ebbe un notevole risalto con circa 300 atleti impegnati, ed in questa edizione per la prima volta le donne vennero ammesse a gareggiare, aumentando la loro presenza fino ad allora limitata alle gare di tennis e di tiro con l'arco. Alla quinta edizione dei Giochi Olimpici gli italiani riescono a partecipare grazie agli sforzi effettuati per reperire i soldi necessari alla spedizione, in un momento che ci vede protagonisti in una guerra con la Turchia per il dominio della Libia. Ancora una volta, Alberto Braglia, che aveva esordito con una splendida vittoria nella precedente edizione, strabilia il pubblico e la giuria nel concorso generale individuale e concorso generale a squadre di ginnastica. Nuovo protagonista di questa edizione, destinato ad un gran successo, Nedo Nadi con i suoi soli 18 anni, vince con grande abilità la gara di fioretto individuale, dimostrandosi uno schermidore d’eccezione. Ma la vera notizia è che per la prima volta l’Italia partecipa ai Giochi con una squadra di calcio, che purtroppo sarà sconfitta dalla Finlandia 3 a 2.





    Le altre medaglie conquistate dall’Italia sono vinte da Pietro Speciale (argento nel fioretto individuale), Fernando Altimani (Bronzo nei 10 Km Marcia) e da Serafino Mazzarocchi (Bronzo nel concorso generale individuale di Ginnastica). Nel particolare le medaglie vinte furono:
    Oro: Alberto Braglia (Ginnastica - concorso generale individuale) P. Bianchi, G. Boni, A. Braglia, G. Domenichelli, C. Fregosi, A. Gollini, F. Loy, Luigi Maiocco, G. Mangiante, R. Mangiante, S. Mazzarocchi, G. Romano, P. Salvi, L. Savorini, A. Tunesi, G. Zampori, A. Zorzi (Ginnastica - concorso generale a squadre) Nedo Nadi (Scherma - fioretto individuale).

    Argento: Pietro Speciale (Scherma - fioretto individuale).

    Bronzo: Fernando Altimani (Atletica - marcia 10.000 metri) Adolfo Tunesi (Ginnastica - concorso generale individuale).
    (olimpiadi.it)



    La spedizione italiana, partita con grandi difficoltà economiche, è segnata dalla contemporanea presenza di due dei più grandi campioni dello sport italiano: Alberto Braglia e Nedo Nadi. Braglia si ripete ai livelli di Londra e domina nuovamente il concorso individuale della ginnastica. Rispetto a Londra, però, insieme al fuoriclasse modenese c'è anche una squadra di alto livello e così l'Italia conquista, oltre al terzo posto di Serafino Mazzarocchi nel concorso individuale, la medaglia d'oro nel concorso a squadre. L'altro fuoriclasse della spedizione azzurra è uno schermidore livornese di 19 anni, Nedo Nadi. A Stoccolma vince nel fioretto davanti all'altro italiano Pietro Speciale, ma la sua storia olimpica è appena all'inizio. Un'altra medaglia arriva dall'atletica: il bronzo del marciatore Fernando Altimani. Una curiosità: nel gruppo di atleti italiani che avrebbero dovuto essere a Stoccolma era inserita anche una donna, la tuffatrice Elda Fama, che però rinuncia. Bisognerà ancora spettare per vedere la prima donna italiana ai Giochi.
    Il 12 luglio cala il sipario sui Giochi Olimpici di Stoccolma: un'edizione di alto livello organizzativo e tecnico, ma anche l'ultima prima delle Olimpiadi della morte, la Prima Guerra Mondiale.







    ...ricordi olimpionici...

    La nostra partecipazione alle Olimpiadi di Stoccolma fu la cosa più laboriosa che si possa immaginare.
    Si era nel 1912 e di appoggi sostanziosi e sostanziali non se ne avevano da nessuno. Il Comitato Olimpico Italiano era ben lontano dall'avere la struttura, i poteri e l'autorità attuali. Era presieduto dal marchese Compons de Brichanteaux e aveva per segretario generale un certo Guerra: i rappresentanti italiani nel Comitato Internazionale Olimpico erano il Conte Brunetta d'Usseaux e l'On.Attilio Bruniatti.
    Malgrado la buona volontà di tutti, questo nostro Comitato viveva un po' nelle nuvole, lontano dalla realtà delle cose. Astratto dallo sport vero e proprio e dalle necessità di chi lo praticava. La colpa non era dei dirigenti: mancavano i mezzi, gli appoggi dall'alto, la comprensione dell'ambiente, l'organizzazione.
    Per recarsi a Stoccolma, ognuno dei partecipanti doveva portarsi fino a Verona a proprie spese - per i calciatori ci pensò la Federazione -: il Comitato pagava il viaggio andata e ritorno in II classe, corrispondeva una diaria di sei lire giornaliere, e, come conscio della situazione che creava, autorizzava - e ciò per iscritto, in circolare ufficiale che tengo ancora - i partecipanti a viaggiare in terza classe dal confine a Stoccolma, intascando ognuno la differenza fra la terza e la seconda. Nella capitale svedese, il vitto ed il soggiorno erano intesi gratuiti.
    Col Comitato Olimpico funzionante in tal modo, con la Presidenza della Federazione dimissionaria, fra il disinteresse generale e difficoltà d'ogni sorta, il preparare la spedizione dei calciatori fu un'impresa improba.Eravamo autorizzati a portare quattordici giocatori, per tutto il torneo: nemmano una riserva per ogni linea della squadra. E ci si fece notare che quattordici persone erano tante, per la prima volta che partecipavamo, su un complesso di settantotto (che alla prova pratica finirono per essere poi sessantasei), che stessimo zitti, ché la nostra spedizione era una delle più numerose, venendo subito dopo quella ginnastica che, come forza, constava di diciannove uomini.
    Se avessero potuto ci avrebbero fatto giuocare in dieci, dicendo di "arrangiarsi" per le partite.
    A Londra, la prima volta, nel 1908, i partecipanti italiani erano stati sessantotto: la differenza in più era proprio dovuta ai calciatori. (Nel '36 , a Berlino, i calciatori ci andarono in ventidue).
    Erano pochi, quattordici giocatori, ma per trovarli ce ne volle.



    I permessi militari costituirono l'ostacolo maggiore. Molti fra i giuocatori più in vista erano sotto le armi.
    Il Ministero della Guerra non ne voleva sapere di concedere licenze per espatrio.
    Ricordo la lunga corrispondenza per i tre vercellesi, Corna, Rampini e Milano II. Bisognò rinunciare a tutti e tre. Ho ancora la tessera del Comitato di Stoccolma, per la riduzione ferroviaria del 50 per cento relativa a Rampini.

    L'aiuto maggiore, nella circostanza, lo ebbimo da alcuni giuocatori amici, che sbrigarono le loro pratiche da soli, rendendosi disponibili: Renzo De Vecchi, Milano I, Felice Berardo, fra altro, il quale ultimo sacrificò le sue ferie presso l'Istituto San Paolo di Torino.
    Guido Ara, laureando in medicina, non potè partecipare e nemmeno Virgilio Fossati dell'Internazionale.
    A spinte e sponte, si riuscì a mettere assieme i seguenti quattordici giuocatori:
    Piero Campelli (Internazionale) come unico portiere; Modesto Valle (Pro Vercelli) e Renzo De Vecchi (Milan) come terzini; Carlo De Marchi, Giuseppe Milano I (Pro Vercelli) e Pietro Leone (Pro Vercelli), come mediani; Enea Zuffi, Franco Bontadini (Internazionale), Felice Berardo (Pro Vercelli), Enrico Sardi (Genoa), Edoardo Mariani (Genoa) come attaccanti; Angelo Binaschi (Pro Vercelli), Vittorio Morelli (Torino) e Luigi Barbesino (Casale) come uomini capaci di giuocare in parecchie posizioni. OLIMPIADI Stoccolma 1912
    La prima volta di PozzoOtto di questi giuocatori, e precisamente Campelli, Valle, De Marchi, Zuffi, Bontadini, Morelli, Sardi e Barbesino non avevano mai vestito la maglia azzurra, otto su quattordici. Giuocarono tutti nel corso del torneo.
    Attorno a me c'era il vuoto, in tutto, meno che in fatto di aspirazioni e di ambizioni.
    Di quelle dei dirigenti io non mi occupavo: tiravo diritto per la mia strada, secondo un principio che sempre ho seguìto in séguito; pensando e dicendo che, se non erano contenti, non avevano che da lasciarmi andare o farmi cenno di andare, ché io ci avevo tutto da guadagnare.
    Anche come compagnia, dal momento in cui certe cose risultavano provate. Viceversa, quello che mi premeva l'accordo fra i giuocatori. Cominciava ad affiorare, allora, la famosa questione dei tre centromediani: Milano I, Fossati, Barbesino. Tre uomini di stile diverso, ma tre centromediani di grande valore. Sostenuti da tre città come Vercelli, Milano e Casale, ognuno doveva finire per posare la candidatura sua ogni volta che si doveva comporre la squadra nazionale. Già prima di Stoccolma, Milano aveva spodestato Virgilio Fossati, e questi in tre, occasioni aveva dovuto spostarsi a mediano sinistro.



    Più tardi, due anni dopo, quando la questione si complicò, si giunse alla soluzione compromesso di farli giuocare tutti e tre, formando una mediana di tre centri, contro la Svizzera, a Berna.
    Intuita la situazione in sul nascere, e venuto a mancare Fossati, io dovevo risolvere la situazione ridotta, Milano-Barbesino. Prima di partire, a sostituire Fossati, s'era affacciata la candidatura Caimi.
    Era, Caimi, un pezzo di ragazzo grande e grosso, che giuocare sapeva, quando voleva. Compariva a lato di Fossati nell'Inter o ne prendeva il posto. Ma era irregolare in tutto quello che faceva. Era tutto istinto, scatti, impulso, improvvisazione, tratti di genio, anche, a cui succedevano periodi di rilassamento.
    Una domenica faceva grandi cose, e la seguente non arrivava nemmeno fino al campo perchè, per istrada, aveva trovato una bella ragazza. Ho ancora la sua tessera delle Olimpiadi, già pronta e firmata. A cose quasi già fatte, lo lasciai a casa. Eravamo amici. Mi scrisse una lettera di fuoco, gli risposi, ribadì. Stemmo senza vederci, offesi, qualche tempo.

    Venne la guerra. Una sera, ad una mensa ufficiali alpini ci ritrovammo: la lunga penna nera fece da paciere, ci riconciliammo nel caos di una sbornia piramidale. Pochi mesi dopo Giuseppe Caimi doveva scomparire in un vortice di gloria. Era al 7° Battaglione Feltre, comandava il plotone esploratori, alternando ad atti di valore ed a ferite, scappatelle e scappatone di ogni tipo. Cantava, suonava, dipingeva, beveva, amava... ed andava a ricuperare l'attendente ferito, sotto il naso degli austriaci. Nel dicembre del '17, a Cima Valderoa (Monte Grappa), ferito gravemente, scappò dal posto di medicazione, tornò in linea come una furia, colpito a morte si gettò nella mischia, e non fu più visto. La motivazione della sua medaglia d'oro: "Ufficiale di leggendario valore..." è un poema. Lui onorò il nostro sport. Alle Olimpiadi di Stoccolma io non posso pensare senza che la sua assenza mi torni presente.
    Partimmo in sedici, quattordici giuocatori e due dirigenti, e con la diaria di sei lire al giorno, giungemmo a destinazione.
    Qui, grane su grane, perchè non c'era nulla che andasse.
    A dormire finirono per metterci in un educandato femminile, che era stato sgombrato per ferie.
    A mangiare, dopo una quantità di discussioni con l'economo, Cav. Ballerini, ci si sistemò nell'unico ristorante italiano di Stoccolma, nella Norrmalinstorg, dove ci servivano ragazze in tricolore e dove i giuocatori, sempre affamati, facevano auspice il povero Campelli, strage d'uova, che poi qualcuno avrebbe pagato. Avevamo con noi, a dividere gioie e dolori, i due corridori podisti Giongo e Lunghi.Quest'ultimo, genovese, marinaio, bel ragazzo, professava delle teorie strane in fatto di allenamento. Giurava che l'uomo normale non poteva rendere in una competizione, se la sera prima non avesse reso un omaggio piuttosto sostenuto a... Venere. Lui non aveva dirigenti che lo controllassero o lo contraddicessero, ma nel campo nostro non aveva da insistere troppo per farsi proseliti, e quindi ci dava un mucchio di fastidi.

    Erano iscritte tredici nazioni al torneo: Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Norvegia, Olanda, Russia, Svezia ed Ungheria. Due sole si ritirarono all'ultimo momento: il Belgio e la Francia. Rimasero undici squadre. La Giuria era composta da Woolfall (Inghilterra), Kornerup (Svezia), il Barone de Saveleve (Belgio) e Hirschmann (Olanda), segretario della Fifa.
    Segretario del Comitato Organizzatore per il calcio era Anton Johansson, uno sportivo svedese con cui entrammo, in quell'occasione, in rapporti di viva amicizia che durano tuttora.

    Il sorteggio ci destinò a giuocare contro la Finlandia. Una partita che pareva già tutta vinta prima di essere giuocata e che invece perdemmo. Fummo noi a perdere, non gli avversari a vincere, noi con la nostra mancanza d'intesa e di concordia. Si andò in campo con: Campelli; Binaschi, De Vecchi; De Marchi, Milano I (cap.), Leone; Zuffi, Bontadini, Berardo, Sardi, Mariani; c'erano, cioè, cinque esordienti.
    L'avversario segnò subito, di sorpresa, al 2' con la sua mezz'ala destra, Wiberg. Noi si pareggiò con Bontadini e si andò in vantaggio con Sardi, lasciandoci poi riprendere dai finlandesi a mezzo del centro-mediano Soinio prima del riposo.

    Ripresa in bianco malgrado noi cambiassimo un uomo in squadra. Alla fine del primo tempo supplementare l'avversario segnò con la sua ala sinistra Niska e non se ne parlò più. Meglio non parlarne nemmeno ora, salvo ricordare che 27 anni dopo a Helsinki potemmo rovesciare il 3-2 a nostro favore.
    La partita fu disputata sul vecchio campo di Träneberg, ed io feci in essa la conoscenza di Hugo Meisl, che la arbitrò.

    Con lui, la sera stessa combinai la seconda partita fra Italia ed Austria, che si disputò poi il dicembre dell'anno stesso a Genova. Conservo tra i miei ricordi il biglietto d'entrata a pagamento, che mi acquistai agli sportelli, per non averne voluto richiedere uno gratuito alla Federazione.Tagliati fuori dal torneo, non ci rimase che prender parte, due giorni dopo, alla gara di "consolazione".
    La consolazione la ebbimo subito in questa gara battendo la Svezia, in casa sua su quel terreno di Rasunda che, ampliato e modificato, serve ancora adesso da teatro alle grandi prove internazionali.

    La Svezia era stata eliminata nel torneo dall'Olanda. La squadra nostra si allineò in una formazione riveduta, poichè con la Finlandia c'erano stati molti uomini pesti: Binaschi, terzino, diventò mediano, Barbesino mezz'ala e De Vecchi si spostò a destra. Ecco: Campelli; De Vecchi e Valle; Binaschi, Milano I (cap.) e Leone; Bontadini, Berardo, Sardi, Barbesino e Mariani.

    Segnò Bontadini, su una fuga al 30' minuto del primo tempo. Dominati da quel momento fino al termine, non fummo ripresi più. Ricordo che il pubblico era furibondo. Alla sera fu a visitarmi un dirigente svedese, il capitano Schöyen, che promise mari e monti per una partita di rivincita. Rifiutai. Per la storia, la Svezia, nei due incontri successivi, non riuscimmo mai a batterla.Si andò avanti nel torneo di consolazione. E si fu battuti ed eliminati dall'Austria per cinque a uno. Nostra formazione: Campelli; De Vecchi e Valle; Binaschi, Milano I (cap.) e Leone; Zuffi, Bontadini, Berardo, Barbesino e Mariani. Nulla da fare per noi. Avversario di levatura superiore, tuttavia favorito dalle precarie condizioni fisiche di più d'uno degli azzurri.

    Prima conoscenza di Hussak, con cui combinai il viaggio degli Amateure a Torino, con Braunsteiner, Brandstätter, Studnicka ed altri. Nostra rete segnata da Berardo a nove minuti dalla fine.

    In finale del torneo di Stoccolma andarono l'Inghilterra e la Danimarca. Era forte la Danimarca di allora, precisamente come forte era l'Olanda, la cui squadra era composta fra l'altro anche di "coloniali", olandesi cioè nati nelle isole di Giava e di Sumatra.
    Appunto, la Danimarca eliminò l'Olanda in semifinale. Folla di Hansen, di Nielsen e di Olsen nella Nazionale danese, con Middelboe, gigante nella statura e nel giuoco, come capitano. Il portiere era Sophus Hansen, che dovevamo poi trovare come arbitro a Budapest nel '32, nell'Ungheria-Italia 1-1.

    Vecchi amici nella Nazionale inglese dilettanti, con Vivian Woodward (foto a destra) come capitano, Ivan Sharpe come ala sinistra e Arthur Berry, ora avvocato a Liverpool, come ala destra.
    Fu, la finale, una delle partite più strenue e più accanitamente combattute a cui io abbia mai assistito. Walden, il centro-avanti, segnò due reti per l'Inghilterra e Olsen, pure centro-avanti, per la Danimarca. Poi Buchwald, il centro-mediano danese, si ferì gravemente e dovette lasciare il campo.Hoare, la mezz'ala sinistra e Berry segnarono ancora per gl'inglesi, che a metà di tempo vincevano così per 4-1. Combattendo con dieci uomini soli, i danesi riuscivano a diminuire ancora il distacco a mezzo di Olsen. Così l'alloro andava agli inglesi, vincitori per quattro a due. Indimenticabili Olimpiadi di un tempo straordinariamente diverso dall'attuale!

    Da "I ricordi di Pozzo" - Il Calcio Illustrato, Milano 1949-50

     
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    Anversa 1920

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    Nel 1919, dopo la cancellazione dell'Olimpiade che sarebbe dovuta svolgersi a Berlino tre anni prima, si scelse di affidare a una delle nazioni più colpite dalla Grande Guerra, il Belgio, l'organizzazione dei Giochi del 1920, ambiti anche da città come Roma, Budapest, Amsterdam e Lione: la scelta ricadde invece su Anversa. La cerimonia d'apertura si tenne il 20 aprile 1920; era stata presa la sofferta decisione di non invitare ai Giochi Germania (che non prenderà parte neanche ai Giochi Olimpici di Parigi del 1924 in segno di protesta contro l'occupazione francese della regione della Ruhr), Austria, Ungheria, Bulgaria e Turchia per il ruolo svolto nel più sanguinoso conflitto che l'umanità aveva conosciuto fino a quel momento. La Russia, per problemi interni, scelse di non partecipare. Anche se non mancarono i problemi economici e di infrastrutture di un Belgio sulla via della ricostruzione, l'Olimpiade del 1920 riscosse un discreto successo, non tanto tra il pubblico quanto tra la critica, anche perché mai come prima i Giochi diventarono portatori di valori positivi: fu ad Anversa che per la prima volta venne recitato il Giuramento olimpico, dallo schermidore belga Victor Boin. Inoltre, nacquero la Bandiera olimpica e la tradizione che vede liberare le colombe bianche durante la cerimonia d'apertura, a simboleggiare la pace. Finalmente anche l’Italia ha un vero comitato nazionale che si occupa dei giochi olimpici, denominato CONI e ufficializzato nel 1914. Il marciatore italiano Ugo Frigerio conquista ben 2 medaglie d’oro nei 3 e 10 Km. Trionfa ancora una volta Nedo Nadi, che vince ben cinque medaglie d'oro nella scherma divenendo il più gran campione di scherma di tutti i tempi. Dopo ben 20 anni l’Italia riesce a vincere nelle gare d’equitazione grazie a Tommaso Lequio di Assaba, con la sua grandissima gara su un cavallo soprannominato il "Baio Trebecco". Per la prima volta, nella spedizione Italiana, partecipa anche una donna, Rita Gagliardi, Tennista, che in ogni caso non riesce a ottenere risultati rilevanti. In questa edizione si inaugura la tenuta azzurra, indossata ancora oggi, che accompagna gli atleti italiani nelle varie edizioni olimpiche. Fatto del tutto simpatico è il debutto degli atleti azzurri alla gara di pallanuoto, nella quale, essendo costretti a gareggiare nelle freddissime acque del porto e terminando in parità il primo tempo, si rifiutano di tuffarsi per terminare la partita.

    Nel particolare le medaglie vinte furono:

    Oro: Ugo Frigerio (Atletica - marcia 3.000 metri) Ugo Frigerio (Atletica - marcia 10.000 metri) Guido de Felip (tim.), Ercole Olgeni, Giovanni Scatturin (Canottaggio - due con) Arnaldo Carli, Roberto Ferrario, Franco Giorgetti, Primo Magnani (Ciclismo - inseguimento squadre 4.000 metri) Giorgio Zampori (Ginnastica - concorso generale individuale) A. Andreoli, E. Bellotto, P. Bianchi, F. Bonatti, L. Cambiaso, L. Contessi, C. Costigliolo, L. Costigliolo, G. Domenichelli, R. Ferrari, C. Fregosi, R. Ghiglione, A. Levati, F. Loy, V. Lucchetti, Luigi Maiocco, F.Mandrini, G. Mangiante, R. Mangiante, A. Mar (Ginnastica - concorso generale a squadre) Nedo Nadi (Scherma - fioretto individuale) Baldo Baldi, Tommaso Costantino, Aldo Nadi, Nedo Nadi, Abelardo Olivier, Oreste Puliti, Pietro Speciale, Rodolfo Terlizzi (Scherma - fioretto a squadre) Antonio Allocchio, Tullio Bozza, Giovanni Canova, Tommaso Costantino, Andrea Marrazzi, Aldo Nadi, Nedo Nadi, Abelardo Olivier, Paolo Thaon di Revel, Dino Urbani (Scherma - spada a squadre) Nedo Nadi (Scherma - sciabola individuale) Baldo Baldi, Federico Cesarano, Francesco Gargano, Aldo Nadi, Nedo Nadi, Oreste Puliti, Giorgio Santelli, Dino Urbani (Scherma - sciabola a squadre) Filippo Emanuele Bottino (Sollevamento pesi - massimi) Tommaso Lequio di Assaba (Sport equestri - gran premio nazioni individuale).

    Argento: Pietro Annoni, Erminio Dones (Canottaggio - doppio) Aldo Nadi (Scherma - sciabola individuale) Pietro Bianchi (Sollevamento pesi - medi) Giulio Cacciandra, Ettore Caffaratti, Gabriele Spighi (Sport equestri - concorso completo a squadre) Alessandro Valerio (Sport equestri - gran premio nazioni individuale).

    Bronzo: Ernesto Ambrosini (Atletica - 3000 metri siepi) Valerio Arri (Atletica - maratona) Edoardo Garzena (Pugilato - piuma) Alessandro Alvisi, Giulio Cacciandra, Ettore Caffaratti (Sport equestri - gran premio nazioni a squadre) Ettore Caffaratti (Sport equestri - concorso completo individuale) Adriano Arnoldo, Silvio Calzalari, Romolo Carpi, Giovanni Forno, Rodolfo Rambozzi, Carlo Schiappapietra, Giuseppe Tonani, Amedeo Zotti (Tiro alla fune - Sport dimostrativo). Questa affermazione non compare nel medagliere.



    Nessun atleta italiano in gara nelle seguenti discipline: Golf, Hockey, Hockey su ghiaccio, Pattinaggio su ghiaccio, Polo, Rugby, Tiro con l’arco, Vela.

    C'è anche la prima donna italiana: è Rosetta gagliardi, se l'è portata ad Anversa il conte Alberto Bonacossa, futuro proprietario della Gazzetta e grandissimo sportivo, per le gare di tennis: Rosetta si ferma al secondo turno in singolare, al primo nel doppio misto, né miglior fortuna avrà 4 anni dopo a Parigi, fuori negli ottavi in singolare e nei quarti nel doppio femminile. Ma un'altra piccola svolta è arrivata: l'Italia sa schierare squadre complete, che non ci fanno sfigurare nel confronto con il mondo, ed è fra le nazioni guida del movimento olimpico.





    Mentre nell'antichità le Olimpiadi avevano il potere di fermare le guerre, nel XX secolo sono purtroppo le guerre che fermano i Giochi. La tragedia della Prima Guerra Mondiale non lascia chiaramente spazio allo sport e l'edizione del 1916 già fissata a Berlino non va in scena. Anche nel 1920, a guerra finita, ma con le rovine ancora nelle città, le devastazioni, il ricordo dei milioni di morti, il clima non è dei migliori. I Giochi comunque si fanno e per l'organizzazione viene prescelta una piccola città belga martoriata dal conflitto, Anversa. Gli impianti, le strutture per gli atleti, le cerimonie, tutto è fatto con sobrietà e concretezza, senza lussi del resto impossibili vista la situazione internazionale e col contributo fondamentale dei soldato americano di stanza in Europa. Nonostante le difficoltà del momento Anversa ce la fa.
    All'edizione belga dei Giochi non partecipano, nonostante l'impegno di De Coubertin per far rimanere la politica fuori dallo sport, i paesi sconfitti della Grande Guerra e neanche l'Unione Sovietica, alle prese con ben altri problemi. Diverse le novità rilevanti di queste Olimpiadi: intanto la bandiera olimpica, quella con i cinque cerchi che conosciamo ancora oggi, disegnata proprio da De Coubertin, poi il giuramento degli atleti, che si ripete da allora in tutte le cerimonie di apertura, e il riconoscimento ufficiale del CIO per la partecipazione delle donne. Anche sul piano tecnico non mancano le innovazioni, le più importanti delle quali sono l'adozione definitiva della lunghezza della piscina e della pista di atletica, rispettivamente 50 e 400 metri.





    NEDO NADI

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    LE PAROLE incise sulla targa di Nedo Nadi, a piazza Santiago del Cile, sono quelle che si addicono a un uomo davvero eccezionale. «Insuperato campione alle tre armi», si legge con un po' di fatica (la targa andrebbe restaurata). Si tratta, in effetti, del fioretto, della sciabola e della spada. E sul fatto che Nedo Nadi fu il più grande schermidore italiano di tutti i tempi, appunto «insuperato», ancora oggi esistono pochi dubbi. Oltre che atleta, la targa lo definisce «scrittore, soldato e maestro». Nel 1940, anno della sua precoce morte (era nato a Livorno nel 1893), non si poteva certo aggiungere sul marmo di una targa che Nedo Nadi era un uomo così amante della libertà, e così insofferente del fascismo, da rischiare, nonostante la popolarità, le botte di una squadraccia. Fu forse dalle finestre di questa casa di periferia (a quei tempi piazza Santiago del Cile, alla metà esatta di viale Parioli, era quasi aperta campagna) che il grande campione si rifiutò di esporre una bandiera, per festeggiare un fallito attentato al Duce. Questione di istinto e temperamento, viene da pensare, ancora più che di ideologia politica. All' elegantissimo Nadi, incapace di volgarità, l' istrionismo mussoliniano non poteva che ispirare ribrezzo. Basta rintracciare in internet uno dei vecchi film in cui il livornese dà qualche dimostrazione della nobile arte della scherma. Anche il profano rimane incantato: Nadi sembra danzare, un attimo sta in difesae l' attimo dopo il suo affondo coglie nel segno, con la precisione di un compasso umano. Ma ogni perfezione, come si sa, proviene da innumerevoli fatiche, sacrifici, umiliazioni. Il padre dei fratelli Nadi (anche Aldo, il minore, fu un grande della scherma) era istruttore al Circolo Fides di Livorno, e impiegava un metodo tanto semplice e feroce quanto, bisogna ammettere, efficace: ogni errore, una bella scudisciata. Si capisce che Nedo, a dodici anni, già brillasse come un astro nascente della scherma. La spada, che è da sempre la specialità più libera dell' arte della scherma, e come tale era disprezzata dal severissimo genitore, l' aveva imparata di nascosto. Il primo alloro, comunque, arrivò alle Olimpiadi di Stoccolma, con l' oro nel fioretto individuale.

    Antwerp_Nedo_Nadi_1


    Era un preludio ai trionfi di Anversa. Ma in mezzo, ci fu la prima guerra mondiale, combattuta sul Carso e i dintorni, con tutto il coraggio e la cavalleria che si addicevano a un uomo così eccezionale. Prese prigioniero, aggirandolo alle spalle, un intero avamposto austriaco. Ma poi, rischiò dei provvedimenti disciplinari per aver fraternizzato con un nemico, anche lui schermidore. E arriviamo al 1920, l' anno indimenticabile in cui la carriera di Nedo Nadi toccò un vertice irripetibile. Due furono gli astri delle Olimpiadi di Anversa, lui, e Paavo Nurmi, il cosiddetto «finlandese volante», gloria del fondo e del mezzo fondo. Alla fine, il nostro Nadi se ne tornò a casa con cinque medaglie d' oro: nel fioretto individuale e a squadre, nella sciabola individuale e a squadre, e nella spada a squadre. L' insuccesso nella spada individuale fu da attribuire solamente a un' infezione intestinale. Pare che il re del Belgio, Alberto I di Sassonia-Coburgo, alla terza medaglia d' oro che gli consegnava abbia esclamato: «Ancora qui, monsieur Nadi ?» e lui: «Con il Vostro permesso, conto di tornare ancora davanti a Sua Maestà». Come in effetti doveva accadere altre due volte. Negli anni successivi, diventato ormai una leggenda vivente, Nedo Nadi si trasferì a Buenos Aires, da dove ritornò nel 1923, afflitto da una misteriosa malattia. La sua salute peggiorava rapidamente, causandogli soprattutto problemi di cuore. Questo non gli impedì, una volta ritiratosi dalle pedane, di capeggiare come allenatore la nazionale italiana di scherma in altre due Olimpiadi, a Los Angeles e a Berlino, terminate con un cospicuo numero di medaglie nelle varie specialità. E' per questo che la targa di piazza Santiago del Cile lo definisce giustamente «vincitore di quattro Olimpiadi». Non ci si può dimenticare, parlando di un campione della scherma di quell' epoca, che ancora erano in uso duelli veri e pericolosi, per le cosiddette questioni d' onore. Si stenta e credere che qualcuno sia stato così stupido da sfidare sul serio uno come Nedo Nadi. Eppure, accadde, e le cronache del tempo ci hanno riportato i fatti, accaduti probabilmente a metà degli anni Venti. Fu un giornalista, di nome Adolfo Cotronei, ad avere la sciagurata idea di accettare un duello alla sciabola con Nadi. Cotronei era uno di quei giornalisti che amano provocare, dicendo tutto quello che pensano e sconfinando spesso dalla critica all' insulto. Oggi sono questioni che si risolvono con le querele. A quei tempi, invece di affollare le aule giudiziarie e arricchire gli avvocati, ci si sfidava a duello. Personalmente, lo ritengo un metodo più civile. E va riconosciuto a Cotronei un coraggio da leone. Ma bastò poco a Nadi per prevalere: dopo una parata di terza, il suo affondo andò a segno, e la punta della sciabola entrò nell' addome dell' avversario. L' incauto giornalista si accasciò a terra, e Nadi si mise le mani sulla faccia, sopraffatto dall' orrore per ciò che aveva fatto. Per fortuna, si trattava di una ferita di striscio. A salvare la vita a Cotronei, racconta la leggenda, fu un bottone, o la fibbia della cintura, che deviò l' affondo, altrimenti mortale, dell' avversario troppo più forte di lui. Morì a quarantasette anni, il grande campione, una sera come le altre, a causa di un ictus. Sua moglie, che gli stava vicino in quel momento, cercò di convincerlo a sedersi. Ma lui rifiutò. Forse fu l' ultimo gesto di coraggio di una vita in tutti i sensi cavalleresca. Ci sono dei campioni sportivi che riescono a conservare un' aura di nobiltà e di riserbo, un' ombra di nobile malinconia, anche nel bel mezzo dei loro più grandi trionfi. Con Ayrton Senna, Agostino Di Bartolomei e pochi altri grandissimi, Nedo Nadi mi sembra appartenere a questa razza di uomini preziosi e rari.
    (EMANUELE TREVI, repubblica)





    ALDO NADI

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    Aldo Nadi e il fratello maggiore Nedo furono avviati alla scherma dal padre, il maestro d'armi Beppe Nadi (fondatore dello storico Circolo Scherma Fides di Livorno), il quale li allenò con durezza al pari degli altri allievi della propria scuola. Nella sua palestra i due ragazzi si allenavano con il fioretto e la sciabola. La spada invece era proibita, perché il padre la riteneva un'arma indisciplinata. Aldo era quindi costretto ad andare a tirare di spada altrove, di nascosto dal padre. Sembra che il padre una volta dichiarò: Nedo vincerà tutto quello che si potrà vincere nella scherma. Quando si stancherà, Aldo lo sostituirà. Secondo molti la sua profezia non risultò essere andata lontano dalla verità. Durante la Prima guerra mondiale Aldo Nadi fu impegnato come ufficiale di cavalleria.
    Alle Olimpiadi del 1920 la scherma italiana ottenne un risultato eccellente: vinse l'oro a squadra in tutte e tre le armi nella stessa edizione dei Giochi. Aldo Nadi, così come il fratello Nedo, faceva parte di tutte e tre le squadre. Completò il bottino un argento individuale nella sciabola, perdendo in finale contro il fratello maggiore. I fratelli Nadi furono i co-protagonisti di quell'Olimpiade assieme al finlandese volante Paavo Nurmi.

    Negli anni trenta Aldo Nadi gareggiò per diverso tempo negli Stati Uniti, dove fu protagonista di spettacolari sfide con un altro maestro italiano, Giorgio Santelli.
    Attirato dal cinema, si trasferì ad Hollywood agli inizi degli anni quaranta. Aveva già al suo attivo una partecipazione in un film francese, Il torneo del 1928. Non riuscì però a sfondare nel cinema americano: racimolò una piccola parte come guardia del corpo in un unico film, e qualche consulenza come coreografo di scene di duello in pellicole minori.

    Sostenne sempre che suo fratello Nedo fosse il migliore schermidore di tutti i tempi. A coloro che sostenevano che Edoardo Mangiarotti fosse il migliore schermidore d'Italia, a causa del numero di medaglie vinte, egli rispose che suo fratello Nedo aveva sì vinto meno medaglie, ma tutte d'oro.



    Edited by gheagabry - 12/7/2012, 00:47
     
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    UGO FRIGERIO

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    Ugo Frigerio (Milano, 16 settembre 1901 – Garda, 7 luglio 1968) . Fu il primo campione nella storia della marcia italiana; in carriera vinse 3 ori e un bronzo alle Olimpiadi. Era solito tagliare il traguardo al grido: «Viva l'Italia!», abitudine che aveva anche nelle sue numerose gare all'estero.

    Ugo Frigerio esordì vincendo in una competizione agonistica nel 1918, a 17 anni. L'anno dopo vinse il titolo italiano sui 10 km di marcia, che conservò imbattuto fino al 1924 e che rivinse nel 1931.

    Nel 1920 e nel 1924 Ugo Frigerio conquistò tutti gli ori olimpici in palio per la marcia. Alle Olimpiadi del 1920 si aggiudicò la vittoria in entrambe le gare di marcia in programma, i 3.000 m e i 10 km Quattro anni dopo, i 3.000 furono eliminati, ma Frigerio si confermò campione olimpico sui 10 km, l'unica gara di marcia a quei Giochi.

    Nel 1925 Frigerio fu protagonista di una tournée negli Stati Uniti con eccellenti risultati. Stabilì ben sei record del mondo al coperto, ma all'epoca i primati indoor non erano ancora registrati ufficialmente.

    Nel 1928 ad Amsterdam la marcia fu esclusa dal programma dei Giochi. Frigerio decise di abbandonare le gare. Rientrò successivamente per partecipare ai Giochi di Los Angeles del 1932, dove conquistò il bronzo nella 50 km.

    Oltre allo schermidore Edoardo Mangiarotti, Ugo Frigerio è stato l'unico italiano scelto per due volte come portabandiera dell'Italia nella cerimonia di apertura, nel 1924 a Parigi e nel 1932 a Los Angeles.

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    .. il due con Bucintoro firma il primo oro azzurro ..



    Vendetta americana, organizzazione italiana e oro veneto dominano il canottaggio ai VII Giochi Olimpici 1920, in un'Anversa rasa al suolo dalla Prima Guerra Mondiale ed ancora occupata dagli Alleati (lo stadio viene dedicato al generale Pershing, comandante delle truppe USA in Europa). La spedizione italiana è pervasa dall’efficientismo del reggente effettivo CONI Carlo Montù, che compie tre “miracoli”. Le spese della rappresentativa tricolore vengono sostenute da una sottoscrizione de “La Gazzetta dello Sport” (aderiscono enti come la Federazione Calcio e industriali quali il fondatore della FIAT Giovanni Agnelli). C’è l’adozione della maglia azzurra (colore di Casa Savoia) per tutti gli atleti italiani partecipanti. Ad Anversa viene organizzata la prima Casa Italia. Un quarto miracolo lo fa il nostro canottaggio - anche questo sotto l’egida di Montù che è pure presidente del Rowing Club (futura Federcanottaggio) - vincendo la prima medaglia d’oro olimpica della sua storia con il 2 con dei veneziani (della Bucintoro) Ercole Olgeni e Giovanni Scatturin timonati da Guido De Felip che battono Francia e Svizzera. Al loro successo si aggiunge l’argento dei milanesi Dones e Annoni sul doppio, distaccati di 10 secondi da una formazione statunitense il cui capovoga è un muratore irlandese emigrato nel Nuovo Mondo, John Kelly senior, il quale vince pure il singolo, superando uno dei più grandi vogatori britannici di tutti i tempi, Jack Beresford junior. Kelly – che diventerà un facoltoso imprenditore edile e padre di Grace, diva del cinema americano e principessa di Monaco – con quel successo nello skiff si vendica dell’affronto subito ad Henley, dove gli inglesi non lo avevano fatto gareggiare nella Diamond Sculls perché con il suo lavoro di muratore aveva rafforzato i muscoli “in maniera non dilettantesca”.




    FILIPPO BOTTINO

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    Filippo Bottino (Genova, 9 dicembre 1888 – Sestri Ponente, 18 ottobre 1969) è stato un sollevatore italiano, campione olimpico nel sollevamento pesi ai Giochi di Anversa 1920.

    Uomo burbero e forzuto, aveva spesso atteggiamenti provocatori, tanto che Cesare Bonacossa racconta, nel libro dedicato al padre Vita la sole di Alberto Bonacossa, che ai Giochi di Anversa del 1920, provocò lo schermidore Aldo Nadi, fratello del più celebre Nedo Nadi, nella sede comune degli italiani nel corso delle Olimpiadi, tanto che Nadi lo sfidò a duello ed ebbe la meglio allorquando colpì con frustino il pesista che aveva imbracciato una trave di legno.

     
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    TOMMASO LEQUIO

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    Tommaso Lequio di Assaba (Cuneo, 21 ottobre 1893 – Roma, 17 dicembre 1965) è stato un cavaliere italiano, plurivincitore di medaglie ai Giochi olimpici.

    Figlio di Clemente Lequio, a cui fu concesso di aggiungere il cognomen onorifico Assaba, in ricordo dell'impresa libica. Celebre cavallerizzo, dopo le vittorie olimpiche rimase nell'esercito come ufficiale di cavalleria .

    Image553

    "Lequio, il più grande dei cavalieri. Libro che mi è stato consigliato dall’amica Annalisa e donatomi da un suo amico il Generale Renato Lodi.
    L’introduzione è dell’Avv.to Giovanni Agnelli, che frequentò Pinerolo fin da bambino, essendo della zona e che conobbe Tommaso Lequio, grazie a suo padre, ammirandolo subito (così scrive l’Avvocato) per la sua eccezionale abilità di cavaliere. Lo ebbe quindi, come comandante del suo reggimento, il Generale Lodi, durante la guerrra in Tunisia.
    I cavalieri di oggi, le amazzoni, gli “ippobabbi” e le “ippomamme”, gli istruttori, i consiglieri, i presidenti nazionali, regionali, tutti è bene che se lo leggano.
    Ho avuto la fortuna di vivere un bel periodo della mia vita equestre mentre Tommaso Lequio era presidente della F.I.S.E.. Medaglia d’oro alle olimpiadi di Anversa del 1920 e d’argento a quelle del 1924. Allora l’ambiente equestre non era ancora così numeroso e vario, ma caratterini e personalità intraprendenti, non facili da guidare ce n’erano pure allora.
    Lequio, persona giustamente molto sicura di sé, forte di una elegante ragion di stato, eticamente condivisa dai più, è stato capace di dire il da farsi, farlo,nonchè comandare e portare brillanti vittorie all’Italia, prima come cavaliere, indi come Capo Equipe e poi come presidente. Sceglieva bene sia gli atleti, sia i cavalli, sia i collaboratori. In squadra ha diretto persone come i fratelli D’Inzeo, Mancinelli, Lalla Novo, Nenè Angioni, Ugone d’Amelio, Adriano Capuzzo, Gian Carlo Gutierrez (per citarne alcuni della disciplina del salto ostacoli), le cui imprese, di vittorie e piazzamenti in Olimpiadi e in Coppe delle Nazioni, sono riportate cronologicamente con cura, nel libro che descrive Lequio e la sua vita, dagli inizi, quando, da ragazzo incominciò a montare a cavallo a Pinerolo, fino alla morte, avvenuta, quando aveva 72 anni, il 17 dicembre 1965 a Roma."
    (Giovanna Binetti fa una piacevole descrizione del libro di Giuseppe Veneziani Santonio sul grande Lequio di cui l’Avvocato Agnelli ne fece l’introduzione)

     
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    Giorgio Zampori

    Giorgio_Zampori


    È STATO L’ATLETA DELLA disciplina più medagliato di tutti i tempi partecipando e vincendo a ben tre edizioni dei Giochi Olimpici. Era tesserato per la Ginnastica Miani, divenuta successivamente U.S. Milanese. La sua prima vittoria era nel 1908 al concorso internazionale di Bellinzona quindi l’anno dopo a Piacenza e nel 1910 a quelli di Varese e Lussemburgo. Nel 1911 si aggiudicava i concorsi di Locarno e Torino e si presentava tra i favoriti alle Olimpiadi di Stoccolma avendo anche vinto prima dei Giochi i concorsi di Lugano e Como. In Svezia contribuiva alla vittoria della squadra ed era quarto assoluto nell’individuale. Fra 1913 e ’14 si aggiudicava altri quattro tornei nell’ordine Parigi, Nizza, Grenoble e Genova. La guerra purtroppo interrompeva questa sequenza di successi che riprendeva nel 1920 alle Olimpiadi. Ad Anversa infatti era suo tanto l’oro nel concorso generale individuale tanto quello a squadre. Partecipava quindi ai Giochi del 1924 e completava il trittico ancora con l’oro a squadre e con il bronzo nelle parallele mentre nel concorso generale individuale chiudeva in ventiseiesima posizione. Dal 1957 al 1963 era direttore tecnico della nazionale maschile.




    ...la ginnastica a squadre ad Anversa...

    La Virtus et Labor è indubbiamente la più longeva e la più blasonata fra le società sportive di Melegnano. Il sodalizio, sorto nel 1906, ha costituito per la ginnastica un’autentica fucina di atleti di valore, nelle sue file hanno militato campioni che hanno raggiunto i vertici nazionali e alcuni sono andati alle Olimpiadi. Tra questi Antonio Marovelli, nato il 4 luglio 1896 a Melegnano da Celeste e da Celestina Maiocchi. La famiglia abita in via Sangregorio Galli, nel quartiere Borgolombardo. Il piccolo Antonio frequenta l’oratorio San Giuseppe, nato una decina d’anni prima di lui e nella cui palestra si allenano gli atleti. Al ragazzino piace la ginnastica, il tesseramento per la società sportiva è inevitabile. Il sodalizio, che dal primo anno di vita al 1929 conta sulla presidenza di Ludovico Caminada, vive un periodo proficuo, molti suoi aderenti si impongono all’attenzione in campo nazionale. Fra gli altri da citare c’è senz’altro Giovanni Ceppi, vincitore del titolo italiano nel 1912. Tempi pionieristici ma ricchi di una passione che dà lustro a una disciplina che richiede sacrifici, senza benefici economici.

    Nel giro di qualche anno Marovelli diventa l’uomo di punta del settore maschile.

    Il giovane è magro, non palestrato, non appariscente, ma non ci sono dubbi sul suo talento: si esprime bene su tutti gli attrezzi. Si impone in vari “concorsi”, poi è soldato nella prima Guerra Mondiale. Torna e riprende con la ginnastica. Ormai il 24enne ex oratoriano ha un posto sulla ribalta della disciplina e la federazione lo seleziona per le Olimpiadi di Anversa del 1920: è in una squadra composta da 23 elementi guidata da un grande maestro, Manlio Pastorini. Della comitiva fa parte un altro ginnasta melegnanese, Pietro Bianchi, già oro a Stoccolma nel concorso a squadre (un’altra “puntata” del nostro servizio speciale sui lodigiani olimpici gli è dedicata).
    In Belgio la Nazionale italiana fa prodigi e vince la medaglia d’oro di squadra (si gareggia a squadre, a punti e su specialità combinate) con 359 punti, staccando di 13 lunghezze la Francia, terzo il Belgio, a seguire Cecoslovacchia e Gran Bretagna. Marovelli porta il suo contributo e a ribadire la superiorità degli azzurri Giorgio Zampori vince l’individuale. È un successo che ha larga eco in Italia e infiamma d’entusiasmo Melegnano. Marovelli e Bianchi tornano da Anversa scendendo alla stazione della linea Milano-Bologna, la stessa oggi esistente. Ad accoglierli il sindaco, il parroco e una folla di concittadini con la banda musicale in testa. Attraversano tutta Melegnano su un’auto scoperta, con gli atleti della Virtus a piedi davanti. Arrivano all’oratorio di via Lodi, quasi a voler suggellare un cerchio: dall’amatissimo ritrovo al mondo e ritorno....L’oro olimpico gli ha portato onori e gloria, non certo benefici economici che gli permettano di non lavorare. Come molti altri campioni delle varie discipline si dedicò allo sport raggiungendo la massima vetta animato solo da genuino spirito dilettantistico.

    “Togn” Marovelli, di carattere affabile, è benvoluto dai concittadini che non dimenticano la sua impresa. Nel 1941 ancora la guerra bussa alla sua porta dopo quella che lo aveva visto combattente nel 1915-18. Viene richiamato e destinato alla difesa civile di Milano nell’arma contraerea. Un malvagio destino è in agguato: durante un bombardamento degli anglo-americani, il 13 agosto 1943, finisce sotto le macerie e muore all’età di 47 anni. È, stando alle notazioni storiche, il più cruento bombardamento subìto dalla città, le bombe causano enormi danni e molte vittime. Il Comune di Melegnano intitola una via ad Antonio Marovelli: si trova nei pressi della Maiocca ed è un allungamento di via Clateo Castellini.
    (Walter Burinato)



    Edited by gheagabry - 12/7/2012, 00:35
     
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    Parigi 1924

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    I giochi del 1924 furono gli ultimi a essere organizzati sotto la presidenza di Pierre de Coubertin. A Losanna, nel 1921, fu accontentata proprio una sua richiesta, assegnando l'organizzazione dell'Olimpiade alla sua città natale, Parigi, che ebbe così la meglio su Roma, Amsterdam, Barcellona, Praga e Los Angeles e che diventò la prima città ad aver ospitato più di un'edizione dei Giochi. La cerimonia d'apertura si tenne allo Stadio Olimpico di Colombes, il 4 maggio 1924: pochi mesi prima si era svolta a Chamonix la Semaine des Sports d'Hiver (Settimana degli sport invernali), ovvero la prima edizione delle Olimpiadi Invernali. Ai Giochi non parteciparono la Germania, in segno di protesta contro l'occupazione francese della regione della Ruhr, e la Russia, mentre l'Irlanda prese per la prima volta parte a una manifestazione sportiva come stato indipendente. Grazie anche al fondamentale intervento economico del governo francese, i giochi del 1924 seppero cancellare la brutta immagine che Parigi aveva lasciato a causa della pessima organizzazione dell'edizione del 1900, e furono caratterizzati da un buon successo di pubblico. Per la prima volta venne utilizzato il motto "Citius, Altius, Fortius" ("Più veloce, più in alto, più forte") e, al termine della cerimonia di chiusura, furono issate tre bandiere: quella olimpica, quella del paese nel quale si erano svolti i Giochi e quella del paese che li avrebbe ospitati per l'[...]edizione successiva. Anche questa, nel corso degli anni, divenne una tradizione. Tra gli aneddoti, uno che ebbe come protagonista il calciatore savonese Virgilio Felice Levratto: durante il torneo di calcio, un suo potente tiro colpì al mento il portiere lussemburghese Bausch, staccandogli di netto una parte di lingua. La finale di rugby, vinta in rimonta dagli Stati Uniti sui padroni di casa francesi, terminò con una clamorosa rissa, che coinvolse anche il pubblico. Da quel momento, il rugby uscì dal lotto degli sport olimpici. Anche per il tennis fu l'ultima Olimpiade, prima di essere riammesso a Seul 1988. Purtroppo per l’Italia non è un anno molto fortunato a causa del sorgere del fascismo, anche se riesce a conquistare ben 16 medaglie, di cui 8 d’oro. La spedizione italiana vanta 200 atleti di cui tre donne. Ancora una volta Ugo Frigerio, che già nella precedente edizione aveva dominato nelle gare di marcia, vince l’oro nei 10 Km marcia, e nuova promessa è Carlo Galimberti, che nel sollevamento pesi, riesce ad alzare un totale di quasi cinque tonnellate nelle cinque prove previste.

    olimpiadi-parigi-1900


    E’ l’anno dei pesisti, non c’è nessun dubbio, poiché anche tra i pesi piuma e i massimi esordiscono due italiani: Pierino Gabetti e Giuseppe Tonani. Giorgio Zampori, che aveva partecipato quattro anni prima vincendo l’oro nel concorso generale individuale di Ginnastica, si aggiudica questa volta il Bronzo nelle parallele e l’oro nel concorso generale a squadre di ginnastica. La squadra di calcio, capitanata da Vittorio Pozzo, avente come giocatori Baloncieri, Rosetta, Burlando, De Vecchi, Caligaris, Magnozzi, De Prà e Levratto, anche questa volta non riesce a dominare la situazione battuta dalla Svizzera nei quarti di finale per 2 a 1. Nel particolare le medaglie vinte furono:


    Oro: Ugo Frigerio (Atletica - marcia 10.000 metri) Angelo De Martino, Alfredo Dinale, Aurelio Menegazzi, Francesco Zucchetti (Ciclismo - inseguimento a squadre 4.000 metri) Luigi Cambiaso, Mario Lertora, Vittorio Lucchetti, Luigi Maiocco, Ferdinando Mandrini, Francesco Martino, Giuseppe Paris, Giorgio Zampori (Ginnastica - concorso generale a squadre) Francesco Martino (Ginnastica - anelli) Renato Anselmi, Guido Balzarini, Marcello Bertinetti, Bino Bini, Vincenzo Cuccia, Oreste Moricca, Oreste Puliti, Giulio Sarrocchi (Scherma - sciabola a squadre) Pierino Gabetti (Sollevamento pesi - piuma) Carlo Galimberti (Sollevamento pesi - medi) Giuseppe Tonani (Sollevamento pesi - massimi).



    Argento: Romeo Bertini (Atletica - maratona) Ercole Olgeni, Giovanni Scatturin, Gino Sopracordevole (tim.) (Canottaggio - due con) Tommaso Lequio (Sport equestri - gran premio nazioni individuale).



    Bronzo: Antonio Cattalinich, Francesco Cattalinich, Simeone Cattalinich, Giuseppe Crivelli, Latino Galasso, Vittorio Gliubich, Pietro Ivanov, Bruno Sorich, Carlo Toniatti (Canottaggio - otto) Giorgio Zampori (Ginnastica - parallele) Giulio Basletta, Marcello Bertinetti, Giovanni Canova, Vincenzo Cuccia, Virgilio Mantegazza, Oreste Moricca (Scherma - spada a squadre) Alessandro Alvisi, Emanuele Beraudo di Pralormo, Alberto Lombardi (Sport equestri - concorso completo a squadre) Umberto Luigi de Morpurgo (Tennis - singolare maschile).

    (olimpiadi.it)





    ...LA MARCIA...


    La marcia si presenta a Parigi con una sola gara, quella dei 10.000 metri.
    Le polemiche di Anversa, soffocarono sul nascere la gara dei m. 3.000, e rischiarono di far uscire definitivamente la specialità dai Giochi: ma il peggio doveva ancora accadere, e non era solamente una questione di stile.

    Ecco cosa accadde.

    Metri 10.000 – 13 luglio 1924

    1. Ugo FRIGERIO (ITA) 47.49.0
    2. Gordon GOODWIN (GBR) 48:37.9
    3. Cecil MCMASTER (RSA) 49:08.0
    4. Donato PAVESI (ITA) 49:17.0
    5. Arthur TELL SCHWAB (SUI) 49:50.0
    6. Ernest CLARK (GBR) 49:59.2
    7. Armando VALENTE (ITA) 50:07.0
    8. Luigi BOSATRA (ITA) 50:09.0

    Gli iscritti furono 22, provenienti da 13 paesi.

    Nelle batterie i migliori tempi furono realizzati da Goodwin (49:04.0) e da Pavesi (49:09.0) che fecero meglio di Frigerio (49:16.5), ma lo status quo tornò ad essere ripristinato nella finale.
    Pavesi condusse dopo la partenza, ben presto rilevato da Goodwin. Non appena quest’ultimo passò Pavesi, nei successivi 400 m., Frigerio si produsse nel definitivo break.
    Passò metà gara in 23:18.2 ed andò a vincere con almeno 200 metri di vantaggio.

    Ma la gara di Parigi restò nella storia per un altro fatto.

    Nella prima batteria partecipò anche il marciatore austriaco Kuhneat, il cui stile di marcia lasciava alquanto a desiderare. Due giudici, l’italiano Emilio Lunghi e lo statunitense John Orbertubbesing cercarono di fermarlo, ma la giuria di appello non solo non approvò il loro operato, ma ammise alla finale (10 partecipanti) lo scorrettissimo marciatore austriaco.
    La giuria di marcia al completo allora si dimise.
    Prima della finale si dovette, con molta difficoltà, formare un’altra nuova giuria.

    Frigerio, nonostante la sua marcia venisse all’epoca considerata un esempio da imitare, ricevette, un richiamo da un giudice inglese (Fowler) che ai più apparve come un improvvido tentativo di far rallentare la sua marcia in favore del secondo.
    Ma non fu sufficiente, tanta era la differenza fra i due.
    (dal web)






    ...la SCIABOLA...


    Accadde durante il Ventennio. Ai Giochi di Parigi del 1924 si verificò uno spiacevole incidente durante la prova di sciabola individuale, in cui gli italiani furono accusati di scarso impegno nei confronti di Puliti, designato ad andare avanti. In seguito alle proteste ungheresi, il livornese Oreste Puliti invitò il giudice Kovács a risolvere la questione "a bastonate, come facciamo noi fascisti". La minaccia fu colta da Italo Santelli, uno spezzino che è stato fra i grandi della sciabola e che dal 1896 risiedeva a Budapest. Santelli tradusse tutto, la giuria escluse Puliti ma tutti gli azzurri si ritirarono. Puliti incontrò Kovács alle Folies Bergères e lo schiaffeggiò, sfidandolo a duello; altrettanto fece il vicedirettore della Gazzetta, Adolfo Cotronei, nei confronti di Santelli, che a causa dell’età designò il figlio Giorgio. Entrambi i duelli si svolsero, conclusi con il ferimento di Kovacs e Cotronei, Puliti tornò alle gare, la riconciliazione fu sancita a Los Angeles 1932. Ma Italo Santelli era stato argento per l'Italia a Parigi 1900, battuto da un altro italiano, Antonio Conte, nella spada maestri. Con la scusa che si trattava di una gara "pro", il Coni la cancellò dai bilanci olimpici italiani, punendo così anche Conte: dopotutto, come scrisse Cotronei, quel Santelli non era Italo, "ma Ungaro, piuttosto".
    (Elio Trifari)



    Edited by gheagabry - 25/7/2012, 13:44
     
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