BOLOGNA e le altre

città dell'Emila Romagna

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  1. gheagabry
     
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    Bella e dolce Bologna! Vi ho passato sette anni, forse i più belli...
    (Pier Paolo Pasolini)


    BOLOGNA


    Bologna è una città particolare per l'integrità del suo tessuto urbano entro la cerchia delle mura medievali, che risalgono al XIV secolo. Questo tessuto è ancora intatto e domina, anche dal punto di vista visivo, le singole opere architettoniche. A Firenze e a Roma le opere architettoniche sono più importanti del disegno della città: a Bologna avviene il contrario. Qui anche i più bei palazzi rinascimentali e barocchi sono riassorbiti dalle maglie della planimetria medievale, e si allineano lungo direttrici a stella che partono dal cuore della città (dove stanno le due torri pendenti, Asinelli e Garisenda). Bologna non ha piazze costruite per dare risalto a facciate imponenti. La continuità delle strade e dei 35 chilometri di portici, caratteristica della città, non consente ai palazzi di isolarsi. Un capolavoro come Palazzo Bevilacqua col suo magnifico prospetto lavorato a punta di diamante, o come i palazzi della nobiltà senatoria (Fantuzzi, Albergati, Montanari), si affacciano all'improvviso sul filo della strada, mentre i portoni si aprono inaspettatamente su interni spettacolari, magnifici cortili, ampi scaloni... I secoli d'oro dell'arte bolognese sono il XIV e il XVII. In virtù delle opere realizzate in questi secoli Bologna è rimasta tappa del viaggio rituale che tutti gli artisti e gli scrittori romantici, da Füssli a Goethe e Stendhal, intraprendevano dal nord verso Roma.

    « Qual pare a riguardar la Garisenda
    'sotto 'l chinato, quando un nuvol vada
    sovr'essa sí, che ella incontro penda
    tal parve Anteo a me che stava a bada
    di vederlo chinare ... »
    (Dante Alighieri - Inferno, XXXI, 136-140)


    Da Piazza Maggiore, che dal 1200 è stato ed è il punto focale della città, della sua vita religiosa e politica. Tra i maestosi palazzi medievali sulla piazza si trova l'incompiuta Basilica di San Petronio. Dedicata al santo patrono della città, è stata progettata da Antonio di Vincenzo. I lavori per la sua costruzione iniziarono nel 1390. Il suo essere incompiuta, la rende la rende unica. La sua base di marmo è un vero capolavoro del Rinascimento. Le colonne sul portale principale e le statue di San Petronio e della la Madonna col Bambino in lunetta sono opera di Jacopo della Quercia, mentre le porte furono create da Amico Aspertini, Alfonso Lombardi e Giacomo Silla tra gli altri. Di fronte alla basilica, si trova la linea meridiana disegnata da Gian Domenico Cassini nel 1655....oltre al Palazzo del Podestà che fu stato costruito nel 1485 su progetto di Aristotele Fieravanti... Palazzo Comunale o Palazzo D'Accursio fu utilizzato dall'amministrazione civica, fin dal XIII secolo. La sua facciata è ornata da un bel portale in arenaria (di Galeazzo Alessi nel 1550), da una Madonna in terracotta opera di da Niccolò dell'Arca nel 1478 e dalla statua in bronzo di papa Gregorio XIII Boncompagni (Alessandro Menganti nel 1576). Il tetto del Palazzo Comunale è impreziosito da sia da merli guelfi (quadrati sopra il ballatoio) sia merli ghibellini (a coda di rondine sulla torre di Arnolfo).... Palazzo dei Banchi, il Palazzo dei Notai, il leggendario Palazzo Re Enzo e la famosa Fontana di Nettuno progettata dal Giambologna e Tommaso Laureti nel 1563....il portico del Pavaglione, sotto il quale si scorge l'antico Ospedale della Vita e della Morte che oggi ospita il Museo Archeologico e l'Archiginnasio famoso per i settemila stemmi araldici che sono stati dipinti sulle pareti interne. Accanto a Palazzo dei Banchi si trova la rete intricata di strade del Mercato di Mezzo, dove le strade conservato i nomi delle antiche corporazioni delle arti....dal Ghetto Ebraico (dove è stato aperto nel 1999 il nuovo Museo Ebraico) si scorgono bene le Due Torri di Bologna. La più alta, la Torre degli Asinelli di 97metri e la Torre Pendente Garisenda di circa 48 metri.....Piazza Santo Stefano circondata da incantevoli edifici e dal leggendario Complesso Basilicale Stefaniano, (composto da sette chiese) fu costruito sui resti di un antico tempio romano dedicato alla dea Iside, fu fondato da Petronio il santo patrono della città.

    "Quella che lei chiama Bologna,
    è un cosa grande, che va da Parma fino a Cattolica ...
    dove davvero la gente vive a Modena,
    lavora a Bologna e la sera va a ballare a Rimini ...
    è una strana metropoli ...
    che s'allarga a macchia d'olio tra il mare e gli Appennini".
    (Carlo Lucarelli, dal romanzo Almost Blue)


    ...la storia...


    Sotto molte antiche case bolognesi, di struttura medievale si possono ancora trovare le fondazioni della città romana che risale al II secolo a.C. In certe case si trovano tracce di abitazioni che datano all'età del ferro. Nel VI secolo a.C. Bologna fu una delle più importanti città etrusche della Padania e fu nota come Felsina. Nel IV secolo fu occupata dai galli Boi e nei secoli seguenti arrivarono i romani che mutarono il nome in Bononia. Sotto i Romani Bologna fu una città fiorente, con ventimila abitanti, imponenti costruzioni ed un vasto teatro. Mantenne il suo prestigio nei secoli imperiali, ma dell'impero seguì il declino ed il suo perimetro si ridusse a poco a poco. Nel V secolo della nostra era, al tempo di San Petronio vescovo, la città iniziò la sua rinascita sino a conoscere, nell'XI secolo, una nuova fase di prosperità. Bologna raggiunse il suo massimo splendore nel XIII secolo, non solo a causa dell'università ma anche perché le sue milizie cittadine sconfissero nel 1249 l'esercito dell'Imperatore e catturarono Re Enzo, figlio di Federico II di Svevia, trattenendolo prigioniero nella città sino alla morte. Fu un secolo di riforme sociali: nel 1256 Bologna fu la prima città europea ad abolire la servitù della gleba. In quell'epoca fu ricostruita la cerchia delle mura e Bologna divenne uno dei dieci centri europei più popolosi, con uno sviluppo urbano pari a quello di Parigi. Dal XIV secolo assistiamo a una serie di guerre sfortunate e di lotte civili, e alla progressiva soggezione della città al potere temporale dei papi. Così Bologna si avvia a perdere la sua piena sovranità. Durante più di due secoli essa fu volta a volta sotto il dominio dei Visconti, signori di Milano, sotto l'influenza del governo della Chiesa Romana, ebbe governi repubblicani, fu governata dalle più importanti famiglie cittadine in lotta tra loro per ottenere la supremazia. Queste lotte familiari produssero uno sviluppo dell'architettura, della struttura urbanistica, della vita culturale. Ma dal XVI al XVIII secolo Bologna rimase inserita nello Stato della Chiesa, governata da un lato da un Cardinal Legato del Papa e dall'altro dal Senato della città. In questo periodo Bologna ospitò alcuni eventi di importanza storica, come l'incoronazione di Carlo V, l'incontro tra il papa Leone X e il re Francesco I di Francia, lo svolgimento di varie sessioni del Concilio di Trento. Con l'arrivo di Napoleone, Bologna diventa prima capitale della Repubblica Cispadana e poi il secondo centro, dopo Milano, della repubblica Cisalpina. La città partecipò attivamente alle lotte del Risorgimento e nel 1859, con l'annessione al Regno del Piemonte, entrò a far parte del nuovo stato italiano. L'importanza economica di Bologna risale al XI secolo, quando diventò uno dei più importanti centri economici europei, non solo a causa dell'università ma anche per lo sviluppo dell'industria tessile (arte della lana). Dotata di un sistema di approvvigionamento di energia idraulica che era tra i più avanzati del mondo, Bologna a partire dal XV secolo si specializzò nel setificio: i mulini da seta "alla bolognese" rappresentarono la più alta espressione della tecnologia europea sino al XVIII secolo.
    (informagiovani-italia.com)

    ...miti e leggende...


    Felsina è la latinizzazione del nome etrusco Velzna (o Felzna) dato dagli Etruschi a Bologna nel 534 a.C., anno della sua fondazione.

    Un personaggio di nome Fero, proveniente da oriente via mare, approdò nei pressi di Ravenna con un folto seguito. Il luogo bello e prosperoso invitava a considerarlo meta finale del viaggio, e così molti cominciarono qui le loro attività. Ma Fero, volendo soddisfare il suo spirito d’avventura si avviò verso l’interno. Voleva esplorare quella terra sconosciuta. Salutò tutti quelli che rimanevano e seguito dalla famiglia e pochi altri si mise in cammino aprendosi un varco nella fitta vegetazione.
    Giunse in una pianura dove scorrevano dei rii. Soddisfatto della posizione cominciò a costruire capanne ed a coltivare i campi. La famiglia crebbe, crebbero le abitazioni formando un vero e proprio villaggio su entrambe le sponde di un rio. Era il primo embrione della nuova città, nella posizione dove oggi si trova la sede centrale della Cassa di Risparmio. Per collegare le due sponde, Fero, costruì un ponte con dei blocchi di arenaria. Il Ponte prese il nome del suo costruttore, Ponte di Fero, conosciuto poi dai cittadini come Ponte di Ferro e che sembra fosse ubicato sull’odierna Via Farini all’altezza di Piazza Calderini. Un giorno la moglie di Fero, mentre faceva il bagno nel torrente fu travolta dalle acque e scomparse fra i flutti. Nonostante le ricerche degli accorsi il corpo non fu recuperato, da quel momento il torrente perse il nome della donna: Aposa.
    Il villaggio era cresciuto e Fero sentì la necessità di proteggerlo con mura. Lavorava alacremente alla costruzione, nonostante la tarda età. Era estate il sole riscaldava enormemente l’aria. La figlia di Fero si avvicinò al padre e vedendolo accaldato e sudato e intuendo il suo desiderio di dissetarsi volle porgergli un recipiente pieno d’acqua però prima disse: “Ho avuto in sogno un segno divino. Ti darò da bere se soddisferai quanto mi è stato predetto cioè che devi dare il mio nome alla città .” Dopo avere alquanto tergiversato Fero acconsentì e la figlia gli porse il recipiente con l’acqua. Volendo mantenere fede alla promessa chiamò la città con il nome della figlia : Felsina.

    Una seconda leggenda narra che a Perugia vivevano due principi molto bellicosi, sempre in lotta fra di loro: l’umbro Ocno e l’etrusco Auleste. Dopo una tremenda battaglia lo sconfitto Ocno fu costretto, con i suoi seguaci, a prendere la via dell’esilio. Varcato l’Appennino si trovò in una ridente pianura fra l’Aposa e il Ravone.Qui fondò un villaggio che però non aveva nome. Poco tempo dopo arrivarono gli Etruschi che scacciato Ocno chiamarono la città Felsina.
     
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  2. gheagabry
     
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    "Ci fermammo quel giorno in Ferrara, la quale invero è una bella città in apparenza: ha da ogni parte palazzi grandi e magnifici; le strade dritte, lunghissime e molto larghe: sulla piazza, ch'è grande e bella, da un lato vi è il Duomo, chiesa principalissima della città, da un altro vi è il palazzo, anzi piuttosto il castello dove abita il Duca; innanzi la porta del quale sono poste alcune statue ad onore e memoria de' loro Duchi passati. La città è assai grande e molto bene popolata, è d'ogni intorno circondata dalle acque del Po...."
    (Andrea Minucci)


    FERRARA


    Ferrara (Fràra ['fra:ra] in dialetto ferrarese) è un comune italiano, capoluogo dell'omonima provincia in Emilia-Romagna.
    Situata nella bassa pianura emiliana, la città di Ferrara sorge sulle sponde del Po di Volano che separa la città medioevale dal primitivo borgo di San Giorgio e delimita il confine con i nuovi insediamenti contemporanei a sud delle mura.
    La città di Ferrara è un mirabile esempio di armonia e di equilibrio conservato nei secoli. Dappertutto si respira l’impronta rinascimentale. Testimonianza di ciò, sono i colori splendenti dei soffitti cinquecenteschi del castello Estense tra gli affreschi di Palazzo Schifanoia, tra le strade della città circondate da decine di edifici e chiese monumentali tra chiostri e giardini verdeggianti.
    Ferrara e’ricca di musei, di Palazzi monumentali, di pinacoteche, di monasteri, oratori e chiese monumentali, e delle ben conosciute Mura. Queste ultime costituiscono il primo approccio alla città: i fatti, una cortina di mattoni circonda il centro storico per nove chilometri quasi senza interruzione a ricordare un imponente sistema difensivo del Medioevo e del rinascimento. Dotate di numerosi baluardi difensivi specialmente a sud in tempi antichi, erano completamente CIR ondati da un fossato e ornate da importanti varchi di accesso quali “La Porta Paola” a sud, “La Porta S. Giovanni” a est e “La porta degli Angeli” a nord.
    Il monumento principale è il Castello degli Este, detto anche Castello di San Michele, un edificio in mattoni a pianta quadrata dotato di quattro torri difensive con altane, posto nel centro cittadino. Fu costruito a partire dal 1385 e parzialmente restaurato a partire dal 1554 . Vicino al castello si incontra l' arcispedale S. Anna , dove venne confinato Torquato Tasso nel 1579 - 1586 .
    Il Palazzo del Municipio, ricostruito nel XVIII secolo, fu la prima residenza degli Este. Vicino ad esso si trova la Cattedrale di San Giorgio , costruita da Guglielmo degli Adelardi (m. 1146 ) e consacrata nel 1135 quando furono completate la facciata principale e quelle laterali romaniche. Le arcate della parte superiore della facciata sono del XIII secolo e gli interni vennero restaurati in stile barocco a partire dal 1712 . Il campanile, in stile rinascimentale venne realizzato nel 1451 - 1493 e completato alla fine del XVI secolo.
    Di fronte alla cattedrale si trova il Palazzo della Ragione , costruito in mattoni in stile gotico nel 1315 - 1326 . Poco lontano si trova l'attuale sede dell' Università, mentre la sua antica sede, Palazzo Paradiso ( 1391 ), ospita oggi la Biblioteca Civica Ariostea nella quale si trova la più completa raccolta di edizione dell' Orlando Furioso ed alcune lettere di Torquato Tasso nonché la Bibbia appartenuta al frate domenicano Girolamo Savonarola .
    La casa di Ludovico Ariosto fu costruita dallo scrittore a partire dal 1526 ed in essa morì nel 1533 . Ferrara è dal XIII secolo importante centro ebraico e, durante le persecuzioni in seguito alle Leggi razziali emanate nel 1938 dal governo fascista, diviene protagonista delle persecuzioni.


    ...il castello...



    Il Castello Estense di Ferrara fu fondato nel 1385 per volere del marchese Nicolò III, lo zoppo, amico di Petrarca e guidato da uno spirito illuministico. Alla posa della prima pietra fu preposto Alberto, fratello del marchese e futuro fondatore dell’Università di Ferrara, il quale mise un ducato d’oro alla base della torre “Marchesana” ovvero dell’Orologio, un altro ducato lo donò invece al capomastro. Uno dei principali motivi che spinsero gli Este alla costruzione del Castello fu la rivolta popolare contro le tasse nella quale venne linciato il ministro delle finanze Tommaso da Tortona.
    Il capomastro Bartolino da Novara ebbe l’incarico di consolidare le mura e le torri, Girolamo da Carpi alzò quest’ultime di un piano in seguito all’incendio del 1554. Il castello è circondato da 4 torri angolari che disegnano un recinto quadrato composto da un cortile interno, e sulla massa del castello, si articolano rivellini e altre sporgenze in mutatura. La Torre dei Leoni è la più massiccia e dà sul dorso omonimo; la Torre di Santa Caterina, a nord, guarda verso il convento omonimo; le torri di San Paolo e dell’Orologio, verso sud in direzione della Chiesa del dedicata al Santo. Nelle prigioni del castello venivano incarcerati solo i prigionieri più importanti, mentre il popolo era “ospitato” in quelle del podestà. In particolare, fu la Torre dei Leoni ad ospitare alcune personalità della famiglia, accusati di congiura, addirittura i fratelli di Alfonso I venne imprigionati per oltre 40 anni nella Torre. Un’interessante curiosità da notare sono le scritte sui muri delle prigioni, risalenti ai patrioti del Risorgimento durante la dominazione papale. Tuttavia solo nel 1477 con Ercole I d’Este il Castello diventa un’abitazione vera e propria, subendo diverse modifiche e aggiustamenti, in città venne realizzata l’Addizione Erculea, un insieme di stra e palazzi rinascimenti nel centro medioevale.
    Venne un periodo di pace contraddistinto da alleanze con i Gonzaga, i duchi di Milano e i Borgia sotto la guida di Ercole I e Alfonso I, quest’ultimo sposerà la celebre Lucrezia Borgia, donna bella e sensuale, e sulla quale si sono dette di tutti i colori, accusandola di essere una avvelenatrice. La storiografia moderna ha poi sfatato il mito, ricostruendo il quadro del peonaggio, vittima degli intrighi del padre e dell’ambizione del fratello. Nella notte del 16 novembre del 1570 una violenta scossa di terremoto provocò seri danni alla struttura e alla città seguita da oltre 2mila scosse in 2 anni. Con la conquista dei territorio da parte dello Stato delle Chiese si conclude la storia degli Este, che si protrasse fino al 1859, con l’annessione nel Regno d’Italia. Garibaldi soggiornò nel castello la notte dell’8 settembre.(vivoferrara.com)


    ...la storia...



    Le origini di Ferrara sono incerte ed appare per la prima volta in un documento di Aistulf del 754 come facente parte dell'esarcato di Ravenna . Nel 984 è feudo di Tedaldo, conte di Modena e Canossa , nipote dell'imperatore Ottone I . Resosi indipendente e retta da famiglie quali gli Adelardi, nel 1101 fu preso in assedio dalla contessa Matilde . Nel 1146, con la morte dell'ultimo degli Adelardi, Guglielmo, Ferrara passa come dote di sua nipote la Marchesella ad Azzolino d'Este . Dopo alcune ostilità con la famiglia dei Salinguerra, Azzo Novello fu nominato podestà a vita nel 1242 e nel 1259 fece prigioniero in battaglia Ezzelino di Verona . Gli successe il nipote Obizzo II ( 1264 - 1293 ) che venne nominato dal Papa capitano-generale e difensore dello Stato della Chiesa .
    Nicolò III ( 1393 - 1441 ) nel 1438 ospitò il concilio del papa Eugenio IV e suo figlio Borso ricevette i feudi di Modena e Reggio dall'imperatore Federico III , diventandone duca nel 1452 , per poi essere designato duca di Ferrara nel 1471 dal papa Paolo II . Il suo successore Ercole I ( 1471 - 1505 ) combatté Venezia, guerra proseguita con successo da suo figlio Alfonso I , che sposò Lucrezia Borgia (figlia del papa Alessandro VI e sorella di Cesare Borgia ). Nel 1509 venne scomunicato dal papa Giulio II e nel 1512 si scontrò con l'esercito pontificio, conquistando Ravenna . Riuscì a riallacciare i rapporti con lo Stato della Chiesa e gli successe il figlio Ercole II, sposato con Renata figlia di Luigi XII di Francia, che regnò nel 1534 - 1559 . Suo figlio Alfonso II, sposato con Barbara sorella dell'imperatore Massimiliano II portò Ferrara al punto più alto del suo splendore. Non ebbe discendenti maschi e nel 1597 Ferrara fu dichiarato feudo vacante dal papa Clemente VIII . Con la Devoluzione del 1598 la città e il territorio lasciati dagli Este passano sotto il diretto controllo politico e amministrativo dello Stato della Chiesa fino a passare sotto il controllo dell' Austria tra il 1832 ed il 1859 , per poi entrare a far parte del Regno di Sardegna .

    Sede universitaria dal 1391 , essa vide laurearsi del XVI secolo Niccolò Copernico ( 1503 ) e Paracelso . Importante centro umanistico, ospitò alla corte estense i maggiori poeti italiani del Quattrocento e Cinquecento, Matteo Maria Boiardo , Ludovico Ariosto ( Reggio Emilia , 1474 - Ferrara, 1533 ) e Torquato Tasso, nonché i grandi pittori del suo tempo, Andrea Mantegna , Giovanni Bellini , Cosmè Tura ( 1432 - 1495 ), Francesco del Cossa (m. 1480 ) ed Ercole dei Roberti (m. 1496 ) (la famosa Officina ferrarese ), Garofalo , Tiziano , Dosso Dossi e Battista Dossi , Scarsellino . Molte opere di questi autori trovano oggi collocazione nella Pinacoteca Nazionale - ospitata nel Palazzo dei Diamanti . Vi nacquero il frate domenicano Girolamo Savonarola (Ferrara, 1452 - Firenze , 1498 ) e il musicista Girolamo Frescobaldi (Ferrara, 1452 - Firenze , 1498 ). La città vanta un'importante raccolta civica di opere dei pittori locali Giovanni Boldini (Ferrara, 1842 - Parigi , 1931) e Filippo de Pisis (Ferrara, 1986 - Milano , 1956). (.estense.com)


    ...miti e leggende...



    Ferrara rappresenta una delle più ricche e festose città del Rinascimento, guidata da una importante famiglia italiana, gli Este. Nobile e prestigiosa famiglia, amanti dell’arte e della cultura, costruttori e strateghi dei matrimoni vantaggiosi, ma al contempo attenti alle tasse, che spesso creavano malumore da parte dei ferrarsi. Dunque, furono dei grandi mecenati, e la loro corte era frequentata dal Pisanello, Dosso Dossi, da cavalieri e poeti, Baiardo, Torquato Tasso e dall’Ariosto, assolutisti, ma al contempo polpolati, ne sono un esempio Azzo d’Este, Alfonso I, che girava nudo per la città, e Isabella. Una corte attraversata da intrighi e complotti, dove l’adulterio e le condanne a morte all’interno di essa non mancavano. Un celebre ospite della corte degli Este fu certamente Michelangelo, corteggiatissimo da Alfonso I, ma anche Enrico III di Francia, il sovrano soggiornò nella stanza dei giochi. Un celebre ospite della corte degli Este fu certamente Michelangelo, corteggiatissimo da Alfonso I, ma anche Enrico III di Francia, il sovrano soggiornò nella stanza dei giochi.
    Alla fine del XVI secolo iniziarono a manifestarsi i primi segni di decadenza, una leggenda narrava che la beata Beatrice d’Este, morta nella seconda metà del ‘200, avesse l’abitudine di preannunciare le sventure ferraresi battendo 3 colpi dentro il sepolcro.

    Il Castello d’Este conserva una triste storia d’amore accaduta nella torre dei Leoni, che vide la fine della storia d’amore tra Parisina e Ugo. Nel 1418 fu celebrato il matrimonio d’interesse tra Parisina Malatesta di appena 15 anni e Niccolò III d’Este,di 35 anni: si trattava di un matrimonio d’interesse come spesso accadeva in quel periodo.
    Uno dei figli avuto con l’altra moglie di Niccolò III, Ugo serbava una forte antipatia per Parisina, che si tramutava in scontri continui verso la sua matrigna. Niccolò, preoccupato dei frequenti litigi, ordino alla giovane moglie Parisina di recarsi per un periodo di tempo, dai genitori a Loreto. Parisina fu accompagnata proprio da Ugo, il potenziale nemico. Presto, l’odio tra Ugo e Parisina, si trasformo’ in amore forte e passionale: in fondo erano entrambi due adolescenti e coetanei, per cui i loro precedenti litigi potevano essere state schermaglie d’amore, che ora non nascondevano più almeno dinnanzi ai servi di campagna dove Niccolò li lasciava andare, con la tranquillità della pace avvenuta tra i due, ignorando la passione che invece era subentrata. I servi, dai quali, i ragazzi non si nascondevano, spettegolarono così tanto che le voci giunsero al Castello Estense, a Niccolò, che, preso dalla furia del tradimento di entrambi( figlio e moglie), li fece rinchiudere nella Torre dei Leoni, in attesa della morte.
    Intanto, Niccolò sfogo’ la sua rabbia contro ogni adultera della città di Ferrara, facendola decapitare, per poi concludere la sua vendetta contro i due amanti rinchiusi nella torre per 12 ore. Li fece decapitare senza pietà! La leggenda vuole che i fantasmi dei due amanti che tutt’oggi si aggirano nella torre, piangano la loro triste sorte e quella che provocarono a tutte le donne che, in quel giorno furono uccise a causa loro, o meglio del loro amore proibito!
     
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  3. gheagabry
     
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    O deserta bellezza di Ferrara.
    (Gabriele D'Annunzio)


    ...miti e leggende e un po' di magia...


    Ercole I d'Este diede l’avvio ad un’opera fondamentale per la città di Ferrara: l’addizione erculea, ovvero un ampliamento dell’urbe per rendere la città più prestigiosa, ma anche per portarla ed estenderla su alcuni schemi simbolici e astrologici coinvolgendo nel progetto non solo architetti e geometri, ma anche astrologi, come il famoso Pellegrino Prisciani. La ricerca di geometrie legate alle stelle e alla numerologia non era cosa rara, dato il forte interesse nel passato all’alchimia e al ricercare un'armonia con la natura, con le forze celesti, e quindi con Dio. All'interno della città il Palazzo dei Diamanti ha un ruolo fondamentale per il discorso della geometria sacra. Il diamante vero che dovrebbe essere nascosto all'interno del suo perimetro, si trova in una posizione ben precisa perché potesse concentrare determinate energie telluriche direttamente all'interno dell'edificio, dove, non a caso, si tenevano intense sedute riguardo l’astrologia e l’alchimia con studiosi rinomati e colti. Si dice che secondo la nuova piantina della città lo stesso palazzo dei diamanti sia stato posizionato in un punto particolare, come ad indicare una stella di grande luminosità in terra. Il tutto è rapportato alla presenza del diamante con il quale si voleva ricopiare la mappa celeste in terra.

    Marfisa d'Este venne costruito nel XVI secolo da Francesco d’Este, figlio di Lucrezia Borgia e Alfonso I. La facciata presenta dodici finestre con un portale. Francesco vi passò tutta la sua vita con la figlia Marfisa, la quale amò a tal punto la dimora da occuparla ancora oggi come spettro. Marfisa era una nobile fanciulla colta e molto bella, una donna perfetta, impossibile non innamorarsi di lei. I francesi la ricordano “molto bella quanto crudele” perché pare attirasse i suoi amanti nei modi più disparati, per assassinarli utilizzando trabocchetti che confluivano in pozzi a rasoio. In realtà la storia ci dice che fu una moglie fedele con molti figli al seguito. Pare che il suo fantasma viva ancora tra queste mura e che ogni tanto appaia per le strade della città su un cocchio trainato da cavalli bianchi con al seguito, come in un corteo, i numerosi amanti morti, che anche da spettri non mancano di seguire la bella Marfisa, alla quale sono pronti a donare anche la loro anima.

    La Sala delle imprese o Sala Rossa raffigura su quattro lati della stanza cinque immagini con relativi motti delle imprese di Francesco d’Este. Esse non sono imprese fisiche ma filosofiche.
    SI NON AMOR FIDES (se non l’amore la lealtà) Cupido giace come morto ai piedi della castità. Qui la castità viene vista come il vero amore, quello verso Dio che trascende quello terreno, causato dalla semplice freccia di Cupido.
    SI NON VIRES ANIMUS (Se mi mancano le forze mi resta la volontà). Vi è un leone ferito. Questo animale nobile è quello che più si avvicina al cuore coraggioso e forte di un re che riesce ad andare avanti nell’animo anche se risulta ferito.
    SI NON SORS TOLERANTIA (se non la sorte la tolleranza). Vi è rappresentata la Nave di Ulisse con attorno le sirene. In questo caso Ulisse riuscì a resistere all’incantesimo di questi “mostri” dimostrando una grande forza. La tolleranza è la mente fredda che serve per affrontare il proprio destino e superarne gli ostacoli.
    LA FONS MANDURIAE (La fonte di Manduria). Ovvero il lago vicino a Manduria nel Salento, chiamata Fonte Pliniano le cui acque erano in quantità sempre le stesse sia che si toglieva, che si aggiungeva acqua o qualsiasi liquido. Vi è rappresentato il lago con uno scoglio. L’impresa potrebbe essere pensata come la magia della maniera, l’alchimia dell’acqua della vita eterna perché sempre allo stesso livello.
    PARI ANIMO Vi sono due templi dedicati uno alla virtù e l’altro all’onore. La virtù è ciò che si conquista ma l’onore è ciò che si mantiene, il proprio io, la propria natura che viene valorizzata dalla virtù acquisita. La virtù è ciò che ci rende nobili, sacri, l’onore è ciò che siamo e che mai dobbiamo dimenticare. Gesù è virtuoso fino all’ultimo istante della sua vita, nonostante sia stato beffeggiato non ha mai perso l’onore. E questo è ciò che ci insegna virtù e onore.
    Laddove si saprà trovare la castità, la volontà e la tolleranza, allora si avrà conquistato la virtù mantenendo saldo il proprio onore e non divenendo folle per la mancanza di queste tre fasi fondamentali della propria vita.
    Nel soffitto della Sala di Fetonte vi è un dipinto particolarmente interessante, nel quale si vede il momento in cui il carro del sole lascia il posto a quello della luna. Viene rappresentato un momento anomalo, un istante in cui non è né giorno e neppure notte, il momento dell'imbrunire. Questa fascia della giornata ha da sempre affascinato pittori, scrittori e poeti; perché al momento dell’imbrunire le anime dei defunti si svegliano e quasi per un istante si mostrano. Tutto è possibile perché non vi è governo né del sole e né della luna. Il crepuscolo è davvero magico. Nella Sala di Fetonte vi è un lavabo di pietra in cui vi sono delle sfingi che sorreggono dei mascheroni da cui esce l’acqua. Qui vi sono non a caso gli elementi delle sfingi e del crepuscolo, il tramonto del sole era molto caro agli egizi perchè rappresentava la dipartita del Faraone verso le stelle.

    La chiesa di Santa Maria in Vado è una delle più antiche di Ferrara dato che risale al 1000 e il suo nome deriva dall’antica presenza del Guado del fiume. Vi si ricorda un miracolo avvenuto il 28 marzo 1171.
    Padre Pietro da Verona, mentre celebrava la messa, al momento dello spezzare del pane dall’ostia sgorgò sangue vivo con tale intensità da macchiare la volta sopra l’altare. La macchia di sangue è rimasta fino ai giorni nostri ed è possibile vederla nella parte destra del transetto. Venne chiamata " cappella del Prodigio".

    Il monastero di S.Antonio in Polesine è’ un monastero di clausura abitato da monache benedettine e risale al XIII secolo quando era sito su un’isola.
    Fu fondato da una santa dal nome di Beatrice. Questa fanciulla nacque nel 1226 nel castello di Calaone da Azzo d’Este e Giovanna di Puglia che morì quando la bimba aveva sette anni. Azzo si risposò con Mabilia dei Pallavicino che si rivelò una madre molto affettuosa. Riuscì anche a trasmetterle la vocazione cristiana così intensamente che divenne monaca molto giovane contro il volere del resto della famiglia. Riuscì a raccogliere attorno a sé altre fanciulle devote e il Papa Alessandro IV che non poteva ignorare questa luce divina le conferì la regola di San Benedetto. Così con le sue seguaci si trasferì nel monastero, ma Beatrice venne purtroppo colta da un grande male che la fece morire a soli 36 anni. Il corpo venne minuziosamente lavato e l’acqua non fu gettata ma conservata e distribuita ai fedeli che disperati per il triste evento reclamavano qualcosa della monaca prima della sepoltura. Nessuno si sarebbe mai aspettato che, proprio da quell’acqua, vennero operati numerosi miracoli. L'evento si diffuse a macchia d'olio e numerosissime furono le rinnovate visite e richieste che "obbligarono" le monache a ripetere il lavaggio. E così via fino al 1512 quando ciò che restava della Santa si sgretolò definitivamente. Le ossa, o quel che avanzava, vennero raccolte in un’urna deposta dentro un’arca ricca di gemme e ori. Ma accadde un altro fatto miracoloso. L’arca iniziò a produrre a sua volta una condensa, raccolta minuziosamente. Ogni anno, fino ai giorni nostri, l’evento si ripete per 5 mesi l’anno (da novembre a marzo), e viene donato il liquido prodigioso ai fedeli. Il fatto è sorprendente perché il resto dell’ambiente è asciutto e non vi sono crepe o scanalature. Vi si arriva a raccogliere dai 5 ai 7 litri! L’acqua non ghiaccia nonostante vi siano temperature invernali sotto lo zero. Tra una goccia e l’altra l’intera pietra è asciutta. Il liquido fu analizzato nel 1937 dai chimici Giuseppe Bragagnolo ed Elena Roi, presso l’istituto di chimica all’Università di Ferrara, riportandone alla luce la costituzione.(luoghimisteriosi.it)
     
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  4. gheagabry
     
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    “Ferrara: città ricca di storia e di storie, ancora da narrare e da svelare. Magica e affascinante, avvolta da una seducente e sottile malìa, velata come le sue nebbie. Amata e odiata da artisti, poeti e viaggiatori che attraverso il tempo l’hanno vissuta, respirata, ascoltata”
    (Mirna Bonazza)





    L'origine del nome di Ferrara rimane ancora oscura, sebbene si siano date molte ipotetiche spiegazioni. Alcuni hanno pensato ad una derivazione biblica: da Ferrato, figlio di Cam e nipote di Noè (nella Bibbia Ferrato non è mai citato). Altri dicono che Ferrara fu fondata da un certo Marco che venne a Ferrara con le sue genti; fra queste c'era una fanciulla troiana, Ferrara, con cui chiamò la città che aveva iniziato a costruire. Si pensa che l'immagine di tale fanciulla sia quella che, scolpita in marmo, si vede sulla porta minore della Cattedrale, a destra, detta anticamente "Madonna Frara". Altri pensano che derivi da "ferro", che si trovava o si lavorava nel territorio. Più vicina alla realtà è la supposizione che il nome sia venuto da "farro", specie di frumento duro, il più antico nutrimento dei Romani, abbondante, pare, nel ferrarese: "Farraria", cioè terra dove si coltiva il farro.
    Un'altra origine viene ricavata dall'erba detta "farraria", una specie di pianta acquatica; non è certo però che, sebbene la pianta crescesse abbondantemente nel Cinquecento, ci fosse anche tanti secoli prima, quando sorse la città. Un'altra supposizione nasce dal fatto narrato da antichi cronisti: nel prato del Comune, situato lungo le sponde del Po, si tenevano importanti fiere due volte l'anno (la domenica delle Palme e il giorno di San Martino). Il luogo dove si facevano le grandi fiere veniva chiamato "Feriarum Area" (piazza delle fiere) da cui "Ferraria".
     
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  5. gheagabry
     
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    « Parma è fabbricata in un suolo fecondo,
    sul fiume che le dà il nome e la divide in due parti. »
    (Giuseppe Vallardi)


    PARMA



    Situata nel nord Italia, in una importante posizione strategica, che consentiva i collegamenti tra la Lunigiana, via obbligata per Pisa e il meridione, nella parte occidentale dell'Emilia, tra gli Appennini e la Pianura Padana, la città è divisa in due dal torrente Parma, affluente del Po che, - « Come capitale le competeva un fiume, a Parma, ma siccome è una piccola capitale le è toccato un torrente, spesso asciutto. » (Attilio Bertolucci) - appena prima di entrare nel cuore del centro storico, riceve le acque dell'affluente Baganza. Il torrente Parma è un corso d'acqua a regime mutevole, che alterna le piene tumultuose della stagione invernale alle desolate secche estive.

    Grazie ad indagini archeologiche riacquista consistenza la tesi, sostenuta anche dal Prof. Pittau (autore di studi relativi a questioni di linguistica, filologia, filosofia del linguaggio), di una derivazione del toponimo dai nomi documentati di tribù etrusche «Parmeal», «Parmni» o «Parmnial» che risiedettero nell'attuale territorio. Da non escludere la possibile derivazione dalla voce latina parma/parmae. Ai tempi della fondazione romana infatti, questo termine si utilizzava per designare lo scudo rotondo utilizzato dall'esercito romano e, forse, richiamava la forma del primo nucleo cittadino. Si osserva comunque che questo termine militare latino a sua volta era probabilmente di origine etrusca, in quanto etrusco era appunto lo scudo metallico rotondo.
    « Il nome di Parma, una città dove desideravo più andare da quando avevo letto La Certosa, mi appariva compatto, liscio, color malva e morbido, se mi si parlasse di una casa qualunque di Parma nella quale sarei stato ricevuto, mi si causava il piacere di pensare che abiterei una residenza liscia, compatta, color malva e morbida, che non aveva relazione con le residenze di nessun'altra città d'Italia. » (Marcel Proust, La strada di Swann)
    Per Giuseppe Vallardi, invece, nel suo libro Itinerario d'Italia, una tra le più famose guide italiane dell'Ottocento, il nome della città deriverebbe dell'omonimo fiume che l'attraversa.


    Parma si presenta ancora oggi come la piccola capitale che è stata per diversi secoli. Tutto ciò deriva, oltre che dal passato storico di capitale del ducato dei Farnese, dei Borbone e di Maria Luigia d'Austria, seconda moglie di Napoleone, anche dalle ricche tradizioni culturali, tenute ancora oggi vive dall'Università, dagli istituti di cultura nonché dalla grande tradizione musicale della sua gente. Siamo nella terra di Giuseppe Verdi e il Teatro Regio di Parma vanta un pubblico tra i più competenti ma anche tra i più critici ed esigenti in campo musicale.

    La città, d'origine romana, ebbe un teatro e un anfiteatro, di cui rimangono tuttora nel sottosuolo le fondamenta. Frammenti di statue e di marmi decorativi appartenenti al teatro si osservano nel R. Museo, e gran parte dei marmi orientali dell'anfiteatro hanno servito a costruire gli archi, le colonne della cripta e le colonne polistili della cattedrale. La città romana, che sorgeva nell'odierna Parma Nuova, appoggiata sulla destra del torrente omonimo, di forma quadrata, misurava 375 m. di lato. Sotto Teodorico, nel 492 d. C., venne ampliata, mantenendo la forma quadrata, con m. 475 di lato. Rimane tuttora il canale, detto Maggiore, costruito per dare acqua ai fossati esterni alle mura. Un terzo ingrandimento avvenne nel 1169 sotto il vescovo Bernardo II, allora signore della città, spostando la cinta verso nord fin presso la chiesa di S. Barnaba, e a levante vicino alla chiesa di San Michele dell'Arco, formando un rettangolo di m. 775 per m. 975. Sulla sinistra del torrente erano sorti intanto numerosi e popolosi borghi, e allora nel 1178 si scavarono profonde fosse di difesa, poco al di là della chiesa di San Giacomo; ma dopo alcuni anni furono portate oltre la chiesa di S. Croce e costruite le mura, precisamente nel 1211. L'ultimo importante allargamento della città fu compiuto sotto il dominio visconteo nel 1364. Il giro della cinta di mura è ancora oggi visibile; le mura resistettero, quasi intatte, fino agli ultimi anni del secolo XIX, e davano alla città un aspetto ellittico con l'asse maggiore da E. a O. Cinque porte si aprivano in esse.

    La Piazza del Duomo, cuore artistico di Parma è un autentico capolavoro architettonico del nostro Medioevo, su cui si affacciano la Cattedrale, il Battistero ed il Palazzo Episcopale.

    Il Duomo di Parma costituisce con il vicino Battistero uno dei monumenti più importanti del romanico padano e ha una struttura particolarmente complessa dovuta al protrarsi nel tempo dei lavori. Grandi artisti hanno lavorato nel corso dei secoli per la Cattedrale di Parma come Benedetto Antelami. Nel corso del '500, le pareti e le volte furono interamente ricoperti di grandiosi affreschi, tra cui spicca L’Assunzione della Vergine, capolavoro pittorico del Correggio (1489 – 1534). Osservando il possente edificio si riscontrano influssi con il romanico lombardo e il romanico d’oltralpe, soprattutto germanico, comunque rielaborati secondo il gusto locale. La consacrazione del Duomo a Santa Maria Assunta fu celebrata nel 1106, sotto il pontificato di Pasquale II. Un documento datato 884 attesta l’esistenza di una primitiva Cattedrale “infra civitatem parmensem”. La costruzione dell’ attuale Duomo cominciò sotto il vescovo Cadalo ( 1046 – 1071), dopo che un incendio nel 1058 aveva distrutto la chiesa precedente. Come attestato nel Chronicon Parmense, la Cattedrale subì danni durante il terremoto del 1117 (“magna pars Ecclesiae Sanctae Mariae dirupta est”), ma i lavori proseguirono per mano di Benedetto Antelami. La Cattedrale venne terminata intorno al 1178, quando l’Antelami elaborò il pulpito di cui oggi rimane solo la raffigurazione della Deposizione di Cristo.

    Come dichiara una curiosa iscrizione scolpita sul portale settentrionale (BIS BINI DEMPTIS / ANNIS DE MILLE DUCENTIS // INCEPIT DICTUS / OPUS HOC SCULTOR BENEDICTUS, ossia “Tolti due volte due anni al 1200 lo scultore Benedetto iniziò questa opera”), la costruzione e la decorazione del Battistero di Parma fu avviata nel 1196 sotto la supervisione del grande architetto e scultore Benedetto Antelami. Nel 1216 i lavori, progrediti fino al secondo ordine delle logge, furono bruscamente interrotti per gravi questioni di ordine politico, sfociati nell’assedio della città da parte delle forze imperiali di Federico II, protrattosi duramente dal luglio del 1247 al febbraio del 1248. Una volta risolti i conflitti che coinvolgevano la città fu possibile riprendere la costruzione dell’edificio sacro che fu completato entro il 1270, anno della sua solenne consacrazione; l'ultima galleria ad archetti ciechi, la balaustrata e i pinnacoli di coronamento furono comunque inseriti solo più tardi, tra il 1302 e il 1307.
    L'esterno, costruito in marmo rosa di Verona è ottagonale. L'ottagono è simbolo di eternità. Senza precedenti è lo sviluppo in altezza, come se si trattasse di una torre tronca. L'interno è costituito da 16 arcate che compongono delle nicchie, ciascuna delle quali contiene una scena dipinta. Tutti questi affreschi e dipinti risalgono al XIII e XIV secolo. La parte più rilevante del battistero tuttavia è costituita dalla cupola a ombrello del soffitto, dipinto con figure di Santi. Sedici nervature tubolari si dipartono a raggiera dal centro della cupola, ognuno dei quali va a finire su una colonna, a sua volta sovrapposta su altre fino al suolo. La prima fascia della cupola ha un fondo azzurro (l'Empireo) con dei rombi, ognuno dei quali contiene una stella.

    ...storia...



    Per gli storici, e secondo una menzione di Tito Livio, Parma sarebbe stata una città etrusca, malgrado la scarsa influenza che questo popolo esercitava in Emilia occidentale. Successivamente, verso il IV secolo a.C., la regione venne occupata da popolazioni celtiche, ed in particolare dal popolo dei Boi.
    Con la progressiva conquista del Nord Italia da parte dei Romani, nel 183 a.C. Parma divenne una colonia romana. per la lex Rubria (forse nel 49 a.C.) ottenne la cittadinanza romana. Sede vescovile fin dal IV sec., nel secolo successivo fu ridotta in rovina dalle incursioni barbariche. Restaurata da Teodorico, sotto la dominazione bizantina (dal 553) fu prescelta come sede del tesoro dell’erario. Fu in seguito, con l'arrivo dei Longobardi nel 593, che Parma divenne per la prima volta un centro militare e amministrativo, la capitale di un ducato in cui risiedeva una delle figlie del Re Agilulfo. I Franchi succedettero ai duchi lombardi e nel 879 Carlomanno accordò al vescovo Guibodo il potere temporale sulla città. Ai saccheggi provocati nel IX secolo dalle invasioni dei Magiari, seguì un periodo di pace e crescita demografica. In questa fase Parma continuò ad essere governata da una lunga serie di Conti-Vescovi fino al XII secolo, quando la città divenne un libero comune, amministrato da un Podestà e da un Capitano del Popolo. Nel 1160 Federico Barbarossa sottomise i parmigiani obbligandoli a dichiarare fedeltà all'Impero, ma l'autorità imperiale verrà sconfitta nella battaglia di Legnano del 1174 dalle città riunite nella Lega Lombarda (tra cui Parma). Nel 1183 la Pace di Costanza ristabilì l'autonomia cittadina.

    Nella lunga contesa tra guelfi e ghibellini, che dominò la vita politica italiana dal XII al XIV secolo, Parma si schierò dapprima coi ghibellini, favorevoli all'Imperatore, e successivamente con i guelfi, dopo la battaglia di Borghetto del Taro (nei pressi dell'attuale Castelguelfo). Nel 1104 fu conquistata dalla contessa Matilde di Canossa; nel 1106 l’elezione a vescovo di Bernardo degli Uberti sanzionò il passaggio della diocesi e della città a fianco della Chiesa.
    Nel 1247 grazie alla momentanea assenza da Parma di Enzo, figlio dell'Imperatore Federico II di Svevia, i guelfi, vinti i partigiani ghibellini nella battaglia di Borghetto di Noceto, approfittarono per tornare al governo della città. L'Imperatore, furibondo, decise di rinviare l'assedio di Lione dirigendosi su Parma alla testa di un vendicativo esercito e con il chiaro intento di distruggerla in maniera esemplare. A ovest della città, nel giugno del 1247, fece costruire in località Grola (identificata da alcuni con l'attuale frazione di Fognano) una città-accampamento cui diede il nome augurale di Vittoria, composta da case in muratura, una chiesa e una zecca. L'assedio fu durissimo per la popolazione parmigiana e per il contado già allo stremo delle forze. Approfittando dell'assenza dell'Imperatore, impegnato in una battuta di caccia nella valle del Taro, il 18 febbraio del 1248 le truppe parmensi seguite da tutti i cittadini uscirono dalle mura attaccando e distruggendo la città imperiale e le truppe assedianti. L'imperatore Federico II riuscì a stento a rifugiarsi, con pochi seguaci, nella vicina Borgo San Donnino. Tra le macerie nemiche i parmigiani trovarono e si impossessarono di un ambito trofeo, la corona imperiale, simbolo estremo del loro trionfo. Tra il 1254 e il 1259 Parma fu sotto la signoria di Ghiberto da Gente, che si assicurò il controllo delle magistrature cittadine e del consiglio generale. La resistenza del ceto nobiliare, protetto dal vescovo, fu stroncata nel 1298 dai popolari, guidati dai da Correggio e dai Rossi; con Giberto da Correggio si affermò il potere signorile (1303), sancito dall’acclamazione popolare e poi dalla concessione del vicariato imperiale (1310). Morto l’imperatore Enrico VII, il tentativo di Giberto di fondare uno Stato regionale parmense fallì a opera dei Visconti (1316). Sotto i Visconti P. progredì economicamente, fu abbellita di monumenti e rafforzata nelle strutture difensive. Dopo l’ultima parentesi di governo comunale, fu sotto gli Sforza (1449-1500), quindi appartenne ai francesi che nel 1512 la cedettero alla Chiesa.
    Nel 1521 l'esercito pontificio e spagnolo, dopo un assedio di tre giorni, sconfisse i francesi e la città fu conquistata. Nel 1545 il papa Paolo III (nato Alessandro Farnese), creò il ducato di Parma affidandolo al figlio illegittimo Pier Luigi Farnese e la famiglia farnesiana manterrà il governo ducale fino al 1731, facendo di Parma una piccola capitale italiana, ricca delle opere di grandi artisti quali il Correggio ed il Parmigianino. Ai Farnese succedettero i Borbone, discendenti della famiglia del Re Sole, mentre l'Infante di Spagna Carlo I, figlio del Re Filippo V di Spagna, divenne il nuovo duca di Parma e Piacenza. La dinastia dei Borbone, che contribuì a rendere Parma un faro culturale in Europa, subì un'interruzione quando Napoleone Bonaparte annetté il ducato alla Francia, trasformandolo in semplice dipartimento (dipartimento del Taro). Solo con l'abdicazione di Napoleone, avvenuta nel 1814, ed il successivo Congresso di Vienna, venne ristabilito il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, affidato temporaneamente agli Asburgo. Maria Luigia d'Austria, sposa di Napoleone e figlia dell'Imperatore Francesco I, divenne in questo modo la nuova duchessa della città e, malgrado gli episodi rivoluzionari del 1831 e 1847, conserverà il potere fino alla sua morte, avvenuta nel 1847, senza però il potere di trasmettere il trono ad eredi.
    Nello stesso anno 1847 i Borbone tornano a governare il ducato, dapprima con Carlo II (1847-1849), al quale succedette il figlio, Carlo III (1849-1854), pugnalato a morte per strada il 26 marzo 1854 da un attentatore rimasto sconosciuto, e infine con Roberto I di Parma che, essendo troppo giovane per governare, ebbe la reggenza assicurata dalla madre Luisa Maria di Borbone-Francia. Roberto venne deposto nel 1859, ad undici anni, quando, allo scoppio della seconda guerra di indipendenza, la madre preferì fuggire nel Lombardo-Veneto, in attesa dell'esito della guerra. Con l'Armistizio di Villafranca il Regno di Sardegna annetté il Ducato dopo un plebiscito celebrato nel 1860. Il ramo dei Borbone-Parma prospera tuttora e, dal 1964, i nipoti di Roberto sono Granduchi del Lussemburgo.
    Nel 1922 la città di Parma si distinse per aver combattuto le milizie fasciste comandate da Italo Balbo erigendo barricate in numerosi quartieri della città. Il 23 aprile 1945 iniziò la ritirata delle truppe nazi-fasciste da Parma e il 24 aprile un gruppo di cittadini prese provvisoriamente in consegna il quotidiano locale La Gazzetta di Parma, con lo scopo di cederlo al Comitato di Liberazione Nazionale; infine, il 26 aprile, partigiani e truppe alleate fecero il loro ingresso in città. Per i sacrifici delle sue popolazioni e per la sua attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale Parma è tra le Città decorate al Valor Militare per la Guerra di Liberazione e insignita della Medaglia d'Oro al Valor Militare.

    ...miti, misteri e leggende...



    Il battistero di Parma è una straordinaria opera di giunzione tra il l’architettura romanica e l’architettura gotica frutto del genio di Benedetto Antelami. Allo “ zooforo”, che corre lungo il livello inferiore delle pareti esterne – una serie di formelle (settantacinque o settantanove), eseguite probabilmente dal maestro stesso, che rappresentano il fantastico nella scultura: animali di varia natura, sirene e i segni dello zodiaco, disposti dietro figure di uomini al lavoro nei campi, durante le varie stagioni. La “singolarità”, si trova in particolare su un portale, quello meridionale, noto come “il portale della vita”, sulla lunetta.
    “Al centro è raffigurato un albero carico di frutti, tra le cui fronde sta una figura umana (un fanciullo?) che porta alla bocca del miele preso da un alveare.
    Ai piedi dell’albero, vi sono due animali che sembrano roderne il tronco, e dietro ad esso un drago che si volge verso l’uomo vomitando fiamme dalle fauci spalancate. Ai lati di questo insieme, che occupa circa un terzo della lunetta, sono iscritte entro medaglioni, alla sinistra di chi guarda una figura maschile ritta su una biga tirata da una coppia di cavalli, alla destra una figura femminile ritta anch’essa su una biga trainata però da due buoi. Attorno a questo medaglione vi sono quattro figure di fanciulli, le due in basso vestite, e le altre nude, con degli strumenti in mano (probabilmente trombe nelle figure superiori di cui una è andata perdute. Le figure sui carri che incitano i cavalli e i buoi e hanno l’una in mano una sferza, l’altra un’asta, sono con ogni verosimiglianza rispettivamente Apollo e Diana. Dietro il capo della prima vi è infatti il disco solare e dietro quello della seconda la luna falcata. In due medaglioni minori sovrapposti agli altri le loro figure sono ripetute a mezzo busto in atteggiamento di riposo e affiancate rispettivamente dalla testa di un cavallo e di un bue” (Alberto Siclari, “L’apologo del Barlaam e Joasaph e la letteratura agiografica degli exempla”, in Il Battistero di Parma: iconografia, iconologia, fonti letterarie, a cura di G. Schianchi, pag. 351).
    “Barlaam e Joasaph, anticamente venerati come santi cristiani, sono i protagonisti di un romanzo agiografico, popolarissimo in età medievale, ispirato alla vicenda della conversione del Buddha. La leggenda del Buddha venne conosciuta dai cristiani nell’Iran orientale e nell’Asia centrale dove i cristiani vivevano a contatto con i buddisti, con i mazdeisti e i manichei, grazie anche alla diffusione di qualche testo scritto come il Lalitavistara. Il racconto, giunto in Occidente nell’XI secolo ed attribuito a Giovanni Damasceno, conobbe una rapida diffusione e venne ritenuto storico, tanto che i nomi di Barlaam e di Iosafat vennero inseriti nel Martirologio Romano al 27 novembre.
    Narra del principe indiano Iosafat al cui padre, pagano, viene predetto che si convertirà al cristianesimo: Iosafat viene quindi tenuto lontano dalle miserie del mondo, in mezzo al lusso ed ai piaceri, ma ciò non gli impedisce di prendere coscienza delle miserie della vita umana (conosce la malattia, la vecchiaia e la morte). Il giovane viene quindi convertito dal santo eremita Barlaam e, divenuto eremita egli stesso, converte al cristianesimo il padre ed i sudditi.
    La storia venne in realtà ricalcata sul modello della vicenda della conversione del Buddha (il nome sanscrito Bodhisattva si trasformò in Budasaf e poi in Iosafat; dal nome dell’eremita Balahuar, sdoppiamento del Buddha stesso, si arrivò al nome di Barlaam): venne tradotta in greco e poi in latino, quindi in numerose lingue volgari. Divenne tanto popolare da essere inclusa da Jacopo da Varagine nella sua Legenda Aurea e da ispirare alcune opere di Bernardo Pulci e di Lope de Vega, oltre a numerose opere scultoree, come quella nel Battistero di Parma di Benedetto Antelami.” (wikipedia)
     
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  6. gheagabry
     
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    « E quella cu' il Savio bagna 'l fianco,
    così com'ella sie' tra 'l piano e 'l monte,
    tra tirannia si vive e stato franco. »
    (Dante Alighieri, Inferno, Canto XXVII)


    CESENA



    "Di tutte le città dell’alta Romagna, Cesena è la più segreta. A metà strada fra Rimini, orgogliosa del suo primato balneare, e Forlì, capoluogo della provincia più terragna dell’intera regione, Cesena si apparta a lato della via Emilia in una breve pianura distesa ai piedi di tanti piccoli poggi che fanno corona al paese. Nata, dunque, sul tenero finire della collina, ha costretto la via nazionale — anziché accoglierla nel cuore della città — a curvare in una grande ansa che tocca la periferia e sfugge verso Forlì. Al contrario di altri paesi la cui vita municipale fiorisce nel punto di maggior dilatazione della fragorosa via consolare, dove cioè la strada si allarga per far luogo a una grande piazza, e lì sembra sostare per poi riprendere la propria corsa, Cesena ha preferito raccogliersi in una dimensione più appartata e silenziosa. È una città, insomma, che tranne per qualche preciso interesse pochi attraverseranno e la cui fama è solida solo in virtù di durevoli cose, come il grandioso Castello Malatestiano seduto sul colle Garampo, le chiese, la graziosa fontana del Masini e soprattutto la biblioteca dei Minori Conventuali di San Francesco, cresciuta e arricchita per la munificenza di Malatesta Novello intorno alla metà del 1400."
    (Sergio Zavoli, I giorni della meraviglia, Marsilio, Venezia, 1994)

    ..storia..



    Il primo nucleo abitativo di Cesena sorse molto probabilmente ad opera degli "umbro-etruschi" intorno al VI-V sec. a.C., e il "taglio" prodotto dal torrente Cesuola si trova nel nome dato al piccolo centro. Secondo altre interpretazioni, il nome le deriva dall'etrusco "Caizna" oppure dal latino "caedo", in memoria di una particolare tattica usata dai Galli Boi, antichi abitatori della Romagna, per sconfiggere i Romani nella vicina foresta del Colle Spaziano.
    Intorno al IV secolo sopraggiunsero i Galli, fu un breve dominio, ma rimangono profonde tracce nell'economia, con l'introduzione dell'allevamento suinicolo, e nella lingua locali. Con l'arrivo dei Romani, che fondarono nel 268 a.C. la colonia di "Ariminum", Rimini, il piccolo nucleo assume la forma di villaggio. Del periodo repubblicano rimane oggi ben visibile la colossale opera di centuriazione, presumibilmente tra il 235 e 220 a.C., che suddivide la campagna in un perfetto reticolato ancora oggi visibile. Successivamente la "Curva Caesena" dell'età imperiale, citata da Plinio il Vecchio come città produttrice di ottimo vino, decade con l'Impero Romano e fu la volta dei barbari.
    Presa dai Goti di Teodorico, viene riconquistata dai Bizantini e, a metà del VI sec., entra a far parte dell'Esarcato. Dopo le campagne di Pipino il Breve (VIII sec.), Cesena rientra nei territori sotto il controllo pontificio, primo nucleo di quello che sarà lo Stato della Chiesa. Un ruolo di estrema importanza rivestì, in questi secoli, la figura dell'Arcivescovo di Ravenna, feudatario dell'Imperatore, il quale possedeva terreni e castelli nel cesenate, e deteneva un potere molto ampio. Dopo il Mille crescono le volontà autonomistiche della città, ma solo alla fine del XII sec., affrancatasi dall'Arcivescovo, Cesena può dirsi libero Comune. Il '200, secolo è caratterizzato dai continui mutamenti nel governo della città, Cesena oscilla tra libertà comunali e sottomissione alla Chiesa o a signori locali, tanto che Dante la cita nel Canto XXVII dell'Inferno. Nel '300 la breve Signoria degli Ordelaffi viene bruscamente interrotta dall'intervento del legato pontificio Albornoz, che sottopone la rocca a un lungo assedio (1357). Alla fine il cardinale Egidio Albornoz riesce a sottomettere Cesena e costruisce un nuovo Palazzo del Governatore.
    Nel 1377, Cesena conosce l'evento che la segna fortemente: un contingente di soldati mercenari bretoni al soldo di papa Gregorio XI, comandati da Roberto di Ginevra (futuro antipapa Clemente VII) e del condottiero Giovanni Acuto (John HawcKwood), mette a ferro e fuoco la città. I cronisti del tempo inorridiscono di fronte alla strage e riferiscono d'alcune migliaia di morti e di altrettanti deportati tra la popolazione civile. È il momento più buio della città, coinvolta suo malgrado nella guerra promossa da Firenze contro il Pontefice, la "Guerra degli Otto Santi".
    L'anno seguente al tremendo "Sacco dei Brettoni", il nuovo papa Urbano VI assegna infine quello che rimane della città al Signore di Rimini Galeotto Malatesta, in vicariato: ha inizio per Cesena la Signoria dei Malatesta, il momento di maggior splendore nella storia cesenate.
    A Galeotto succede nel 1385 Andrea Malatesta. È poi la volta di Carlo e, nel 1429, appassionato bibliofilo, fine mecenate, costretto a rinunciare presto alla vita militare, dona alla città la splendida Biblioteca, ricavata all'interno del convento dei Frati Francescani. Costruita tra 1447 e 1452 su progetto di Matteo Nuti da Fano, discepolo di Leon Battista Alberti. Alla morte di Novello (1465), Cesena torna sotto il dominio pontificio, ma già nel 1500 fa il suo ingresso Cesare Borgia, detto il Valentino che costituisce un piccolo ma potente ducato. La città, elevata al rango di capitale, viene visitata da Leonardo da Vinci che fa rilievi alla Rocca e fornisce il progetto per il porto di Cesenatico. Caduto l'effimero ducato, Cesena torna definitivamente alla Chiesa e a una dimensione locale dominata economicamente dall'agricoltura.
    Nel 1775, la città ritorna a vivere: il cesenate Giovan Angelo Braschi diviene infatti Papa col nome di Pio VI, dando avvio alla triade di Papi cesenati (Pio VII Chiaramonti, 1800-23, e Pio VIII Castiglioni, 1829-30, in realtà marchigiano, ma già Vescovo di Cesena). L'esperienza napoleonica (1797-1814), che vede Pio VI e Pio VII tentare invano di opporsi, priva Cesena di un gran numero di monasteri, conventi e chiese che precedentemente la ornavano.
    Con l'Unità d'Italia per Cesena ha inizio un periodo di lotte politiche interne. La Seconda Guerra Mondiale, con la Linea Gotica che corre sul crinale appenninico a pochi chilometri dalla città, segna profondamente la vita cittadina.
    (tratto da il testo di Ivan Severi, www.comune.cesena.fc.it/)


    "Questa graziosa cittadina, circondata di bei frutteti, e perciò a primavera ravvolta di una nuvola d’alberi bianchi e rosa, addossata a un colle e dominata da una rocca che la include in parte, è nota anche nella cronaca delle ultime guerre, perché diede un buon numero di aviatori medaglia d’oro. Ivi ho raccolto molto di quel colore romagnolo, che ho poi versato in queste pagine solo in minima parte. Lo stesso assessore comunale che mi accompagnava era un tipo d’eccezione: mangiava la mattina, al risveglio, un piatto d’uova strapazzate con gli spezzatini d’agnello.
    La splendida biblioteca malatestiana di Cesena è il cuore della cultura della Romagna. Costituita, a metà Quattrocento, per ordine di Novello Malatesta sul fondo di una più antica biblioteca conventuale, nella scia di quella di San Marco a Firenze, è una perfetta creazione del genio del Rinascimento. Non solamente per i codici corali miniati, incunaboli di gran pregio ch’essa contiene, ma per la stupenda sala, opera di Matteo Nuti, scolaro dell’Alberti. Col tempio malatestiano di Rimini, con il palazzo ducale di Urbino e con i più tardi palazzi degli Estensi a Ferrara è quanto di più puro ci abbia dato quel secolo in cui la cultura toccò l’estremo punto della raffinatezza. Appare, la meravigliosa sala, con due file di colonne in fuga prospettica e i muri cui il tempo ha dato sfumature verdi e rosee. Difficile associare più distillata purezza a più slancio di fantasia.
    (Guido Piovene, Viaggio in Italia, Mondadori, Milano, 1956)
     
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